Categoria: Mostre

  • Artisti contemporanei, tatuatori e tatuati, opere e personaggi del passato si mescolano e dialogano in un percorso suggestivo, che guida il pubblico in un viaggio e una riflessione sull’uso sociale, culturale e artistico del corpo.

    Nell’antichità il tatuaggio è visto come il marchio degli sconfitti, siano essi schiavi o malfattori, o rievoca la ferocia dei barbari come i Pitti e i Germani che premono minacciosi sui confini dell’Impero.

    Quest’aura di ribrezzo, estraneità e fascinazione nei confronti del tatuaggio viene evocata e ampliata nel Settecento, quando i navigatori europei che raggiunsero il sud-est Asiatico e l’Oceano Pacifico, entrano in contatto con popoli che suscitano sorpresa, ammirazione o disprezzo, perché praticano in maniera estensiva il tatuaggio.

    La stessa parola “tattoo” ha origine polinesiana (in italiano mediata dal francese tatouage) viene introdotta in occidente dal navigatore James Cook. Proprio l’incontro/scontro con queste lontane popolazioni costituisce un momento decisivo nell’elaborazione dell’immaginario nei confronti del tatuaggio e di una tessitura simbolica in cui precipitano insieme esotismo e costruzione culturale del “selvaggio”.

    La mostra ripropone alcuni passaggi cruciali in cui l’Occidente si nutre di rappresentazioni dell’altro, focalizzando l’attenzione su popoli che praticano in maniera estensiva il tatuaggio e che influenzeranno fortemente la cultura e l’arte contemporanea.

    Verranno presentate in mostra, grazie ai prestiti del Museo delle Civiltà di Roma, strumenti collegati al tatuaggio provenienti dall’Asia e dall’Oceania, foto storiche scattate dal celebre fotografo Felice Beato nel Giappone degli anni ’60 dell’800 e fotografie, sempre storiche, dei Maori della Nuova Zelanda.

    A questo si aggiunge una selezione delle stampe del noto artista giapponese Kuniyoshi Utagawa che nel 1827 pubblica una serie di eroi popolari giapponesi noti come i 108 eroi suikoden, famosa per essere diventata un riferimento iconografico per i tatuaggi.

    A cura di

    Luca Beatrice, Alessandra Castellani e MAO Museo d’Arte Orientale

    MAO Museo d’Arte Orientale via San Domenico 11 – Torino

  • Un finale alternativo al “vissero felici e contenti”?

    Dina Goldstein ce lo offre con le sue opere in mostra fino al  25 novembre al Castello di Cavour a Santena (To)

    Grazie ad  Art Site Fest con un progetto dedicato alla fotografia e in particolare alle immagini della fotografa canadese Dina Goldstein con una riflessione sul potere distorsivo dei media.

    In collaborazione con Opus in Artem e con il patrocinio dell’Ambasciata del Canada, Dina Goldstein mostra le sue “Fallen Princesses” in una versione moderna.

    Pluripremiata, Dina Goldstein posa sulla nostra società uno sguardo divertito e privo di qualsiasi giudizio di valore, scardinando e rivoltando quei valori che ci sono stati dati fin da bambini, con le favole, giocando con la nostra percezione.

    Lo fa con le principesse della Walt Disney,  le bambole della Mattel, la Goldstein prova ad offrirci un nuovo punto di vista, assolutamente alternativo al lieto fine che noi tutti conosciamo e che immaginiamo soprattutto indagando su ciò che è stato dopo il finale che conosciamo, indagando il probabile futuro dei protagonisti.

    Senza scendere a compromessi, spogliando le storie di qualsiasi magia, Dina rilegge tutte le storie e inserisce i malesseri sociali cui noi oggi siamo afflitti: solitudine, obesità, alcolismo, malattia. S

    Ci si chiede cosa ne è stato dei personaggi, umani come noi, dopo il finale e questo la spinge a sfatare gli ideali di perfezione che, con le favole, ci hanno sempre imposto.

    La candida Biancaneve allora si troverà ad essere una casalinga disperata mentre il suo bel principe, incurante della bella, si guarda la tv.

    Ariel la Sirenetta chiusa in un acquario, Cappuccetto Rosso che si è lasciata andare al vizio della gola?

    Una mostra che ci fa sentire un po’ tutti umani.

