Categoria: Arte e Dintorni

  • Un mosaico di ventidue voci che appartengono a ventidue grandi della musica d’autore italiana – i cui volti e nomi restano un mistero – ognuno dei quali recita un verso de L‘Infinito di Giacomo Leopardi. Un capolavoro, targato Rai e Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, per celebrare i duecento anni della poesia composta dal poeta recanatese nel 1819. Un video sorprendente, che sarà in onda dal 19 al 31 dicembre su tutti i canali Rai e su RaiPlay, un viaggio sonoro e visivo in cui le voci degli artisti, che hanno offerto gratuitamente e con entusiasmo il proprio contributo, si uniscono all’animazione del manoscritto di Leopardi.
    Firmato da Rai Cultura (che sul web ospita anche una pagina dedicata, www.raicultura.it/200infinito) e da Direzione Creativa Rai, il nuovo progetto editoriale de “L’Infinito” si propone di chiudere l’anno nel segno della bellezza e della valorizzazione di una delle espressioni più alte della nostra letteratura, che mantiene intatta anche oggi tutta la propria forza e alla quale Rai e MiBACT rendono omaggio.
    Le celebrazioni del bicentenario si sono aperte con le voci degli studenti, sull’“ermo colle” di Recanati, e poi in tutta Italia, nelle scuole e nelle piazze, nelle molteplici versioni dialettali divenute virali sul web: una grande lettura collettiva de “L’Infinito” ha accompagnato la ricorrenza dei duecento anni dalla composizione di quell’idillio e che i ventidue cantautori italiani, ora lettori d’eccezione, affidano al grande pubblico della Tv.

    “Sono grato ai grandi della canzone d’autore italiana – dichiara il Ministro per i beni e per le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini – che hanno accettato il mio invito a leggere L’Infinito di Leopardi per festeggiare il bicentenario di uno dei componimenti più celebri e popolari della nostra produzione poetica. Le 22 voci, donate e anonime, fanno venire i brividi e sono un’unica dichiarazione d’amore per la poesia”.

    L’INFINITO

    La stesura autografa degli Idilli utilizzata per realizzare il video RAI è conservata dal Comune di Visso in provincia di Macerata, dove attualmente è tornata dopo la mostra a Recanati ed è custodita in cassetta di sicurezza in attesa della ricostruzione del museo fortemente danneggiato dal sisma del Centro Italia.

    Composto tra la primavera e l’autunno del 1819, la versione de L’Infinito utilizzata per il video è quella che approdò alle stampe solo sul finire del 1825, quando apparve insieme con la Sera sulla rivista “Il Nuovo Raccoglitore” nella rubrica “Poesia”.

    Esiste anche una prima stesura de L’Infinito di Leopardi, conservata alla Biblioteca Nazionale di Napoli Vittorio Emanuele III dove è esposta in occasione del bicentenario. Fa parte di un fascicoletto su cinque bifogli spessi, rigati e dai margini irregolari.

    I quindici endecasillabi sciolti introdotti dal titolo “L’Infinito” sono scritti ordinatamente al centro della pagina con tratto nitido e sottile, in un inchiostro marrone dal fondo molto scuro. Poche le correzioni, concentrate ai versi 3-4 e 13-14 e compiute con un inchiostro più denso e un pennino dalla punta più spessa.

    BICENTENARIO INFINITO: FINO A DICEMBRE ESPOSTO A NAPOLI IL PRIMO AUTOGRAFO

    Il primo autografo de L’Infinito è esposto nella sezione Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli per tutto l’anno del bicentenario.
    La Biblioteca Nazionale di Napoli, custode dell’eredità leopardiana, insieme alla prima stesura autografa de L’Infinito conserva nella sua quasi totalità il corpus delle opere letterarie, filosofiche e saggistiche leopardiane, lasciato da Giacomo all’amico Antonio Ranieri e pervenute nel 1907, dopo diverse dispute giudiziarie, alla biblioteca napoletana.

    Forte di questo patrimonio, la Nazionale di Napoli da tempo valorizza l’opera del poeta attraverso una costante attività di ricerca e studio del patrimonio leopardiano, che comprende anche la digitalizzazione del vasto corpo di autografi leopardiani conservati a Napoli.

