Categoria: Arte e Dintorni

  • Sei Sculture dell’artista alto-atesino ridanno vita ad un’antica necropoli.

    Venuta alla luce durante i lavori per la ricostruzione della Nuvola, sede della storica Azienda torinese, accoglie l’arte contemporanea di Art Site Fest.

    L’Area Archeologica della Nuvola Lavazza di Torino apre per la prima volta all’arte contemporanea nell’ambito della quinta edizione di Art Site Fest, un percorso nei linguaggi della contemporaneità in luoghi insoliti, curato da Domenico Maria Papa.

    La mostra.

    L’area archeologica  ospita un progetto dello scultore alto-atesino Aron Demetz. Le opere selezionati per questa mostra, sono una rielaborazione della tradizionale lavorazione del legno tipica della Val Gardena, terra dell’artista. “Ho scelto dal suo studio di Ortisei le opere più rappresentative della sua ricerca”, ha spiegato il curatore Papa, “e nello stesso tempo, quelle in grado di instaurare un dialogo con il particolare spazio circostante”.  Luogo suggestivo e che non ti aspetteresti.

    Francesca Lavazza e il luogo.

    Quando abbiamo iniziato i lavori di ripristino dell’area non ci aspettavamo di trovare questo tesoro”, ha commentato Francesca Lavazza, membro del board del Gruppo. “Avere i nostri uffici che poggiano le fondamenta su questa basilica è molto importante per noi, come anche il fatto che ora si riempia di opere di arte contemporanea composte da materiali naturali e incentrate sull’uomo: due elementi che rientrano negli obiettivi del progetto Nuvola”.

    Sono stati individuati i resti di un’antica Basilica Paleocristiana collocabile tra la seconda metà del IV secolo e il V secolo d.C., sviluppatasi sopra le strutture di una precedente necropoli. La chiesa, a navata unica, ed è caratterizzata da una serie di tombe sia all’interno che all’esterno del suo perimetro.


    Aron Demetz

    … “Anche se il mio è un ritorno alla scultura classica, non è tanto importante la figura, quanto la ricerca sulla trasformazione dei materiali e il legno carbonizzato mi permette di trasmettere questa idea di metamorfosi”.

    Si è guadagnato notorietà internazionale grazie a un personale linguaggio scultoreo che coniuga la figurazione con una sensibilità assolutamente contemporanea.

    Il legno soprattutto, ma anche il bronzo e più di recente l’alluminio e l’argento, sono i materiali che restituiscono forma a corpi, colti spesso in una condizione di sospensione. Nel lavoro di Demetz è presenta una profonda riflessione sul rapporto dell’uomo con la natura, dalla quale origina la consapevolezza di una mancata unione.

    In alcuni casi Demetz ricopre la superficie delle strutture con resina naturale che l’artista stesso raccoglie dagli alberi delle foreste della Val Gardena.

    La resina, materiale in costante mutamento ha caratteristiche fortemente evocative e contribuisce di esprimere una nozione arcaica e metafisica. Utilizzate malte per conservare tessuti nei metodi di mummificazione, rinvia anche un’idea di durata di ricomprendere composizione.

    Utilizzata nei secoli anche come luogo di culto. Demenza colloca alcune delle sue opere in interno dell’area archeologica, tra le tombe, disegnando un percorso che assume una valenza quasi religiosa.

    Nato nel 1972 Vipiteno Bolzano da una famiglia ladina di scultori che, già da secoli, lavoravano come intagliatori in Val Gardena. Tra il 1997 1998 studiò cultura nella classe di Christian  Hofner presso l’Accademia delle belle arti di Norimberga. Ha esposto in musei e gallerie di tutto il mondo. Del 2018 è l’importante personale presso il Museo Nazionale Archeologico di Napoli.

    Dl 2010 è titolare della cattedra di Belle Arti di Carrara. Vive e lavora  a Selva di Val Gardena.

    L’ingresso alla mostra, è limitato a 15 persone per volta tramite visite guidate, esclusivamente su prenotazione.

    L’Area Archeologica sarà chiusa dal 4 novembre al 7 dicembre compresi.

