Categoria: Arte e Dintorni

  • Dal 13 settembre 2018 al 10 marzo 2019, le Sale delle Arti della Reggia di Venaria (Torino) ospitano la mostra Ercole e il suo mito.

    L’esposizione illustra la figura dell’eroe mitologico, attraverso un’articolata selezione di oltre 70 opere, tra ritrovamenti archeologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture e molto altro, dall’antichità classica al Novecento.
    La rassegna acquista un particolare significato alla luce dei lavori di restauro in corso della “Fontana d’Ercole”, fulcro del progetto secentesco dei Giardini della Reggia, un tempo dominata dalla Statua dell’Ercole Colosso del 1670.

    La rassegna, curata da un comitato scientifico presieduto da Friedrich-Wilhelm von Hase e composto da Gabriele Barucca, Angelo Bozzolini, Paolo Jorio, Darko Pandakovic, Laura Pasquini, Gerhard Schmidt, Rüdiger Splitter, Claudio Strinati, Paola Venturelli, è organizzata da Swiss Lab for Culture Projects e Consorzio Residenze Reali Sabaude, in collaborazione, fra gli altri, con l’Antikenmuseum und Sammlung Ludwig di Basilea (CH), il Museumslandschaft di Hessen-Kassel (D), il Museo Archeologico Nazionale e il Museo Filangieri di Napoli.
    L’esposizione illustra il mito dell’eroe e dei temi a esso legati, con un’ampia selezione di oltre 70 opere, tra ritrovamenti archeologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture, manifesti, filmati e molto altro, provenienti da istituzioni pubbliche e da collezioni private, capaci di coprire un arco cronologico che, dall’antichità classica giunge fino al XX secolo.

    La mostra presenta una serie di ceramiche attiche dell’Antikenmuseum di Basilea, tra cui la prestigiosa anfora con Eracle e Atena del Pittore di Berlino, risalente all’inizio del V secolo a.C., per la prima volta esposta in Italia, grandi quadri secenteschi raffiguranti le fatiche dell’eroe che ornavano importanti residenze nobiliari, cammei e gioielli che riproducono in minimis le storie dell’Ercole, fino a giungere a una grande sala cinematografica dove rivivranno le grandi produzioni cinematografiche di Cinecittà e di Hollywood.

    A marcare l’aspetto europeo e internazionale del tema è stata la Swiss Lab for Culture Management, guidata da Paolo e Lidia Carrion, che ha prodotto con entusiasmo e competenza la mostra e che, forte della sua collocazione a Basilea in Svizzera, si è fatta ponte tra Italia e Germania, ideando e coordinando il complesso comitato scientifico internazionale dall’archeologo Friedrich-Wilhelm von Hase.
    A supportare il progetto scientifico e l’organizzazione sono stati coinvolti il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Museo Civico Gaetano Filangieri principe di Satriano, Napoli, la Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola, Genova, l’Antikenmuseum Basel und Sammlung Ludwig e
    il Museumslandschaft Hessen Kassel.

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    Foto di copertina: Ercole e il Minotauro – Parigi, Giardino delle Tuileries

  • L’esposizione Henri Matisse.

    Sulla scena dell’arte presenta e sviluppa una tematica centrale all’interno della vasta vita artistica di Henri Matisse: il rapporto con il teatro e la produzione di opere legate alla drammaturgia.

    Una mostra inedita che porta al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, dal 7 luglio al 14 ottobre 2018, oltre 90 opere realizzate in un arco temporale di 35 anni, dal 1919 fino alla morte dell’artista, avvenuta nel 1954. Si tratta principalmente della cosiddetta période Niçoise: Matisse, infatti, nel 1917 scelse Nizza come luogo principale della sua creazione artistica. Il percorso espositivo, curato da Markus Müller, direttore del Kunstmuseum Pablo Picasso di Münster, è suddiviso in quattro grandi sezioni:

    Costumi di scena; Matisse e le sue modelle; Le odalische; Jazz.

    Una selezione di opere illustra il rapporto tra l’artista e le sue modelle, “attrici” della sua arte, mentre l’esposizione di oggetti, collezionati dall’artista dà conto dell’interesse di Matisse per il decorativismo di influenza orientaleggiante.

    Negli anni Quaranta, infine, Matisse sviluppa la tecnica dei “papiers découpés”, di cui le opere della serie “Jazz” sono la testimonianza più importante. I capolavori – tra tele, disegni e opere grafiche – provengono dal Kunstmuseum Pablo Picasso di Münster che possiede nella sua collezione permanente anche la più ampia raccolta di opere di Matisse in Germania.

