Categoria: Castelli & Palazzi

  • Sono stati 21.344 i visitatori che hanno affollato i Musei Reali di Torino in occasione del ponte di Ognissanti, in un lungo weekend fitto di appuntamenti, aperture straordinarie e eventi e laboratori per le famiglie.
    Le prime code, velocemente smaltite, si sono formate fin da giovedì mattina, e nelle giornate di venerdì e sabato in moltissimi hanno approfittato delle visite guidate gratuite alla Cappella della Sindone, recentemente riaperta al pubblico.
    Per tutta la durata del ponte e in particolare in occasione dell’apertura straordinaria per la Notte delle Arti Contemporanee, il pubblico non ha resistito al richiamo dei personaggi più celebri dei mondi di Testa presenti all’interno dell’esposizione nelle Sale Chiablese Tutti gli “ismi” di Armando Testa(fino al 24 febbraio 2019): dall’ “uomo moderno”, al logo senza tempo Punt e Mes, dall’ippopotamo Pippo ai divertenti caroselli abitati da Carmencita e Caballero e gli sferici extraterrestri del pianeta Papalla.
    Grande successo di pubblico, nelle giornate di venerdì e sabato, per le visite alle stanze della Regina Elena e le Cucine Reali condotte dagli Amici di Palazzo Reale, che proseguono ogni fine settimana fine a fine novembre.
    Il 4 novembre inoltre, giornata di apertura gratuita dei Musei Reali, è stata straordinariamente accessibile al pubblico anche la Biblioteca Reale, che attualmente ospita la mostra Il testamento del Capitano. I giovani e la Grande Guerra tra illusioni e realtà. All’interno dell’esposizione, documenti e testimonianze dalle raccolte della Biblioteca Reale e da collezioni private illustrano dalla seconda metà dell’Ottocento al primo conflitto bellico il contesto sociale di generazioni che furono testimoni di eventi epocali.

    www.museireali.beniculturali.it

  • Palazzo Ducale e Genova dedicano a Niccolò Paganini una grande mostra con l’intento di raccontare, attraverso una narrazione contemporanea, curiosa, spettacolare e multimediale, la vita del grande musicista, caratterizzata da un enorme successo di pubblico, ma anche da rapporti umani spesso travagliati e complessi. Lo scopo principale del percorso espositivo è quello di indagare quale sia stata l’eredità che il grande maestro ha trasmesso ai suoi contemporanei, arrivando fino al confronto estremo con la musica contemporanea, in particolare con un grande e indimenticato protagonista della musica rock: Jimi Hendrix.

    Per meglio comprendere la grandezza e l’importanza di Paganini, sia dal punto di vista musicale che da quello performativo e spettacolare, il confronto si estende ad alcune personalità della scena musicale contemporanea, sia pop-rock che classica, ognuno dei quali scelto per esplorare, attraverso la propria esperienza, alcuni aspetti della propria vita artistica e eventuali similitudini con l’esperienza paganiniana. In questa mostra è la musica a essere protagonista, rappresentata e raccontata attraverso metafore visive che mettono in scena le caratteristiche essenziali della musica del grande artista genovese.

    Circondato da un alone di mistero, artista virtuoso, formidabile performer capace di ammaliare il pubblico, abile costruttore della propria immagine, Paganini non è stato soltanto uno dei più importanti violinisti mai esistiti, è stato anche pioniere della complessa transizione verso la modernità: la sua storia, la sua figura, condensano in modo esemplare il passaggio da un mondo all’altro, da quello tradizionale, ottocentesco e romantico a quello moderno, complesso e contraddittorio.

    Le descrizioni di Niccolò Paganini che ci sono state tramandate convergono tutte in una fisicità debole, un corpo fragile, eccessivamente magro: “Profilo d’aquila, occhi magnetici, mobilissimi: capelli neri, lunghi. […] Aveva qualcosa di spettrale e di fantastico, onde la sua sola apparizione alla ribalta destava nel pubblico un’impressione profonda”. Descrizioni a tutti gli effetti romantiche, che si legano all’immaginario del genio, del passionale, del diabolico.