    The Fallen Princesses

    About Dina Goldstein

     

  • Sono stati 21.344 i visitatori che hanno affollato i Musei Reali di Torino in occasione del ponte di Ognissanti, in un lungo weekend fitto di appuntamenti, aperture straordinarie e eventi e laboratori per le famiglie.
    Le prime code, velocemente smaltite, si sono formate fin da giovedì mattina, e nelle giornate di venerdì e sabato in moltissimi hanno approfittato delle visite guidate gratuite alla Cappella della Sindone, recentemente riaperta al pubblico.
    Per tutta la durata del ponte e in particolare in occasione dell’apertura straordinaria per la Notte delle Arti Contemporanee, il pubblico non ha resistito al richiamo dei personaggi più celebri dei mondi di Testa presenti all’interno dell’esposizione nelle Sale Chiablese Tutti gli “ismi” di Armando Testa(fino al 24 febbraio 2019): dall’ “uomo moderno”, al logo senza tempo Punt e Mes, dall’ippopotamo Pippo ai divertenti caroselli abitati da Carmencita e Caballero e gli sferici extraterrestri del pianeta Papalla.
    Grande successo di pubblico, nelle giornate di venerdì e sabato, per le visite alle stanze della Regina Elena e le Cucine Reali condotte dagli Amici di Palazzo Reale, che proseguono ogni fine settimana fine a fine novembre.
    Il 4 novembre inoltre, giornata di apertura gratuita dei Musei Reali, è stata straordinariamente accessibile al pubblico anche la Biblioteca Reale, che attualmente ospita la mostra Il testamento del Capitano. I giovani e la Grande Guerra tra illusioni e realtà. All’interno dell’esposizione, documenti e testimonianze dalle raccolte della Biblioteca Reale e da collezioni private illustrano dalla seconda metà dell’Ottocento al primo conflitto bellico il contesto sociale di generazioni che furono testimoni di eventi epocali.

    www.museireali.beniculturali.it

  • Gli antefatti, la nascita e la stagione iniziale e più felice della pittura macchiaiola, ossia il periodo che va dalla sperimentazione degli anni Cinquanta dell’Ottocento ai capolavori degli anni Sessanta, saranno i protagonisti della mostra che per la prima volta alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino valorizzerà il dialogo artistico tra Toscana, Piemonte e Liguria nella ricerca sul vero.

    “I macchiaioli. Arte italiana verso la modernità”, organizzata e promossa da Fondazione Torino Musei, GAM Torino e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, a cura di Cristina Acidini e Virginia Bertone, con il coordinamento tecnico-scientifico di Silvestra Bietoletti e Francesca Petrucci, vede la collaborazione dell’Istituto Matteucci di Viareggio e presenta circa 80 opere provenienti dai più importanti musei italiani, enti e collezioni private, in un ricco racconto artistico sulla storia del movimento, dalle origini al 1870, con affascinanti confronti con i loro contemporanei italiani.

    L’esperienza dei pittori macchiaioli ha costituito uno dei momenti più alti e significativi della volontà di rinnovamento dei linguaggi figurativi, divenuta prioritaria alla metà dell’Ottocento. Fu a Firenze che i giovani frequentatori del Caffè Michelangiolo misero a punto la ‘macchia’.

    Questa coraggiosa sperimentazione porterà a un’arte italiana “moderna”, che ebbe proprio a Torino, nel maggio del 1861, la sua prima affermazione alla Promotrice delle Belle Arti. Negli anni della sua proclamazione a capitale del Regno d’Italia, Torino visse una stagione di particolare fermento culturale. È proprio a questo periodo, e precisamente nel 1863, che risale la nascita della collezione civica d’artemoderna – l’attuale GAM – che aveva il compito di documentare l’arte allora contemporanea.

    A intessere un proficuo dialogo con la pittura macchiaiola è la prestigiosa collezione ottocentescadella GAM, che favorisce un’inedita occasione di studio. In questa prospettiva un’attenzione particolare viene restituita ad Antonio Fontanesi, nel bicentenario della nascita, agli artisti piemontesi della Scuola di Rivara (Carlo Pittara, Ernesto Bertea, Federico Pastoris e AlfredoD’Andrade) e ai liguri della Scuola dei Grigi (Serafino De Avendaño, Ernesto Rayper), individuando nuovi e originali elementi di confronto con la pittura di Cristiano Banti, Giovanni Fattori, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani, protagonisti di questa cruciale stagione artistica.