    Oltre al museo di Münster, figurano tra i prestatori gli stessi eredi di Matisse, il Musée Matisse di Nizza, che ha concesso in prestito oggetti della collezione privata dell’artista, come fonti di ispirazione e testimonianza dei suoi viaggi, il Musée Matisse di Le Cateau-Cambrésis, città natale di Matisse, i Ballets di Monte-Carlo e la Collection Lambert di Avignone.

     

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    Comunicato Stampa

    Credit foto Copertina:

    Henri Matisse I Codomas, da Jazz Tériade Editore, Parigi 1947 – Stampa su stencil incollato su carta 425 x 328 mm –

    Kunstmuseum Pablo Picasso Münster © Succession H. Matisse / S.I.A.E 2018

     

     

  • Mi fa piacere oggi, raccontare una realtà nata e cresciuta a Chieri che ha come obbiettivo la promozione in tutte le sue varibili del territorio da Chieri e dintorni fino a Torino.

    Theatrum Sabaudia è un insieme di persone, interessi, passione per l’arte e per il nostro territorio, incontri e nuove esperienze.

    E’ diventato con il tempo anche un lavoro, ma il filo conduttore rimane il grande amore per quello che facciamo.

    Dal 1999 di strada ne è stata fatta tanta, molta la fatica e ancora di più le difficoltà, superate anche grazie al rapporto speciale di amicizia e rispetto che lega i 3 soci fondatori ed ogni nuovo socio aggiunto.

    Da allora Theatrum Sabaudiae ha subito diverse trasformazioni, è diventata una realtà lavorativa per molti professionisti e oggi è in grado di modulare i propri servizi sulla base delle esigenze del mercato, mantenendo sempre elevati standard qualitativi grazie all’apporto di qualificati collaboratori.

    Ma perché Theatrum Sabaudiae? Da dove nasce questo nome?  Il Theatrum statuum regiae celsitudinis Sabaudiae ducis, Pedemontii principis, Cypri regis., per comodità abbreviato in Theatrum Sabaudiae, è una pubblicazione in due volumi, edita nel 1682 dallo stabilimento Bleau di Amsterdam e raccoglie 145 tavole di altrettante città e luoghi del Ducato Sabaudo.

    I volumi furono donati a regnanti e personaggi di rilievo dell’epoca, in un contesto di affermazione di potenza da parte di Carlo Emanuele II e, alla sua morte, dalla consorte Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours.

    Oggi se ne conservano alcune copie del centinaio stampato in origine, quattro delle quali in Italia, di cui due di proprietà della Regione Piemonte. Alla fondazione della cooperativa fu chiaro sin da subito che un nome così “importante” sarebbe stato un forte richiamo alla nostra tradizione storico – culturale.

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  • Landscapes realizzata dal Forte di Bard in collaborazione con Magnum Photos International e Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi, presenta 105 immagini in bianco e nero, personalmente selezionate da Henri Cartier-Bresson, scattate tra gli anni Trenta e gli anni Novanta fra Europa, Asia e America.
    Ciascuna fotografia è rappresentazione di quell’istante decisivo’ che per l’artista è il “riconoscimento immediato, nella frazione di un secondo, del significato di un fatto e, contemporaneamente, della rigorosa organizzazione della forma che esprime quel fatto”.
    Sebbene in alcune foto compaiano anche delle persone, l’attenzione dell’autore è concentrata in modo particolare sull’ambiente, tanto che si può parlare di Paesaggio della Natura e Paesaggio dell’Uomo.
    Le immagini in bianco e nero di colui che è stato denominato l’occhio del secolo”, sono  raggruppate per tema: alberi, neve, nebbia, sabbia, tetti, risaie, treni, scale, ombra, pendenze e corsi d’acqua.