    Eppure, nonostante questa fragilità fisica, i suoi concerti divennero presto leggendari: “trascinava l’uditorio al più vivo entusiasmo, meravigliandolo col suo slancio, con la foga, con la trascendentale maestria del suo strumento”. Delle vere e proprie performance, come le chiameremmo oggi, in cui il pubblico andava in visibilio catturato dal magnetismo di Paganini.

    Fuori da ogni convenzione e da ogni luogo comune, Paganini si può considerare realmente un rivoluzionario. Come pochi altri prima di lui ha cambiato le regole, trasformando sia i paradigmi tecnici dello strumento sia quelli estetici della musica a lui contemporanea: in questo consiste tutta la sua attualità e la ragione per cui, ancora oggi, un artista così ci appartiene.

    Per tutto questo, per lo spettacolo che il suo modo di suonare comportava, oltreché per l’immagine di sé, Paganini può essere considerato a tutti gli effetti antesignano della rockstar, se poi è anche vero che molte delle sue esibizioni/performance terminavano con la rottura delle corde del violino.
    La mostra, dunque, dedica grande attenzione all’idea di Paganini come prima rockstar della storia, azzardando, a ragione, raffronti con alcuni grandi virtuosi della musica rock, in particolare con Jimi Hendrix, raccontando e confrontando i personaggi attraverso non solo oggetti e documenti, ma anche elementi scenici fortemente suggestivi, che possano creare una forte empatia con il pubblico.

    Curata da Roberto Grisley, Raffaele Mellace e Ivano Fossati, affiancati da un comitato scientifico composto dagli stessi curatori e da Claudio Proietti – coordinatore – e Roberto Iovino, Maria Amoretti Fontana, Pietro Leveratto

    Catalogo Silvana Editoriale con saggi di Marco D’Aureli, Maiko Kawabata, Raffaele Mellace, Daniela Macchione, Roberto Iovino, Peter Sheppard Skærved, Claudio Proietti, Pietro Leveratto, Maria Fontana Amoretti, Ivano Fossati, Enzo Gentile, NEO – Narrative Environments Operas di Milano.

    La mostra, prodotta e organizzata dalla Fondazione Palazzo Ducale, promossa da Comune di Genova e Regione Liguria, sponsor privati tra cui Iren, Coop, Compagnia di San Paolo, Costa edutainment, Fondazione Carige.

    Per maggiori info

  • Sono stati 14.000 i visitatori dei Musei Reali che non hanno voluto perdere l’occasione di ammirare la Cappella della Sindone, riappropriandosi del capolavoro di Guarini riaperto giovedì 27 settembre dal Ministro per i beni e le attività culturali Alberto Bonisoli a 21 anni dal disastroso incendio che minò gravemente la struttura.
    Per facilitare l’accesso, i Musei Reali hanno potenziato il servizio di accoglienza così da limitare quanto più possibile code e disagi al numeroso pubblico, che per questa speciale occasione ha avuto la possibilità di visitare tutto il complesso museale al prezzo di 3 Euro.
    La punta massima di visitatori si è registrata domenica 30 settembre con 5932 biglietti staccati; sabato invece sono stati registrati 4307 visitatori e venerdì 3707. A questi si aggiungono i 400 partecipanti all’inaugurazione e i 150 giornalisti accreditati. Un pubblico eterogeneo, composto da famiglie, turisti italiani e stranieri, giovani e giovanissimi.
    Ottimo riscontro di partecipazione anche per il convegno internazionale di studi Un capolavoro dell’architettura barocca.

    La Cappella della Sindone tra storia e restauro tenutosi presso l’’auditorium Vivaldi della Biblioteca Nazionale con relatori di altissimo profilo. L’’appuntamento ha registrato il tutto esaurito già la settimana precedente, quando è stato raggiunto il numero massimo di partecipanti iscritti. 700 persone hanno seguito le sessioni delle due giornate di lavori. Il convegno, trasmesso in streaming, è stato seguito in diretta da oltre 900 utenti in numerosi Paesi.
    “Siamo felici di questa risposta del pubblico – commenta Enrica Pagella, Direttrice del Musei Reali – che dimostra quanta attesa e quanto affetto circondino questo straordinario capolavoro.

