Categoria: Mostre

  • Venti opere fotografiche collocate lungo il percorso di visita del Museo della Arti Orientali di Torino, sono il progetto che la fotografa inglese di origini turche, Güler Ates, ha realizzato per il MAO, all’interno di una proposta didattica formulata dalle Aziende e dagli Enti Soci della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino per gli allievi dell’Accademia Albertina, con la Royal Academy of Schools di Londra, dove l’artista è Tutor.

    La mostra è parte di Art Site Fest 2019, curata da Domenico Maria Papa, giunge quest’anno alla quinta edizione e propone un percorso attraverso i linguaggi della contemporaneità – scultura, pittura, teatro, musica, letteratura – in dialogo con alcune delle più belle residenze del Piemonte.

    Le opere fotografiche di Güler Ates riprendono autentiche perfomance tra danza e teatro, contestualizzate per gli ambienti in cui hanno luogo.

    Le modelle, delle quali si intuisce appena la fisionomia, sono abbigliate con stoffe colorate, spesso preziose, rappresentano presenze metafisiche che si muovono all’interno degli ambienti storici, restituendone lo spirito.

    I progetti realizzati da Güler Ates sono ambientati in dimore e musei situati in diversi Paesi europei, Medio Oriente, India e Sud America.

    Nel corso della sua residenza torinese, Güler Ates ha prodotto alcune immagini tratte da shooting fotografici all’interno delle sale del MAO, dove ha allestito un vero e proprio set, per proporre e raccontare con il suo linguaggio una personale visione del Museo.

    Durante il suo lavoro l’artista è stata seguita da 25 selezionati studenti dell’Accademia Albertina, che hanno potuto partecipare alle diverse fasi del lavoro dell’artista e seguire un workshop sulla creatività e i contenuti del progetto che ha portato a SHORELESS.

    Le foto scattate al MAO, insieme ad altre immagini riprese in diversi Paesi e in particolare in India, costituiscono il nucleo della mostra SHORELESS, un dialogo aperto a livelli di interpretazione a confronto con le preziose collezioni del museo, un invito a riflettere sulla migrazione che da sempre caratterizza la storia dei popoli e l’incontro/scontro tra le culture. La mostra è, dunque, la condizione di un approdo sempre rimandato e mai definitivo, della costante messa in discussione delle identità culturali.

    Nella sua ricerca Ates è soprattutto interessata al dialogo tra Oriente e Occidente.

    Nell’approfondire i molti rapporti, intessuti nel corso dei secoli, rimango affascinatadice l’artistada come la cultura occidentale sia debitrice di forme e immagini verso l’Oriente, prossimo o lontano. E da come l’Oriente guardi da sempre all’arte europea come ad una fonte di ispirazione. La nostra epoca spesso dimentica questa millenaria storia di scambi, finendo paradossalmente per allungare le distanze, proprio in un momento storico che ci permette di accorciarle.”

    Secondo il curatore della mostra e direttore artistico di Art Site Fest, Domenico Maria Papa, “le opere di Güler Ates sono site responsive. Quando non sono create per gli spazi in cui sono esposte, sono sensibili ad essi. Si caricano delle qualità e dei significati dei luoghi. A differenza di una parte importante della produzione contemporanea, che spesso si astrae da un contesto per essere osservata nello spazio neutro di una galleria, la ricerca di Ates è da sempre indirizzata a cultura e storia degli ambienti ai quali si rivolge. Ogni sua opera mira, attraverso lo spiazzamento provocato dalle sue misteriose figure, a sollecitare lo spettatore, inducendolo a riconsiderare le sue abitudini percettive.”

    Il MAO – dice il direttore Marco Guglielminotti Trivelnasce come museo di arte orientale antica, ma si è aperto fin dal 2010 all’esplorazione della contemporaneità – ospitando in diverse occasioni sia le opere di artisti asiatici sia i lavori di artisti europei che si ispirano alle culture dell’Asia da varie prospettive. Il lavoro di Güler Ates coniuga queste due possibilità: artista di origine asiatica ma naturalizzata europea, guarda a un museo europeo di oggetti asiatici con uno sguardo da cittadina del Mondo. E in questo sguardo, attraverso il velo delle sue misteriose figure, si disvela la Musa ispiratrice della natura stessa di un museo come il MAO, che è stato creato e continua a vivere proprio per il superamento di dicotomie e di confini. Shoreless, per l’appunto”.