    A proporre una “promenade” tra paesaggi urbani e paesaggi rurali. Sono immagini che riflettono il rigore e il talento di Henri Cartier-Bresson che in esse ha saputo cogliere momenti e aspetti emblematici della natura, spesso immortalando la perfetta armonia tra le linee e le geometrie delle immagini. Armonia perfetta e serena, ad offrire una interpretazione naturale, calma e bella di un secolo, il ventesimo, per altri versi magmatico e drammaticamente complesso.
    Come ha affermato il poeta e saggista Gérard Macé nella prefazione al catalogo Paysage  (Delpire, 2001), “Cartier Bresson è riuscito a fare entrare nello spazio ristretto dell’immagine fotografica il mondo immenso del paesaggio, rispettando i tre principi fondamentali che compongono la sua personale geometria: la molteplicità dei piani, l’armonia delle proporzioni e la ricerca di equilibrio”.
    Nato nel 1908 a Chenteloup, Seine-et-Marne, Cartier-Bresson fu co-fondatore nel 1947 della celebre agenzia Magnum ed è una figura diventata mitica nella storia della fotografia del Novecento.
    Dopo gli studi di pittura, la frequentazione degli ambienti surrealisti e dopo l’esperienza in campo cinematografico al fianco di Jean Renoir, nel 1931, in seguito aun viaggio in Africa, decide di dedicarsi completamente alla fotografia.
    Da Città del Messico a New York, dall’India di Gandhi alla Cuba di Fidel Castro, dalla  Cina ormai comunista all’Unione Sovietica degli anni cinquanta: Henri Cartier-Bresson percorre la storia del secolo breve con la fedele Leica al collo, scegliendo con cura il punto di ripresa, cogliendo il ‘momento decisivo’ e dando vita a immagini ormai  entrate nell’immaginario comune e che gli sono valse l’appellativo di ‘occhio del secolo’.

    Curatore: Andréa Holzherr, Global Exhibition Director, Magnum Photos International
    Realizzata in collaborazione con: Magnum Photos International e Fondation Henri Cartier-Bresson, Parigi

    Partner istituzionali
    * Regione autonoma Valle d’Aosta
    * Compagnia San Paolo
    * Fondazione Crt
    * Finaosta spa

    MediaPartner
    * RMC Radio Montecarlo

     

    Photo di copertina/Credit:

    Place de l’Europe, Gare Saint Lasare, Paris, 1932

    Caption Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos

  • Un nome che ha fatto sognare generazioni di viaggiatori e stuzzicato la fantasia di romanzieri, da Agatha Christie con Assassinio sull’Orient Express a Ian Fleming con 007, dalla Russia con amore. Ma è anche un nome che evoca storie di vere spie, intrighi e mistero.

    La grande avventura iniziò il 4 ottobre 1883, quando, tra nuvole di vapore e fischio inaugurale, il treno lasciò solennemente la Gare de l’est di Parigi diretto a Istanbul.  Nella folla elegante che assisteva alla partenza non mancavano gli scettici, convinti che “andare da Parigi a Costantinopoli fosse insensato come pensare di andare sulla Luna”, scrisse nel suo articolo sul Figaro il giornalista Edmond About. Insieme ad altri scrittori e personalità, faceva parte dei 40 invitati saliti a bordo per il viaggio di inaugurazione. Tutti erano elettrizzati per questa nuova esperienza e la raccomandazione di portare con sé un revolver non faceva che aggiungere suspense. L’Express de l’Orient, ribattezzato Orient Express nel 1891, era un vero gioiello di tecnica e di eleganza. A cominciare dalle carrozze, tutte in teak verniciato e scintillante, riscaldate a vapore e illuminate a gas. Il wagon-lit era dotato di cuccette che di giorno si trasformavano in comodi divani: una novità per i tempi. E tutto era curato nei minimi particolari. Le lenzuola, lievemente profumate, venivano “cambiate tutti i giorni, una raffinatezza sconosciuta nelle case più ricche”, annotava About. Il convoglio comprendeva anche una sala biblioteca, dove si poteva fumare, un salottino per le signore e un office per chi voleva scrivere o lavorare in tranquillità. Nella carrozza-ristorante uno chef “stellato” cucinava cibi raffinati. Tutto veniva servito in piatti di porcellana con posate d’argento e accompagnato da vini eccellenti. Ma con gli scossoni del treno il vino non rischiava di traboccare dal bicchiere? Tranquilli, l’ingegnere ferroviario Delaitre aveva già verificato personalmente. Grazie alle nuove ed efficienti sospensioni neppure una goccia di liquido poteva cadere dal bicchiere pieno fino all’orlo. L’express de l’Orient percorse il tratto Parigi-istanbul in quattro giorni, che si ridussero a tre quando, nel 1889, il percorso fu ottimizzato. Il treno attraversò la Baviera di Luigi II, l’austria-ungheria di Francesco-Giuseppe, la Serbia di Alessandro I, la Romania di Carlo I, la Bulgaria di Ferdinando I e la Turchia di AbdulHamid II. 

    IL PROGETTO. Ma chi fu l’artefice di questo gioiello su rotaie?