    A cura di: Cristina Acidini, Virginia Bertone Coordinamento tecnico-scientifico: Silvestra Bietoletti, Francesca Petrucci

  • I linguaggi della contemporaneità con Art Site Fest diventano la chiave per interpretare l’eredità culturale e fare della memoria una ragione di identità, quanto mai attuale, nell’Anno europeo del patrimonio culturale.

    Art Site Fest nel Museo di Enologia…un’occasione particolare in uno spazio affascinante, pieno di riferimenti.
    I materiali come il mattone dei muri e dei voltati, i profumi, le forme…tutto ricorda la storia del luogo e la storia della Martini.
    D’altra parte il museo è nato e vive per quello: è un mezzo, un tramite per “ricordare” e fissare nel tempo i ricordi e le emozioni e quando l’arte incontra l’emozione…prende forma.

    Gli sguardi attenti e coinvolti degli invitati hanno confermato che le opere dei maestri Badolato, Galfione, Luiselli, Marchi, Pantano hanno trovato la loro giusta collocazione, ma anche i temi “materici” delle opere esposte hanno agevolato la lettura e “l’impaginazione” nel “libro” del museo.
    Così, con i colori dell’arte, tornano anche i sapori della vita: il connubio fra un bicchiere di bianco Martini gustato con gli amici e il quadro, l’opera d’arte che: “…riceve la propria vita e il proprio contenuto solo dalla riflessione di chi lo osserva”.

    L’isolarsi dell’artista in complicate ricerche estetiche alla ricerca del trascendente si è calata sempre più in forme concrete, tangibili, quotidiane … ecco la risposta alla scelta del luogo: “arte in un museo enologico” significa apertura ad un spazio originale e flessibile che ci ricorda l’arte di trasformare un elemento naturale in un prodotto finale, con una sua storia, una sua cultura, una sua poesia densa di profondi significati… e gli artisti che hanno esposto hanno colto questo messaggio universale di armonia.

    La Reggia di Venaria, la Palazzina di Caccia di Stupinigi, il Castello Cavour di Santena, il Castello di Govone, il Museo Egizio, Palazzo Madama, Palazzo Chiablese, Palazzo Biandrate e Casa Martini a Pessione, sono i luoghi che accolgono opere e immagini in dialogo con gli ambienti storici fino al 25 novembre, visitabili anche grazie alle convenzione di Abbonamento Musei Piemonte.

    Art Site Fest, è un progetto dell’Associazione Phanes, con il patrocinio della Regione Piemonte, della Città di Torino, dell’Ambasciata del Canada e la collaborazione di:

    • Segretariato Regionale per il Piemonte del Ministero dei beni e delle attività culturali,
    • Consorzio delle Residenze Reali Sabaude,
    • Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Torino,
    • Fondazione Torino Musei,
    • Fondazione Ordine Mauriziano,
    • Fondazione Cavour,
    • Associazione Terre dei Savoia,
    • Casa Martini,
    • Teatro di Dioniso – Parole d’artista.

    Il Festival si avvale del sostegno di Fondazione CRT e Reale Mutua e del contributo di: Museumstudio, HST, Webaudio, Tipografia Sosso, Villa Giada.

    Per Info  – www.artsitefest.it

     

  • Prima grande esposizione in Italia sulla rappresentazione del cane nella storia dell’arte, con una raccolta di manufatti, sculture, dipinti, incisioni, disegni e fotografie opera di specialisti animalisti e di alcuni fra i massimi artisti di tutti i tempi, dall’età classica ad oggi.

    La mostra, a cura di Francesco Petrucci, è organizzata da Glocal Project Consulting S.R.L. e Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, da un’idea di Fulco Ruffo di Calabria.

    La mostra ha come tema la costante presenza del cane nell’universo figurativo occidentale. Nonostante sia stato per lo più un motivo accessorio nella pittura di storia, questo compagno fedele dell’uomo si è guadagnato nel tempo una sua propria autonomia iconografica. Secondo solo alla figura umana, il cane è infatti l’animale più rappresentato nella storia dell’arte, a dimostrazione del profondo legame affettivo ed empatico che li unisce, travalicando sovente gli aspetti del decoro formale.

    In tale contesto, La Venaria Reale di Torino, che fu per secoli il teatro di caccia dell’aristocrazia Sabauda, è il luogo più appropriato per presentare una mostrasull’iconografia canina.