    Il Progetto Didattico promosso e sostenuto dalla Consulta di Torino è nato con l’intento di offrire una straordinaria opportunità agli allievi dell’Accademia Albertina: poter seguire un’artista nelle diverse fasi di realizzazione di un progetto espositivo, analizzarne i contenuti e osservarne la messa in opera.

    Afferma la Presidente Adriana Acutis: “Le imprese della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino sono desiderose di offrire a studenti esperienze di alto livello, contestualizzate nel patrimonio sul quale si fonda l’identità della Città Metropolitana di Torino. Tale impegno vede nell’identità ereditata un punto di partenza per comunicazione, apertura e creatività e nella contestualizzazione un punto d’unione fra formazione artistica e realizzazione creativa e imprenditoriale.

     

    MAO Museo d’Arte Orientale Via San Domenico 11, Torino

    ORARIO da martedì a venerdì 10-18; sabato e domenica 11-19

    Photo di copertina: Guler Ates © Whirled.100×51.5cm.

  • Di fronte al Parco del Valentino, sulla collina oltre il Po, spicca nel verde una strana costruzione rossa e geometrica. Parliamo della grandiosa residenza commissionata nel 1929 dall’imprenditore, collezionista e mecenate Riccardo Gualino (Biella 1879 – Firenze 1964), dal quale prende ancora oggi il nome benché sia stata destinata da tempo ad altri scopi.

    Per commemorare questa affascinante personalità piemontese, in bilico tra il mondo degli affari e quello dell’arte, fino al 3 novembre le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino  ospitano una mostra intitolata I mondi di Riccardo Gualino, collezionista e imprenditore e dedicata alla vasta collezione artistica raccolta negli anni dalla famiglia dell’industriale.

    I MONDI DI GUALINO

    Le due curatrici Annamaria Bava e Giorgina Bertolino hanno cercato di  «riunire e raccontare i due principali nuclei della storica collezione Gualino, fino a oggi divisa fra la Galleria Sabauda di Torino e la Banca d’Italia di Roma».

     320 opere, alcune delle quali vantano autori eccellenti quali Botticelli, di cui è esposta la celeberrima Venere (1485-1490), i maestri italiani del Duecento e del Trecento, ma anche pittori più recenti come Édouard Manet, presente con La Négresse(1862-1863), e Felice Casorati, artista di fiducia dei Gualino e autore di diversi ritratti della famiglia.

    La mostra  non consiste in soli quadri: il percorso espositivo si snoda infatti in 18 sale, affollate di antiche sculture orientali, ceramiche, oreficerie, arazzi e arredi un tempo orgoglio delle molte residenze dei Gualino, ma anche fotografie e diari privati che testimoniano la vita di questo singolare imprenditore.

    UNA VITA SPACCATA A METÀ

    Quella di Gualino è stata una vita divisa perfettamente a metà divisa da una  una dolorosa censura.
    Riccardo Gualino nasce a Biella il 25 marzo 1879, fin dalla gioventù posa le prime pietre del futuro impero finanziario investendo nei settori del cemento e del legname.

    A 28 anni sposa Cesarina Gurgo Salice, con la quale cresce due figli e acquista Villa Ricci a Cereseto Monferrato, una residenza convertita in un castello
    neogotico
     ispirato al Borgo medievale di Torino. È qui che nasce la collezione d’arte dell’imprenditore.

    Durante gli anni Venti, Gualino sembra invincibile: scala una banca dopo l’altra, si impegna in grandi manovre finanziarie. 

    Gualino e sua moglie si danno al mecenatismo, commissionando a  Felice Casorati un ritratto  di famiglia (in mostra alcuni loro ritratti), promuovono l’arte e la danza e nel 1925 inaugurano un teatrino privato e l’innovativo Teatro di Torino.

