Si tratta di due uomini, un signore e il suo schiavo.
È un improvviso tuffo nel passato, come solo Pompei riesce a fare.
La notizia della scoperta di due nuove vittime dell’eruzione, ci riporta a quell’antica tragedia con sempre più dettagli.
In attesa di pubblicazioni e studi approfonditi, è possibile inquadrare questo ritrovamento nella sequenza di fatti avvenuti nella tragedia di Pompei e capire gli ultimi istanti di vita dei due? Probabilmente sì, la scena infatti, fissata nel tempo, avviene in un momento preciso dell’eruzione.
Proviamo a tornare a quelle terribili ore.
I due uomini, un ragazzo e un quarantenne (si è ipotizzato un padrone con il suo schiavo), sono riusciti a sopravvivere a gran parte dell’eruzione, scoppiata improvvisamente all’ora di pranzo del giorno precedente, il 24 ottobre. Tutta l’area di Pompei è stata gradualmente sepolta da una grandine di pomici e lapilli. I tetti continuano a crollare per il loro peso, uccidendo molte persone, altre invece sono ormai intrappolate in casa. A Pompei, o fuggivi subito o era troppo tardi, perché già dopo un’ora e mezza le vie e le campagne erano completamente coperte da uno strato di lapilli che impediva di procedere e persino di vedere i tracciati delle strade. Una fuga comunque difficile anche per il pulviscolo vulcanico in sospensione che irritava la gola o i blocchi di pietra vulcanica che cadevano dal cielo come proiettili. I due, come tanti altri, sono rimasti in casa, ad aspettare. Nel loro caso si trattava di una splendida villa appena fuori le mura di Pompei, con dei cavalli già sellati: segno che si aspettava una quiete per scappare? Chissà.
Torniamo a quei momenti. I due sono impauriti e molto stanchi. Hanno superato una notte d’inferno con forti scosse di terremoto, boati del vulcano, urla di chi nei dintorni cercava un congiunto o anche solo la salvezza.
L’assordante crepitio della pioggia di pomici sulle tegole si è fermato intorno all’una di notte. La città ormai è già per metà sepolta e sembra un transatlantico che affonda (ecco perché a Pompei si è conservato bene il pianterreno e a volte il primo piano della città).
Cosa fare? Probabilmente la cosa migliore è aspettare la luce: con l’alba si proverà a mettersi in cammino. Quasi certamente il sole che sorge è appena visibile attraverso la spessa coltre di ceneri sospese nell’aria. Fa freddo. Il fatto che uno dei due uomini sia stato ritrovato con un pesante mantello di lana è una ulteriore conferma (corroborata da una miriade di altri indizi, dai bracieri nelle case, ai datteri e i fichi secchi, al vino già sigillato nei dolia, le “botti” in terracotta) che l’eruzione è avvenuta in autunno e non ad agosto come si è sempre erroneamente ipotizzato. Non sappiamo se i due abbiano in mente di andare via o se debbano rimanere di guardia alla villa. È comunque troppo tardi per tutti: la colonna eruttiva che sale per decine di chilometri in cielo, si è “stancata”, ha perso di energia e inizia a sedersi su se stessa più volte, trasformandosi in una serie di valanghe ustionanti verso valle. Già durante la notte lo ha fatto, e uno di questi flussi piroclastici, come li chiamano i vulcanologi, ha investito a 100 chilometri all’ora e a 600 gradi la città di Ercolano, uccidendo chiunque abbia incontrato. A Pompei, forse perché più distante, i flussi che arrivano hanno un po’ meno forza (i vestiti delle vittime non vengono strappati) e meno calore (i crani non esplodono), ma sono ugualmente mortali. Forse anche i due uomini hanno visto giungere verso di loro quella apocalittica nuvola grigia ribollente, alta quanto una collina. Hanno cercato riparo nel passaggio coperto della villa (criptoportico) nei pressi del quale li hanno rinvenuti? È possibile. È una scelta istintiva.
Gli archeologi e gli antropologi che li studiano, ai quali va tutto il nostro plauso, ci diranno in dettaglio cosa hanno scoperto. Se i due sono morti come tante altre vittime di Pompei, allora probabilmente sono stati avvolti da una violenta nuvola densa di ceneri e gas, che ti acceca e entra nelle orecchie, nel naso, in bocca… La morte è atroce, le tue vie respiratorie sono intasate da ceneri impalpabili come il talco, mentre alcuni gas ti aggrediscono le mucose. Come l’anidride solforosa che si trasforma in acido solforico…
Uno dei due uomini ha le gambe divaricate e un po’ flesse, con le braccia piegate come quelle di un pugile, una posa tipica delle vittime di alte temperature.
La loro incredibile conservazione è dovuta al fatto che sono stati sepolti al momento della morte (o sepolti vivi mentre morivano) dalle ceneri finissime dei flussi piroclastici e sigillati per sempre, quasi si trattasse di colata di cemento che ne ha fatto l’impronta perfetta.
Con i mesi e gli anni i tessuti molli sono scomparsi, lasciando solo un vuoto nel terreno con le ossa.
Ho parlato con alcuni archeologi che in passato hanno scoperto altri corpi. Mi hanno descritto l’emozione di vedere aprirsi un piccolo pertugio nei sedimenti quando scavano, e capire che, forse, è proprio ciò che rimane di una persona. Bisogna agire rapidamente. Si cola del gesso che “riempie” l’impronta vuota della vittima come se si riempisse una bottiglia vuota. Si aspettano poi alcune ore che tutto asciughi e con delicatezza si rimuovono tutti i sedimenti attorno.
Ciò che vi appare è il calco del corpo della persona, così perfetto che si vedono le pieghe dei vestiti o i capelli… Sembra una statua. Vengono spesso definiti “corpi” e molti turisti fanno commenti irriverenti e selfie. Ma ricordo sempre che si tratta di persone, nel momento in cui la vita li abbandona. Ci vuole rispetto.
La nuova scoperta sottolinea la ricchezza del nostro patrimonio, non solo archeologico, ma culturale in generale, che deve essere tutelato e valorizzato perché tutti, oggi come in futuro, possano goderne.
In particolare, ciò vale per Pompei che tanto ha ancora da insegnarci.
E ogni volta riesce a sorprenderci.
Contenuti Pagina FB di Alberto Angela
Foto Luigi Spina Pagina FB Parco Archeologico di Pompei