    La riapertura della Cappella aggiunge un altro importante tassello al percorso che i Musei Reali hanno intrapreso e che nei prossimi anni li porterà a divenire uno dei più grandi complessi museali d’Italia. In questi giorni – conclude – i Musei hanno dimostrato la loro straordinaria potenzialità, sottolineata anche dal Ministro Bonisoli in questa visita. Un doveroso ringraziamento va ai nostri partner e ai nostri sponsor, alle autorità di sicurezza e anche ai tantissimi volontari di diverse associazioni che si sono prodigati in questi giorni per coadiuvarci nell’accoglienza dei visitatori nella Cappella, nei musei e nei giardini”.
    Domenica 30 settembre sarà l’ultima sera per ammirare l’illuminazione notturna esterna colorata, ispirata ai colori della liturgia.
    Da martedì la Cappella sarà inserita nel regolare percorso di visita dei Musei Reali di Torino.

    Segui i Musei Reali con l’hashtag #museirealitorino su Facebook Musei Reali Torino / Twitter @MuseiRealiTo / Instagram MuseiRealiTorino

  • Avevo bisogno di fare passare un po’ di tempo, prima di esprimere i miei pensieri sull’inaugurazione della Cupola del Guarini.

    Ieri è stata una giornata intensa, frenetica, tante emozioni: attesa, curiosità, emozione.

    Ora rimane l’emozione,  l’emozione di un luogo importante per Torino e i torinesi per il valore e il simbolo che questo luogo significa sia dal punto di vista religioso che culturale.

    Una giornata, molto importante, come espresso anche dal  ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli: «Restituiamo un’opera di altissimo valore a Torino e a tutto il mondo», che ha aggiunto «un bene culturale ha non solo un valore economico, ma anche religioso, artistico e soprattutto simbolico. I torinesi hanno vissuto il rogo come un lutto. Ho vissuto un anno a Torino nel 1997 e mi ricordo l’angoscia. I beni culturali appartengono alle comunità che fanno un valore speciale».

    Sai tutto sulla  Cupola della Sindone? Questo video dei Musei Reali, molto ben fatto, ti sorprenderà e ti dirà cose che forse non sapevi.

     

     

  • Landscapes realizzata dal Forte di Bard in collaborazione con Magnum Photos International e Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi, presenta 105 immagini in bianco e nero, personalmente selezionate da Henri Cartier-Bresson, scattate tra gli anni Trenta e gli anni Novanta fra Europa, Asia e America.
    Ciascuna fotografia è rappresentazione di quell’istante decisivo’ che per l’artista è il “riconoscimento immediato, nella frazione di un secondo, del significato di un fatto e, contemporaneamente, della rigorosa organizzazione della forma che esprime quel fatto”.
    Sebbene in alcune foto compaiano anche delle persone, l’attenzione dell’autore è concentrata in modo particolare sull’ambiente, tanto che si può parlare di Paesaggio della Natura e Paesaggio dell’Uomo.
    Le immagini in bianco e nero di colui che è stato denominato l’occhio del secolo”, sono  raggruppate per tema: alberi, neve, nebbia, sabbia, tetti, risaie, treni, scale, ombra, pendenze e corsi d’acqua.

    A proporre una “promenade” tra paesaggi urbani e paesaggi rurali. Sono immagini che riflettono il rigore e il talento di Henri Cartier-Bresson che in esse ha saputo cogliere momenti e aspetti emblematici della natura, spesso immortalando la perfetta armonia tra le linee e le geometrie delle immagini. Armonia perfetta e serena, ad offrire una interpretazione naturale, calma e bella di un secolo, il ventesimo, per altri versi magmatico e drammaticamente complesso.
    Come ha affermato il poeta e saggista Gérard Macé nella prefazione al catalogo Paysage  (Delpire, 2001), “Cartier Bresson è riuscito a fare entrare nello spazio ristretto dell’immagine fotografica il mondo immenso del paesaggio, rispettando i tre principi fondamentali che compongono la sua personale geometria: la molteplicità dei piani, l’armonia delle proporzioni e la ricerca di equilibrio”.
    Nato nel 1908 a Chenteloup, Seine-et-Marne, Cartier-Bresson fu co-fondatore nel 1947 della celebre agenzia Magnum ed è una figura diventata mitica nella storia della fotografia del Novecento.
    Dopo gli studi di pittura, la frequentazione degli ambienti surrealisti e dopo l’esperienza in campo cinematografico al fianco di Jean Renoir, nel 1931, in seguito aun viaggio in Africa, decide di dedicarsi completamente alla fotografia.
    Da Città del Messico a New York, dall’India di Gandhi alla Cuba di Fidel Castro, dalla  Cina ormai comunista all’Unione Sovietica degli anni cinquanta: Henri Cartier-Bresson percorre la storia del secolo breve con la fedele Leica al collo, scegliendo con cura il punto di ripresa, cogliendo il ‘momento decisivo’ e dando vita a immagini ormai  entrate nell’immaginario comune e che gli sono valse l’appellativo di ‘occhio del secolo’.