    CADUTA E RINASCITA

    1929: Gualino è all’apice del successo, avvia il cantiere della sontuosa villa sulla collina torinese, ma dall’altra parte del mondo Wall Street crolla.

    Costretto a chiedere un prestito allo Stato cedendo in garanzia ciò che ha di più caro. Perderà la collezione,  smembrata fra musei, istituzioni, raccolte private e archivi.
    Gualino ha perso il suo impero, Mussolini  ordina l’arresto e il confino del magnate. È il momento più buio di Riccardo Gaulino.

    Nel 1932 torna in libertà e, dopo un breve soggiorno a Parigi, si trasferisce a Roma dove investe nel cinema, fiutandone in anticipo le grandi potenzialità. L’amore per l’arte non l’ha abbandonato. Decide di ricominciare la collezione acquistando opere di Degas, Picasso e Casorati, senza trascurare la sua passione per le sculture antiche e orientali.

    Nel 1938, con lo stile di un signore rinascimentale, acquista sulle colline fiorentine una villa quattrocentesca detta Il Giullarino, in cui si spegnerà nel ’64 all’età di 85 anni.
    Inarrestabile viaggiatore, Gualino ha attraversato il pianeta per inseguire gli affari e la sua passione per l’arte. Eppure, i soli “mondi” che ha realmente visitato riposavano nelle sue case e nelle sue collezioni, poiché l’arte è un altrove e una lontananza da scoprire.

    MUSEI REALI TORINO

    Orari

    I Musei Reali sono aperti dal martedì alla domenica dalle 8,30 alle 19

    Biglietti Musei Reali Torino
    Intero Euro 12
    Ridotto Euro 2 (ragazzi dai 18 ai 25 anni).
    Gratuito per i minori 18 anni / insegnanti con scolaresche / guide turistiche / personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali / membri ICOM / disabili e accompagnatori / possessori dell’Abbonamento Musei, della Torino+Piemonte Card e della Royal Card. L’ingresso per i visitatori over 65 è previsto secondo le tariffe ordinarie.

     

  • Nasce dall’incontro fra il lavoro di ricostruzione storica degli archeologi e dei conservatori del Museo Egizio sulla propria collezione e gli strumenti mutuati dalle più recenti frontiere dello sviluppo tecnologico, il nuovo progetto espositivo temporaneo che caratterizza il 2019 dell’istituzione culturale torinese.

    “Archeologia Invisibile” è il titolo della mostra visitabile a Torino  fino al 6 gennaio 2020, a cui Enrico Ferraris, egittologo del Museo che ha curato e coordinato il progetto concepitoall’interno del dipartimento collezioni e ricerca, ha affidato il compito di condurre il pubblico alla scoperta della “biografia degli oggetti”, illustrando principi, strumenti, esempi e risultati della meticolosa opera di ricomposizione di informazioni, dati e nozioni resa oggi possibile dalla collaborazione delle scienze naturali con la propria disciplina nello studio dei reperti.

    Cos’è in grado di raccontare un oggetto di sé? I nostri sensi, la vista in primis, ce ne restituisconoinformazioni di base come l’aspetto, la dimensione, la forma, il colore, finanche le tracce che l’uomo, la natura o il tempo vi hanno impresso. Eppure, tutto ciò non è evidentemente sufficientea disvelarne l’intera storia e il ciclo di vita, a partire dalla sua origine, né le reali funzioni, i contestid’impiego, il valore materiale o simbolico e molto altro ancora.

    Nulla, fra ciò che ci circonda, ne è sottratto, ma quando tale principio viene traslato in ambitoarcheologico, l’approccio, nel farsi scientifico, comporta un grado di analisi superiore, che poggiaproprio sulla conoscenza approfondita del reperto, il cui percorso biografico si amplia: anchel’oblio entra a far parte della narrazione e la vita dell’oggetto si dilata – potremmo forse dire si rianima – col momento stesso del suo ritrovamento e poi, ancora, col suo successivo destino in una collezione, con la sua musealizzazione.