    Per maggiori informazioni clicca QUI

     

  • Venti opere fotografiche collocate lungo il percorso di visita del Museo della Arti Orientali di Torino, sono il progetto che la fotografa inglese di origini turche, Güler Ates, ha realizzato per il MAO, all’interno di una proposta didattica formulata dalle Aziende e dagli Enti Soci della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino per gli allievi dell’Accademia Albertina, con la Royal Academy of Schools di Londra, dove l’artista è Tutor.

    La mostra è parte di Art Site Fest 2019, curata da Domenico Maria Papa, giunge quest’anno alla quinta edizione e propone un percorso attraverso i linguaggi della contemporaneità – scultura, pittura, teatro, musica, letteratura – in dialogo con alcune delle più belle residenze del Piemonte.

    Le opere fotografiche di Güler Ates riprendono autentiche perfomance tra danza e teatro, contestualizzate per gli ambienti in cui hanno luogo.

    Le modelle, delle quali si intuisce appena la fisionomia, sono abbigliate con stoffe colorate, spesso preziose, rappresentano presenze metafisiche che si muovono all’interno degli ambienti storici, restituendone lo spirito.

    I progetti realizzati da Güler Ates sono ambientati in dimore e musei situati in diversi Paesi europei, Medio Oriente, India e Sud America.

    Nel corso della sua residenza torinese, Güler Ates ha prodotto alcune immagini tratte da shooting fotografici all’interno delle sale del MAO, dove ha allestito un vero e proprio set, per proporre e raccontare con il suo linguaggio una personale visione del Museo.

    Durante il suo lavoro l’artista è stata seguita da 25 selezionati studenti dell’Accademia Albertina, che hanno potuto partecipare alle diverse fasi del lavoro dell’artista e seguire un workshop sulla creatività e i contenuti del progetto che ha portato a SHORELESS.

    Le foto scattate al MAO, insieme ad altre immagini riprese in diversi Paesi e in particolare in India, costituiscono il nucleo della mostra SHORELESS, un dialogo aperto a livelli di interpretazione a confronto con le preziose collezioni del museo, un invito a riflettere sulla migrazione che da sempre caratterizza la storia dei popoli e l’incontro/scontro tra le culture. La mostra è, dunque, la condizione di un approdo sempre rimandato e mai definitivo, della costante messa in discussione delle identità culturali.

    Nella sua ricerca Ates è soprattutto interessata al dialogo tra Oriente e Occidente.

    Nell’approfondire i molti rapporti, intessuti nel corso dei secoli, rimango affascinatadice l’artistada come la cultura occidentale sia debitrice di forme e immagini verso l’Oriente, prossimo o lontano. E da come l’Oriente guardi da sempre all’arte europea come ad una fonte di ispirazione. La nostra epoca spesso dimentica questa millenaria storia di scambi, finendo paradossalmente per allungare le distanze, proprio in un momento storico che ci permette di accorciarle.”

    Secondo il curatore della mostra e direttore artistico di Art Site Fest, Domenico Maria Papa, “le opere di Güler Ates sono site responsive. Quando non sono create per gli spazi in cui sono esposte, sono sensibili ad essi. Si caricano delle qualità e dei significati dei luoghi. A differenza di una parte importante della produzione contemporanea, che spesso si astrae da un contesto per essere osservata nello spazio neutro di una galleria, la ricerca di Ates è da sempre indirizzata a cultura e storia degli ambienti ai quali si rivolge. Ogni sua opera mira, attraverso lo spiazzamento provocato dalle sue misteriose figure, a sollecitare lo spettatore, inducendolo a riconsiderare le sue abitudini percettive.”

    Il MAO – dice il direttore Marco Guglielminotti Trivelnasce come museo di arte orientale antica, ma si è aperto fin dal 2010 all’esplorazione della contemporaneità – ospitando in diverse occasioni sia le opere di artisti asiatici sia i lavori di artisti europei che si ispirano alle culture dell’Asia da varie prospettive. Il lavoro di Güler Ates coniuga queste due possibilità: artista di origine asiatica ma naturalizzata europea, guarda a un museo europeo di oggetti asiatici con uno sguardo da cittadina del Mondo. E in questo sguardo, attraverso il velo delle sue misteriose figure, si disvela la Musa ispiratrice della natura stessa di un museo come il MAO, che è stato creato e continua a vivere proprio per il superamento di dicotomie e di confini. Shoreless, per l’appunto”.