    Curatore: Andréa Holzherr, Global Exhibition Director, Magnum Photos International
    Realizzata in collaborazione con: Magnum Photos International e Fondation Henri Cartier-Bresson, Parigi

    Partner istituzionali
    * Regione autonoma Valle d’Aosta
    * Compagnia San Paolo
    * Fondazione Crt
    * Finaosta spa

    MediaPartner
    * RMC Radio Montecarlo

     

    Photo di copertina/Credit:

    Place de l’Europe, Gare Saint Lasare, Paris, 1932

    Caption Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos

  • Il 27 Settembre il Ministro Bonisoli partecipa all’inaugurazione dell’attesa restituzione del capolavoro di Guarino Guarini a vent’anni dal disastroso incendio che tenne il mondo con il fiato sospeso.

    Dopo un lungo e difficile restauro avviato all’indomani del tragico incendio dell’11 aprile 1997, viene finalmente restituita al mondo la mirabile architettura barocca di Guarino Guarini, accessibile al pubblico nel percorso di visita dei Musei Reali.

    La cerimonia di apertura è prevista  presso il Teatro Regio di Torino alla presenza del Ministro per i beni e le attività culturali Alberto Bonisoli.

    Il pubblico potrà ammirare la Cappella della Sindone da venerdì 28 a domenica 30 settembre al prezzo speciale di 3 Euro.

    Da martedì 2 ottobre l’accesso sarà compreso nel biglietto dei Musei Reali.

    Il restauro è stato finanziato dal Ministero per i beni e le attività culturali con il sostegno di Compagnia di San Paolo, Fondazione La Stampa – Specchio dei Tempi, Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, IREN e Performance in Lighting.

    La Cappella non conterrà più la Sindone, ma sarà restituita ai visitatori, ai turisti, e ai torinesi più giovani, nella sua straordinaria struttura architettonica, così come immaginata a fine Seicento dal genio di Guarino Guarini.

    Un po di storia

     

  • Pietanze prelibate e una sfarzosa “mise en place” alla tavola del Re Sole, dove sedevano anche migliaia di persone.

    Agli ordini dell’esigente maître una schiera di chef, sous chef, sommelier, rosticcieri e pasticcieri si affannava nelle grandi cucine, dove fuochi e forni erano sempre accesi e le grandi marmitte non smettevano mai di sobbollire. Dalle cantine, le cui chiavi erano gelosamente custodite, uscivano bottiglie di magnifici rossi di Borgogna o di Champagne; dagli orti di palazzo, coltivati con tecniche all’avanguardia, arrivavano canestri di verdura, frutta, erbe aromatiche e funghi; dai boschi reali, cacciagione e deliziosi tartufi. Sui taglieri veniva sezionato ogni genere di animale, dal manzo al castoro, dai crostacei alle tartarughe, passando dagli uccelli le cui giunture venivano recise con cura.

    Alla tavola del Re Sole ogni giorno si accomodavano migliaia di nobili con il loro seguito: il sovrano infatti aveva preteso che il suo entourage lasciasse Parigi per seguirlo nella dorata gabbia di Versailles. Si mangiava tutti insieme, come alla mensa di una grande azienda, solo che tutto doveva essere superlativo, perché il cibo rappresentava la generosità del re. Ma per nutrire un simile esercito, ce ne voleva un altro che lavorasse tra i fumi delle cucine.

    TABLEAU ROYAL.

