Categoria: Musei

  • SUL PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONE
    Francesco Barocco, Riccardo Baruzzi, Luca Bertolo, Flavio Favelli, Diego Perrone

    5 maggio — 3 ottobre 2021
    GAM — Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea Torino

    “Non è un tema, né un linguaggio quello che unisce i cinque artisti presenti in questa esposizione. È piuttosto la presenza di uno spazio di possibilità all’interno delle loro opere, composte, quasi sempre, da almeno due elementi, da due o più nature, da due o più immagini non pienamente conciliabili tra loro e legate da un vincolo di ambiguità che talvolta diviene chiaro rapporto di contraddizione. La forza emotiva del loro lavoro, pur nella grande diversità del loro procedere, sembra nascere dalla vibrazione di quello spazio generato tra elementi che non possono compiutamente sovrapporsi, né coincidere in un’affermazione univoca, che continuano a scivolare l’uno sull’altro e a pretendere attenzione uno a dispetto dell’altro.

    Ciò che unisce questi cinque artisti è la capacità di tenere all’interno delle loro opere lo spazio che separa e congiunge più rappresentazioni e di riconoscere il loro sovrapporsi nel tempo, di accogliere nel corpo stesso dell’opera il cono d’ombra da cui provengono svelando l’inesauribilità delle immagini, il loro emergere continuo e ripetuto. Una inesauribilità che è anche consapevolezza della perdita. A ogni apparire qualcosa si chiarifica e qualcosa recede nel fondo, sparisce nel buio.

    È lo spazio della dimensione umana quello della contraddizione, dell’ambiguo sovrapporsi di opposti, dove ogni immagine conduce per mano la sua ombra, ogni parola porta con sé l’impossibilità di dire e ogni nuovo sorgere è un separare.

    Parlare di un principio di contraddizione, porre queste parole a titolo di una mostra è un gioco antinomico, provoca in chi lo legge l’istinto a correggere la frase riportandola alla sua formulazione aristotelica. Il principio che tutti noi conosciamo è quello di non contraddizione. E su quel principio si regge la costruzione del pensiero su cui si fonda l’argomentazione logica e la solidità della scienza il cui progresso è stato determinato per esclusione di teorie contrapposte. L’accoglimento della contraddizione può sembrare una libertà che l’arte può rivendicare per amore di bizzarria, una libertà contro la ragione. Le due strade, quella del mito e quella del logos si sono divaricate all’inizio della filosofia, da una parte un racconto molteplice, indefinitamente variato e intessuto di una polisemia di simboli, dall’altra la logica e l’esercizio della dialettica che ad ogni bivio impongono una scelta, un vero e un falso. Eppure le odierne teorie scientifiche e filosofiche, dalla fisica quantistica alla logica paraconsistente e al dialeteismo, ci pongono a confronto con la contraddizione ammettendo all’interno dei loro campi la sovrapposizione e la compresenza di verità opposte, di determinazioni contrarie. Anche questo ci offre una piccola conferma che lo spazio di ambiguità e di vibrazione di significati inconciliati che le opere di questi cinque artisti ci presentano sia un luogo in cui vale la pena sostare: luogo della consapevolezza, della irrisolta condizione umana e spazio di pensiero che ci proietta all’indietro nel tempo, verso i dualismi originari propri di ogni cultura, e in avanti, verso le nuove rappresentazioni del mondo che più progrediscono e più si scoprono antiche.

    Molteplici sono le ragioni per le quali il lavoro di ciascun artista è stato considerato necessario all’esposizione e più complesse di quanto possa essere accennato qui in poche righe, ma certo le riflessioni che hanno preceduto questa mostra nascono in risposta all’immaginario di Flavio Favelli (Firenze, 1967), delle sue composizioni architettoniche fatte di note impassibili e insieme di echi viscerali, dei suoi retri di specchio che imprigionano le immagini invece di rifletterle, della sua capacità di far riemergere dal fondo del tempo la tragicità di avvenimenti storici insieme all’apparente leggerezza delle pubblicità che li accompagnarono sulle pagine dei giornali, di mostrarci come la memoria tenga insieme gli uni e le altre, per scoprire poi che, tra i due elementi, il vero geroglifico, l’immagine sprofondata in un tempo lungo e immutabile, non è l’avvenimento storico ma il simbolo pubblicitario. 

    Allo stesso modo, le ragioni di questa mostra si sono formate di fronte alle Veroniche di Luca Bertolo (Milano, 1968), indugiando sulla loro ostensione fatta di nascondimento, considerando la bellezza dei suoi dipinti paradossalmente protetta sotto tracce sfiguranti di spray, le sue eclettiche scelte stilistiche fatte in contrasto con l’oggetto del quadro, le sue ambigue superfici pittoriche composte di piani che paiono scivolare gli uni sugli altri contraddicendosi. 

    La mostra nasce pensando al lavoro di Diego Perrone (Asti, 1970) perché guardare una sua scultura di vetro significa guardare un volume e insieme un vuoto, un buco nello spazio dove lo sguardo a tratti passa attraverso e a tratti si arresta sua materia, sul dettaglio definito del bassorilievo, mentre l’attenzione corre già alle lingue di colore acceso che non coincidono con le figure scolpite, ma vi si sovrappongono. E mentre il nostro sguardo è catturato da queste diverse lusinghe, il peso del nostro corpo e le sculture col loro basamento fluttuano su un ulteriore piano: un pavimento reso liquido e instabile dalla presenza di altre immagini, di altri colori.