    Il progetto “Archeologia Invisibile” muove proprio dall’intento di esplorare l’affascinante dimensione di quell’attività d’investigazione che le moderne apparecchiature, applicate alle modalità d’indagine e ricerca dell’egittologia, consentono di compiere nello studio di un repertoarcheologico: grazie alla crescente interazione con la chimica, la fisica o la radiologia, il patrimonio materiale della collezione di Torino rivela di sé elementi e notizie altrimenti inaccessibili, che permettono di tratteggiarne volti ancora ignoti.

    L’archeometria – insieme delle tecniche adottate per studiare i materiali, i metodi di produzione e la storia conservativa dei reperti – rende così possibile “interrogare” gli oggetti, domandare a unvaso, a una mummia, a un sarcofago chi siano davvero e perché oggi si trovino al Museo Egizio.

    Quesiti con cui pubblico di “Archeologia Invisibile” si cimenta lungo un percorso espositivo che,con l’ausilio di tali strumenti, invita a guardare oltre il visibile, osservando da vicino i segreti custoditi all’interno degli oggetti, scoprendone aspetti inattesi e trovando risposte talvolta sorprendenti alla propria curiosità come alle domande degli archeologi, nonché ad alcuni rilevanti quesiti della scienza.

    Le tre sezioni in cui si articola la mostra – dedicate, nell’ordine, alla fase di scavo, alle analisi diagnostiche, a restauro e conservazione – a loro volta suddivise in dieci sottosezioni tematiche, propongono dimostrazioni concrete delle differenti aree di applicazione di questo connubio fral’egittologia e le nuove tecnologie, a cui peraltro l’allestimento stesso ricorre, caratterizzandosi con installazioni multimediali e spazi d’interazione digitale per un’esperienza di visita immersiva, supportata da un’audioguida dedicata, realizzata dalla Scuola Holden.

    Va evidenziata, infine, la fitta rete di collaborazioni nazionali e internazionali che ha contribuitoalla realizzazione di “Archeologia Invisibile”, sviluppata con università, istituti di ricerca, enti e istituzioni di tutto il mondo: un sistema di relazioni che va dagli Stati Uniti – è il caso delMassachusset Institute of Technology – alla Gran Bretagna, dal Giappone alla Germania,dall’Olanda all’Egitto, passando per numerose prestigiose realtà più prossime, come il Centro Conservazione e Restauro di Venaria Reale (To), i Musei Vaticani e il CNR.

    TRAILER AUDIOGUIDA 

    Documentare gli scavi

    È lo scavo il primo fondamentale testimone da consultare in questa vera e propria attivitàd’investigazione: l’egittologo, al pari del detective di un caso
    giudiziario, pone le basi della sua indagine nella minuziosa analisi del luogo del ritrovamento. Non soltanto per conoscerne le caratteristiche – del terreno, delle sue stratificazioni, del tipo di sito, dell’insediamento ospitato ecc. – ma anche per documentarne, con la massima precisione, lo scenario e il contesto così comesi presentava prima dell’avvio del dissotterramento e, soprattutto, della rimozione di quanto rinvenuto. In tale ambito, ad esempio, i recenti sviluppi della fotogrammetria permettono il ripristino virtuale di un contesto archeologico che materialmente potrebbe non più esistere,dando vita a un modello digitale che, “agganciandovi” i dati di scavo, diviene un archivioaggiornabile in tempo reale e facilmente accessibile alla comunità scientifica.

    Le analisi diagnostiche

    Quasi come in una ulteriore fase di scavo, l’impiego sui reperti di tecniche d’indagine riconducibili alla cosiddetta archeometria porta alla luce diversi “strati invisibili” di dati. Studiare la natura fisica e materica degli oggetti significa quindi poterne osservare aspettiperlopiù invisibili all’occhio umano, spesso liberando da essi storie dimenticate. È il caso del corredo funerario della Tomba di Kha, un unicum nella collezione del Museo Egizio con 460 pezzi ritrovati integri e ottimamente conservati: benché giunti a Torino oltre un secolo fa, solo recenti esami diagnostici hanno permesso di iniziare conoscerli a fondo. Con le tomografie neutroniche, effettuate a Oxford presso lo Science & Technologies Facilities Council, si è ad esempio andati alla ricerca del contenuto di sette vasi sigillati realizzati in alabastro, accertandone la natura di recipienti riservati agli altrettanti oli sacri usati per il ritodell’imbalsamazione. Analogamente, l’indagine multispettrale ha consentito di compiereimportanti scoperte sulla chimica dei colori utilizzati nell’Antico Egitto, come quella del “blu egizio”, il primo colore sintetico prodotto nella storia dell’umanità.