    Un banchetto reale, nelle grandi occasioni, prevedeva non meno di quattro o cinque portate. Immensi vassoi viaggiavano veloci dalle cucine alle sale imbandite, carichi di pietanze ricercate, dall’aspetto magnifico, protette da campane d’argento, pronti ad atterrare sulle tavole con precisione e simultaneità. Tutto arrivava a ondate per trasmettere la sensazione di ricchezza e abbondanza: antipasti, arrosti, stufati, cacciagione, erano intervallati da entremets (portate intermedie, “leggere”, servite tra una pietanza e l’altra) come lingue di cervo, piedini di maiale cotti nel brodo, o morbide tettine di vacca. Le spezie, invece, un tempo ritenute merce pregiata, caddero in disuso quando, nel Seicento, i veneziani persero il monopolio del commercio con l’oriente, causando la caduta dei prezzi e trasformando gli aromi da cucina in prodotti ordinari.

    BUONE MANIERE.

    I cortigiani del Re Sole amavano ascoltare la musica a tavola; in mancanza di musici, apprezzavano anche cantanti, a cui spesso i commensali si univano al ritornello, incuranti del cibo che avevano in bocca.

    Per bere bastava fare un segno al cameriere personale. Una volta vuotato, il bicchiere veniva sciacquato in un bacile, e poco importava se durante il pranzo i recipienti si scambiavano. Il concetto di igiene era molto diverso dal nostro. L’uso delle posate era a discrezione dei commensali, perciò era facile vedere un compìto marchese pulirsi le dita sporche di grasso nella tovaglia dopo aver mangiato con le mani, o una bella contessa sputare nella mano un boccone sgradito e gettarlo sotto il tavolo per gli alani. Manuali di etichetta destinati all’aristocrazia cominciavano a circolare proprio in quest’epoca, ma in pochi li leggevano. Del resto anche il Re Sole preferiva usare le mani per mangiare. Per lui, che naturalmente era il primo a essere servito, venivano portate pietanze per otto. Ovviamente il sovrano non mangiava tutto, assaggiava qua e là, ma ostentava un appetito formidabile.

    Questo, infatti, era considerato segno di buona salute e quindi della capacità di proteggere i sudditi, mentre l’abbondanza e la varietà dei cibi era la prova della potenza della Francia. “Ho spesso visto il re”, annotava la cognata, la principessa Palatina, “mangiare quattro piatti di potage, un fagiano intero, una pernice, un gran piatto di insalata, due grandi fette di prosciutto, del montone all’aglio, un piatto di dolci, e ancora frutta e uova sode”.

    «In quest’epoca», racconta Francesca Sgorbati Bosi in A tavola coi re, «al sovrano spettava il compito di dare prova di straordinaria virilità, sia mentre mangiava sia mentre era a letto, dove si dimostrava altrettanto “onnivoro”: solo che in camera sfilavano favorite e cortigiane, qui piatti molto conditi e innaffiati da champagne». Il banchetto cominciava con un ricco potage, termine che oggi significa zuppa, ma che a Versailles era un piatto complesso, come per esempio un cappone alle ostriche. Per sua Maestà e i commensali svolgeva la funzione di aprire lo stomaco (possiamo immaginare quanto dilatato) mentre venivano servite le prime entrées, che tradurre “antipasti” sarebbe riduttivo: lucci fritti in salsa d’acciughe e maialini al latte guarniti con melagrane, fette di limoni e fiori edibili.

    LA GRANDEUR.

    Quello di Luigi XIV era il primo grande esperimento di Stato nazionale, incarnato da un sovrano assoluto, che non rispondeva a nessuno, se non a se stesso. Il suo potere non derivava solo dalla forza degli eserciti, ma, come nelle grandi corti rinascimentali, anche dalla cultura e dall’arte che, sovvenzionate dalla Corona, convinsero i francesi di essere la più grande nazione al mondo, e di conseguenza anche le altre potenze lo considerarono un dato di fatto.

    Nella seconda metà del Seicento, al culmine del suo regno, tutta l’europa era influenzata dalla cultura e dalla moda francesi. Ovunque le donne aristocratiche si vestivano e si truccavano come a Parigi, e il francese era la lingua parlata da diplomatici e uomini d’affari. E se c’era una cucina invidiata, dappertutto, era senza dubbio quella di Versailles.