    Il pensiero dell’indecidibile si è nutrito dell’osservazione delle opere di Francesco Barocco (Susa, 1972) dell’impossibilità di dire se i suoi disegni di nera grafite siano il fondo oscuro da cui emerge il bianco della sua scultura o se siano le ombre a posarsi sul gesso per animarne il corpo in diverse presenze. Così come si è nutrito del suo non-finito fatto di perdita e insieme di possibilità, dei suoi titoli di altre opere incisi sulle sue opere, a evocare altre immagini, altri tempi, altri artisti.

    Così come quel medesimo pensiero ha trovato nuove conferme, nuovo terreno di riflessione, nelle trasparenze di Riccardo Baruzzi (Lugo, 1976), nelle sue tele fatte di figure abitate da altre figure, di contorni che si sovrappongono in uno spazio contraddittorio, di sfondi profondi e senza tempo da cui emergono immagini sempre sul punto di dissolversi nuovamente. Il suo immaginario si nutre della conoscenza dell’arte passata così come di forme di decorazione popolare e l’apparente contrasto si scioglie nella leggerezza di una pratica che si muove libera tra la linea pittorica, il disegno digitale, il riverbero sonoro e l’azione performativa.”    Elena Volpato

    La mostra è accompagnata da un catalogo pubblicato da Viaindustriae

    GAM – GALLERIA CIVICA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA | Sala del Contemporaneo, piano -1 | 

    Via Magenta, 31 – 10128 Torino 

    Per informazioni e orari di apertura: https://www.gamtorino.it/it

  • Padova – Centro San Gaetano 10 ottobre 2020 – 6 giugno 2021
    Van Gogh a Padova mostra prorogata almeno sino al 6 giugno.
    E il 15 aprile nuova visita guidata online con Marco Goldin

    Con uno scarno comunicato via Facebook, Marco Goldin annuncia la proroga della grande mostra padovana “Van Gogh. I colori della vita” almeno fino a domenica 6 giugno. La parola “almeno” utilizzata sembrerebbe voler preludere anche a una possibile, ulteriore proroga almeno sino al 6 giugno, ma dal quartier generale di Linea d’ombra le bocche sono assolutamente cucite. La grande esposizione era previsto si concludesse domenica 11 aprile.

    “Fino al momento in cui il Governo non ci dirà quando potremo riaprire la mostra, non saremo però in grado di vendere le nuove date né spostare quelle per cui erano già stati acquistati i biglietti. Restiamo dunque tutti in attesa di notizie, prontissimi a ricominciare” dichiara Goldin.
    Che sottolinea anche come questa colossale mostra, la maggiore mai realizzata in Italia sul maestro olandese, inauguratasi il 10 ottobre dello scorso anno, sia rimasta aperta solo poco più di un mese a fronte di cinque mesi di chiusure: nulla rispetto al colossale sforzo economico e organizzativo messo in atto da Linea d’ombra.
    ”Sappiamo – aggiunge Goldin – di avere fatto, con questa proroga, cosa gradita ai tantissimi che non vedono l’ora di poter entrare nelle sale del Centro San Gaetano che ospita l’esposizione. E noi per primi non vediamo l’ora di riaccoglierli a Padova con i capolavori di Van Gogh”.
    Intanto, per giovedì 15 aprile alle ore 21, sempre sulla piattaforma Zoom, è prevista la settima replica di una iniziativa che ha ottenuto un grandissimo successo. Si tratta della visita guidata online alla mostra “Van Gogh. I colori della vita”, condotta direttamente da Marco Goldin. Tutti i posti disponibili per la prime sei visite on line sono andati subito esauriti, di qui questa ulteriore che si potrà seguire sempre al costo di €12. La registrazione della visita guidata online resterà disponibile, per chi acquisterà il biglietto, fino alla mezzanotte del 18 aprile.

  • Per tutto il mese di aprile purtroppo la GAM resterà ancora chiusa al pubblico. In attesa della riapertura abbiamo allestito nuove mostre, già pronte per essere visitate, e lavorato per garantire un ricco programma di visite guidate virtuali alle collezioni, attività online per le famiglie e, sui nostri canali social, gli approfondimenti e le curiosità sulle nuove esposizioni e quelle in corso.

    Continuate a seguirci su InstagramYoutube e Facebook.

    Nell’attesa di rivederci presto in museo con le nuove mostre!

    LE NUOVE MOSTRE

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    VIAGGIO CONTROCORRENTE

    Arte italiana 1920-1945

    dalle collezioni Giuseppe Iannaccone, della GAM e dei Musei Reali di Torino

    in favore della Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro

    La GAM ha allestito una mostra dedicata a un periodo storico molto intenso per l’arte italiana, tra la fine della prima e il termine della Seconda Guerra Mondiale: 25 anni di storia raccontati con circa 130 opere attinte dal patrimonio del museo e da alcune opere scelte dalla Galleria Sabauda, facendo ruotare le due raccolte pubbliche intorno a una significativa selezione di 75 capolavori dalla ricca collezione privata dell’Avvocato Giuseppe Iannaccone di Milano.

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    SUL PRINCIPIO DI CONTRADDIZIONE

    Francesco Barocco, Riccardo Baruzzi, Luca Bertolo, Flavio Favelli,

    Diego Perrone

    Non è un tema, né un linguaggio quello che unisce i cinque artisti presenti in questa esposizione. È piuttosto la presenza di uno spazio di possibilità all’interno delle loro opere, composte, quasi sempre, da almeno due elementi, da due o più nature, da due o più immagini non pienamente conciliabili tra loro e legate da un vincolo di ambiguità che talvolta diviene chiaro rapporto di contraddizione.