    Un giovane ingegnere belga, Georges Nagelmackers (1845-1905), rampollo di una famiglia di banchieri. Durante un viaggio negli Stati Uniti salì sui vagoni-letto di George Mortimer Pullman, dove si poteva dormire, ma senza vera privacy. Ne rimase colpito e, tornato a casa, fondò la Compagnie internationale des Wagons-lits per offrire treni di sola prima classe, lussuosi e confortevoli, per la clientela europea più agiata.  Fece centro. Il successo fu tale che tra il 1883 Ispirò libri e scene di film. Da Agatha Christie a Ian Fleming a Hitchcock e il 1940 la rete ferroviaria contava 29 linee che collegavano Londra con Parigi e Istanbul, Atene, Damasco,teheran. Ma anche Madrid, Lisbona, Roma, Nizza e le località sciistiche in voga nelle Alpi (Lech, Innsbruck…).

    ORIENTALISMO. L’orient Express contribuì ad alimentare la moda dell’esotico, di un Oriente sognato e misterioso, decadente e raffinato. Un fenomeno nato nel Settecento e che si intensificò nell’ottocento.  Pittori e scrittori come Ingres, Delacroix, Hugo e Byron rimasero stregati dal fascino di Costantinopoli, la città dalle trecento moschee, l’antica Bisanzio, il cui panorama era così “sorprendentemente bello da dubitare della sua realtà”, scrisse il poeta francese Théophile Gautier nel 1853. Ma era soprattutto il nome dello scrittore Pierre Loti a essere indissolubilmente legato a Costantinopoli, dopo il successo del romanzo Aziyadé del 1879. La sua era una voce fuori dal coro. Odiava “questi ricchi sfaccendati che l’orient Express scarica nelle strade, intrusi che profanano questo caro suolo, senza avere l’ammirazione e il rispetto che la vecchia Stambul ( come la chiamava lui) ancora richiede”. Per Pierre Loti l’orient Express era sinonimo di turismo di massa, superficiale e distratto.

    ARISTROCRAZIA IN VIAGGIO. Il mondo elegante e cosmopolita della Belle Époque fece invece dell’orient Express il suo simbolo. Carlo II di Romania, il Sultano Abdul-hamid II e il re Leopoldo II del Belgio, spesso accompagnato dall’amante Cléo de Mérode, furono tra i primi a salire a bordo. E in un solo giorno, nel 1902, ci fu il pienone di aristocratici: il granduca imperiale Vladimiro di Russia, Alberto di Prussia, il principe Cristiano di Danimarca, il principe di Monaco e il conte von Moltke. Da allora l’orient Express si meritò il soprannome di “re dei treni e treno dei re”.  Ma a bordo si potevano incontrare anche personaggi discutibili, come Basil Zaharoff, potentissimo trafficante di armi ai tempi della Prima guerra mondiale. Sull’orient Express, nel 1886, giocava il ruolo del seduttore: fu lì infatti che conobbe l’affascinante diciassettenne Maria del Pilar, duchessa di Villafranca de Los Caballeros, che più tardi sposò. Un altro personaggio fuori dal comune fu l’armeno Calouste Gulbenkian, che nel luglio 1896 salì sul treno per sfuggire al massacro dei suoi compatrioti, portando con sé, avvolto in un tappeto, il figlio Nubar. Gulbenkian divenne in seguito ricchissimo nel business del petrolio. Per tutti era il “Signor Cinque per cento”, perché questa era la percentuale di quote che pretendeva dalle compagnie petrolifere che contribuiva a sviluppare. Nel 1915 salì sul mitico treno anche Cosima, figlia di Franz Listz e vedova di Richard Wagner. Un compagno di viaggio, Ferdinand Bach, la ricorda con il volto nascosto dai veli, che imponeva “rispetto, ricevendo gli omaggi dei fanatici del geniale maestro”. Ma l’Orient Express fu utilizzato anche da spie e agenti segreti. Lawrence d’Arabia, colonnello britannico e agente segreto (Thomas Edward Lawrence era il suo vero nome), negli anni della Prima guerra mondiale diventò uno dei capi della rivolta araba contro la dominazione turca, nel 1909, ancora studente, fece il suo primo viaggio verso questa terra lontana a bordo dell’Orient Express, e vi tornò molte volte.  Nel 1910 salì sul celebre treno anche la ballerina Mata Hari, ingaggiata poi come spia dai tedeschi e fucilata nel 1917. Robert Baden-Powell, che lavorava per i Servizi segreti britannici (ma oggi è noto soprattutto come fondatore del Movimento Scout) viaggiò spesso sull’orient Express, fingendosi un collezionista di farfalle, sulle cui ali disegnava la mappa miniaturizzata delle fortificazioni nemiche e il posizionamento dei cannoni.  Più avanti sarà la volta di Kim Philby, Richard Sorge, Naum Ejtingon, Ramón Mercader: tutti celebri 007 al servizio del Cremlino.