    Questo nuovo modo di alimentarsi cancellava di colpo abitudini e regole salutistiche che le élite avevano seguito per secoli, se non per millenni. Fino a quel momento, a dettare legge erano ancora i precetti alimentari di Galeno, padre della medicina, vissuto nell’asia Minore grecizzata del II secolo d.c. A dire di Galeno, l’uomo, come del resto il cosmo, era composto da quattro elementi principali (acqua, aria, terra e fuoco) e, se voleva stare in salute, doveva assumere cibi adatti a mantenerli in equilibrio tra loro.

    Nel Seicento cambiò tutto: le élite non mangiavano i cibi ritenuti salutari, ma esclusivamente quello che il sovrano trovava di suo gusto. Entrarono così in cucina i funghi fino a quel momento disprezzati, dato che proliferano nel letame, perché Luigi ne andava matto, come i piselli e i meloni, che diventarono di gran moda. Fare del mangiare un’esperienza estetica si trasformò in una dimostrazione di status. I cuochi iniziarono a essere considerati artisti. Anche se non erano ancora delle star, come oggi, i migliori erano ricercati e ben pagati.

    PECCATO DI GOLA.

    La rottura con il passato non infrangeva solo prescrizioni mediche millenarie, ma anche di natura religiosa. Mangiare oltre lo stretto necessario un tempo significava commettere peccato, ora invece diventò sintomo di buon gusto, lo stesso con cui si ammirava un quadro. Lo scrittore Charles de Saint-évremond scriveva a un’amica letterata: “A 88 anni mangio ostriche tutte le mattine, pranzo bene e mangio abbondantemente. Quando ero giovane ammiravo solo l’intelligenza, dando al corpo meno importanza di quanto si deve; oggi rimedio a questo errore”.

    Questo non significava che il cattolicesimo, di cui il Re Sole si proclamava massimo difensore, avesse perso il suo peso. Anzi, tra i venerdì, la settimana santa, l’avvento, la Quaresima, i giorni di processione, e i digiuni che i confessori erogavano come penitenza, nella Francia del Seicento si contavano da 100 a 150 giorni all’anno in cui si doveva mangiare di magro.ovviamente parliamo dell’aristocrazia, per il popolo ogni giorno era di magro. I sacerdoti erano indulgenti con i ricchi, a corte era considerato accettabile servire ostriche e aragoste nei giorni di magro, in fondo non erano molto diverse dai pesci che Gesù aveva moltiplicato.

    Alla lunga questa dieta sconsideratamente ipercalorica e proteica segnò la salute di tutti, il re per primo. A quarant’anni, a causa della passione per i dolciumi, Luigi non aveva quasi più denti in bocca, e dai documenti di corte si desume che, invecchiando, fosse tormentato dal diabete e dalla gotta, malattia che i dottori curavano con inutili salassi e clisteri, e che lo condusse alla morte.

    Questo fu l’inevitabile epilogo. Prima però la Francia fece in tempo a fare di cultura, buona tavola e eros i tre valori fondanti della sua identità nazionale.

    Fonte: Focus Storia

  • Biblioteca  Reale  – fino   a  sabato  8  settembre  2018  La  Cucina  di  Buon  Gusto

    Rappresenta un  viaggio  tematico  intorno  al  cibo per  mostrare  l’arte  della  buona  tavola a  corte attraverso l’esposizione  di  rari  e  preziosi  ricettari  dal  Seicento  all’Ottocento,  porcellane  e  argenti  reali,  disegni,  manoscritti  dei  più  celebri  trattati  culinari  del  Settecento.