    La mostra è accompagnata da un catalogo pubblicato da Viaindustriae

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    ANCORA LUCE. LUIGI NERVO

    Nell’ambito del public program del progetto Luci d’artista – XXIII edizione

    La GAM è in attesa di aprire al pubblico, negli spazi dell’Educational Area, la mostra dedicata a Luigi Nervo pensata e organizzata dal Dipartimento Educazione GAM insieme alla Circoscrizione 5, nell’ambito della XXIII edizione di Luci d’Artista promossa dalla Città di Torino.

    Aprirà anche una seconda esposizione dedicata al maestro, allestita negli spazi del Centro Civico della Circoscrizione 5, nel territorio dove Nervo ha lavorato e vissuto. Intanto sono disponibili sui nostri canali social le interviste ai curatori e diversi approfondimenti.

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    LE MOSTRE IN CORSO

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    ALIGHIERO BOETTI

    La VideotecaGAM ospita la mostra dedicata ad Alighiero Boetti, realizzata in collaborazione con l’Archivio Storico della Biennale di Venezia.

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    PHOTO ACTION PER TORINO 2020

    Nello spazio Wunderkammer è allestita Photo Action per Torino 2020 per contribuire al fondo Covid19 in favore di UGI Onlus.

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    In attesa di poter riaprire le mostre seguite gli approfondimenti sui nostri canali InstagramYoutube e Facebook.

    Le attività e i Laboratori

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    Il mistero del quadro scomparso

    gioco online per le famiglie

    da sabato 10 aprile

    Vi piacciono gli enigmi? Vi proponiamo una nuova sfida: collegandosi a questo link (la pagina sarà attiva dal 10 aprile) potrete partecipare ad una ESCAPE ROOM virtuale davvero unica!

     

    Per farlo, sarà necessario acquistare il video “I materiali dell’arte” al seguente link e guardarlo attentamente per scovare tutti gli indizi!

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    Semplicemente carta

    Attività online per le famiglie

    Domenica 11 aprile alle 15.00

    Il gusto per il magico, la fiaba e il sorprendente sarà lo spunto per l’attività Semplicemente carta. Con materiali come carta, cartoncini, colori e fermacampioni si costruiranno ingegnosi marchingegni semimobili che ricorderanno gli automi o le macchine gioco che Luigi Nervo costruiva per i suoi racconti teatrali e per i bambini delle scuole portando ovunque gioia e divertimento.
    L’acquisto del laboratorio a questo LINK

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    COLORS

    PLATINUM.  Valore, rarità e unicità nell’arte

    Visita virtuale in collaborazione con OFT

    23 e 24 aprile

    Anche quest’anno Fondazione Torino Musei, OFT – Orchestra Filarmonica di Torino e Abbonamento Musei propongono il progetto di collaborazione che avvicina il pubblico dell’arte a quello della musica e viceversa. Ogni venerdì e ogni sabato precedente i concerti del martedì, i musei organizzano una visita guidata che si ispira alla tematica – COLORS – proposta dall’Orchestra Filarmonica.

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    CONNESSIONI D’ARTE

    Visite virtuali alle collezioni del Novecento

    5-18-25 aprile

    Il percorso guidato consente al visitatore di soffermarsi nei diversi ambienti del museo, cogliendo l’aspetto d’insieme delle sale e delle opere, per proseguire con la descrizione di dipinti, sculture e installazioni attraverso video e fotografie esclusive. Visite guidate on-line

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    IN ONDA

    Sulla piattaforma digitale di Fondazione Torino Musei sono disponibili contenuti didattici destinati alle scuole e alle famiglie.

    Curati dal Dipartimento Educazione della GAM e dai Servizi Educativi del MAO e di Palazzo Madama, contengono video per realizzare i laboratori costruiti sul patrimonio dei musei. Sono forniti kit con il materiale necessario alla realizzazione delle attività.

  • Nel primo decennio del Seicento, il duca di Savoia Carlo Emanuele I commissione la Cappella della Sindone all’architetto Carlo di Castellamonte, per dare seguito alla volontà testamentaria del padre, il duca Emanuele Filiberto e per dare una sede definitiva alla prestigiosa reliquia, posseduta e custodita dai duchi di Savoia dal 1453 e trasferita da Chambéry a Torino nel 1578. 

    Il progetto di Carlo di Castellamonte è successivamente modificato dal figlio, Amedeo di Castellamonte, e poi dal luganese Bernardino Quadri, al quale si deve la progettazione nel 1657 di un edificio a pianta circolare incastonato tra il palazzo ducale e l’abside della cattedrale di San Giovanni, sopraelevato al livello del piano nobile della residenza e funzionalmente collegato alla cattedrale da due scaloni. 

    Nel 1667 il cantiere è affidato alla direzione di Guarino Guarini che, sul volume già costruito dell’aula, imposta una geniale struttura formata da tre archi alternati a pennacchi, capace di alleggerire la massa muraria e sviluppare in altezza la cupola, una immaginifica struttura diafana, costituita da un reticolo di archi sovrapposti e sfalsati, proteso verso il cielo e permeato dalla luce. 

    I lavori sono si concludono nel 1694, undici anni dopo la morte di Guarini, quando la Santa Sindone è stata traslata all’interno della Cappella per essere deposta nell’altare centrale, progettato da Antonio Bertola. 

    Nella prima metà dell’Ottocento sono stati introdotti i quattro gruppi scultorei commissionati dal re Carlo Alberto, raffiguranti grandi protagonisti di Casa Savoia: Amedeo VIII (1383-1451), Emanuele Filiberto (1528-1580), Tommaso Francesco I di Savoia Carignano (1596-1656) e Carlo Emanuele II (1634-1675).       

