Sono stati 21.344 i visitatori che hanno affollato i Musei Reali di Torino in occasione del ponte di Ognissanti, in un lungo weekend fitto di appuntamenti, aperture straordinarie e eventi e laboratori per le famiglie.
Le prime code, velocemente smaltite, si sono formate fin da giovedì mattina, e nelle giornate di venerdì e sabato in moltissimi hanno approfittato delle visite guidate gratuite alla Cappella della Sindone, recentemente riaperta al pubblico.
Per tutta la durata del ponte e in particolare in occasione dell’apertura straordinaria per la Notte delle Arti Contemporanee, il pubblico non ha resistito al richiamo dei personaggi più celebri dei mondi di Testa presenti all’interno dell’esposizione nelle Sale Chiablese Tutti gli “ismi” di Armando Testa(fino al 24 febbraio 2019): dall’ “uomo moderno”, al logo senza tempo Punt e Mes, dall’ippopotamo Pippo ai divertenti caroselli abitati da Carmencita e Caballero e gli sferici extraterrestri del pianeta Papalla.
Grande successo di pubblico, nelle giornate di venerdì e sabato, per le visite alle stanze della Regina Elena e le Cucine Reali condotte dagli Amici di Palazzo Reale, che proseguono ogni fine settimana fine a fine novembre.
Il 4 novembre inoltre, giornata di apertura gratuita dei Musei Reali, è stata straordinariamente accessibile al pubblico anche la Biblioteca Reale, che attualmente ospita la mostra Il testamento del Capitano. I giovani e la Grande Guerra tra illusioni e realtà. All’interno dell’esposizione, documenti e testimonianze dalle raccolte della Biblioteca Reale e da collezioni private illustrano dalla seconda metà dell’Ottocento al primo conflitto bellico il contesto sociale di generazioni che furono testimoni di eventi epocali.
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Palazzo Ducale e Genova dedicano a Niccolò Paganini una grande mostra con l’intento di raccontare, attraverso una narrazione contemporanea, curiosa, spettacolare e multimediale, la vita del grande musicista, caratterizzata da un enorme successo di pubblico, ma anche da rapporti umani spesso travagliati e complessi. Lo scopo principale del percorso espositivo è quello di indagare quale sia stata l’eredità che il grande maestro ha trasmesso ai suoi contemporanei, arrivando fino al confronto estremo con la musica contemporanea, in particolare con un grande e indimenticato protagonista della musica rock: Jimi Hendrix.
Per meglio comprendere la grandezza e l’importanza di Paganini, sia dal punto di vista musicale che da quello performativo e spettacolare, il confronto si estende ad alcune personalità della scena musicale contemporanea, sia pop-rock che classica, ognuno dei quali scelto per esplorare, attraverso la propria esperienza, alcuni aspetti della propria vita artistica e eventuali similitudini con l’esperienza paganiniana. In questa mostra è la musica a essere protagonista, rappresentata e raccontata attraverso metafore visive che mettono in scena le caratteristiche essenziali della musica del grande artista genovese.
Circondato da un alone di mistero, artista virtuoso, formidabile performer capace di ammaliare il pubblico, abile costruttore della propria immagine, Paganini non è stato soltanto uno dei più importanti violinisti mai esistiti, è stato anche pioniere della complessa transizione verso la modernità: la sua storia, la sua figura, condensano in modo esemplare il passaggio da un mondo all’altro, da quello tradizionale, ottocentesco e romantico a quello moderno, complesso e contraddittorio.
Le descrizioni di Niccolò Paganini che ci sono state tramandate convergono tutte in una fisicità debole, un corpo fragile, eccessivamente magro: “Profilo d’aquila, occhi magnetici, mobilissimi: capelli neri, lunghi. […] Aveva qualcosa di spettrale e di fantastico, onde la sua sola apparizione alla ribalta destava nel pubblico un’impressione profonda”. Descrizioni a tutti gli effetti romantiche, che si legano all’immaginario del genio, del passionale, del diabolico.