    Il Progetto Didattico promosso e sostenuto dalla Consulta di Torino è nato con l’intento di offrire una straordinaria opportunità agli allievi dell’Accademia Albertina: poter seguire un’artista nelle diverse fasi di realizzazione di un progetto espositivo, analizzarne i contenuti e osservarne la messa in opera.

    Afferma la Presidente Adriana Acutis: “Le imprese della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino sono desiderose di offrire a studenti esperienze di alto livello, contestualizzate nel patrimonio sul quale si fonda l’identità della Città Metropolitana di Torino. Tale impegno vede nell’identità ereditata un punto di partenza per comunicazione, apertura e creatività e nella contestualizzazione un punto d’unione fra formazione artistica e realizzazione creativa e imprenditoriale.

     

    MAO Museo d’Arte Orientale Via San Domenico 11, Torino

    ORARIO da martedì a venerdì 10-18; sabato e domenica 11-19

    Photo di copertina: Guler Ates © Whirled.100×51.5cm.

  • Vi siete persi la puntata di Linea Verde Life registrata a Torino?

    La Prima puntata è stata dedicata a Roma la seconda a Torino come città fondamentale per arte, cultura, innovazione tecnologica a partire dallo spazio e ambiente.

    Biblioteca Reale, Alenia Spazio, Centro Restauro La Venaria Reale, e tanto tantissimo altro!

    Buona Visione!

  • Amuleti, gemme ed elementi decorativi in faïence, bronzo, osso e ambra riemergono dallo scavo della Regio V. Erano monili e piccoli oggetti legati al mondo femminile, utilizzati per ornamento personale o per proteggersi dalla cattiva sorte, ritrovati in uno degli ambienti della casa del Giardino.
    Custoditi in una cassa in legno, e da poco restaurati e riportati al loro splendore dalle restauratrici del Laboratorio di Restauro del Parco Archeologico di Pompei, si trattava di una parte dei preziosi di famiglia, che forse gli abitanti della casa non riuscirono a portare via prima di tentare la fuga.
    La traccia della cassa in legno che conteneva i reperti, le cui cerniere bronzee si sono ben conservate all’interno del materiale vulcanico, a differenza della parte lignea decompostasi, è stata individuata accanto all’impronta di un’altra cassa o mobile nell’angolo di uno degli ambienti di servizio, probabilmente usato come deposito.
    Sul fondo dell’impronta sono stati rinvenuti i numerosi oggetti preziosi, tra cui due specchi, diversi vaghi di collana, elementi decorativi in faïence, bronzo, osso e ambra, un unguentario vitreo, amuleti fallici, due frammenti di una spiga di circa 8 cm e una figura umana, entrambi in ambra, probabilmente dal valore apotropaico, e varie gemme (tra le quali una ametista con figura femminile e una corniola con figura di artigiano). Diversi pezzi si contraddistinguono per la qualità pregiata dei materiali, oltre che per la fattura. Tra le paste vitree, straordinarie sono quelle con incise, su una la testa di Dioniso, sull’altra un satiro danzante.
    Alcuni oggetti preziosi sono stati rinvenuti anche in una altra stanza della casa, presso l’atrio, dove sono stati documentati i resti scheletrici di donne e bambini, sconvolti da scavi clandestini di età moderna (XVII – XVIII secolo), probabilmente finalizzati proprio al recupero dei preziosi che le vittime portavano con sé. Solo un anello in ferro, ancora al dito della vittima, e un amuleto di faïence sono casualmente sfuggiti a questo saccheggio.
    Considerate le straordinarie condizioni di conservazione e la particolare qualità dei manufatti è stato possibile donar loro una nuova vita mediante un intervento di semplice pulitura e consolidamento con materiali reversibili.
    Presto i monili saranno esposti, con altri gioielli pompeiani, presso la Palestra Grande, in un’esposizione che si propone come seguito di “Vanity”, la mostra da poco conclusasi, e dedicata finora al confronto di stile e manifattura di gioielli dalle Cicladi e da Pompei, oltre che da altri siti campani.
    “Si tratta di oggetti della vita quotidiana del mondo femminile e sono straordinari perché raccontano microstorie, biografie degli abitanti della città che tentarono di sfuggire all’eruzione. – dichiara il Direttore Generale Massimo Osanna – Nella stessa casa, abbiamo scoperto una stanza con dieci vittime, tra cui donne e bambini, di cui stiamo cercando di stabilire le relazioni di parentela e ricomporre la biografia del gruppo familiare, attraverso le analisi sul DNA. E chissà che la cassetta di preziosi non appartenesse a una di queste vittime. Particolarmente interessante è l’iconografia ricorrente degli oggetti e amuleti, che invocano la fortuna, la fertilità e la protezione contro la mala sorte. E dunque i numerosi pendenti a forma di piccoli falli, o la spiga, il pugno chiuso, il teschio, la figura di Arpocrate, gli scarabei. Simboli e iconografie che sono ora in corso di studio per comprenderne significato e funzione.Se ti va puoi leggere