    Il restauro della Cappella della Sindone (1997-2018)

    Nella notte tra l’11 e il 12 aprile 1997, mentre era in corso un cantiere di restauro, la Cappella della Sindone è stata interessata da un incendio di vaste proporzioni che ha danneggiato gravemente l’edificio, rendendo necessario un intervento di restauro strutturale e architettonico particolarmente complesso e impegnativo. 

    Lo shock termico, provocato dal calore delle fiamme e dall’acqua di spegnimento, ha causato la fratturazione in profondità dei conci di marmo e la rottura della cerchiatura metallica situata in corrispondenza del tamburo. Al piano dell’altare era presente uno strato di detriti di circa un metro di altezza; le impalcature utilizzate per i lavori si erano adagiate e contorte a terra. Molte colonne erano esplose, oltre l’80% della superficie marmorea era andato irrimediabilmente perduto e il sistema degli incatenamenti metallici era gravemente compromesso. I marmi Nero e Bigio di Frabosa Soprana (Cuneo) avevano perso il loro colore originario e il calore ne aveva provocato la calcinazione per spessori anche rilevanti. Tutti gli apparati decorativi lignei erano irrimediabilmente distrutti.

    L’intervento di restauro si è articolato in una pluralità di cantieri che, a partire dalle fasi immediatamente successive all’incendio, hanno consentito di mettere in sicurezza l’edificio, realizzare le strutture e gli impianti di servizio funzionali ai lavori, di approfondire la conoscenza del monumento ed effettuare la sperimentazione degli interventi di restauro, eseguire il consolidamento del basamento in muratura laterizia, riaprire la cava di marmo nero di Frabosa Soprana per procedere alla riabilitazione delle strutture, ricostruire i serramenti, il grande finestrone, i tetti e le coperture in piombo, restaurare il paramento lapideo interno ed esterno, gli apparati decorativi bronzei e la balaustra verso la Cattedrale per restituire definitivamente alla Cappella la sua immagine architettonica e decorativa. 

    La Cappella della Sindone è stata riaperta al pubblico il 27 settembre 2018.

     

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    In occasione del 160° anniversario della nascita dello Stato italiano, il percorso dei Musei Reali, nella Rotonda dell’Armeria Reale, si arricchisce con la carrozza di Vittorio Emanuele II, protagonista con Cavour e Garibaldi del Risorgimento, primo Re d’Italia dal 1861 al 1878 e di cui è stato celebrato, nel 2020, il duecentesimo anniversario della nascita.

    L’arrivo a Torino della carrozza rappresenta un importante tassello del percorso dei Musei Reali, in una delle sezioni che maggiormente colpiscono l’immaginazione dei visitatori. Il mezzo sarà infatti collocato a pochi passi dalla loggia dalla quale Carlo Alberto annunciò, il 4 marzo 1848, la promulgazione dello Statuto. Appartenente alle Collezioni Presidenziali del Quirinale, la carrozza denominata Mylord, ricordata negli inventari con la definizione antica di ‘Polonese’ o ‘Polacca’, era uno dei mezzi di trasporto preferiti da Vittorio Emanuele II per le sue uscite private a Roma. È un modello aperto e basso, privo di portiere, a quattro ruote e a due sedili con cassetta di guida per il cocchiere, realizzata dalla ditta romana dei fratelli Casalini. Oggi la carrozza fa parte del nucleo più antico e prezioso della Collezione Presidenziale. Nell’inventario del 1882 figura una nota manoscritta a fianco che recita: “Le Polonesi erano le carrozze di cui abitualmente si serviva il Gran Re Vittorio Emanuele II [….]”. Il brano prosegue sottolineando che “questa seconda fu l’ultima adoperata in Roma avanti la sua morte” a ricordare, quindi, come questo mezzo fosse particolarmente amato dal re.

    In tale occasione viene presentato anche il nuovo allestimento Le armi del Re, una selezione di 21 oggetti di notevole pregio e importanza storica, recentemente restaurati, che facevano parte delle ricche raccolte personali di Vittorio Emanuele II. Oltre alle armi, la collezione comprende bandiere, uniformi, onorificenze e altri oggetti strettamente personali: alcuni si collegano al ruolo pubblico del sovrano, come i doni diplomatici o le armi che ricordano le battaglie del Risorgimento, altri sono da mettere in relazione con gli interessi personali di Vittorio Emanuele II, primo fra tutti la caccia, documentata da una spettacolare collezione di fucili e coltelli.

    L’allestimento include anche due armature giapponesi, la B. 53 e la B. 54, entrambe donate al sovrano dall’imperatore Meiji nel 1869 e nel 1871, a pochi anni di distanza dalla firma del trattato di amicizia e commercio che apriva le relazioni diplomatiche tra il Regno d’Italia e l’Impero giapponese. Si trattava di doni prestigiosi come testimoniano la cura nel realizzarle e la scelta dei materiali impiegati che indicano la destinazione a personaggi di rango elevato. La prima armatura è un apparato difensivo leggero utilizzato per lo scontro a piedi. A differenza della B. 53, montata già nell’Ottocento su un manichino, l’armatura B. 54 è stata riproposta nel suo insieme solamente ora, per sottolinearne l’aspetto unitario e facilitarne una più immediata lettura. Le due armature, con le collezioni extraeuropee, vennero allestite nella Rotonda dell’Armeria Reale, sala in cui furono sistemate anche le raccolte di Vittorio Emanuele II.

    Oggi l’Armeria Reale conserva oltre 5.000 opere, collocate in ambienti di raro fascino e pregio, finemente decorati e affrescati.