Eppure, nonostante questa fragilità fisica, i suoi concerti divennero presto leggendari: “trascinava l’uditorio al più vivo entusiasmo, meravigliandolo col suo slancio, con la foga, con la trascendentale maestria del suo strumento”. Delle vere e proprie performance, come le chiameremmo oggi, in cui il pubblico andava in visibilio catturato dal magnetismo di Paganini.
Fuori da ogni convenzione e da ogni luogo comune, Paganini si può considerare realmente un rivoluzionario. Come pochi altri prima di lui ha cambiato le regole, trasformando sia i paradigmi tecnici dello strumento sia quelli estetici della musica a lui contemporanea: in questo consiste tutta la sua attualità e la ragione per cui, ancora oggi, un artista così ci appartiene.
Per tutto questo, per lo spettacolo che il suo modo di suonare comportava, oltreché per l’immagine di sé, Paganini può essere considerato a tutti gli effetti antesignano della rockstar, se poi è anche vero che molte delle sue esibizioni/performance terminavano con la rottura delle corde del violino.
La mostra, dunque, dedica grande attenzione all’idea di Paganini come prima rockstar della storia, azzardando, a ragione, raffronti con alcuni grandi virtuosi della musica rock, in particolare con Jimi Hendrix, raccontando e confrontando i personaggi attraverso non solo oggetti e documenti, ma anche elementi scenici fortemente suggestivi, che possano creare una forte empatia con il pubblico.Curata da Roberto Grisley, Raffaele Mellace e Ivano Fossati, affiancati da un comitato scientifico composto dagli stessi curatori e da Claudio Proietti – coordinatore – e Roberto Iovino, Maria Amoretti Fontana, Pietro Leveratto
Catalogo Silvana Editoriale con saggi di Marco D’Aureli, Maiko Kawabata, Raffaele Mellace, Daniela Macchione, Roberto Iovino, Peter Sheppard Skærved, Claudio Proietti, Pietro Leveratto, Maria Fontana Amoretti, Ivano Fossati, Enzo Gentile, NEO – Narrative Environments Operas di Milano.
La mostra, prodotta e organizzata dalla Fondazione Palazzo Ducale, promossa da Comune di Genova e Regione Liguria, sponsor privati tra cui Iren, Coop, Compagnia di San Paolo, Costa edutainment, Fondazione Carige.
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Sono stati 14.000 i visitatori dei Musei Reali che non hanno voluto perdere l’occasione di ammirare la Cappella della Sindone, riappropriandosi del capolavoro di Guarini riaperto giovedì 27 settembre dal Ministro per i beni e le attività culturali Alberto Bonisoli a 21 anni dal disastroso incendio che minò gravemente la struttura.
Per facilitare l’accesso, i Musei Reali hanno potenziato il servizio di accoglienza così da limitare quanto più possibile code e disagi al numeroso pubblico, che per questa speciale occasione ha avuto la possibilità di visitare tutto il complesso museale al prezzo di 3 Euro.
La punta massima di visitatori si è registrata domenica 30 settembre con 5932 biglietti staccati; sabato invece sono stati registrati 4307 visitatori e venerdì 3707. A questi si aggiungono i 400 partecipanti all’inaugurazione e i 150 giornalisti accreditati. Un pubblico eterogeneo, composto da famiglie, turisti italiani e stranieri, giovani e giovanissimi.
Ottimo riscontro di partecipazione anche per il convegno internazionale di studi Un capolavoro dell’architettura barocca.La Cappella della Sindone tra storia e restauro tenutosi presso l’auditorium Vivaldi della Biblioteca Nazionale con relatori di altissimo profilo. L’appuntamento ha registrato il tutto esaurito già la settimana precedente, quando è stato raggiunto il numero massimo di partecipanti iscritti. 700 persone hanno seguito le sessioni delle due giornate di lavori. Il convegno, trasmesso in streaming, è stato seguito in diretta da oltre 900 utenti in numerosi Paesi.