  • B L U , B A N S K Y, E R I C A I L C A N E , P H A S E 2 ,

    D E LTA 2 , K A Y O N E, 

    N E V E R C R E W, B E N E I N E, E R O N ,

    A I T O K I T A Z A K I, R U S T Y, Z E D Z

    E D A LT R I A N C O R A

    C’è un teatro a Torino che da qualche anno ha trasformato in palcoscenico anche i suoi muri esterni.

    Sotto le luci dei riflettori non solo le assi della grande sala del Teatro Colosseo – il più grande teatro privato del Piemonte con i suoi 1520 posti – ma anche le pareti del caratteristico edificio dai balconi rotondi nelquartiere di San Salvario. Grazie alla passione della famiglia Spoto, proprietaria del teatro, e alla
    collaborazione con il collettivo di collezionisti Xora, i muri esterni fra Via Madama Cristina e Via Bidone si sono via via popolati di grandi opere di Street Art, dalla mappa trasfigurata del quartiere realizzata da ZEDZ, ai due orsi – uno polare e uno bruno – di Nevercrew e Bordalo II, il portale tridimensionale di Peeta, fino agli ultimi arrivati di Nemo’s e Aito Kitazaki..

    Dalla collaborazione fra il collettivo di collezionisti Xora, Teatro Colosseo e Associazione Culturale Dreams nasce STREET ART IN BLU, una imperdibile mostra dedicata alla Street Art che dal 23 agosto al 29 settembre invaderà gli spazi del noto teatro torinese – dal foyer, agli spazi interni fino alla sala vera e
    propria – trasformandoli in luogo trasversale di cultura.

    Protagonisti indiscussi dell’allestimento – a cura di Lacryma Lisnic – saranno due nomi di fama mondiale come Blu e Banksy. Il primo, italiano e quasi certamente di Senigallia, il secondo di Bristol in Inghilterra, sono accomunati dal mistero che avvolge la loro identità, tenacemente celata al pubblico, e dall’incisività dei loro messaggi che toccano sovente tematiche politiche e sociali. Sono oggi fra gli artisti più quotati e riconosciuti nel mondo.

    Blu artista straordinariamente politico e alternativo al sistema – si dice viva in un camper ai margini di Roma – mette al centro delle sue opere la lotta e la critica sociale, la tutela dell’ambiente. Allergico alla commercializzazione delle sue opere e alla loro esposizione – l’ultima personale autorizzata risale al 2007 e la sua ultima opera multipla al 2012 – conserva intatto il primato della strada nella sua espressione
    artistica.

