Con il termine “Kintsugi”, che in italiano si traduce letteralmente in “riparazione con l’oro”, si intende una tecnica giapponese utilizzata sin dal XVII secolo per riparare oggetti in ceramica di pregio. All’interno di questa arte le fratture non vengono solo lasciate visibili, ma addirittura evidenziate e valorizzate con l’aggiunta di polvere d’oro, al fine di creare un nuovo oggetto, un’opera d’arte. Questa tecnica nata in Oriente e diffusasi, nel corso dei secoli, sino in occidente è tutt’oggi molto apprezzata per la sua particolare filosofia e viene praticata sia dagli esperti che dagli appassionati. Vediamo insieme dunque quali sono le particolarità e le metodologie della tecnica giapponese Kintsugi.
La tecnica giapponese Kintsugi: le origini dell’arte di riparare con l’oro
Le origini della tecnica giapponese Kintsugi, risalgono al Periodo Muromachi, sotto lo shogunato di Ashikaga Yoshimasa (1435-1490). Si tratta di un periodo culturalmente e artisticamente molto proficuo che è stato rinominato “Higashiyama bunka” : all’interno di questo arco temporale, durante il quale lo Shogun si ritira nella sua villa sulle colline orientali della capitale Kyoto, molte arti che provengono dalla Cina e dalla filosofia del buddismo Zen vengono accolte e sviluppate in Giappone. Allo shogun Yoshimasa piaceva molto circondarsi di artisti e poeti ed è proprio nel suo tempio-palazzo Ginkaku-ji che nasce la tradizione del cha no yu, nota come la cerimonia del tè. All’interno della cerimonia del tè, parte fondamentale del rituale sono le tipiche “coppe tenmoku”, basse e rotonde, realizzate da mastri ceramisti secondo l’estetica di WAbi-Sabi.
Ma come nasce effettivamente la tecnica giapponese Kintsugi? Da un incidente avvenuto all’interno del palazzo imperiale. Durante le cerimonie il maestro del tè la riempiva lentamente, girava molte volte la bevanda e infine, la passava agli ospiti. Una di quelle tazze, forse la più preziosa o quella che l’imperatore amava di più, cade dalle mani di Ashikaga Yoshimasa proprio in questo passaggio e finisce per frantumarsi in mille pezzi.
L’oggetto, recuperato, viene affidato a dei maestri ceramisti cinesi. L’arte della ceramica, infatti, a quei tempi è ancora inusuale in Giappone, tanto che a Seto, zona di produzione della ceramica, esistevano solo sei forni per la cottura del materiale. I ceramisti cinesi ripararono la tazza secondo un metodo di lavorazione canonico, fissando le parti rotte con bretelle di ferro per cucire le fratture.
La reazione dell’ottavo shogun, quando osserva la coppa e l’intervento che è stato compiuto per ripararla, è di grandissima collera e scontento. I ceramisti giapponesi cercano quindi di ripararla utilizzando l’estetica Wabi-Sabi e i materiali che avevano a portata di mano. Per riunire i frammenti di tenmoku spezzati usano la Lacca Urushi, una linfa locale estratta dalla Rhus verniciflua. Le linee di frattura, che non possono sparire, vengono dunque evidenziate con lacca rossa e ricoperte di polvere d’oro. Yoshimasa loda il risultato: non solo la sua coppa era stata riparata, ma gli era stata concessa una nuova vita carica di imperfezioni e, per questo, piena di bellezza: era diventata unica. Nasce così la tecnica e l’arte giapponese del Kintsugi.
Soprattutto in occidente, quando qualcosa si rompe, solitamente viene gettato via. Tuttavia, l’antica filosofia giapponese di Kintsugi insegna l’arte di rimettere insieme i frammenti di ceramica utilizzando l’oro. Questa tecnica antica di 400 anni consiste nel combinare la lacca Urushi con oro, argento o platino per formare nuove leghe. Questa lacca viene utilizzata come stucco per riempire eventuali buchi o lacune in cui potrebbero mancare trucioli dal vaso originale. Il momento della stesura della lacca è la parte più difficile, spiegano molti maestri, perché la lacca non può essere rimossa una volta asciutta e i pezzi devono essere posizionati nello stesso momento, anche se i frammenti possono essere molti. Poi, la lacca deve asciugare e indurire: un processo che può richiedere intere settimane. Infine, il maestro ceramista termina la lavorazione aggiungendo l’oro. La tecnica Kintsugi abbraccia quindi l’autenticità e le imperfezioni, e piuttosto che nascondere le “cicatrici” delle cose le celebra come parte della storia dell’oggetto, piuttosto che come un cupo finale.
La tecnica giapponese Kintsugi: tra arte contemporanea e filosofia del benessere
Il recente entusiasmo internazionale per la tecnica giapponese Kintsugi potrebbe essere dovuto al fervore crescente per la ceramica, incoraggiato dalla quantità di studi nati attorno argilla, o dal fatto che gli artisti contemporanei la impiegano molto spesso per realizzare le proprie opere d’arte (possiamo citare per esempio l’artista britannico Paul Scott che utilizza anche la tecnica Kintsugi per combinare (o fare “collage“) di frammenti di ceramiche recuperate). Tuttavia, l’arte del Kintsugi, che arriva dai maestri che lavorano la Lacca Urushi, suscita interesse proprio per via della filosofia che la contraddistingue e che insegna l’importanza dell’accettazione. Infatti oggi non è considerata solo un modo per creare opere d’arte ma anche un modo per valorizzare tutto ciò che non è come vorremmo: per questo troviamo la tecnica giapponese Kintsugi raccontata nei libri di auto-aiuto e di benessere, dove viene utilizzata come metafora per invitare chiunque ad abbracciare i propri difetti e le proprie imperfezioni.