    TRA LE DUE GUERRE. Alla fine della Grande Guerra l’orient Express non esisteva più. I vagoni, requisiti a scopo bellico, erano danneggiati o distrutti. Così la Compagnie internationale des Wagons-lits li sostituì con altri ancora più lussuosi, verniciati di blu con filetti d’oro. E tutti in metallo, per eliminare i rumori delle carrozze in teak. Le pareti interne erano rivestite di lacche, intagli di legni rari e pannelli di vetro realizzati dal famoso René Lalique. Anche la clientela era cambiata. Le donne ora avevano acconciature e vestiti corti e profonde scollature; gli uomini portavano i capelli lisci e impomatati. L’orient Express, tornato in auge, era il simbolo della voglia di vivere degli anni Venti. Ma la guerra aveva lasciato il suo strascico e spesso si incontravano russi bianchi cacciati dalla Rivoluzione d’ottobre o inglesi, americani e francesi scossi dallo spettacolo dell’europa distrutta.

    Nel marzo 1929 anche Trotskij, esiliato da Stalin, salì sull’orient Express a Parigi diretto a Istanbul. Marlene Dietrich lo prendeva abitualmente e Agatha Christie vi incontrò il marito archeologo.  Ma nel 1931 una tragedia si abbatté sul “treno dei re”: dei terroristi fecero saltare il viadotto di Biatorbágy, in Ungheria, proprio al passaggio del convoglio. Alcuni vagoni caddero nel vuoto, provocando una ventina di morti Durante la Prima guerra mondiale il treno fu requisito a scopo bellico. E i vagoni finirono distrutti 1929 Il treno fu bloccato dalla neve a 130 km da Istanbul per 4 giorni. Nei vagoni: -10 gradi e un centinaio di feriti. In viaggio su quel treno c’era la soubrette Josephine Baker: aiutò i feriti e cantò per loro.

    L’ULTIMA FERMATA. Dopo la Seconda guerra mondiale nulla fu più come prima. La cortina di ferro che divise l’europa dell’est da quella dell’ovest mise in difficoltà la circolazione dei treni, obbligati a estenuanti controlli. E i viaggiatori preferirono la velocità dell’aereo. La compagnia non solo perse l’etichetta di lusso nel 1948, ma fu costretta a vendere i suoi vagoni uno dopo l’altro. Venne anche aggiunta la seconda classe, nel tentativo di attirare nuovi passeggeri. Dagli anni Sessanta in poi la decadenza fu sempre più evidente e il 19 maggio 1977 il glorioso “treno dei re”, diventato “democratico”, effettuò il suo ultimo viaggio, con lo stesso percorso che lo rese famoso, il Parigi-istanbul.

    Fonte: Focus Storia

  • Una piccola  selezione delle mostre in arrivo il prossimo Autunno in Italia.

     

    Tintoretto 500 – Palazzo Ducale e Gallerie dell’Accademia (Venezia), dal 7 settembre 2018 al 6 gennaio 2019

    La Fondazione Musei Civici di Venezia e la National Gallery of Art di Washington hanno avviato dal 2015 un progetto di ricerca per festeggiare i 500 anni dalla nascita di Jacopo Tintoretto, tra i giganti della pittura europea del XVI secolo e, indubbiamente, quello che più ha “segnato” Venezia con il marchio inconfondibile del suo genio, dal 7 settembre 2018 al 6 gennaio 2019. Palazzo Ducale e Gallerie dell’Accademia spalancano le proprie porte al “genio terribile” del pittore veneziano.