  • Nella bellissima campagna piemontese, e più precisamente nella zona delle Langhe cuneesi nel territorio del comune de La Morra, si nasconde una incredibile chiesetta colorata unica nel suo genere in Italia.

    Costruita nel 1914 come riparo per i lavoratori dei vigneti circostanti in caso di temporali o grandinate, la Cappella di SS. Madonna delle Grazie, meglio conosciuta oggi come Cappella del Barolo, fu acquistata dalla famiglia Ceretto nel 1970 insieme ai 6 ettari del prestigioso vigneto di Brunate.
    La chiesa, mai consacrata, oggi si trova ancora in questo vigneto di La Morra ed è sempre proprietà della famiglia Ceretto.

    Diroccata, abbandonata per anni e ridotta a rudere, la chiesa è stata ristrutturata dalla famiglia Ceretto alla fine degli anni ’90 ed è oggi diventata uno degli edifici più conosciuti e ammirati della zona.

    La ristrutturazione venne affidata agli artisti Sol LeWitt e David Tremlett che seppero trasformare un edificio in rovina in una splendida testimonianza di arte contemporanea.

    Per i lavori di ristrutturazione LeWitt si occupò dell’esterno con un gioco di colori giocoso e vivace, mentre Tremlett si occupò delle decorazioni interne calde e serene.

    Un altro piccolo gioiello immerso nella campagna piemontese e circondato da vigneti e piante assolutamente da scoprire.

    L’azienda Ceretto propone inoltre anche altre iniziative culturali e gastronomiche: degustazioni, tour, visite guidate e molto altro.

    Cappella del Barolo – La Morra CN, Italia
    Coordinate GPS 44°37’41.312″N 7°56’41.824″E;

    Orari:
    tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00

    Tariffe:
    Ingresso libero

    Per maggiori informazioni potete consultare il sito di Ceretto Experience.

     

  • Una delle più antiche divinità cinesi è Xiwangmu, la Regina Madre d’Occidente, che vive su monti Kunlun, presso un giardino immerso fra le nuvole in cui cresce il pesco dell’immortalità, un albero che dà frutti ogni 3.000 anni.

    Questa pianta prodigiosa rappresenta il punto d’unione fra cielo e terra e Xiwangmu, che la possiede, è considerata sovrana degli immortali, protettrice della vita e dispensatrice di longevità.

    Per il loro carattere beneaugurale, le rappresentazioni della Dea venivano anche appese alle pareti nelle grandi dimore dei mandarini, alla maniera degli arazzi occidentali.

    In occasione del suo 11° compleanno, il MAO ha il piacere di esporre per la prima volta al pubblico un grande drappo raffigurante la Regina Madre d’Occidente nel giardino degli immortali, completamente restaurato.

    Il drappo in seta, donato da un privato e restaurato grazie al generoso contributo dell’Associazione Amici della Fondazione Torino Musei, ha misure notevoli (445 cm d’altezza per 320 di larghezza) ed è finemente decorato con filati di sete policrome e dorati: ad una prima analisi stilistica si ritiene che possa risalire al periodo finale del regno del famoso imperatore Qianlong (1735-1796) e, considerando la sua altissima qualità, non si esclude che potesse far parte degli arredi di corte.

    L’eccezionalità del manufatto consiste nella sua rarità e nel suo stato di conservazione: al contrario della maggior parte dei drappi ricamati di grandi dimensioni, solitamente smembrati per essere venduti in parti separate, quest’opera ha infatti mantenuto la sua integrità, che consente di apprezzare la minuzia dei dettagli e l’abilità tecnica nella realizzazione.

    Il tema principale della raffigurazione è la discesa della Regina Madre d’Occidente, Xiwangmu, a cavallo di una fenice nel giardino del pesco dell’immortalità e tutta l’iconografia dell’opera – compresa quella dei riquadri laterali – è permeata di simboli del taoismo popolare legati alla lunga vita e alla prosperità.

    Il drappo sarà esposto nel Salone Mazzonis fino al 22 marzo 2020.