“Siamo felici di questa risposta del pubblico – commenta Enrica Pagella, Direttrice del Musei Reali – che dimostra quanta attesa e quanto affetto circondino questo straordinario capolavoro.La riapertura della Cappella aggiunge un altro importante tassello al percorso che i Musei Reali hanno intrapreso e che nei prossimi anni li porterà a divenire uno dei più grandi complessi museali d’Italia. In questi giorni – conclude – i Musei hanno dimostrato la loro straordinaria potenzialità, sottolineata anche dal Ministro Bonisoli in questa visita. Un doveroso ringraziamento va ai nostri partner e ai nostri sponsor, alle autorità di sicurezza e anche ai tantissimi volontari di diverse associazioni che si sono prodigati in questi giorni per coadiuvarci nell’accoglienza dei visitatori nella Cappella, nei musei e nei giardini”.
Domenica 30 settembre sarà l’ultima sera per ammirare l’illuminazione notturna esterna colorata, ispirata ai colori della liturgia.
Da martedì la Cappella sarà inserita nel regolare percorso di visita dei Musei Reali di Torino.Segui i Musei Reali con l’hashtag #museirealitorino su Facebook Musei Reali Torino / Twitter @MuseiRealiTo / Instagram MuseiRealiTorino
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Avevo bisogno di fare passare un po’ di tempo, prima di esprimere i miei pensieri sull’inaugurazione della Cupola del Guarini.
Ieri è stata una giornata intensa, frenetica, tante emozioni: attesa, curiosità, emozione.
Ora rimane l’emozione, l’emozione di un luogo importante per Torino e i torinesi per il valore e il simbolo che questo luogo significa sia dal punto di vista religioso che culturale.
Una giornata, molto importante, come espresso anche dal ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli: «Restituiamo un’opera di altissimo valore a Torino e a tutto il mondo», che ha aggiunto «un bene culturale ha non solo un valore economico, ma anche religioso, artistico e soprattutto simbolico. I torinesi hanno vissuto il rogo come un lutto. Ho vissuto un anno a Torino nel 1997 e mi ricordo l’angoscia. I beni culturali appartengono alle comunità che fanno un valore speciale».
Sai tutto sulla Cupola della Sindone? Questo video dei Musei Reali, molto ben fatto, ti sorprenderà e ti dirà cose che forse non sapevi.
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Il 27 Settembre il Ministro Bonisoli partecipa all’inaugurazione dell’attesa restituzione del capolavoro di Guarino Guarini a vent’anni dal disastroso incendio che tenne il mondo con il fiato sospeso.
Dopo un lungo e difficile restauro avviato all’indomani del tragico incendio dell’11 aprile 1997, viene finalmente restituita al mondo la mirabile architettura barocca di Guarino Guarini, accessibile al pubblico nel percorso di visita dei Musei Reali.
La cerimonia di apertura è prevista presso il Teatro Regio di Torino alla presenza del Ministro per i beni e le attività culturali Alberto Bonisoli.
Il pubblico potrà ammirare la Cappella della Sindone da venerdì 28 a domenica 30 settembre al prezzo speciale di 3 Euro.
Da martedì 2 ottobre l’accesso sarà compreso nel biglietto dei Musei Reali.
Il restauro è stato finanziato dal Ministero per i beni e le attività culturali con il sostegno di Compagnia di San Paolo, Fondazione La Stampa – Specchio dei Tempi, Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, IREN e Performance in Lighting.
La Cappella non conterrà più la Sindone, ma sarà restituita ai visitatori, ai turisti, e ai torinesi più giovani, nella sua straordinaria struttura architettonica, così come immaginata a fine Seicento dal genio di Guarino Guarini.
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Pietanze prelibate e una sfarzosa “mise en place” alla tavola del Re Sole, dove sedevano anche migliaia di persone.
Agli ordini dell’esigente maître una schiera di chef, sous chef, sommelier, rosticcieri e pasticcieri si affannava nelle grandi cucine, dove fuochi e forni erano sempre accesi e le grandi marmitte non smettevano mai di sobbollire. Dalle cantine, le cui chiavi erano gelosamente custodite, uscivano bottiglie di magnifici rossi di Borgogna o di Champagne; dagli orti di palazzo, coltivati con tecniche all’avanguardia, arrivavano canestri di verdura, frutta, erbe aromatiche e funghi; dai boschi reali, cacciagione e deliziosi tartufi. Sui taglieri veniva sezionato ogni genere di animale, dal manzo al castoro, dai crostacei alle tartarughe, passando dagli uccelli le cui giunture venivano recise con cura.