    Jacopo Tintoretto, Autoritratto, 1588 ca., olio su tela, 63 x 52 cm, Parigi, Musée du Louvre- Départment des Peintures
    © RMN / RÈunion des MusÈes Nationaux

     

    Ercole e il suo mito – Reggia di Venaria (Torino), dal 13 settembre 2018 al 10 marzo 2019

    L’esposizione illustra il mito dell’eroe greco e dei temi a esso legati, con un’ampia selezione di oltre 70 opere, tra ritrovamenti archeologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture, manifesti, filmati e molto altro, provenienti da istituzioni pubbliche e da collezioni private, capaci di coprire un arco cronologico che, dall’antichità classica giunge fino al XX secolo. L’iniziativa acquista un particolare significato alla luce dei lavori di restauro in corso della “Fontana d’Ercole”, fulcro del progetto secentesco dei Giardini della Reggia, un tempo dominata dalla Statua dell’Ercole Colosso, e da cui inizia idealmente la visita.

     

    Da Tiziano a Van Dyck, Il volto del 500 – Casa dei Carraresi (Treviso),

    dal 26 settembre 2018 al 3 febbraio 2019

    Siete mai stati invitati ad una cena in casa di amici per, una volta varcato l’uscio, vedere una delle ultime opere dipinte da Tiziano Vecellio? O di entrare in un’abitazione e di trovarvi di fronte ad un olio su tela di Jacopo Tintoretto? O di restare sopraffatti dalla bellezza di un autoritratto di Giulio Carpioni, appeso ad una parete del salotto? O di entrare in cucina ad aiutare gli ospiti con le portate e scorgere un ritratto di Van Dyck che vi guarda incurante

    dei suoi 4 secoli d’età? Ecco, questa mostra parlerà di questo.

     

    Antoon van Dyck, Testa di carattere 1613-21 olio su tela, 64,7×50,5 cm

     

    Paul Klee e il Primitivismo – MUDEC (Milano),  dal 31 ottobre 2018 al 27 gennaio 2019

    La mostra affronta una prospettiva inedita dell’opera di Paul Klee, con l’obiettivo di posizionare l’attività dell’artista all’interno del fermento primitivista che scorre per l’Europa agli inizi del XX secolo. Affianco a una selezione specifica di oli, tempere, acquarelli e disegni di Klee verranno posti in un rimando puntuale oggetti dell’antichità classica, manufatti etnografici della collezione del MUDEC, riviste e documenti d’epoca legati alla formazione di Klee.

    Paul Klee – Saluti, 1922 © Allen Phillips Wadsworth Atheneum

     

    CHAGALL. Colore e magia – Palazzo Mazzetti (Asti), dal 27 settembre 2018 al 3 febbraio 2019 

    Marc Chagall: dopo la tappa di Seul arriva per la prima volta ad Asti una selezione di oltre 150 opere di Chagall. Un percorso che indaga aspetti inediti della vita e della poetica di Chagall, suddiviso per epoche della vita del maestro russo: dai suoi primi lavori degli anni ’20 alla fuga traumatica dall’Europa durante la seconda guerra mondiale fino agli ultimi anni trascorsi dall’artista negli Stati Uniti.

     

     

    ASTI Marc Chagall – Le Coq Violet, 1966-72 – oil, gouache and ink on canvas – 89,3×78,3 cm

     

     

    Elliott Erwitt Personae  – Reggia di Venaria (To)  – dal 27 settembre al 24 febbraio 2019
    Grande mostra di uno dei fotografi più importanti e celebrati del Novecento. E’ la prima retrospettiva delle sue fotografie sia in bianco e nero che a colori. I suoi scatti in bianco e nero sono ormai diventati delle icone della fotografia, esposti con grande successo a livello internazionale, mentre la sua produzione a colori è quasi del tutto inedita.

     

     

     

    Andy Warhol – Vittoriano (Roma), dal 3 ottobre 2018

    Un’esposizione che con oltre 170 opere traccia la vita straordinaria di uno dei più acclamati artisti della storia. Il 3 ottobre apre i battenti -negli spazi del Complesso del Vittoriano- una mostra interamente dedicata al mito di Warhol, realizzata in occasione del novantesimo anniversario della sua nascita. Una rassegna che parte dalle origini artistiche della Pop Art: nel 1962 il genio di Pittsburgh inizia a usando la serigrafia crea la serie Campbell’s Soup, minestre in scatola che Warhol prende dagli scaffali dei supermercati per consegnarli all’Olimpo dell’arte.