  • 8 anni la lavorazione per il regista russo Andrei Konchalovsky per vedere ralizzato  Il Peccato – Il furore di Michelangelo, un film, o meglio come ama lui stesso definirlo, una visione, che rappresenta liberamente, ma con attenzione alla veridicità biografica, alcuni momenti della vita del grande artista rinascimentale con attori e comparse quasi tutti, volti sconosciuti.Il regista, pluripremiato a Venezia, Cannes e Berlino, riesce a mostrare un XVI secolo davvero inedito, perché realistico, ben lontano dai film in costume patinati e dai dipinti dell’epoca. Odori, sporcizie, deformità fisiche e bruttezze abbondano nelle inquadrature, esattamente come la bellezza inaspettata di paesaggi e giovani corpi.

    Michelangelo Buonarroti, il protagonista, è un uomo dalle facoltà artistiche superiori, tutt’altro che degno di ammirazione: meschino, disonesto, invidioso, a tratti prodigo e a tratti avaro, pieno di paure e contraddizioni. La sua grandezza creativa è un dono che non lo rende migliore degli altri uomini, soltanto più esposto alle beghe, ai complotti e ai giochi di potere all’interno della Chiesa, quando il testimone passa dalla famiglia Della Rovere alla famiglia Medici. Per Michelangelo, già artista di fama, è difficile muoversi in questo ambiente, fatto di paranoie, pericoli reali, superstizioni e l’ombra costante di avvelenamenti e tradimenti.

    La passione per Dante Alighieri lo guida in un viaggio che non ha più come unico scopo la sua sopravvivenza e quella della propria famiglia, ma è anche la ricerca di una trascendenza che possa redimere i peccati e dare un senso più alto alla vita. La spiritualità, il profondo senso del divino e al contempo la carnalità bestiale e la crudeltà dell’epoca sono vividamente descritte nel film, e proprio in virtù del nostro diverso modo di sentire ci consentono un tuffo a ritroso nel tempo. Michelangelo è un genio. Lui stesso, senza falsa modestia, se lo riconosce, soprattutto nel confronto con gli odiati amici-nemici che vede tutti come rivali (divertente la competizione con l’elegante cortigiano Raffaello) ma le sue opere non avvicinano di più l’uomo a Dio, come riusciva a fare La Divina Commedia – massima ambizione dell’arte di quel tempo – ma fanno anzi venire in mente pensieri peccaminosi. Tormentato, contraddittorio, perennemente sgualcito e insonne, Michelangelo è un uomo alla continua ricerca.

    Presentato alla Festa del Cinema di Roma, prodotto da Andrei Konchalovsky Studios, Jean Vigo Italia e Rai Cinema, e distribuito in Italia da 01 Distribution, Il Peccato – Il Furore di Michelangelo è interamente girato in Italia, in particolare nelle cave delle Alpi Apuane.
    La ricostruzione storica è merito delle consulenze dello scrittore Costantino Paolicchi, dell’architetto e restauratore Antonio Forcellino, tra i massimi esperti dell’artista, dell’etnoantropologo Alessandro Simonicca, mentre le musiche e i suoni del tempo, sono stati curati dallo storico Andrea Baldinotti e da Donato Pirovano, noto dantista.

    La complessa personalità dell’artista, nonostante le sue debolezze e difetti, anzi proprio per questi, viene resa sullo schermo in modo profondamente  umano, e così la ricerca personale di Michelangelo diventa anche la nostra, perché, per citare le parole di  Konchalovsky: “la nostra esistenza è fatta di tanti livelli, alcuni di questi livelli non ci sono noti ed è lì che si trova Dio.”

     

     

  • Il “Servizio del Re di Sardegna”, messo in vendita a Londra da Christie’s il 4 luglio 2019 e acquistato dalla Fondazione Torino Musei, costituisce una riscoperta straordinaria nella storia della porcellana europea. Creduto disperso, si era invece conservato presso la stessa famiglia, la Casa Reale di Savoia, per quasi trecento anni. La sua ricomparsa sul mercato è stata considerata come sensazionale e ha catalizzato l’attenzione degli esperti di tutto il mondo.