    Fra le molte sue opere esposte in mostra spiccano una delle serrande dipinte a Bologna negli anni 2000, l’“Uomo Carrarmato”, lo schizzo a biro “page 5” già esposto nella personale “The Street of Europe” del 2007, la stampa “Headquarters” con l’opera realizzata per la celebre mostra “Street Art” alla Tate di Londra e un frammento de “Lo Sniffatore” realizzata in occasione di “Street Art Sweet Art” a Milano nel 2007. Banksy, invece, pur restando nel pieno anonimato, è chiacchieratissimo su media, una vera star globale che provoca con l’ironia, vende i suoi lavori in aste milionarie, inventa costantemente situazioni limite che diventano occasioni per un penetrante marketing virale, capace di far riflettere sorridendo.

    La mostra al Teatro Colosseo darà la possibilità al pubblico di vedere finalmente da vicino molte opere originali di questo artista, dalla iconica e poetica “The Girl with the Balloon” sino alle stampe di chiaro stampo antimilitarista “Applause” e “Bomb middle England”, solo per citarne alcune.
    Non saranno tuttavia solo Banksy e Blu i protagonisti: la mostra sarà anche l’occasione per vedere le opere di altri straordinari talenti della Street Art. Ericailcane, Phase2, Delta2, KayOne, Nevercrew, Aito Kitazaki, Beneine, Eron, Rusty, Zedz sono alcuni
    degli artisti presenti.

    Nomi cha hanno contribuito a rendere le città di tutto il mondo straordinari musei all’aperto e veicolando attraverso le lor opere messaggi di resistenza culturale, ecologia e profondissima umanità. Fra queste, indimenticabile quella che oggi è definita “il primo esempio di writing americano in Italia”, ovvero un’opera realizzata da Phase 2 nella piazzetta di Quattordio nella storica mostra del 1984.

    Originali, stacchi, serigrafie e vinili per un percorso di oltre 100 opere nel mondo affascinante, misterioso e spesso sfuggente della più quotidiana ed eccezionale delle forme d’arte contemporanea.
    Per inaugurare STREET ART IN BLU un opening informale, in pieno Street Art style: giovedì 22 agosto sarà possibile visitare la mostra gratuitamente. Un regalo alla Città di Torino per un appuntamento da non perdere.

    PREVENDITA BIGLIETTI MOSTRA
    Intero: 10 euro
    Ridotto generico Arco Card Teatro Colosseo, tesserati partner): 8 euro
    Ridotto gruppi e scuole per minimo 10 persone e scuole con minimo 15 alunni, ragazzi dai 4 ai 24 anni: 6 euro
    I bambini al di sotto dei 4 anni non pagano. I disabili entrano con biglietto ridotto e accompagnatore gratuito.

    ORARI DELLA MOSTRA
    Dal lunedì al giovedì dalle 15 alle 20
    Venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19
    Sabato e domenica dalle 10 alle 19

    MAGGIORI INFORMAZIONI
    chiamando il numero 0116698034 durante gli orari di apertura della mostra.

  • Il MAO in missione coordinata con il CentroRicerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia. 

    A Kharkhorin i Servizi Educativi del MAO lavorano a stretto contatto con i colleghi del Museo di Kharakhorum per sperimentare attività didattiche da proporre alle scuole.

    Il Centro Scavi ha aperto in Mongolia nel 2018 un nuovo fronte di ricerca e formazione grazie alla firma del Memorandum of Understandingcon il Museo di Karakorum e l’Università Statale di Ulaanbaatar.

    Oggi il progetto del Centro Scavigode del supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

    La prima azione concordata con le autorità mongole mira ad avvicinare il pubblico più giovane alle collezioni del Museo di Kharakhorum attraverso la programmazione di una serie di laboratori didattici da proporre alle scuole del territorio.

    Una prima sessione teorico-pratica di formazione si è svolta nell’agosto 2018 presso i locali del Museo di Kharakhorum e ha visto impegnati nel ruolo di formatori un’archeologa del Centro Scavi e uno scultore/ceramista del Museo della Ceramica di Mondovì, nel ruolo di partecipanti i dipendenti del Museo, alcune insegnanti e assistenti sociali operanti nelle scuole di Kharkhorin e i rappresentanti locali dell’UNESCO.