    L’esposizione è articolata in cinque grandi sezioni:

    Cani nell’antichità, con sculture e manufatti della civiltà greco-romana;

    Cani in posa, con ritratti di cani, in posa o in azione (XVI-XXI secolo);

    Cani, uomini e donne in posa, ove uomini, donne e bambini sono ritratti a fianco di uno o più cani (XVI-XXI secolo);

    Cani in scena, ove il cane è inserito all’interno di episodi storici, di vita reale, religiosa o allegorica, come presenza costante accanto alla vita dell’uomo (XVI-XXI secolo);

    Cani immaginari, ove l’immagine del cane è trasfigurata attraverso la fantasia degli artisti, compreso il mondo del fumetto (XVI-XXI secolo).

    Prestigiosa la serie di capolavori esposti, a partire dal pompeiano Cave Canem del Museo Archeologico di Napoli, provenienti da importanti musei nazionali ed internazionali, come i Musei Vaticani, gli Uffizi, la Reggia di Caserta, i Musei Civici di Trieste, il Palazzo Chigi di Ariccia, la Galleria Nazionale di Sofia, il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, il Museo Archeologico Antonio Salinas di Palermo.

    Sono presenti opere di insigni artisti tra ‘500 e ‘700, come Jacopo Bassano, Frans Snyders, Luca Giordano, Sebastiano Ricci, Giovan Battista Tiepolo, Antonio Canova, fino a contemporanei come Eliott Erwitt, Keith Haring e molti altri.

    Reggia di Venaria – per maggiori info

  • Palazzo Ducale e Genova dedicano a Niccolò Paganini una grande mostra con l’intento di raccontare, attraverso una narrazione contemporanea, curiosa, spettacolare e multimediale, la vita del grande musicista, caratterizzata da un enorme successo di pubblico, ma anche da rapporti umani spesso travagliati e complessi. Lo scopo principale del percorso espositivo è quello di indagare quale sia stata l’eredità che il grande maestro ha trasmesso ai suoi contemporanei, arrivando fino al confronto estremo con la musica contemporanea, in particolare con un grande e indimenticato protagonista della musica rock: Jimi Hendrix.

    Per meglio comprendere la grandezza e l’importanza di Paganini, sia dal punto di vista musicale che da quello performativo e spettacolare, il confronto si estende ad alcune personalità della scena musicale contemporanea, sia pop-rock che classica, ognuno dei quali scelto per esplorare, attraverso la propria esperienza, alcuni aspetti della propria vita artistica e eventuali similitudini con l’esperienza paganiniana. In questa mostra è la musica a essere protagonista, rappresentata e raccontata attraverso metafore visive che mettono in scena le caratteristiche essenziali della musica del grande artista genovese.

    Circondato da un alone di mistero, artista virtuoso, formidabile performer capace di ammaliare il pubblico, abile costruttore della propria immagine, Paganini non è stato soltanto uno dei più importanti violinisti mai esistiti, è stato anche pioniere della complessa transizione verso la modernità: la sua storia, la sua figura, condensano in modo esemplare il passaggio da un mondo all’altro, da quello tradizionale, ottocentesco e romantico a quello moderno, complesso e contraddittorio.

    Le descrizioni di Niccolò Paganini che ci sono state tramandate convergono tutte in una fisicità debole, un corpo fragile, eccessivamente magro: “Profilo d’aquila, occhi magnetici, mobilissimi: capelli neri, lunghi. […] Aveva qualcosa di spettrale e di fantastico, onde la sua sola apparizione alla ribalta destava nel pubblico un’impressione profonda”. Descrizioni a tutti gli effetti romantiche, che si legano all’immaginario del genio, del passionale, del diabolico.

    Eppure, nonostante questa fragilità fisica, i suoi concerti divennero presto leggendari: “trascinava l’uditorio al più vivo entusiasmo, meravigliandolo col suo slancio, con la foga, con la trascendentale maestria del suo strumento”. Delle vere e proprie performance, come le chiameremmo oggi, in cui il pubblico andava in visibilio catturato dal magnetismo di Paganini.

    Fuori da ogni convenzione e da ogni luogo comune, Paganini si può considerare realmente un rivoluzionario. Come pochi altri prima di lui ha cambiato le regole, trasformando sia i paradigmi tecnici dello strumento sia quelli estetici della musica a lui contemporanea: in questo consiste tutta la sua attualità e la ragione per cui, ancora oggi, un artista così ci appartiene.