    I  Musei  Reali  conservano  una  prestigiosa  collezione  di  porcellane  raccolte  nel  tempo  dai  Savoia per  impreziosire  le  sale da  pranzo della  residenza.  Nel  salone  monumentale  della Biblioteca  Reale,  nella  sezione  Tavole  Reali, si  può ammirare  una  selezione  dei  più  eleganti servizi  da  tavola,  realizzati da celebri  manifatture  europee  quali Meissen,  Vienna,  Berlino, Baccarat, Richard-Ginori, oltre  ad  alcuni  pezzi  scelti  del  servizio da  dessert  detto delle  “Donne  più  celebri  d’Europa  di  tutti  i  tempi”,  dipinto dall’Atelier  di  Boyer  e  appartenuto a  Maria  Adelaide  Asburgo Lorena,  moglie  di  Vittorio Emanuele  II.  Socio e  successore  del  più  noto pittore  decoratore  Feuillet,  Boyer  ritrae  donne  della  Bibbia,  regine  (sulla  tazzina  è  raffigurata  Isabella  regina  di  Francia, sul  piatto Caterina  imperatrice  di  Russia), attrici, eroine, scrittrici  e muse  ispiratrici  di  opere  letterarie  (sulla  zuccheriera  Beatrice,  la  donna  amata  da Dante  Alighieri).

    A  integrazione  di  questa  sezione  della  mostra sono  esposti anche  alcuni  esemplari  degli  eleganti  argenti  realizzati  nel  XIX  secolo nelle  botteghe  piemontesi  dai membri  della  Corporazione  degli  argentieri,  paragonabili  per  stile  agli  esemplari  conservati  al  Victoria  and  Albert  Museum  di  Londra.  L’esposizione  prosegue  nei  caveaux:  nella  prima sezione Saperi  e  Sapori il  cibo viene  esaltato  nelle  sue  varie  accezioni  e  sfaccettature attraverso  trattati,  mai  esposti  prima,  sull’agricoltura  e  la  pastorizia,  la  caccia  e  la  pesca  e  sulle  eccellenze  piemontesi,  come i  vini

    Nella  sezione Invito  a  Tavola, allestita  nelle  diciannove  vetrine  della  Sala Leonardo,  vengono idealmente  ricostruiti  due  diversi  menù:  il  primo  è  ispirato  ai  due  banchetti  serviti  a  corte  nell’autunno  del  1865,mentre  il  secondo  illustra  diverse  ricette  della  tradizione  piemontese.

    Benché  i  ricettari  venissero  di  norma  conservati nelle  scansie  delle  cucine,  la  Biblioteca  Reale  ne  costudisce  ben  53 di  epoca  principalmente  ottocentesca,  ma  anche una  quindicina  di  edizioni  del  Settecento,  due  del  Seicento  e  tre del  Cinquecento,  collezionate  dal  marchese  senatore  Lodovico  Pallavicino  Mossi  ed  entrate nelle  raccolte  della  Biblioteca  nel  1966,  con  l’acquisizione  dell’omonimo  Fondo  donato  dalle  sorelle  dell’ultimo  marchese.  Tra  i  ricettari in  mostra,  si  trovano  alcuni  dei  più  celebri  trattati  di  cucina:  la  Physiologie  du  goûtdi  Jean-Anthelme  Brillat-Savarin  considerato  il  primo  vero  trattato  di  gastronomia;L’art  du  cuisinierdi  Antoine  Beauvilliers;Dell’arte  del  cucinaredi  Bartolomeo  Scappi,dove  si  trova  la  prima  testimonianza  “per  fare  torta  con  diverse  materie,  dà  napoletani  detta  pizza”;  il  più  noto  trattato  di  cucina  piemontese  Il  cuoco  piemontese  ridotto  all’ultimo  gusto  con  nuove  aggiunte,  un’opera  anonima  pubblicata  nel  1766  cheannovera  ben  ventidue  ristampe;  il  Grand  dictionnaire  de  cuisinedi  Alexandre  Dumas,  un  vero  e  proprio  monumento  letterario  alla  tradizione  gastronomica  francese.

    Orario e maggiori informazione per tutte le altre mostre in programma clicca qui

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  • Capolavori dalla collezione di Francesco Federico Cerruti

    La mostra Giorgio de Chirico. Capolavori dalla Collezione di Francesco Federico Cerruti a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria presenta per la prima volta al Castello di Rivoli un selezionato nucleo di capolavori di Giorgio de Chirico provenienti dalla collezione di Francesco Federico Cerruti, offrendo così alla fruizione pubblica opere sino a ora celate nella Villa Cerruti di Rivoli, dimora voluta dall’imprenditore torinese negli anni sessanta ad uso esclusivo della propria collezione privata

    . Per ammissione dello stesso de Chirico, Torino, luogo che vide l’esplosione della pazzia di Nietzsche, è tra le città italiane che ispirarono i primi quadri metafisici con le loro atmosfere malinconiche. Includendo opere che spaziano dal 1916 al 1927, la mostra al Castello di Rivoli presenta otto importanti dipinti del maestro della Metafisica.