    La storia del servizio, tra i più importanti mai prodotti dalla prestigiosa manifattura di Meissen, inizia alla corte di Sassonia, dove, per la prima volta in Europa, grazie all’ingegno del chimico Johann Friedrich Böttger e dello scienziato Walter von Tschirnhaus, fu scoperto il segreto per ottenere la “vera” porcellana, utilizzando un’argilla bianca infusibile, il caolino, unita al quarzo e al feldspato.

    La scoperta, avvenuta nel 1710, condusse alla fondazione della fabbrica di Meissen, presso Dresda, per volontà del Re di Polonia ed Elettore di Sassonia, Augusto il Forte. Dopo qualche anno dalla fondazione, egli cominciò a servirsi dei prodotti della fabbrica, che avevano raggiunto livelli qualitativi altissimi, per farne doni diplomatici.

    Uno dei primi doni, consistente in ben 300 pezzi, fu quello inviato in 12 casse, nel settembre del 1725, al Re di Sardegna, Vittorio Amedeo II.

    Il servizio acquistato dalla Fondazione Torino Musei, corrisponde a quello descritto nella cassa n. 11: “Una scatola di cuoio rosso rivestita di panno verde e decorata con un merletto d’oro, contenente sei piattini e tazze da tè con le armi del Re di Sardegna e figure giapponesi: inoltre, una ciotola, una teiera, una zuccheriera e sei tazze da cioccolata con piattini”.

    Grazie alla ricca documentazione conservatasi negli archivi di Dresda, sappiamo che questo insieme fu dipinto dal principale pittore della fabbrica, Johann Gregorius Höroldt. Egli introdusse per la prima volta i colori a piccolo fuoco, innovando così la gamma cromatica delle porcellane, e fornì nuovi modelli e fonti di ispirazione, di soggetto prevalentemente orientale, iniziando quel gusto per le cineserie che costituì una delle caratteristiche della produzione di Meissen.

    Fino a oggi erano noti solo alcuni pezzi di questo servizio: una tazza da cioccolata con piattino nel Metropolitan Museum of Art di New York, un piattino già nella Arnhold Collection (ora alla Frick Collection), un altro a Palazzo Pitti a Firenze, una zuccheriera nella collezione Schneider a Monaco di Baviera e, infine, una tazza da cioccolata con piattino a Palazzo Madama. Quest’ultima fu donata nel 1877 da Ferdinando Arborio Gattinara di Breme, Duca di Sartirana, che possedeva un’ampia collezione di porcellane nella sua Villa La Tesoriera a Torino.

    L’insieme acquistato dalla Fondazione Torino Musei, scampato allo smembramento cui sovente vanno incontro i servizi stemmati, è dunque eccezionale per consistenza numerica.

    La sua importanza storico-artistica, contraddistinta dall’altissima qualità pittorica della decorazione, è accresciuta dalla sua storia, dai ruoli del committente e del destinatario, dalla precocità della sua realizzazione come dono diplomatico per un sovrano straniero e dalla completa documentazione che lo accompagna.

    Un acquisto prestigioso e di assoluto valore, che va a integrarsi con coerenza nella ricca collezione di porcellane europee di Palazzo Madama, una delle principali del museo e tra le più importanti in Italia, e insieme un’operazione di ricongiungimento che restituisce alla cittadinanza un pezzo di storia torinese.

    Il Presidente della Fondazione Torino Musei Maurizio Cibrario dichiara che “l’asta di Christie’s, vinta da Fondazione Torino Musei per conto di Palazzo Madama, rinvigorisce l’immagine dei musei di Torino in campo internazionale e il riconoscimento ufficiale di Christie’s, ad asta conclusa, dà il senso del valore e dell’importanza del nostro intervento”

    ________________________________________________________________________________________________________________

    Servizio del Re di Sardegna

    Manifattura di Meissen, 1725, dipinto da Johann Gregorius Höroldt

    Porcellana dipinta, misure varie

    Composizione: una teiera, una ciotola, cinque tazze da tè, una tazza da cioccolata, sette piattini

     

  • Dal confronto emergono numeri preoccupanti: nel Medioevo il livello del mare in Laguna era più basso di 1 metro e 30 centimetri.