    Per tutto questo, per lo spettacolo che il suo modo di suonare comportava, oltreché per l’immagine di sé, Paganini può essere considerato a tutti gli effetti antesignano della rockstar, se poi è anche vero che molte delle sue esibizioni/performance terminavano con la rottura delle corde del violino.
    La mostra, dunque, dedica grande attenzione all’idea di Paganini come prima rockstar della storia, azzardando, a ragione, raffronti con alcuni grandi virtuosi della musica rock, in particolare con Jimi Hendrix, raccontando e confrontando i personaggi attraverso non solo oggetti e documenti, ma anche elementi scenici fortemente suggestivi, che possano creare una forte empatia con il pubblico.

    Curata da Roberto Grisley, Raffaele Mellace e Ivano Fossati, affiancati da un comitato scientifico composto dagli stessi curatori e da Claudio Proietti – coordinatore – e Roberto Iovino, Maria Amoretti Fontana, Pietro Leveratto

    Catalogo Silvana Editoriale con saggi di Marco D’Aureli, Maiko Kawabata, Raffaele Mellace, Daniela Macchione, Roberto Iovino, Peter Sheppard Skærved, Claudio Proietti, Pietro Leveratto, Maria Fontana Amoretti, Ivano Fossati, Enzo Gentile, NEO – Narrative Environments Operas di Milano.

    La mostra, prodotta e organizzata dalla Fondazione Palazzo Ducale, promossa da Comune di Genova e Regione Liguria, sponsor privati tra cui Iren, Coop, Compagnia di San Paolo, Costa edutainment, Fondazione Carige.

    Per maggiori info

  • Fino 24 febbraio 2019 le Sale dei Paggi della Reggia di Venaria ospitano la grande mostra di Elliott Erwitt, uno dei fotografi più  importanti e celebrati del Novecento.

    Elliott Erwitt Personae è il titolo della prima retrospettiva delle sue fotografie sia in bianco e nero che a colori. I suoi scatti in bianco e nero sono ormai diventati delle icone della fotografia, esposti con grande successo a livello internazionale, mentre la sua produzione a colori è quasi del tutto inedita.

    Con oltre 170 immagini, il percorso espositivo mette in evidenza l’eleganza compositiva, la profonda umanità, l’ironia e talvolta la comicità del grande fotografo americano: tutte caratteristiche che rendono Erwitt un autore amatissimo e inimitabile, considerato il “fotografo della commedia umana”.

    Marylin Monroe, Che Guevara, Sophia Loren, John Kennedy, Arnold Schwarzenegger, sono alcune delle celebrità colte dal suo obiettivo ed esposte in mostra. Su tutte Erwitt posa uno sguardo acuto e al tempo stesso pieno di empatia, dal quale emerge l’ironia e la complessità del vivere quotidiano. Con lo stesso atteggiamento, d’altra parte, rivolge la sua attenzione a qualsiasi altro soggetto. Con il titolo Personae, si allude proprio a questa sua adesione alla vita concreta degli individui e, nello stesso tempo, a un senso della maschera e del teatro, che si manifesta soprattutto in alcune foto realizzate con lo pseudonimo di André S. Solidor, lo pseudonimo che Erwitt dedica senza diplomazia al mondo dell’arte contemporanea ed a un certo tipo di fotografia. In questo modo dà vita ad un suo alter ego irriverente, che ama tutto ciò che E.E. detesta: il digitale e il photoshop, la nudità gratuita e l’eccentricità fine a sé stessa. Una maschera dissacrante che prende in giro certi artisti, con un’esilarante parodia, che fa sorridere e, nello stesso tempo, invita a una seria riflessione sul mercato dell’arte.

    Personae è la più grande retrospettiva mai fatta di Elliott Erwitt, e certamente la più peculiare, unisce infatti per la prima volta una grande collezione di immagini a colori alle sue icone in bianco e nero, e chiude con il racconto dello sbalorditivo progetto che Erwitt ha firmato con lo pseudonimo Andrèe S. Solidor” afferma Biba Giacchetti.

    Curata da Biba Giacchetti con il progetto grafico di Fabrizio Confalonieri, la mostra è organizzata da Civita Mostre con il Consorzio delle Residenze Reali Sabaude, in collaborazione con Sudest57.

    Tutte le foto scelte, nel formato di cm. 50 x 60 e di cm. 70 x 100, sono stampate con particolare cura e allestite con cornici fine art e vetro antiriflesso. Un’accurata audioguida in italiano ed in inglese è disponibile per tutti i visitatori, inclusa nel biglietto di ingresso.