Alla tavola del Re Sole ogni giorno si accomodavano migliaia di nobili con il loro seguito: il sovrano infatti aveva preteso che il suo entourage lasciasse Parigi per seguirlo nella dorata gabbia di Versailles. Si mangiava tutti insieme, come alla mensa di una grande azienda, solo che tutto doveva essere superlativo, perché il cibo rappresentava la generosità del re. Ma per nutrire un simile esercito, ce ne voleva un altro che lavorasse tra i fumi delle cucine.
TABLEAU ROYAL.
Un banchetto reale, nelle grandi occasioni, prevedeva non meno di quattro o cinque portate. Immensi vassoi viaggiavano veloci dalle cucine alle sale imbandite, carichi di pietanze ricercate, dall’aspetto magnifico, protette da campane d’argento, pronti ad atterrare sulle tavole con precisione e simultaneità. Tutto arrivava a ondate per trasmettere la sensazione di ricchezza e abbondanza: antipasti, arrosti, stufati, cacciagione, erano intervallati da entremets (portate intermedie, “leggere”, servite tra una pietanza e l’altra) come lingue di cervo, piedini di maiale cotti nel brodo, o morbide tettine di vacca. Le spezie, invece, un tempo ritenute merce pregiata, caddero in disuso quando, nel Seicento, i veneziani persero il monopolio del commercio con l’oriente, causando la caduta dei prezzi e trasformando gli aromi da cucina in prodotti ordinari.
BUONE MANIERE.
I cortigiani del Re Sole amavano ascoltare la musica a tavola; in mancanza di musici, apprezzavano anche cantanti, a cui spesso i commensali si univano al ritornello, incuranti del cibo che avevano in bocca.
Per bere bastava fare un segno al cameriere personale. Una volta vuotato, il bicchiere veniva sciacquato in un bacile, e poco importava se durante il pranzo i recipienti si scambiavano. Il concetto di igiene era molto diverso dal nostro. L’uso delle posate era a discrezione dei commensali, perciò era facile vedere un compìto marchese pulirsi le dita sporche di grasso nella tovaglia dopo aver mangiato con le mani, o una bella contessa sputare nella mano un boccone sgradito e gettarlo sotto il tavolo per gli alani. Manuali di etichetta destinati all’aristocrazia cominciavano a circolare proprio in quest’epoca, ma in pochi li leggevano. Del resto anche il Re Sole preferiva usare le mani per mangiare. Per lui, che naturalmente era il primo a essere servito, venivano portate pietanze per otto. Ovviamente il sovrano non mangiava tutto, assaggiava qua e là, ma ostentava un appetito formidabile.
Questo, infatti, era considerato segno di buona salute e quindi della capacità di proteggere i sudditi, mentre l’abbondanza e la varietà dei cibi era la prova della potenza della Francia. “Ho spesso visto il re”, annotava la cognata, la principessa Palatina, “mangiare quattro piatti di potage, un fagiano intero, una pernice, un gran piatto di insalata, due grandi fette di prosciutto, del montone all’aglio, un piatto di dolci, e ancora frutta e uova sode”.
«In quest’epoca», racconta Francesca Sgorbati Bosi in A tavola coi re, «al sovrano spettava il compito di dare prova di straordinaria virilità, sia mentre mangiava sia mentre era a letto, dove si dimostrava altrettanto “onnivoro”: solo che in camera sfilavano favorite e cortigiane, qui piatti molto conditi e innaffiati da champagne». Il banchetto cominciava con un ricco potage, termine che oggi significa zuppa, ma che a Versailles era un piatto complesso, come per esempio un cappone alle ostriche. Per sua Maestà e i commensali svolgeva la funzione di aprire lo stomaco (possiamo immaginare quanto dilatato) mentre venivano servite le prime entrées, che tradurre “antipasti” sarebbe riduttivo: lucci fritti in salsa d’acciughe e maialini al latte guarniti con melagrane, fette di limoni e fiori edibili.