    Ma anche le stesse mummie di Kha e della sua sposa Merit sono state sottoposte ad accurati accertamenti. In passato la conoscenza di quanto celato dalle bende era di fatto impossibile,se non compromettendo irrimediabilmente l’integrità della mummia, ma oggi l’azionecombinata di analisi radiografiche e TAC ha permesso di realizzare un vero e proprio sbendaggio virtuale di questa coppia di 3400 anni fa: per il loro viaggio nell’aldilà entrambifurono ornati di gioielli dalla raffinata fattura – bracciali, collane, orecchini e un “scarabeo del cuore” – che oggi possiamo rivedere grazie alla modellazione 3D.

    Conservazione e restauro

    Oltre ad accompagnare la ricerca scientifica sui reperti, l’indagine archeometrica assume un ruolofondamentale nella definizione dei metodi migliori di restauro e conservazione. Ne è un esempio il recente avvio di un lavoro congiunto fra il Museo Egizio, il Bundesanstalt für Materialforschung di Berlino e il Centre for the Study of Manuscript Cultures di Amburgo, in cooperazione con il progetto PAThs di Paola Buzi (Università La Sapienza di Roma). L’attività si concentra sull’analisidei manoscritti copti della collezione egittologica torinese, raro esempio di biblioteca tardoantica ben conservata e interamente trasmessa tramite codici su papiro, prima che la pergamena diventasse il principale supporto. Dall’analisi degli inchiostri e del papiro sono attese informazioni su natura e provenienza dei materiali utilizzati nel laboratorio dello scriba, permettendo di definire gli interventi di restauro.

    Ma sono anche i metodi espositivi a venir reinterpretati e implementati dal contributo tecnologico: una dimostrazione in tal senso la offre l’epilogo della mostra con un’installazione in video mapping, la proiezione su un modello 3D in scala 1:1 del sarcofago dello scriba reale Butehamon, che rappresenta il clone digitale dell’originale esposto in sala. Si tratta del supporto di una nuova narrazione della biografia del sarcofago, dalla sua costruzione alla sua musealizzazione, dalla sua prima decorazione, al suo invecchiamento e al suo restauro.

    Questa sezione conclusiva della mostra consegna al visitatore la riflessione sul patrimonio intangibile di informazioni che la scienza sta, in un certo senso, emancipando dal reperto.L’enorme accumulo di dati aumenta esponenzialmente le opportunità di collegare dati e oggetti, di studiare, conservare e valorizzare i reperti. Diventa inoltre possibile costruire modelli digitali dei reperti stessi, non certo in sostituzione ma a integrazione degli originali, in cui le informazioni preservate possono divenire visibili e riproducibili, poiché non più vincolate all’esperienza hic et nunc imposta dalla natura stessa dell’oggetto.

     

  • 1500- 2020: Dalla fisionomica agli Emoji – fino al 6 gennaio 202 – Mole Antoneliana – Torino

    Una grande esposizione che, grazie collezione del Museo Nazionale del Cinema, racconta gli ultimi 5 secoli di storia di questa pseudoscienza.

    Un percorso emozionale tra maschere e sistemi di riconoscimento facciale che conferma ancora una volta come il volto sia il più importante luogo di espressione dell’anima dell’essere umano.
    La mostra prova a tessere le fila di un discorso antico  per arrivare ai nostri giorni e cerca nei tratti del volto, ma anche nella sintesi grafica degli emoji, i riscontri dei caratteri e delle emozioni delle persone.

    180 opere in mostra, 82 riproduzioni fotografiche55 opere originali, 43 tavole tratte dalla collezione di fisiognomica del Museo, 42 montaggi, 4 app e 8 installazioni.
    Il percorso di visita si concentra sulle arti performative e si interseca con arte, scienza, tecnologia e comunicazione.