    L’arte prestata alla scienza. Già perché, grazie ai dipinti del Canaletto e del Bellotto, i cosiddetti «vedutisti», e più indietro nel tempo col Veronese, è stato possibile ricostruire il livello del mare della città lagunare, ripercorrendo a ritroso la linea del tempo fino al 1350. L’intuizione è del professor Dario Camuffo, ex direttore dell’Isac Cnr di Padova, che in uno studio pubblicato nel 2017 dal titolo «A novel proxy and the sea level rise in Venice, Italy, from 1350 to 2014», è riuscito a valutare con precisione e rigore scientifico l’innalzamento del livello del mare a partire dal tardo Medioevo ad oggi.

  • Uno dei più celebri esponenti della “street art” a livello mondiale, la sua identità resta un mistero.

    Dagli anni Novanta, Banksy ha fatto parlare di sé per le sue opere provocatorie e le sue incursioni in musei, parchi divertimenti e case d’asta.

    Banksy è un artista e un writer, famoso nel mondo per le sue opere spesso a sfondo satirico, riguardanti argomenti come la politica, la cultura e l’etica. Le sue opere, oltre a rappresentare un modello e un’ispirazione per molti, hanno lo scopo di sollevare riflessioni su temi di attualità e questioni politiche. Considerato uno dei massimi esponenti della street art, la sua vera identità resta un mistero.

    Gli esordi in Inghilterra

    Il writer esordisce intorno agli anni Novanta a Bristol, in Inghilterra, all’epoca un punto nevralgico della cultura giovanile britannica che iniziava a subire le influenze del movimento hip-hop in arrivo dagli Stati Uniti. Comincia realizzando “tag” (il proprio nome d’arte) con bombolette spray a mano libera. Una tecnica che presto abbandona per passare all’utilizzo dello stencil. Lui stesso dirà che eseguire pezzi complessi a mano libera era diventato troppo difficile, a causa del rapido intervento della polizia. In quel periodo, Banksy conosce 3D, un artista di graffiti che in seguito fonderà il gruppo musicale inglese Massive Attack. Nello stesso periodo, Banksy inizia anche la sua opera di attivista, partecipando alle proteste contro la promulgazione del “Criminal Justice Act”.

    Oltre ai graffiti, le incursioni

    Da Bristol si trasferisce a Londra e, nel corso degli anni, Banksy diventa famoso per la sua visione arrabbiata ma allo stesso tempo comica della realtà. Ricorre spesso agli animali per realizzare parodie delle contraddizioni moderne e, oltre ai graffiti sui muri, si specializza in azioni rapide e sempre sotto copertura. Tra le altre, nel 2005 entra senza essere scoperto nei quattro musei più famosi di New York e appende alle pareti quadri raffiguranti una donna che indossa una maschera antigas. Oppure, nel 2006, si infiltra nel parco divertimenti di Disneyland dove piazza una bambola gonfiabile travestita da prigioniero di Guantanamo. Tutte queste trovate attirano l’attenzione dei media e del pubblico che inizia a interrogarsi sul significato delle sue opere.

    La celebrità

    Il 2006 è anche l’anno della prima mostra dell’artista. A Los Angeles, tre dei suoi pezzi vengono venduti ad Angelina Jolie e, da quel momento, fanno di lui probabilmente lo street artist più famoso del pianeta. Nel 2007, la famosa casa d’aste Sothesby’s mette in vendita per la prima volta un suo graffito. Senza mai scomparire dalla scena mondiale – negli anni i suoi pezzi compariranno in Europa, negli Stati Uniti e anche in Palestina – nel 2010 Banksy fa di nuovo parlare di sé per il documentario Exit Through the Gift Shop, in cui vengono intervistati diversi artisti e lo stesso Banksy è ripreso al lavoro. Nel 2015, il writer torna con una installazione artistica temporanea denominata Dismaland: si tratta di un parco divertimenti “anti-Disneyland, non adatto ai bambini”, come viene definito da Banksy stesso. Fino all’ultima trovata dell’artista: il 6 ottobre 2018 una sua opera, appena battuta all’asta per 1 milione di sterline, si autodistrugge grazie a un meccanismo inserito nella cornice dallo stesso Banksy.