    La seconda sessione del 2019 vede la partecipazione del MAO.

    Questo è il primo passo di una collaborazione più ampia tra tutte le istituzioni coinvolte, collaborazione che si svilupperà nei prossimi anni su un piano scientifico e istituzionale.

    Le attività del Centro Scavi in Mongolia si inquadrano nella cornice dell’Accordo di Collaborazione fra la Città di Torino e la Città di Kharkhorin.

    Nell’ambito dello stesso patto, al MAO si sono già svolte le mostre Un tesoro nella steppaIl monastero di Erdene Zuu in Mongolianel 2016 e La capitale delle steppe. Immagini dagli scavi di Kharakhorum in Mongolia nel 2018.

     

    MAO Museo d’Arte Orientale- Via San Domenico 11, Torino

    da martedì a venerdì 10-18; sabato e domenica 11-19. La biglietteria chiude un’ora prima. Chiuso il lunedì

    Per informazioni Telef. 011.4436932 mao@fondazionetorinomusei.it  www.maotorino.it

  • MAO MUSEO D’ARTE ORIENTALE – 14 giugno – 15 settembre 2019 

    L’opera contiene una fedele riproduzione della pergamena originale, realizzata dall’organizzazione veneziana Scrinium.

    La replica scientificamente conforme del testamento di Marco Polo sarà presentata a Torino il 14 giugno a Palazzo Madama ed esposta fino al 15 settembre al MAO Museo d’Arte Orientale.  Scritto su una pergamena di pecora nel 1324, il testamento racchiude l’anima del viaggiatore veneziano. La prima edizione diplomatica completa e corretta del testo ne rivela i segreti. 

    Aveva denaro e beni di ogni natura, comprese alcune merci esotiche, portate dai suoi viaggi nelle lontane terre d’Oriente. E in punto di morte, reso fragile dalla malattia, Marco Polo ha voluto continuare a stupire anche con le proprie disposizioni testamentarie. Donazioni alla chiesa per salvarsi l’anima, la liberazione dello schiavo, l’eredità per la moglie e alle figlie in un momento storico nel quale si lasciava tutto al ramo maschile. Un elenco fatto di proprietà ma anche di oggetti favolosi: bottoni di ambra, stoffe traforate in oro, drappi di seta, redini di foggia singolare, persino il pelo di yak e una “zoia” in oro con pietre e perle del valore di “14 lire di danari grossi”.

    Sono questi i segreti del Testamento di Marco Polo, documento che, forse meglio di ogni altro, racconta l’umanità di Marco Polo, epico viaggiatore veneziano che ora svela anche la sua parte più intima, quella che emerge dall’uomo che si appresta a morire. A pubblicare la preziosa reliquia storica, dopo un lunghissimo lavoro, è Scrinium, organizzazione veneziana che ha fatto della conservazione del patrimonio culturale mondiale una missione.

    La ricerca del documento è iniziata alla Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, dove si conserva fin dalla prima metà dell’Ottocento la pergamena su cui Marco Polo (1254–1324), dal suo letto di morte, dettò le sue volontà. Il testamento fu redatto dal prete-notaio Giovanni Giustinian il 9 gennaio 1323, secondo il calendario romano all’epoca ancora vigente nella Repubblica Serenissima che faceva coincidere l’inizio dell’anno con il primo di marzo, e quindi corrispondente al 1324. La pergamena è stata ritrovata all’interno del codice marciano Lat. V, 58-59, che raccoglie anche i testamenti del padre Niccolò e dello zio Matteo, compagni di Marco nel lungo viaggio alla corte di Kublai Khan del 1271.

    Un documento, questo, che il mondo accademico si è conteso per anni: studiarlo era un onore. Ma i rischi di danni per l’usura erano gravi. Così nel 2016, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, la Biblioteca Nazionale Marciana e Scrinium hanno avviato un progetto congiunto per realizzare un clone perfettamente corrispondente all’originale.