    “La collezione dell’Armeria Reale di Torino occupa un posto di riguardo nel contesto europeo, ma la sua valorizzazione non è né facile né scontata, dato l’impianto fortemente storicizzato degli spazi e l’impronta ottocentesca che contraddistingue il suo primo ordinamento – dichiara Enrica Pagella,  Direttrice dei Musei Reali. Esprimo, quindi, un sincero ringraziamento alla Presidenza della Repubblica per questo prestito che costituirà un elemento inedito di attrazione e di leggerezza nel severo circuito delle vetrine palagiane, contribuendo anche a rafforzare il legame simbolico tra la nostra capitale attuale e il Palazzo Reale di Torino, prima sede della casata sabauda e luogo in cui prese forma la prima carta costituzionale della nazione.”

    “Il nuovo allestimento Le armi del Re si propone di valorizzare un nucleo di oggetti poco noti ma di particolare rilievo, sia dal punto di vista storico sia per il loro pregio – dichiara Giorgio Careddu, curatore delle collezioni d’arte dell’Armeria Reale -. Le sciabole e le spade, per lo più di rappresentanza, furono offerte al Re come segno di gratitudine per il ruolo avuto nel processo storico che portò all’unificazione dell’Italia.  Le armi da fuoco sono invece, nella maggioranza dei casi, doppiette da caccia realizzate da Filippo Panataro, armaiolo personale di Vittorio Emanuele II, e dai più importanti produttori europei dell’epoca.”

     

  • Torino, 25 febbraio 2021.

    Arriva ai Musei Reali di Torino il San Giovanni Battista di Caravaggio, che sarà esposto dal 25 febbraio al 30 maggio nelle sale dedicate ai pittori caravaggeschi della Galleria Sabauda.

    L’opera, realizzata tra il 1604 e il 1606, proviene da Roma dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica grazie a uno scambio promosso dalle direzioni dei due musei in occasione della mostra L’ora dello spettatore. Come le immagini ci usano (Roma, Palazzo Barberini, 2 dicembre 2020 – 5 aprile 2021). L’esposizione romana accoglie infatti nel suo percorso la rarissima tavola di Hans Memling con la Passione di Cristo, conservata alla Galleria Sabauda.

    L’evento espositivo, sostenuto dalla Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino e da Reale Mutua, è una straordinaria opportunità per portare all’attenzione del pubblico le collezioni di due grandi pinacoteche italiane e il genio dei loro insuperati maestri.

    Caravaggio, uno dei pittori più celebrati e amati di ogni tempo, con il suo stile audace e innovatore sperimenta nei primi anni del 1600 nuove composizioni di soggetto sacro e profano, popolate da personaggi raffigurati nell’immediatezza della loro umanità e arricchite da frammenti di natura morta. Tra queste si colloca anche il San Giovanni che raffigura “il Battista”, uno dei santi più venerati dalle chiese cristiane, asceta spesso considerato come l’ultimo dei Profeti. Caravaggio lo mostra ancora adolescente, in un momento di riposo nel deserto, dove trascorse gran parte della sua esistenza. La figura, avvolta in un mantello rosso, emerge dall’oscurità, il volto in penombra e le mani indurite dal sole, lo sguardo schivo e malinconico rivolto al buio oltre la cornice, come sorpreso da una misteriosa presenza. Accanto, gli oggetti che ne qualificano l’identità: la croce di canne e la ciotola per i battesimi.

    L’opera, scortata dal Corpo dei Carabinieri, è arrivata a Torino il 24 febbraio scorso e sarà esposta per i prossimi tre mesi in una sala del percorso permanente della Galleria Sabauda. La mostra-dossier permetterà di presentare al pubblico uno dei capolavori del pittore che con il suo linguaggio rivoluzionario seppe cambiare il corso della storia dell’arte, ma sarà anche un’occasione unica per mostrare lo stretto dialogo che intercorre con le opere di quei pittori italiani e stranieri, di prima e seconda generazione, che furono profondamente influenzati dalla sua pittura. Alcuni, come Giovanni Baglione, coetaneo del Merisi e suo acerrimo nemico, interpretano solo esteriormente i modelli del maestro; altri come Valentin, Vignon, Ribera e Serodine ripropongono con grande rigore l’umiltà mistica dei santi a partire da invenzioni caravaggesche. Altri ancora, come Antiveduto Gramatica e Orazio Riminaldi, guardano al profondo naturalismo e alle nuove tematiche introdotte dal Merisi, mentre il pittore olandese Matthias Stomer porta avanti nei suoi quadri a “lume di notte” i vigorosi contrasti tra luci e ombre. Caravaggio affascina i grandi collezionisti del tempo e anche i Savoia: come mostrano le opere esposte, anche la casa reale piemontese si aggiorna subito sulla moderna pittura di realtà, ampiamente documentata negli inventari degli anni Trenta del Seicento. Sarà Orazio Gentileschi a donare proprio al duca sabaudo Carlo Emanuele I, nel 1623, la splendida pala con l’Annunciazione, una delle sue opere più intense e significative.

     

    “Nonostante i mesi di lockdown, i Musei Reali non si sono mai fermati. – dichiara Enrica Pagella, Direttrice dei Musei Reali di Torino -. L’emergenza che abbiamo vissuto e che stiamo tuttora vivendo ha evidenziato la necessità di offrire al pubblico proposte culturali inedite, misurate sulle attuali esigenze di fruizione e di sostenibilità, sviluppate anche in collaborazione con altre realtà nazionali. I Musei Reali si fanno promotori di un costante scambio e confronto con lo scenario nazionale, oggi essenziale per offrire al pubblico nuovi contenuti capaci di moltiplicare le opportunità di conoscenza e di esperienza”.