    Le teorie sulla sua identità

    Nel frattempo, la vera identità di Banksy resta oscura e non mancano i tentativi di scoprire chi si celi dietro lo pseudonimo. Dalle teorie per cui si tratta di Robert Del Naja, frontman dei Massive Attack, a quelle secondo cui Banksy sarebbe in realtà un gruppo di persone oppure una donna. Dall’ipotesi secondo cui dietro al soprannome si celi Thierry Guetta, artista francese noto come Mr. Brainwash che compare nel documentario del 2010, a quella che, attraverso tecnologia e ricerche scientifiche, avrebbe scoperto che sia un certo Robin Gunningham il vero Banksy.

     

  • In un’epoca di chef stellati e di classifiche gastronomiche, Il Ristorante “Sottosopra” si distingue per la sua scelta di abbinare l’arte alla gastronomia.

    Situato a Chieri, in Via S. Giorgio, in un’atmosfera intima e accogliente,  potete vedere appesi alle pareti del locale, insieme ad altre di altri artisti,  4  opere fotografiche in bianco e nero dell’artista Stefania Romano.

    Milanese, diplomata al liceo artistico U. Boccioni, laureata all’Università Cattolica di Milano e consegue un Master presso l’Institut Catholique di Parigi.

    La critica premia il suo lavoro sin dal 2005. Attualmente vive e lavora a Parigi dove si occupa della stesura di progetti d’arte e collabora con alcuni musei e prosegue le sue ricerche nell’ambito della fotografia analogica in bianco e nero.

    Le foto di Stefania Romano sembrano arrivare da un’altra cultura, da un’altra atmosfera, osservarle fa tornare indietro fino agli anni ’20.

    Le opere sono state gentilmente messe a disposizione dalla Galleria Fine-Art Images Gallery di Chieri che si occupa esclusivamente di fotografia, attraverso la mostra e la vendita di opere dei maestri del XX secolo con una vasta gamma di fotografi contemporanei.

    L’invito è di concedervi una cena da Sottosopra, scegliere un menu della tradizione, Chieri è territorio ricco di eccellenze enogastronomiche e cogliere l’occasione di vedere alcune delle opere di questa giovane e promettente artista in esposizione fino al 9 dicembre.

     

     

  •  

    Per cellulari e tablet, è da oggi disponibile in sette lingue nei principali store digitali

    Una giovane storica dell’arte, Caterina, appassionata della storia dei Medici. Un inspiegabile omicidio consumato tra le ombre di Palazzo Pitti a Firenze. Una intricata serie di misteri esoterici, legati alla reggia e custoditi gelosamente da una setta segreta, che la studiosa, rimasta nottetempo intrappolata nell’immensa reggia, dovrà risolvere, forte solo delle sue conoscenze e di una macchina fotografica, prima che una oscura maledizione plurisecolaremetta a rischio la sua stessa sopravvivenza… e quella dell’intera Firenze.

    Sono questi gli ingredienti di “The Medici Game. Murder at Pitti Palace”, il primo videogame in 3D dedicato ad un museo italiano (oltre che il primo videogioco incentrato sulla celebre dinastia granducale e sulla loro fastosa residenza): realizzato per le Gallerie degli Uffizi da Sillabe in coproduzione con Opera Laboratori Fiorentini-Civita dall’associazione TuoMuseo, viene lanciato oggi nei principali store digitali (al prezzo di 2,29 euro, scaricabile anche dalla pagina ufficiale www.themedicigame.com), per Ios e Android, in 7 lingue, italiano, inglese, spagnolo, russo, portoghese, cinese e giapponese.