LA GRANDEUR.
Quello di Luigi XIV era il primo grande esperimento di Stato nazionale, incarnato da un sovrano assoluto, che non rispondeva a nessuno, se non a se stesso. Il suo potere non derivava solo dalla forza degli eserciti, ma, come nelle grandi corti rinascimentali, anche dalla cultura e dall’arte che, sovvenzionate dalla Corona, convinsero i francesi di essere la più grande nazione al mondo, e di conseguenza anche le altre potenze lo considerarono un dato di fatto.
Nella seconda metà del Seicento, al culmine del suo regno, tutta l’europa era influenzata dalla cultura e dalla moda francesi. Ovunque le donne aristocratiche si vestivano e si truccavano come a Parigi, e il francese era la lingua parlata da diplomatici e uomini d’affari. E se c’era una cucina invidiata, dappertutto, era senza dubbio quella di Versailles.
Questo nuovo modo di alimentarsi cancellava di colpo abitudini e regole salutistiche che le élite avevano seguito per secoli, se non per millenni. Fino a quel momento, a dettare legge erano ancora i precetti alimentari di Galeno, padre della medicina, vissuto nell’asia Minore grecizzata del II secolo d.c. A dire di Galeno, l’uomo, come del resto il cosmo, era composto da quattro elementi principali (acqua, aria, terra e fuoco) e, se voleva stare in salute, doveva assumere cibi adatti a mantenerli in equilibrio tra loro.
Nel Seicento cambiò tutto: le élite non mangiavano i cibi ritenuti salutari, ma esclusivamente quello che il sovrano trovava di suo gusto. Entrarono così in cucina i funghi fino a quel momento disprezzati, dato che proliferano nel letame, perché Luigi ne andava matto, come i piselli e i meloni, che diventarono di gran moda. Fare del mangiare un’esperienza estetica si trasformò in una dimostrazione di status. I cuochi iniziarono a essere considerati artisti. Anche se non erano ancora delle star, come oggi, i migliori erano ricercati e ben pagati.
PECCATO DI GOLA.
La rottura con il passato non infrangeva solo prescrizioni mediche millenarie, ma anche di natura religiosa. Mangiare oltre lo stretto necessario un tempo significava commettere peccato, ora invece diventò sintomo di buon gusto, lo stesso con cui si ammirava un quadro. Lo scrittore Charles de Saint-évremond scriveva a un’amica letterata: “A 88 anni mangio ostriche tutte le mattine, pranzo bene e mangio abbondantemente. Quando ero giovane ammiravo solo l’intelligenza, dando al corpo meno importanza di quanto si deve; oggi rimedio a questo errore”.
Questo non significava che il cattolicesimo, di cui il Re Sole si proclamava massimo difensore, avesse perso il suo peso. Anzi, tra i venerdì, la settimana santa, l’avvento, la Quaresima, i giorni di processione, e i digiuni che i confessori erogavano come penitenza, nella Francia del Seicento si contavano da 100 a 150 giorni all’anno in cui si doveva mangiare di magro.ovviamente parliamo dell’aristocrazia, per il popolo ogni giorno era di magro. I sacerdoti erano indulgenti con i ricchi, a corte era considerato accettabile servire ostriche e aragoste nei giorni di magro, in fondo non erano molto diverse dai pesci che Gesù aveva moltiplicato.
Alla lunga questa dieta sconsideratamente ipercalorica e proteica segnò la salute di tutti, il re per primo. A quarant’anni, a causa della passione per i dolciumi, Luigi non aveva quasi più denti in bocca, e dai documenti di corte si desume che, invecchiando, fosse tormentato dal diabete e dalla gotta, malattia che i dottori curavano con inutili salassi e clisteri, e che lo condusse alla morte.
Questo fu l’inevitabile epilogo. Prima però la Francia fece in tempo a fare di cultura, buona tavola e eros i tre valori fondanti della sua identità nazionale.
