Gigi Meroni, in maglia granata dal 1964 al 1967. È un’appendice poetica e tragica che va ad aggiungersi a quel poema epico di un club esauritosi con l’epilogo più devastante e inaspettato. È il tremendismo granata che si fonde con l’inafferrabilità e l’indecifrabilità di un uomo, sia in campo da giocatore con i calzettoni perennemente abbassati, che fuori, dove Meroni diventa sfuggente e refrattario a ogni categorizzazione perbenista dell’epoca. È l’artista che sovente si rifugia nella pittura, la domenica sera dopo la partita, per esprimere la sua parte introspettiva che un campo di calcio non gli permetteva di sprigionare.
È l’autarchico che si disegna i vestiti, il folle che gira con una gallina al guinzaglio, l’istrionico che finge di essere un giornalista e chiede alla gente: “Lei conosce Gigi Meroni?”, il guascone con scarpe dai tacchi altissimi alla guida di una Balilla, ma è anche il timido che arrossisce davanti a una telecamera per rispondere alle incessanti domande sui suoi capelli lunghi. È l’ala destra che ama la libertà di stare a briglie sciolte in campo, come una farfalla, e mal digerisce i ruoli centrali. È l’uomo che si innamora follemente e alla sua maniera, ovvero andando controcorrente rispetto ai canoni dell’epoca, di una donna che lo protegge fino al giorno in cui un infame destino se lo porta via per sempre.
Luigi Meroni, nasce a Como il 24 febbraio del 1973. Rimane orfano di padre e la mamma per mantenere i suoi due figli Celestino, Luigi e Maria) fa la tessitrice.
Il suo primo lavoro è disegnare cravatte e foulard di seta, ma i guadagni non sono granche’.
L’incontro con Cristiana Understadt, polacca e giovane giostraia è quel colpo di fulmine che ti cambia la vita per sempre, solo che in questo caso non deve superare un avversario in campo, ma un aiuto regista che Cristiana sposerà, pur amando Gigi, ma che dopo poche settimana lascerà, diventando cosi una donna divorziata, per raggiungere Gigi.
Malelingue, convenzioni morali e religiose dell’epoca, non modificano l’amore per Cristiana.
Era il suo porto sicuro, Cristiana era per Gigi fonte di ispirazione. Ogni sera tornando dagli allenamenti si fermava dal fioraio e le portava dei fiori. Cristiana ottenne l’annullamento del matrimonio poco prima della morte di Gigi.
“Cosa preferirebbe tra un gita al mare, una gita in montagna e una passeggiata in bici?”
“Preferirei restare a casa a dormire …”
Nella Torino granata ancora ferita a morte dalla tragedia che 15 anni prima spazzò via in un colpo solo la squadra più forte di tutti i tempi, Gigi Meroni irrompe con la sua capigliatura e l’indole anarcoide prendendosi tutta la scena.
“Lei deve avere un disegnatore speciale per i suoi vestiti”
“Sì, sono io il disegnatore speciale… li disegno e li porto dal sarto (tratta da “Un Beatle italiano”, intervista di Emilio Fede)
A 23 anni viene convocato per la prima volta nella Nazionale Maggiore allenata da Edmondo Fabbri. Il rapporto con il tecnico romagnolo è sin da subito tutt’altro idilliaco. “Se ti tagli i capelli la maglia numero 7 è tua” , gli dice Fabbri.
A 19 anni, in occasione di una convocazione nella Nazionle B, Gigi cede all’invito che lui reputava seccante di tagliarsi la chioma da Paul McCartney, ma a 23 anni rifiuta motivando con frasi eloquenti la sua scelta: “Quella richiesta è stata un attentato alla mia vita privata. Credo di assolvere fino in fondo i miei obblighi verso lo sport, perché dovrei rinunciare a quel poco di vita privata che mi resta? Non è una questione di capelli o di gusti musicali, è una questione di libertà”.
A prendere le sue difese è prima il cantautore Luigi Tenco a Genova e poi un uomo d’altri tempi come Nereo Rocco, che lo assolve sempre rispondendo con le sue tipiche battute bonarie: “Lui è come Sansone, probabilmente se gli tagliamo i capelli rischiamo che non riesca più a giocare bene…”.
La sorella, Maria Meroni, ricorda in un’intervista che a casa arrivavano i vaglia con i soldi per invitare Gigi ad andare a tagliarsi i capelli. Non va certamente meglio quando il Torino gioca in trasferta: Moschino, suo compagno di squadra, racconta che prima dell’inizio delle partite il rito d’obbligo era recarsi sotto la curva avversaria per raccogliere le monetine che i tifosi tiravano. Soldi che sarebbero serviti per… l’aperitivo del dopo partita.
15 ottobre 1967. È sera, Meroni e il suo amico e compagno di squadra Fabrizio Poletti abbandonano l’usuale ritiro post-partita. Gigi non ha con sé le chiavi di casa e per avvertire Cristiana l’unico modo è farle una telefonata dal bar che frequenta spesso. I due attraversano un trafficatissimo Corso Re Umberto.
“Muore giovane chi è caro agli Dei” (Menandro)
Al funerale partecipa una folla di 20.000 persone. Tutti si stringono intorno alla famiglia di Meroni e al Torino, dal carcere “Le Nuove” alcuni detenuti fanno una colletta per mandare fiori.
La Diocesi di Torino si oppone, però, al funerale religioso di un “peccatore pubblico” che conviveva con una donna sposata e critica aspramente don Francesco Ferraudo, cappellano del Torino calcio.
Il parroco, bastian contrario come Meroni, decide di celebrarlo comunque.
“Lei è di un’altra generazione e, forse, non può capirmi; io faccio così non per esibizionismo, ma perché sono così; perché anelo alla libertà assoluta e questi capelli, questa barba sono uno dei segni di libertà. Può darsi che un giorno cambierò quando la mia libertà sarà un’altra”.