     

    “Con soddisfazione annunciamo oggi l’apertura dell’esposizione del San Giovanni Battista di Caravaggio, per la prima volta a Torino. – afferma Giorgio Marsiaj, Presidente Consulta Valorizzazione Beni Artistici e Culturali di Torino -. Quello di Consulta è un atteggiamento partecipe e attento; crediamo nella cultura quale leva economica ed inclusiva, che favorisce lo sviluppo, e aumenta l’attrattività e il benessere del territorio. Nonostante le criticità generate dalla pandemia, le aziende e gli enti Soci di Consulta rimangono focalizzati nel settore culturale, per contribuire a conservare e valorizzare il patrimonio che la Storia ci ha consegnato, per le generazioni a venire”.

     

    “Siamo lieti di sostenere questa prestigiosa esposizione, che assume un significato particolare in un momento in cui l’arte, e in generale la cultura, è ingrediente fondamentale del processo di ripartenza. – ha dichiarato Luigi Lana, Presidente Reale Mutua -. Operare in sinergia con realtà di eccellenza come la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino  ci permette di essere parte attiva nella valorizzazione del territorio e di generare impatti positivi sociali e culturali in grado di accrescere l’ambizione di Torino a diventare sempre più un polo artistico di respiro nazionale e internazionale”.

    MUSEI REALI TORINO

    www.museireali.beniculturali.it

     

    Per acquistare i biglietti: www.museireali.beniculturali.it/organizza-la-tua-visita

    Biglietti online su www.coopculture.it

                                  

    Orari:

    Dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19 (ultimo ingresso ore 18).

    Il lunedì accesso esclusivamente con biglietto acquistato in prevendita on line.

     

    Biglietti:

    Intero: € 15

    Ridotto: € 2 (ragazzi dai 18 ai 25 anni)

    Gratuito per i minori 18 anni, insegnanti con scolaresche, guide turistiche, personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, membri ICOM, disabili e accompagnatori, possessori dell’Abbonamento Musei, della Torino + Piemonte Card e della Royal Card. L’ingresso per i visitatori over 65 è previsto secondo le tariffe ordinarie.

     

    Visite guidate con interprete LIS – Lingua italiana dei segni 

    Nell’ambito del programma Il bello sensibile, a cura dei Servizi educativi, i Musei Reali offrono un duplice appuntamento rivolto alle persone sorde:

    venerdì 12 marzo alle 16.30

    venerdì 16 aprile alle 16.30

    Informazioni e prenotazioni: mr-to.edu@beniculturali.it

  • In mostra ottanta capolavori del movimento artistico che ha rivoluzionato la storia della pittura italiana dell’Ottocento

    Date e orari potranno subire variazioni sulla base delle eventuali chiusure disposte nell’ambito della classificazione dell’indice di rischio delle regioni stabilito dalle autorità di governo (*) 

    La stagione 2021 delle mostre d’arte al Forte di Bard si apre con un’importante esposizione dedicata ai Macchiaioli, movimento artistico attivo soprattutto in Toscana che ha rivoluzionato la storia della pittura italiana dell’Ottocento. Dal 24 febbraio al 6 giugno 2021 (*), il polo culturale valdostano ospita la mostra I Macchiaioli. Una rivoluzione en plein air.

    Curata da Simona Bartolena, prodotta e realizzata da ViDi – Visit Different in collaborazione con il Forte di Bard, la mostra presenta 80 opere di autori in grado di analizzare l’evoluzione di questo movimento, fondamentale per la nascita della pittura moderna italiana.

    Nella seconda metà dell’Ottocento, Firenze era una delle capitali culturali più attive in Europa, punto di riferimento per molti intellettuali provenienti da tutta Italia. Al Caffè Michelangelo, si riuniva un gruppo di giovani artisti accomunati dallo spirito di ribellione verso il sistema accademico e dalla volontà di dipingere il senso del vero. Nacquero così i Macchiaioli, il cui nome, usato per la prima volta in senso dispregiativo dalla critica, venne successivamente adottato dal gruppo stesso in quanto incarnava alla perfezione la filosofia delle loro opere.

    «In un momento di grande difficoltà e smarrimento come quello che stiamo attraversando è indispensabile continuare ad investire nella cultura, prezioso motore di sviluppo per il territorio – evidenzia la Presidente del Forte di Bard, Ornella Badery -. Questo nuovo progetto si colloca bene nella filosofia espositiva del Forte di Bard che ogni anno propone appuntamenti di grande richiamo dedicati all’arte. L’auspicio, nonostante le tante incertezze che stiamo vivendo, è che anche questa mostra possa incontrare i favori del pubblico e della critica ed esser anche motivo ed occasione di crescita e arricchimento personale».

    «Questa mostra offre molti spunti per rileggere la storia risorgimentale e quegli anni complessi – spiega il Direttore del Forte di Bard, Maria Cristina Ronc -. Anni rivoluzionari, costellati di nomi e personaggi da riscoprire e da rileggere nella prospettiva del tempo che è intercorso. Il Forte di Bard non è “solo” un luogo espositivo ma prima ancora è un edificio storico e come tale in questa occasione, più che in altre, amplia e dialoga con l’esposizione dei Macchiaioli e con le vite e le opere di questi pittori soldati. Ci piace ricordarne uno. Nino Costa, arruolato nel reggimento dei Cavalleggieri d’Aosta a Pinerolo che dopo varie peregrinazioni si sposta a Firenze e frequenta il Caffè Michelangelo. Lì conosce Giovanni Fattori, certamente il nome più noto tra i Macchiaioli, e che lo stesso Costa rammenterà come colui che “gli aprì la mente e lo incoraggiò”».