    Partendo dall’Aula del Tempio, su per la Rampa Elicoidale, il visitatore viene coinvolto in quel lungo affascinante racconto che collega i cataloghi di Giovan Battista Della Porta e Johann Caspar Lavater allo studio dei volti del primo pittore del Re Sole, Charles Le Brun, ai vetri per lanterna magica e agli emoji, ai manuali per l’attore, alla tecnica del morphing, ai più avanzati software di face tracking o alle opere di artisti contemporanei che esplorano il volto e le emozioni.
    Faccine o emoji che comunicano l’emozione del momento, software in grado di riconoscere un volto, di ricostruirne o manipolarne i tratti somatici: sono esperienze che caratterizzano la società tecnologica contemporanea ma che hanno radici profonde nel passato.
    Durante la visita è possibile ammirare la superficie interna della cupola della Mole Antonelliana, detta il “volto” della Mole, che,  si anima con l’installazione I Volti sul Volto della Mole.
    Nello spazio espositivo l’Orecchia, la stanza laterale della Mole Antonelliana che rievoca l’orecchio di un volto dove si può ascoltare l’installazione Organum pineale.

    Dopo l’estate la mostra si amplia con una sezione specifica dedicata  a Cesare Lombroso. Dal 25 settembre 2019 al 6 gennaio 2020 il Museo Nazionale del Cinema ospiterà al piano dedicato all’Archeologia del cinema “I 1000 volti di Lombroso”, una selezione di fotografie, appartenenti al fondo fotografico dell’Archivio del Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino, che ripercorre le diverse tappe delle sue ricerche.

    La mostra sarà curata da Cristina Cilli, Nicoletta Leonardi, Silvano Montaldo e Nadia Pugliese.

     

    Orari e costi dei Biglietti

  • Un’occasione unica per scoprire la Casa di Maranello negli ultimi due fine settimana di settembre.

    I Musei Ferrari offrono un’occasione unica a tifosi e appassionati per conoscere la Casa di Maranello: le porte di Universo Ferrari, la prima esposizione dedicata al mondo Ferrari, si apriranno per un programma di visita inedito ed esclusivo per i loro visitatori nei fine settimana del 21 e 22 settembre e del 28 e 29 settembre.

    All’interno della struttura che sarà creata appositamente nei pressi della pista di Fiorano, sarà possibile accedere alle aree dedicate a tutte le attività dell’azienda, dalle Classiche al mondo GT alle corse fino alla Scuderia Ferrari.

    Altra sorpresa indimenticabile per i fan del Cavallino Rampante, di solito riservata alla clientela internazionale, sarà la possibilità di ammirare in esclusiva gli ultimi modelli Ferrari.

    È possibile leggere maggiori informazioni e prenotare una visita esclusiva, fino a esaurimento posti, sui siti dei Musei Ferrari 

  • Tre calde domeniche estive, 28 luglio, 11 e 25 agosto, per approfittare di un’occasione imperdibile: l’apertura del Secondo Piano di Palazzo Reale, solitamente chiuso al pubblico, con tariffa d’ingresso compresa nell’abituale biglietto dei Musei Reali. Juvarra, Alfieri, Palagi, Beaumont, De Mura, Piffetti, Bonzanigo, sono soltanto alcuni degli eccezionali artisti e architetti che si avvicendarono nella realizzazione di queste stanze.

    La visita inizia percorrendo la juvarriana Scala delle Forbici e si snoda attraverso le raffinate sale degli Appartamenti dei Principi di Piemonte e dei Duchi di Aosta, con affaccio dal terrazzo settecentesco per godere del panorama circostante, dalla collina di Superga alla catena alpina, dal Giardino di Levante alle cupole della città.