Fonte: Focus Storia
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Biblioteca Reale – fino a sabato 8 settembre 2018 La Cucina di Buon Gusto
Rappresenta un viaggio tematico intorno al cibo per mostrare l’arte della buona tavola a corte attraverso l’esposizione di rari e preziosi ricettari dal Seicento all’Ottocento, porcellane e argenti reali, disegni, manoscritti dei più celebri trattati culinari del Settecento.
I Musei Reali conservano una prestigiosa collezione di porcellane raccolte nel tempo dai Savoia per impreziosire le sale da pranzo della residenza. Nel salone monumentale della Biblioteca Reale, nella sezione Tavole Reali, si può ammirare una selezione dei più eleganti servizi da tavola, realizzati da celebri manifatture europee quali Meissen, Vienna, Berlino, Baccarat, Richard-Ginori, oltre ad alcuni pezzi scelti del servizio da dessert detto delle “Donne più celebri d’Europa di tutti i tempi”, dipinto dall’Atelier di Boyer e appartenuto a Maria Adelaide Asburgo Lorena, moglie di Vittorio Emanuele II. Socio e successore del più noto pittore decoratore Feuillet, Boyer ritrae donne della Bibbia, regine (sulla tazzina è raffigurata Isabella regina di Francia, sul piatto Caterina imperatrice di Russia), attrici, eroine, scrittrici e muse ispiratrici di opere letterarie (sulla zuccheriera Beatrice, la donna amata da Dante Alighieri).
A integrazione di questa sezione della mostra sono esposti anche alcuni esemplari degli eleganti argenti realizzati nel XIX secolo nelle botteghe piemontesi dai membri della Corporazione degli argentieri, paragonabili per stile agli esemplari conservati al Victoria and Albert Museum di Londra. L’esposizione prosegue nei caveaux: nella prima sezione Saperi e Sapori il cibo viene esaltato nelle sue varie accezioni e sfaccettature attraverso trattati, mai esposti prima, sull’agricoltura e la pastorizia, la caccia e la pesca e sulle eccellenze piemontesi, come i vini
Nella sezione Invito a Tavola, allestita nelle diciannove vetrine della Sala Leonardo, vengono idealmente ricostruiti due diversi menù: il primo è ispirato ai due banchetti serviti a corte nell’autunno del 1865,mentre il secondo illustra diverse ricette della tradizione piemontese.
Benché i ricettari venissero di norma conservati nelle scansie delle cucine, la Biblioteca Reale ne costudisce ben 53 di epoca principalmente ottocentesca, ma anche una quindicina di edizioni del Settecento, due del Seicento e tre del Cinquecento, collezionate dal marchese senatore Lodovico Pallavicino Mossi ed entrate nelle raccolte della Biblioteca nel 1966, con l’acquisizione dell’omonimo Fondo donato dalle sorelle dell’ultimo marchese. Tra i ricettari in mostra, si trovano alcuni dei più celebri trattati di cucina: la Physiologie du goûtdi Jean-Anthelme Brillat-Savarin considerato il primo vero trattato di gastronomia;L’art du cuisinierdi Antoine Beauvilliers;Dell’arte del cucinaredi Bartolomeo Scappi,dove si trova la prima testimonianza “per fare torta con diverse materie, dà napoletani detta pizza”; il più noto trattato di cucina piemontese Il cuoco piemontese ridotto all’ultimo gusto con nuove aggiunte, un’opera anonima pubblicata nel 1766 cheannovera ben ventidue ristampe; il Grand dictionnaire de cuisinedi Alexandre Dumas, un vero e proprio monumento letterario alla tradizione gastronomica francese.
Orario e maggiori informazione per tutte le altre mostre in programma clicca qui
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Capolavori dalla collezione di Francesco Federico Cerruti
La mostra Giorgio de Chirico. Capolavori dalla Collezione di Francesco Federico Cerruti a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria presenta per la prima volta al Castello di Rivoli un selezionato nucleo di capolavori di Giorgio de Chirico provenienti dalla collezione di Francesco Federico Cerruti, offrendo così alla fruizione pubblica opere sino a ora celate nella Villa Cerruti di Rivoli, dimora voluta dall’imprenditore torinese negli anni sessanta ad uso esclusivo della propria collezione privata
. Per ammissione dello stesso de Chirico, Torino, luogo che vide l’esplosione della pazzia di Nietzsche, è tra le città italiane che ispirarono i primi quadri metafisici con le loro atmosfere malinconiche. Includendo opere che spaziano dal 1916 al 1927, la mostra al Castello di Rivoli presenta otto importanti dipinti del maestro della Metafisica.