    Il percorso espositivo all’interno delle Cannoniere del Forte di Bard, prende avvio dalle opere di Serafino de Tivoli, precursore della rivoluzione macchiaiola, che si confronteranno con un lavoro giovanile di Silvestro Lega,dallo stile ancora purista, per giungere alle espressioni più mature della Macchia con Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Raffaello Sernesi, Odoardo Borrani e Cristiano Banti, che si allontanano definitivamente dalla tradizionale pittura di paesaggio italiana ma anche dalla lezione della scuola francese di Barbizon, particolarmente incline a indugiare in tendenze formalmente raffinate e legate al romanticismo, per scegliere un approccio più asciutto e severo, cogliendo impressioni immediate dal vero.

    Non mancano i dipinti a interesse storico, con i soldati di Giovanni Fattori, né tantomeno quelli firmati dai protagonisti del gruppo dopo gli anni sessanta, quando la ricerca macchiaiola perde l’asprezza delle prime prove e acquisisce uno stile più disteso, aperto alla più pacata tendenza naturalista che andava diffondendosi in Europa. La mostra si chiude con una riflessione sull’eredità della pittura di Macchia.

     

  • Il gruppo di lettura del Circolo dei lettori incontra le collezioni della GAM

    Il martedì alle 19.00: Movimenti, protagonisti e fatti d’arte dal secolo scorso a oggi con Luca Beatrice

    Il mercoledì alle 16.00: Visita guidata a tema nelle sale della collezione del ’900 alla GAM

    Dal 16 febbraio al 3 marzo

    Insieme alla Fondazione Circolo dei lettori, la GAM offre la possibilità di seguire visite guidate in museo legate alle tematiche affrontate il giorno prima nel gruppo di lettura guidato da Luca Beatrice, a tu per tu con le opere d’arte esposte.

    Ogni martedì sera il gruppo di lettura, scandito in episodi, ripercorre movimenti, protagonisti e fatti d’arte che attraversano il ‘900. Il mercoledì alle 16.00 coloro che hanno seguito la lezione potranno partecipare alla visita alle rinnovate collezioni del Novecento: Il primato dell’opera, della GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea e scoprire da vicino gli artisti e le opere di cui si è discusso.

    Il programma:

    –      martedì 16 febbraio h 19-20

    Dal Secondo Futurismo al ritorno alla pittura

    Negli Anni ’20 alla ricerca avanguardista dei seguaci di Marinetti & c. si sovrappone una figurazione sobria, che non scende a patti con la propaganda del regime. Sono i Sei di Torino, cresciuti nell’egida di Felice Casorati.

    –     mercoledì 17 febbraio h 16

    Visita guidata a tema alle collezioni GAM

    –         martedì 23 febbraio h 19-20

    Eccentrici, visionari, informali

    Torino città di luci e ombre, dietro l’apparente rigore si alimenta di figure misteriose e di difficile lettura. Parliamo di Carol Rama, Carlo Mollino, Italo Cremona, Luigi Carluccio, Piero Ruggeri, Riccardo Gualino e altri protagonisti.

    –         mercoledì 24 febbraio h 16

    Visita guidata a tema alle collezioni GAM

    –         martedì 2 marzo h 19-20

    L’Arte Povera e gli “altri” Anni Sessanta

    Nel 1967 l’Arte Povera anticipa l’età della contestazione e dei grandi cambiamenti. Ma gli anni ’60 sono molto più complessi e articolati: la pop, il design, la pittura monocroma per una Torino laboratorio di sperimentazioni.

    –     mercoledì 3 marzo h 16

    Visita guidata a tema alle collezioni GAM

    Gruppo di lettura con Luca Beatrice:

    abbonamento 4 incontri € 30

    acquisti su vivaticket.it

    Visite guidate alle collezioni GAM:

    a cura di Theatrum Sabaudiae

    Prenotazione obbligatoria, disponibilità fino ad esaurimento posti.

    Costo: 6 € a visita per partecipante

    Costi aggiuntivi: biglietto di ingresso al museo; gratuito per possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte. Appuntamento 15 minuti prima dell’inizio

    Prenotazioni allo 011 5211788, oppure scrivendo a info@arteintorino.com

    Acquista la tua visita

  • Un abbonamento, una sorta di “tessera soci” che consentirà non solo l’ingresso alla Pinacoteca, ma anche l’accesso ai contenuti digitali di Brera Plus. La Pinacoteca nel cuore di Milano si veste di nuovo e per accedervi si utilizzerà una tessera trimestrale. Gratis fino al 31 dicembre, l’abbonamento costerà poi quanto il biglietto singolo.

    Ad annunciarlo è il direttore James Bradburne, il cui obiettivo è quello di trasformare il “concetto del museo” e avvicinarlo di più alla sua comunità. “I visitatori non hanno una voce, ma i soci sì. Libertà è partecipazione”, dichiara dalle pagine del Corriere della Sera.

    D’ora in poi, quindi, invece del consueto ticket ci sarà una specie di abbonamento, che sarà a titolo gratuito fino al prossimo 31 dicembre, e che permetterà di visitare le gallerie e di avere accesso ai contenuti digitali di Brera Plus. Sarà valido per l’accesso illimitato per la durata di tre mesi.