    Un tempo utilizzato dalle dame e damigelle d’onore di Madama Reale, dall’inizio del Settecento il Secondo Pianoviene destinato ad accogliere i principi ereditari e le loro consorti, assumendo la denominazione di Appartamenti Nuziali o dei Principi di Piemonte, già utilizzati dai Duchi di Savoia Vittorio Amedeo III e Maria Antonia Ferdinanda di Spagna, raffigurati nella grande tela del Duprà. Rimodernati da Pelagio Palagi all’epoca di Carlo Alberto, tra i diversi ambienti spiccano per eleganza la Sala Blu, la Sala Rossa e la Camera da letto di Maria José, che vi soggiornò nei primi decenni del Novecento. Gli Appartamenti dei Duchi d’Aostaoccupano l’altra metà del piano e rappresentano un vero e proprio unicum per integrità stilistica. Progettati dagli architetti Piacenza e Randoni per le nozze di Vittorio Emanuele I con Maria Teresa d’Asburgo Este, celebrate nel 1789, ospitano preziosi arredi realizzati da Giuseppe Maria Bonzanigo, affreschi con soggetti mitologici e una curiosa Sala del Biliardo.

  • Giovedì 1 agosto ore 22

    INOCCASIONE DELLA MOSTRA, PER CINEMA A PALAZZO REALE, MARCO GUGLIELMINOTTI TRIVEL INTRODUCE IL FILM “LA SORGENTE DELL’AMORE”

    Fino al 1 settembre il MAO Museo d’Arte Orientale, ospita una grande mostra dedicata all’acqua e all’Islam e al loro rapporto raccontato attraverso l’arte.

    La mostra è una narrazione attraverso immagini, reperti, libri e miniature: tecnologia, vita quotidiana e arte, che per secoli si sono rispecchiate nelle tante diverse fruizioni dell’acqua. L’esposizione testimonia la varietà e la ricchezza di manufatti legati al tema e all’uso dell’acqua. Tra gli oltre 120 manufatti esposti, sono presenti bocche di fontane siriane, tappeti, una coppa in vetro iraniana, uno spargiprofumo proveniente dall’India, oltre a numerosi manoscritti. L’allestimento, un gioco tra suono e movimento dell’acqua, immerge opere e visitatori in un paesaggio di armonie sonore e visive.  La mostra si suddivide in quattro tematiche principali: il percorso prende avvio dalla fruizione religiosa, per passare poi nell’hammam, inteso come luogo di purificazione e aggregazione, seguire poi i percorsi dell’acqua sino all’interno delle case e dei palazzi nella vita quotidiana e concludersi negli spazi aperti dei giardini.

    In occasione della rassegna Cinema a Palazzo Reale,il direttore del MAO Marco Guglielminotti Trivel ha suggerito la proiezione di “La Source des femmes”,pellicola del 2011 diretta da Radu Mihăileanu“Un film al tempo stesso godibile e impegnato, che nel trattare la vita di un piccolo villaggio rimanda a temi generali che riguardano tutti noi – vita, amore, morte – e affronta in modo originale la questione della condizione femminile nel mondo arabo-persiano. L’acqua in questa pellicola ha il ruolo centrale di motore della trama, quella stessa centralità che tale elemento riveste da sempre per i paesi di religione islamica: non solo in quanto fonte di sopravvivenza, come in questo film, ma in tutti gli ambiti culturali che la mostra attualmente in corso al MAO tende ad esplorare. La scena della riunione delle donne che si svolge nel hammam, ad esempio, è rappresentativa del ruolo sociale ricoperto da questi luoghi di aggregazione legati all’acqua.”

    Presentando al MAO, in GAM e a Palazzo Madama il biglietto degli spettacoli di Cinema a Palazzo Reale sarà possibile entrare con ingresso ridotto alla mostra e con i biglietti di ingresso ai musei della Fondazione Torino Musei si potrà usufruire dell’ingresso ridotto alla rassegna di cinema.

     

     

     

  • Il MAO in missione coordinata con il CentroRicerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia. 

    A Kharkhorin i Servizi Educativi del MAO lavorano a stretto contatto con i colleghi del Museo di Kharakhorum per sperimentare attività didattiche da proporre alle scuole.

    Il Centro Scavi ha aperto in Mongolia nel 2018 un nuovo fronte di ricerca e formazione grazie alla firma del Memorandum of Understandingcon il Museo di Karakorum e l’Università Statale di Ulaanbaatar.