    “La prima fase è stata quelle delle indagini bio-chimico-fisiche sulla pergamena nel laboratorio di conservazione e restauro della biblioteca veneziana”, spiega Ferdinando Santoro, presidente di Scrinium. “Sono state realizzate le analisi delle caratteristiche chimico-fisiche da parte di un’équipe di specialisti in microbiologia, un approfondito studio paleografico e rilievi ad alto contenuto tecnologico. Contestualmente, il professor Attilio Bartoli Langeli, paleografo di fama internazionale, ha realizzato la prima edizione diplomatica corretta e completa del testo. Il testamento è stato quindi consegnato per il restauro all’Icrcpal, l’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario di Roma. Quindi è intervenuta Scrinium per le fasi di rilievo e le successive riprese ad altissima definizione sui documenti”.

    Alla fine, viene realizzata per la Biblioteca Nazionale Marciana la prima replica conforme del documento, di impressionante perfezione, che sarà presentata ufficialmente il 14 giugno a Palazzo Madama, a Torino.Lo stesso giorno sarà inaugurata l’esposizione temporanea,che proseguirà fino al 15 settembre al MAO Museo d’Arte Orientale, sempre a Torino. L’inedita edizione del testamento contiene un’accuratissima riproduzione del documento, certificato con firma autografa del direttore della Biblioteca Nazionale Marciana, insieme alle preziose edizioni diplomatica e interpretativa, curate dal professor Bartoli Langeli, e ad un volume di approfondimento storico-scientifico a cura di Tiziana Plebani con contributi di illustri storici e specialisti della materia.

     

  • La trama di “Berni e il Giovane Faraone”, il film prodotto da 3ZERO2 e The Walt Disney Company Italia, getta nel caos del mondo contemporaneo Il figlio del faraone Ramsete che si risveglia al Museo Egizio di Torino, luogo perfetto per raccontare  le storie di due adolescenti interpretati dai due attori Emily De Meyer e Jacopo Barzaghi.

    Berenice, interpretata dalla ragazza, è una giovane che vive sulla sua pelle il disagio adolescenziale di sentirsi sempre fuori posto e che, improvvisamente, si ritrova coinvolta in una misteriosa profezia egizia che ha come protagonista Ram, figlio della potente dinastia di faraoni Ramsete. “Berni e il Giovane Faraone” uscirà nelle sale il 20 luglio 2019, mentre a settembre verrà mandato in onda sui canali di Disney Channel.

    L’augurio è che il film avvicini sempre più le nuove generazioni alla cultura egizia, presente e perfettamente rappresentante al Museo Egizio di Torino, luogo scelto dalla produzione per le riprese.

    “Siamo entusiasti di poter dare vita a questa nuova produzione tutta italiana. A rendere tutto ancora più avvincente è la disponibilità di un set prestigioso come il Museo Egizio di Torino, il più antico al mondo nella sua categoria” spiega Daniel Frigo, Country Manager di The Walt Disney Company Italia

    “E’ stata un’ottima opportunità per tutti. Tutte le riprese si sono svolte in orario di chiusura, nel pieno rispetto delle collezioni” spiega la presidente Evelina Christillin, presidente del Museo Egizio di Torino:

    L’avventura fiabesca dei due ragazzi, un’adolescente curiosa e un figlio di Faraone, porterà Torino e il Museo Egizio sugli schermi di tutta Italia, con sincerità e passione, in una storia piena di elementi fantastici e di riferimenti alla millenaria storia dell’antico Egitto.

  • “Indagare l’uomo nella sua corporeità e nell’anima. Un uomo parte dell’Universo e nel contempo solo nella sua individualità: un caso irripetibile nella storia dell’umanità. Fautore di profonde innovazioni, magister della pittura, inventore di macchine e congegni di grande utilità, anticipatore in tanti campi della scienza e della tecnologia con intuizioni sorprendenti e avanzate proiettate nel futuro. Un sapere non sistematico dettato dalla curiosità, dalla continua osservazione della materia, dall’instancabile volontà di scoprire”.

    È il ritratto del genio toscano quale emerge dal documentario “Leonardo da Vinci” in programmazione su Sky Arte da domani giovedì 6 giugno 2019 (ore 20.45), realizzato da 3D Produzioni per Sky Arte e prodotto dall’Associazione MetaMorfosi.