Offrendo uno spaccato sull’inesauribile capacità metamorfica del genio di de Chirico, la mostra ne indaga la ricca eredità intellettuale presentando i suoi quadri in relazione con alcune tra le maggiori opere di arte contemporanea della collezione permanente del Museo, tra cui installazioni di Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto e Maurizio Cattelan.
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“…Non hanno paura di voi, hanno paura di quello che voi rappresentate per loro: la libertà!”
(Dal film Easy Rider)
Dal 18 luglio è presente presso la Venaria Reale negli spazi della Citroniera delle Scuderie Juvarriana, la una mostra-happening : Easy Rider, il mito della motocicletta come arte.
Indaga sulle varie componenti produttive e stilistiche, ma soprattutto i suoi significati antropologici di fuga dal mondo, libertà e la corsa verso l’ignoto.
La motocicletta, tra stile, velocità, prestazioni, ha alimentato diversi miti: il viaggio, la conquista della libertà, la solitudine nel paesaggio. Capire il motore, saperlo ascoltare, curare, guarire.
L’estetica della motocicletta incontra il mondo della cultura alta, solo apparentemente distante: letteratura, cinema, arti visive, fotografia. E ancora: moda, design, costume e società.
Attraverso l’esposizione di modelli storici, entrati nell’immaginario collettivo, la mostra racconta una serie di episodi di una storia straordinaria diventata leggenda: Stile, forma e design italiano (Guzzi, Ducati, Gilera); Sì viaggiare (Harley Davidson, Norton, BMW, Honda); Mal d’Africa (Yamaha, KTM); Il Giappone e la tecnologia (Suzuki, Honda, Kawasaki, Yamaha).
Honda, protagonista della rinascita industriale nipponica del secondo dopoguerra e da sempre punto di riferimento per il suo avanguardismo tecnologico ed estetico, non poteva mancare.
L’esposizione, attraverso riferimenti espliciti e suggestioni indirette, crea un connubio tra oltre cinquanta modelli di moto e opere d’arte contemporanea, come quelle, tra le altre, di artisti del calibro di Antonio Ligabue, Mario Merz e Pino Pascali. 7
Gli spettatori della mostra Easy Rider – Il mito della motocicletta come arte – potranno essere protagonisti di questo incontro tra arte e design scattandosi un selfie in sella alla Honda CB1000R.
Basterà poi pubblicarlo sui propri profili social (Facebook, Instagram, Twitter) con l’hashtag #MostraEasyRider e #CB1000Rart . Ogni mese, da luglio a febbraio 2019, le 10 foto ritenute più ‘originali’ da una speciale giuria Honda, saranno pubblicate sul profilo ufficiale Facebook Honda Moto che vanta oltre un milione fan.
La Venaria Reale con il Patrocinio della Città di Torino e Honda partecipa come ‘Art Supporter’ alla mostra Easy Rider
Per la realizzazione della mostra si ringraziano:
Il MAUTO – Museo Nazionale dell’Automobile di Torino per il prestito della Gilera Grand Prix (1952);
Museo del Sidecar di Cingoli che ha concesso il prestito delle Triumph TR6 Duplex (1961), Harley-Davidson HYdra Glaide Chopper (1949), Triumph
thunderbird duplex (1961);Museo Ducati di Bologna con le Ducati 916 (1994), Ducati Desmosedici MOTO GP (2009) e Harley-Davidson XLH 883;
Museo Nazionale del Motociclo di Rimini presente in mostra con la Moto Guzzi GTW 500 (1937) di Ligabue
Museo Piaggio di Pontedera presente in Venaria con la Vespa di Bettinelli (1992)
Museo Moto Guzzi con la Guzzi V7 (1969).