    Offrendo uno spaccato sull’inesauribile capacità metamorfica del genio di de Chirico, la mostra ne indaga la ricca eredità intellettuale presentando i suoi quadri in relazione con alcune tra le maggiori opere di arte contemporanea della collezione permanente del Museo, tra cui installazioni di Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto e Maurizio Cattelan.

     

  • “…Non hanno paura di voi, hanno paura di quello che voi rappresentate per loro: la libertà!” 
    (Dal film Easy Rider)

    Dal 18 luglio è  presente presso la Venaria Reale negli spazi della Citroniera delle Scuderie Juvarriana, la una mostra-happening : Easy Rider, il mito della motocicletta come arte.

    Indaga sulle varie componenti produttive e stilistiche, ma soprattutto i suoi significati antropologici di fuga dal mondo, libertà e la corsa verso l’ignoto.

    La motocicletta, tra stile, velocità, prestazioni, ha alimentato diversi miti: il viaggio, la conquista della libertà, la solitudine nel paesaggio. Capire il motore, saperlo ascoltare, curare, guarire.

    L’estetica della motocicletta incontra il mondo della cultura alta, solo apparentemente distante: letteratura, cinema, arti visive, fotografia. E ancora: moda, design, costume e società.

    Attraverso l’esposizione di modelli storici, entrati nell’immaginario collettivo, la mostra racconta una serie di episodi di una storia straordinaria diventata leggenda: Stile, forma e design italiano (Guzzi, Ducati, Gilera); Sì viaggiare (Harley Davidson, Norton, BMW, Honda); Mal d’Africa (Yamaha, KTM); Il Giappone e la tecnologia (Suzuki, Honda, Kawasaki, Yamaha).

    Honda, protagonista della rinascita industriale nipponica del secondo dopoguerra e da sempre punto di riferimento per il suo avanguardismo tecnologico ed estetico, non poteva mancare.

    L’esposizione, attraverso riferimenti espliciti e suggestioni indirette, crea un connubio tra oltre cinquanta modelli di moto e opere d’arte contemporanea, come quelle, tra le altre, di artisti del calibro di Antonio Ligabue, Mario Merz e Pino Pascali. 7

    Gli spettatori della mostra Easy Rider – Il mito della motocicletta come arte –  potranno essere protagonisti di questo incontro tra arte e design scattandosi un selfie in sella alla Honda CB1000R.

    Basterà poi pubblicarlo sui propri profili social (Facebook, Instagram, Twitter) con l’hashtag #MostraEasyRider e #CB1000Rart . Ogni mese, da luglio a febbraio 2019, le 10 foto ritenute più ‘originali’ da una speciale giuria Honda, saranno pubblicate sul profilo ufficiale Facebook Honda Moto che vanta oltre un milione fan.

    La Venaria Reale con il Patrocinio della Città di Torino e Honda partecipa come ‘Art Supporter’ alla mostra Easy Rider

    Per la realizzazione della mostra si ringraziano:

    Il MAUTO – Museo Nazionale dell’Automobile di Torino per il prestito della Gilera Grand Prix (1952);

    Museo del Sidecar di Cingoli che ha concesso il prestito delle Triumph TR6 Duplex (1961), Harley-Davidson HYdra Glaide Chopper (1949), Triumph
    thunderbird duplex (1961);

    Museo Ducati di Bologna con le Ducati 916 (1994), Ducati Desmosedici MOTO GP (2009) e Harley-Davidson XLH 883;

    Museo Nazionale del Motociclo di Rimini presente in mostra con la Moto Guzzi GTW 500 (1937) di Ligabue

    Museo Piaggio di Pontedera presente in Venaria con la Vespa di Bettinelli (1992)

    Museo Moto Guzzi con la Guzzi V7 (1969).

    Per maggori informazioni 

     

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