    Andy Warhol Marilyn, 1967 – Serigrafia su carta, 91,4×91,4 cm
    © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

     

    Ottocento in collezione. Dai Macchiaioli a Segantini – Castello di Novara, dal 20 ottobre 2018 al 24 febbraio 2019

    La rassegna presenta 80 capolavori di pittura e scultura tutti provenienti da prestigiose raccolte private, di autori quali Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Giovanni Fattori, Carlo Fornara, Domenico e Gerolamo Induno, Silvestro Lega, Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Giovanni Segantini, Federico Zandomeneghi, che testimonia l’importanza storica del fenomeno del collezionismo nello sviluppo delle arti in Italia, dall’Unità nazionale ai primi anni del Novecento. La storia delle arti figurative in Italia nel secondo Ottocento s’intreccia, infatti, con le vicende dei raccoglitori di opere d’arte e, più in generale, del mecenatismo culturale. Dopo il 1860, s’intensifica il fenomeno del collezionismo di dipinti e sculture da parte di una sempre più ampia fascia di pubblico, composta in prevalenza da esponenti della borghesia delle imprese e dei commerci e delle professioni civili.

     

    I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità – GAM (Torino), da 26 ottobre 2018 al 24 marzo 2019

    Gli antefatti, la nascita e la stagione iniziale e più felice della pittura macchiaiola, ossia il periodo che va dalla sperimentazione degli anni Cinquanta dell’Ottocento ai capolavori degli anni Sessanta, saranno i protagonisti della mostra che per la prima volta alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino valorizzerà il dialogo artistico tra Toscana, Piemonte e Liguria nella ricerca sul vero.

     

     

    Antonello da Messina – Palazzo Abatellis (Palermo), dal 26 ottobre 2018 al 24 febbraio 2019

    La pittura del Sud abbraccia quella del Nord. In un’epoca contrassegnata da scissioni culturali, la vicenda creativa di Antonello da Messina mostra la forza propulsiva dell’incontro fra tradizioni differenti. In autunno, presso Palazzo Abatellis di Palermo, le opere del maestro siculo si scoprono anello di congiunzione fra arte mediterranea e mondo nordico, fiammingo in particolare, nonché spunti d’ispirazione per l’uso del colore nell’Italia settentrionale, dalla cromia veneta al naturalismo lombardo.

     

     

     

    Antonello da Messina. – Annunziata, Palermo, Palazzo Abatellis

     

     

    Van Dyck. Pittore di Corte – Galleria Sabauda (Torino), dal 16 novembre 2018 al 3 marzo 2019

    A novembre 2018 inaugura a Torino una mostra dedicata ad Antoon van Dyck, il miglior allievo di Rubens, che rivoluzionò l’arte del ritratto del XVII secolo. Personaggio di fama internazionale e amabile conversatore dallo stile ricercato, Van Dyck fu pittore ufficiale delle più grandi corti d’Europa ritraendo principi, regine, sire nobildonne delle più prestigiose famiglie dell’epoca.

     

    TORINO
    Antoon van Dyck – Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo, 1623
    Olio su tela, 242,9×138,5 cm
    National Gallery of Art, Washington, Widener
    Collection

  • L’arte del grande artista incontra la collezione di prodotti dell’azienda statunitense

     “La nostra missione è di rendere la vita e il lavoro di Vincent van Gogh accessibili a quante più persone possibile per arricchirli e ispirarli” dice Adriaan Dönszelmann, Amministratore delegato del Van Gogh Museum.

    Dal 3 agosto è disponibile la capsule collection Vans dedicata ai capolavori di Vincent Van Gogh, ma a dire il vero è già sold out! 

    L’azienda statunitense, tra i marchi più amati dai giovani, ha stipulato un accordo con il Van Gogh Museum di Amsterdam: le opere più celebri del grande artista sono state riprodotte su cappelli, zaini, scarpe e t-shirt.

    Parte dei proventi della vendita dei prodotti sarà destinata alla tutela del patrimonio e della collezione d’arte di Vincent Van Gogh, al fine di garantirne l’accessibilità anche alle generazioni future.

    L’idea è anche quella di avvicinare le giovani generazioni all’arte del grande pittore, uno dei più amati di sempre, attraverso oggetti altrettanto amati dai ragazzi.

    Come spiega infatti Adriaan Dönszelmann, Amministratore delegato del Van Gogh Museum: “Unendo le opere iconiche di Van Gogh con gli iconici modelli Vans, la nostra collaborazione porta l’arte di Vincent” Off The Wall “e nel mondo ad un nuovo pubblico fuori dal museo“.

    Ogni pezzo, in vendita nei negozi  Vans.com/vangogh, e su vangoghmuseumshop.com, riporta un cartellino che descrive e racconta fatti inerenti all’opera riprodotta.

  • Di solito racconto la storia e la cultura dei posti che vedo e che visito, invece questa volta inizio raccontando le persone e l’amore per la loro terra, la storia ve la racconterò dopo.