    Per maggiori info 

    Foto di copertina: SPAIN, Madrid 1995 – Prado Museums

    Credit: Elliot Erwitt/MAGNUM PHOTOS

     

  • Foto Gallery Conferenza Stampa 21 settembre 2018

    Antje Rieck è nata a Ulm in Germania, vive a Monaco fino al suo trasferimento a Torino a meta degli anni ’90. Qui sperimenta per la prima volta il marmo con il quale conduce la sua ricerca verso un linguaggio di rigore e purezza.

    Dal 1997 è presente a livello internazionale in mostre collettive per personali.

    Antje Rieck riceve diversi premi e riconoscimenti, tra i quali il premio Cesare Pavese per la scultura nel 1997.

    Partecipa alla Biennale internazionale di scultura, al premio Targhetti Art Collection, in cui è stata finalista e ottiene importanti commozione private e pubbliche, tra le quali spicca il monumento per Canale d’Alba.

    Nel 2006 è stato inaugurato il monumento ai Martiri delle Fosse Ardeatine commissionato da Italgas per la città di Roma.

    Ha ottenuto un particolare apprezzamento con la creazione scenografica realizzata per la Fondazione Merz in occasione della collaborazione con il Teatro Regio per l’Opera “Acqua” in occasione della Biennale di Venezia 2011 ha esposto nelle mostra Grasstress a Murano.

    Il lavoro di Antje Rieck esamina l’idea di trasformazione, trascendenza e metamorfosi, concependo i cirrosi naturali, compreso quello dell’uomo, come un recipiente poroso in dialogo con il suo ambiente.

    Nelle installazione scultoree specificatamente allocate, l’artista utilizza materiali come il marmo, il legno e la pietra, coriandoli spesso con altri media, tra i quali la fotografia, il video, l’animazione digitale e la performance.

    A Palazzo Biandrate Aldobrandino di San Giorgio, sede storica dea Società Reale Mutua presenta una nuova scultura di acciaio, ferro e cristalli che, in processo chimico costante, alterneranno la loro conformazione in ragione delle caratteristiche dell’ambiente.

    La scultura progettata e realizzata espressamente per il cortile del palazzo, svolge come una funzione di catalizzatore di energie, mutando il proprio assetto, in modo casuale e non del tutto prevedibile.

    Di cristalli e metallo sono anche le opere collocate all’interno del Museo Storico della Reale Mutua, con creazioni cristalline che crescono su forme realizzate come supporto e che in qualche caso ricordano l’elica del DNA.

    Tutto il lavoro di Antje Rieck è indirizzato all’indagine formale del limite tra caso e prevedibilità, tra potenza trasformata della natura e lavoro.

    Per maggiori info su Art Site Fest 2018

     

  • Con oltre 150 opere, un percorso espositivo diviso in 7 sezioni e curata da Dolores Durán Úcar, Palazzo Mazzetti ospita Chagall.

    Colore e magia, una mostra realizzata da Fondazione Asti Musei, Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, Regione Piemonte e Comune di Asti,in collaborazione con il Gruppo Arthemisia e con il patrocinio della Provincia di Asti.

    Chagall. Colore e magia rappresenta una straordinaria opportunità per ammirare più di 150 opere di Marc Chagall e ripercorrere la traiettoria artistica del pittore dal 1925 fino alla morte.

    L’allestimento segue un percorso originale che, andando oltre la presentazione cronologica, propone una lettura nuova delle opere, consentendo al visitatore di addentrarsi nei temi principali della produzione dell’artista: la tradizione russa, legata alla sua infanzia, dalla quale non si allontanò mai; il senso del sacro e la profonda religiosità che si riflettono nelle creazioni ispirate alla Bibbia; il rapporto con i letterati e i poeti, rappresentato in mostra dalla raccolta di incisioni con cui tradusse in immagini i testi di Jean Girardoux e altri scrittori per il volume I sette peccati capitali; l’interesse per la natura e gli animali e le riflessioni sul comportamento umano che trovarono espressione nelle acqueforti delle Favole; il mondo del circo, che lo affascinava sin dall’infanzia per la sua atmosfera bohémienne e la sua sete di libertà; e, ovviamente, l’amore, che domina le sue opere e dà senso all’arte e alla vita.

    Va sottolineata la presenza in mostra di alcuni capolavori, appartenenti a importanti collezioni private, raramente sono stati esposti fino ad ora.

    Per maggiori informazioni

    Credit Photo di copertina:

    Les fiancés sur fond bleu, 1931-32 6 Oil on canvas, 24×19,2 cm – Private Collection, Swiss © Chagall®, by SIAE 2018

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