    Strutturato come un’avventura investigativa, vede il giocatore muoversi tra le sale riccamente arredate di Palazzo Pitti nei panni della 27enne ricercatrice (Caterina sta infatti preparando uno studio sulla figura di Cosimo I de’ Medici), affrontando pericolosi avversari e risolvendo gli innumerevoli enigmi celati nei capolavori dei suoi musei, mentre i più terribili segreti più nascosti della leggendaria famiglia si svelano via via davanti ai suoi occhi. La trama, ricca di colpi di scena ed elementi fantasy, è costellata di spunti storico-artisticisui protagonisti delle vicende dei Medici, accuratamente ricostruiti grazie ad approfondite ricerche. I luoghi più suggestivi della reggia sono stati realizzati fedelmente sulla base di una minuziosa campagna fotografica, tesa a restituire ai giocatori in ogni dettaglio l’aura affascinante dell’edificio granducale. Tra questi, oltre alla celebre Sala Bianca, gli appartamenti reali, la Sala del Trono, il Gabinetto Ovale, ed alcuni tra gli spazi più suggestivi della principale pinacoteca di Palazzo Pitti, la Galleria Palatina, come la Sala di Venere, la Sala di Giove, quella di Prometeo, sala di Saturno e dell’Iliade. Non solo: una parte del gioco si svolge anche all’esterno della reggia, in uno degli angoli più suggestivi del giardino di Boboli, la Grotta del Buontalenti.

    L’avventura inizia con Caterina che, grazie all’aiuto di un amico, il custode notturno Pietro, si intrufola in Palazzo Pitti, a caccia di un misterioso tesoro. Appena entrata, in Sala Bianca si imbatte in un uomo morente, colpito da un dardo avvelenato: accasciato a terra, le affida prima di spirare un taccuino con strani simboli, pregandola di fuggire dalla reggia e distruggerlo il prima possibile. Troppo tardi: Caterina si rende conto di essere intrappolata nel maestoso edificio avvolto dall’oscurità, e riuscire ad uscirne, da viva, si rivelerà una missione tutt’altro che facile.

    Nel corso delle sue peripezie notturne, nello stile del Codice da Vinci, Caterina dovrà non solo sciogliere rompicapo e puzzle legati alla storia dei Medici e dei capolavori artistici delle loro collezioni, ma anche vedersela con svariati personaggi: sul suo cammino incontrerà i malvagi appartenenti alla setta che osteggia le sue ricerche così come inattesi alleati, e persino ‘spiriti guida’. Non mancano sorprese e plot twist nell’evoluzione della trama che accompagna il personaggio: e ad arricchirla con un’atmosfera dalle tinte dark c’è anche l’uso sapiente della luce (ma soprattutto delle ombre) negli spazi del Palazzo, appositamente studiato per incrementare la tensione narrativa.

    Come ogni storia che si rispetti, The Medici Game è diviso in capitoli: a partire da oggi, scaricando l’app, saranno subito giocabili le prime tre parti dell’avventura di Caterina. A partire dalle prossime settimane, a coloro che avranno acquistato il gioco verranno gratuitamente messi a disposizione i successivi.

    Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi: “The Medici Game offre scorci inediti del nostro patrimonio artistico e architettonico: la speranza è che i giovani possano trarne spunto e curiosità per venire ad ammirare gli spazi originali di Palazzo Pitti, dove l’avventura virtuale si svolge”.

    Giuseppe Costa, presidente di Opera Laboratori Fiorentini: “Il filosofo Aristotele mette in relazione il gioco con la felicità. Abbiamo scommesso sul lancio del videogioco The Medici Game perché crediamo nella forza rivoluzionaria del gioco e nel suo potere educativo. Spesso si sente dire che i videogiochi possono nuocere a bambini e adulti. Li si considerano passatempi passivi e poco costruttivi, che favoriscono l’isolamento sociale. In questo caso, invece, risolvere gli enigmi ai quali è sottoposta Caterina stimola l’attenzione e la fantasia oltre ad avvicinare i giovani all’arte e alla storia ben rappresentate con Palazzo Pitti e la famiglia dei Medici”. 