    Ho conosciuto Morrone qualche anno fa, e devo dire che mi ha catturato “quasi” come le montagne della Valle d’Aosta per cui provo un amore incondizionato.

    Territorio e popolazione molto diversa, ma appena entrata in contatto con la cultura vera del paese,  ho conosciuto persone abituate alla fatica del lavorare un territorio non facile – gli orti sono in pendenza – l’asprezza e la severità di certi coltivatori deriva senza alcun dubbio dalla lavorazione di un paesaggio collinare, petroso e argilloso, franoso e franato, senza climi estremi, ma anche senza dolci tepori.

    Sono di carattere mite, ospitali, e di grande semplicità umana.

    Quelli che sono rimasti, purtroppo pochi, ma per fortuna qualcuno giovane è rimasto,  investe in proprio  per la salvaguardia delle tradizioni e del territorio.

    Negli ultimi anni ho visto in loro l’entusiamo di chi vuole far conoscere la propria terra oltre i confini, per ricordare all’Italia e anche un po al mondo che il MOLISE ESISTE! Perché tanti morronesi tornavano e qualcuno torna ancora dalla Germania, dalla Svizzera da tutte le regioni d’Italia o dall’America.

    E cosi l’estate di Morrone è “I Vicoli dei Sapori” II Edizione: un Festival dei prodotti e delle tradizioni di Morrone, musica enogastronomia e momenti di carattere culturale.

    Io quest’anno non ci sarò, ma so che sarà molto molto interessante.

    A dimostrazione un piccolo excursus della scorsa edizione.

    I Vicoli dei Sapori ediz. 2017

     

     

     

  • Sebastião Salgado racconta la bellezza del nostro pianeta.

    Genesi è la ricerca del mondo delle origini, come ha preso forma, si è evoluto, è esistito per millenni prima che la vita moderna accelerasse i propri ritmi e iniziasse ad allontanarci dall’essenza della nostra natura. È un viaggio attraverso paesaggi terrestri e marini, alla scoperta di popolazioni e animali scampati all’abbraccio del mondo contemporaneo. La prova che il nostro pianeta include tuttora vaste regioni remote, dove la natura regna nel silenzio della sua magnificenza immacolata; autentiche meraviglie nei Poli, nelle foreste pluviali tropicali, nella vastità delle savane e dei deserti roventi, tra montagne coperte dai ghiacciai e nelle isole solitarie. Regioni troppo fredde o aride per tutto tranne che per le forme di vita più resistenti, aree che ospitano specie animali e antiche tribù la cui sopravvivenza si fonda proprio sull’isolamento. Fotografie, quelle di Genesi, che aspirano a rivelare tale incanto; un tributo visivo a un pianeta fragile che tutti abbiamo il dovere di proteggere.   Lélia Wanick Salgado curatrice della mostra.

    Uffici stampa

    Venaria Reale Comunicazione e Stampa Residenze Reali Sabaude
    Catalogo Mostra Contrasto 
    Immagini Civita

  • Il capolavoro scomparso

    In seguito ad una comunicazione della Sovrintendenza della Repubblica di Torino, Belle Arti e paesaggio della Città Metropolitana di Torino, che segnalava che nella mostra “ Genio e Maestria” in mostra alla Reggia di Venaria mancava l’esposizione di uno dei maggiori pezzi dell’ebanista, in quanto reperibile, sono partite le indagine e la ricerca del bene.

    Le indagini

    I carabinieri hanno  scoperto che l’opera, risparmiata dai bombardamenti di Torino del 1943,  venduta ad un privato cittadino e trasportata in Francia senza alcuna  autorizzazione, passando per la Svizzera e come ultima destinazione negli  Stati Uniti, dove alla fine degli anni ’90 e per un lungo periodo di tempo, è stata esposta al Metropolitan Museum di New York.

    La restituzione

    Lo sviluppo delle indagini contestualmente all’accurata ricostruzione storico-artistica hanno consentito di dimostrare, inoltre, che l’opera era stata concepita non come arredo mobile autonomo, bensì come perfetta integrazione dell’apparato decorativo della sala degli appartamenti ducali di Palazzo Chiablese di Torino. Particolare che ha confermato l’imprescindibile legame del bene all’immobile demaniale e quindi l’appartenenza allo Stato italiano.

    L’ultimo possessore ha convenuto la restituzione  dell’opera all’Italia , che possedeva , se pur in buona fede, illecitamente.

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