    Oggi il progetto del Centro Scavigode del supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

    La prima azione concordata con le autorità mongole mira ad avvicinare il pubblico più giovane alle collezioni del Museo di Kharakhorum attraverso la programmazione di una serie di laboratori didattici da proporre alle scuole del territorio.

    Una prima sessione teorico-pratica di formazione si è svolta nell’agosto 2018 presso i locali del Museo di Kharakhorum e ha visto impegnati nel ruolo di formatori un’archeologa del Centro Scavi e uno scultore/ceramista del Museo della Ceramica di Mondovì, nel ruolo di partecipanti i dipendenti del Museo, alcune insegnanti e assistenti sociali operanti nelle scuole di Kharkhorin e i rappresentanti locali dell’UNESCO.

    La seconda sessione del 2019 vede la partecipazione del MAO.

    Questo è il primo passo di una collaborazione più ampia tra tutte le istituzioni coinvolte, collaborazione che si svilupperà nei prossimi anni su un piano scientifico e istituzionale.

    Le attività del Centro Scavi in Mongolia si inquadrano nella cornice dell’Accordo di Collaborazione fra la Città di Torino e la Città di Kharkhorin.

    Nell’ambito dello stesso patto, al MAO si sono già svolte le mostre Un tesoro nella steppaIl monastero di Erdene Zuu in Mongolianel 2016 e La capitale delle steppe. Immagini dagli scavi di Kharakhorum in Mongolia nel 2018.

     

    MAO Museo d’Arte Orientale- Via San Domenico 11, Torino

    da martedì a venerdì 10-18; sabato e domenica 11-19. La biglietteria chiude un’ora prima. Chiuso il lunedì

    Per informazioni Telef. 011.4436932 mao@fondazionetorinomusei.it  www.maotorino.it

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    La rassegna illustra la figura dell’eroe mitologico, attraverso ritrovamentiarcheologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture e molto altro,dall’antichità classica al Novecento.

    Il percorso espositivo si arricchisce di nuove e importanti opere.

    Reggia di Venaria – Mostra “Ercole e il suo Mito”

  • La Biennale dell’Immagine in Movimento – The Sound of Screens Imploding, per la prima volta in assoluto nella sua lunga esistenza lascia la sua sede storica di Ginevra per trasferirsi a Torino, grazie alla collaborazione avviata tra il Centre d’Art Contemporain di Ginevra e le OGR Torino.

    Sotto la guida di Andrea Lissoni, Senior Curator della Tate Modern di Londra, e di Andrea Bellini, Direttore del Centre d’Art Contemporain, a Torino viene allestita una differente versione della mostra ginevrina, ripensata per gli spazi delle ex officine di Corso Castelfidardo grazie al supporto di Andreas Angelidakis, già architetto della Biennale di Berlino 2014 e di Documenta 2017.

    Partendo dall’idea che l’era della proiezione su schermi stia volgendo al termine per lasciare spazio a nuove e riverberanti realtà, La Biennale dell’Immagine in Movimento– The Sound of Screens Imploding indaga lo stato odierno della video arte e il suo display espositivo, sottolineando il potenziale sperimentale dei nuovi linguaggi e analizzando quelle che sono le peculiarità che li determinano.

    L’analisi sull’attualità e sulla politica è messa in scena grazie a una serie di dialoghi tra artisti differenti per poetica e provenienza geografica, ma tutti solidamente radicati nella storia del loro tempo. Troviamo così esposti in mostra i lavori di

    • Lawrence Abu Hamdan
    • Korakrit Arunanondchai & Alex Gvojic
    • Meriem Bennani
    • Ian Cheng
    • Elysa Crampton
    • Tamara Henderson e Kahlil Joseph
    • Andreas Angelidakis.

    OGR – Corso Castelfidardo, 22  – Torino Binario 1 & 2 

    • Giovedì e venerdì: mostra aperta dalle ore 15.00 alle 22.00
    • Sabato e domenica: mostra aperta dalle ore 11.00 alle 19.00
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