    Maddalena Paola Winspeare, direttore editoriale di Sillabe: “Un prodotto editoriale al passo con i tempi. Sillabe ha trasformato il grande bagaglio culturale della casa editrice sulla famiglia Medici e su Firenze in un’avventura digitale assolutamente moderna: un avvincente videogame. Tra gli obiettivi del progetto c’è anche quello di avvicinare il pubblico giovane – non sempre abituato a frequentare i musei – ai luoghi più suggestivi e ricchi d’arte del nostro patrimonio. L’edizione in 7 lingue (inglese, italiano, spagnolo, portoghese, russo, cinese e giapponese) favorirà la diffusione del game, destinato a raggiungere così il più ampio numero di giocatori possibile.Uno stimolo alla curiosità e alla conoscenza a 360 gradi”.

    Fabio Viola, fondatore di TuoMuseo: “The Medici Game è un tassello fondamentale per il collettivo di TuoMuseo che continua a trasferire immaginari culturali ad un pubblico internazionale. Con oltre 20 ambientazioni fotorealistiche di Palazzo Pitti ricostruite in 3D, migliaia di righe di dialoghi ed una accurata ricerca storica questa opera interattiva diventa strumento per sviluppare ed informare nuovi pubblici ed al contempo espressione artistica e culturale della contemporaneità”. 

     

     

     

     

  • Partita da Torino ieri 31 ottobre A COLLECTION, la prima tappa di un grande progetto che intreccia la ricerca contemporanea di giovani ma affermati artisti del panorama italiano alla visione creativa delle nuove tecniche di tessitura.

    Il progetto prende forma in 10+1 affascinanti grandi arazzi contemporanei realizzati con straordinari filati ottenuti dalla lavorazione della plastica riciclata. Un’operazione per affermare come sia possibile, con la ricerca tecnologica e la creatività, unire l’attenzione per l’ambiente alla produzione di opere d’arte realizzando, da un prodotto considerato “rifiuto”, un oggetto contemporaneo di alto livello, di lusso in quanto opera d’arte.

    A COLLECTION è fortemente innovativo sia nella forma artistica sia nella sua realizzazione pratica.

    Il progetto, curato da Chiara Casarin con gli arazzi realizzati dal Maestro tessitore Giovanni Bonotto, vede la partecipazione di dieci artisti invitati: Giuseppe Abate, Thomas Braida, Nebojša Despotović, Manuel Felisi, Alberto La Tassa, Elena Mazzi, Ruben Montini, Giovanni Ozzola, Fabio Roncato, Giuseppe Stampone.

    La prima tappa di A COLLECTION, ideata da Giovanni Bonotto e Chiara Casarin nel 2018 e che a Torino vede la sua prima espressione pubblica, è realizzata in collaborazione con Opera Barolo, che ospita l’esposizione nel prestigioso Palazzo barocco sede dell’Ente collocato nel cuore storico di Torino.

    Da qui partirà e verrà presentato nelle più importanti e prestigiose sedi del contemporaneo internazionale in un percorso che si svilupperà nei prossimi anni.

    Il progetto è la materializzazione di un semplice assunto: i filati ottenuti dal riciclo della plastica, grazie alle loro infinite cromie e matericità, possono comporre arazzi dettagliati e raffinatissimi. La plastica, proveniente per lo più dalle bottigliette che inquinano i mari, viene lavorata mediante un processo meccanico di fusione e filatura. La trasformazione della cosiddetta materia prima-seconda è condotta in maniera ecologia, sostenibile e produttiva e procede fino allo stadio finale in cui delicati sistemi di manipolazione consentono di ottenere filati che simulano alla perfezione quelli di origine naturale, anzi, le loro caratteristiche ne sono ulteriormente valorizzate.

    Lo spessore, la texture, il volume possono risultare differenti a seconda della lavorazione e diventano elementi perfetti per ogni tipo di utilizzo anche, soprattutto, quello creativo. Questo processo, che ha richiesto anni di studio, è ora messo al servizio della produzione artistica contemporanea e si configura come un nuovo linguaggio per la realizzazione di opere d’arte inedite.

    L’esposizione di A COLLECTION a Torino durerà fino al 15 dicembre; al suo fianco un intenso public program realizzato grazie al coinvolgimento delle istituzioni culturali del territorio metterà a fuoco i temi che ruotano intorno alla mostra: arte, sostenibilità, economia circolare e innovazione.

HTML Snippets Powered By : XYZScripts.com