    Il documentario, a cura di Daniela Annaro, racconta come in un viaggio le mostre “Leonardo da Vinci. Disegnare il futuro” e “Leonardo da Vinci. L’uomo modello del mondo” attualmente in esposizione ai Musei Reali di Torino e alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, coprodotte dall’Associazione MetaMorfosi e dai musei ospitanti, con il sostegno di FPT Industrial, Listone Giordano e Mediolanum, in occasione delle celebrazioni mondiali del cinquecentenario della morte dell’artista.

    Nei venticinque minuti di affascinanti visioni e straordinarie ricostruzioni dell’immaginario leonardesco, la voce narrante di Lella Costa fa rivivere per lo spettatore le due esposizioni di Torino e Venezia, accompagnata dalle voci di coloro che hanno contribuito alla loro realizzazione.

    Enrica Pagella,direttrice dei Musei Reali, Francesco Paolo Di Teodoro e Paola Salvi, studiosi e curatori della mostra torinese, e Giuseppina Mussari, direttrice della Biblioteca Reale di Torino, conducono il visitatore dietro le quinte dell’esposizione: l’atmosfera sospesa tra emozione e attesa per l’arrivo e il posizionamento della più famosa sanguigna su carta del mondo, l’Autoritratto di Leonardo, cuore della mostra “Disegnare il futuro”; lo straordinario Codice sul Volo degli uccelli, il piccolo quaderno di 38 pagine contenente 67 disegni datati tra il 1505 e il 1506 e gli appunti sull’osservazione degli uccelli uniti a studi sulla gravità e direttamente collegati ai tentativi di costruzione della macchina volante; l’incantevole Studio per l’Angelo della Vergine delle Rocce, conosciuto come Il Volto di Fanciullae considerato “il più bel disegno del mondo”.

    Valeria Poletto, direttrice del Gabinetto disegni e stampe delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e Annalisa Perissa Torrini, curatrici della mostra veneziana, raccontano invece nel documentario il celeberrimo Uomo Vitruvianosintesi insuperata degli studi di proporzione e di anatomia sulla figura umana condotti negli anni da Leonardo e fulcro dell’esposizione veneziana assieme ai segreti del Codice Huygense gli incredibili Studi per il Cenacolo.

    La Battaglia di Anghiari, infine, i cui disegni preparatori sono esposti in entrambe le mostre, raccontata da Pietro Folena, presidente dell’Associazione MetaMorfosi, e che rappresenta il trait d’uniontra le due esposizioni aperte al pubblico fino al 14 luglio 2019, chiude la mezz’ora di immagini dedicate a Leonardo da Vinci e al suo inarrivabile genio.

    Photo © Daniele Bottallo

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    Dopo di lui la pittura non è più la stessa. Lo sguardo sull’arte del ritratto, sull’arte del nudo, sulla pittura storica: cambiano tutti i modi di rappresentare”. Introduce così la figura di Jean Auguste Dominique Ingres (1780 – 1867) la direttrice del museo a lui dedicato a Montauban, Florence Viguier-Dutheil.

    La mostra in corso a Milano, a Palazzo Reale, fino al 23 giugno, attraverso l’esposizione di oltre 150 opere tra cui oltre 60 dipinti, si pone come obiettivo la costruzione di un punto di vista diverso e più completo sul famoso artista francese. “Considerato come un inclassificabile, percepito come l’erede di Raffaello e allo stesso tempo come il precursore di Picasso, tra il maestro della bella forma e quello della non-forma, Ingres è innanzitutto un “rivoluzionario”.

    Realista e manierista al contempo, egli affascina tanto per le sue esagerazioni espressive quanto per il suo gusto del vero”, si legge nella presentazione.
    Il progetto pone inoltre una particolare attenzione alla città di Milano, che visse in quegli anni una stagione di grande prosperità e fu fortemente rimodellata nei suoi monumenti, nei suoi spazi verdi e nelle infrastrutture urbane, a partire dalla nuova Pinacoteca di Brera.

    Fonte: Artribune 

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