    Da gennaio, quando l’abbonamento non sarà più gratuito, si entrerà allo stesso prezzo del vecchio biglietto, ha garantito Bradburne. La novità sta nel fatto che invece di entrare una sola volta, lo si potrà fare quante si desidera e inoltre si potranno visionari i contenuti online, tra eventi e iniziative.

    Tra i problemi di Brera, chiusa per Covid dal 23 febbraio al 9 giugno, una perdita di 3 milioni sul bilancio preventivo: “Non siamo l’unico museo in questa situazione e non è chiaro come il governo potrà gestire tutto questo – ha commentato il direttore – stiamo navigando sotto le stelle dell’incertezza. È l’impatto dell’anno terribile che abbiamo vissuto”.

    Intanto, ripartiranno il 12 ottobre le iniziative online con il documentario Performing Raffaello, un vero e proprio excursus sugli allestimenti dello Sposalizio della Vergine dal 1806 ad oggi. Un percorso che proseguirà idealmente il 29 ottobre con una mostra virtuale che affiancherà la stessa opera col rotolo cinese ‘Viaggio lungo il fiume durante il Qingming’ di Zhang Zeduan.

     

     

     

  • 26 settembre 2020 – 31 gennaio 2021

    La mostra Capa in color presenta, per la prima volta in Italia, gli scatti a colori di Robert Capa, fotografo di fama mondiale. La collezione è presentata da ICP-International Center of Photography, grazie a ICP Exhibitions Committee e ai fondi pubblici del New York City Department of Cultural Affairs in partnership con il consiglio cittadino.

    Curata dal Centro Internazionale di Fotografia di New York, è prodotta dalla Società Ares con i Musei Reali eallestita nelle Sale Chiablese dal 26 settembre 2020 al 31 gennaio 2021. Robert Capa è internazionalmente noto come maestro della fotografia in bianco e nero, ma ha lavorato regolarmente con pellicole a colori fino alla morte, nel 1954. Sebbene alcune fotografie siano state pubblicate sui giornali dell’epoca, la maggior parte degli scatti a colori non erano ancora stati presentati in un’unica mostra. L’esposizione presenta oltre 150 immagini a colori, lettere personali e appunti dalle riviste su cui furono pubblicate.

    L’esposizione è nata da un progetto di Cynthia Young, curatrice della collezione di Robert Capa al Centro internazionale di fotografia di New York, per presentare un aspetto sconosciuto della carriera del maestro. Rispetto a quanto è stato mostrato in precedenza, l’esposizione intende illustrare il particolare approccio dell’autore verso i nuovi mezzi fotografici e la sua straordinaria capacità di integrare il colore nei lavori da fotoreporter, realizzati tra gli anni ‘40 e ‘50 del Novecento.

    Nato a Budapest con il nome di Endre Ernő Friedmann e naturalizzato cittadino americano nel 1946, Capa fu considerato dal Picture Post come “il più grande fotografo di guerra”, con riferimento agli scatti realizzati durante la guerra civile spagnola. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Capa ha collaborato con molte riviste come Collier’s e Life, ciò che gli permise di acquisire una particolare sensibilità nel rappresentare la guerra e le devastazioni. Le sue famose immagini ben simboleggiano la brutalità dei conflitti e hanno contribuito a cambiare la percezione del pubblico verso la fotografia di guerra.

    Il 27 luglio 1938, trovandosi in Cina per documentare la guerra sino-giapponese in un reportage durato otto mesi, Capa scrisse a un amico della sua agenzia di New York: “Spediscimi immediatamente 12 rulli di Kodachrome con tutte le istruzioni su come usarli, filtri, etc… in breve, tutto ciò che dovrei sapere, perché ho un’idea per Life”. Sebbene di quel servizio siano sopravvissute soltanto fotografie in bianco e nero, ad eccezione di quattro immagini pubblicate sulla rivista Life il 17 ottobre 1938, la lettera esprime il chiaro interesse di Capa per i lavori con pellicole a colori, ben prima che venissero largamente impiegate da molti altri fotoreporter.

    Nel 1941, Capa fotografò a colori Ernest Hemingway nella sua casa a Sun Valley, in Idaho, e utilizzò pellicole a colori anche durante la traversata dell’Atlantico su una nave merci con un convoglio alleato, scatto pubblicato dal Saturday Evening Post.

    Della produzione di Robert Capa sono molto noti i reportage della Seconda Guerra Mondiale, in particolar modo dello sbarco in Normandia, pur avendo privilegiato maggiormente pellicole in bianco e nero. Le poche immagini a colori ritraggono soprattutto le truppe americane e il corpo francese a cammello in Tunisia, nel 1943.

    Dopo il secondo conflitto mondiale, l’attività di Capa si orientò esclusivamente verso l’uso di pellicole a colori, soprattutto per fotografie destinate alle riviste dell’epoca come Holiday e Ladies’Home Journal (USA), Illustrated (UK), Epoca (Italia). Quelle immagini, presentate ai lettori per la prima volta, avevano lo scopo di raccontare al pubblico americano ed europeo la vita quotidiana di persone comuni e di paesi lontani, in maniera radicalmente diversa rispetto ai reportage di guerra che avevano guidato i primi anni della carriera di Capa. L’abilità tecnica del maestro, abbinata alla capacità di raccontare le emozioni umane dimostrata nelle prime fotografie in bianco e nero, gli permise di muoversi con particolare abilità tra i diversi tipi di pellicola, impiegando il colore a completamento dei soggetti fotografati. Tra questi primi lavori si trovano le fotografie della Piazza Rossa di Mosca, realizzate durante un viaggio in URSS nel 1947 con lo scrittore John Steinbeck e la vita dei primi coloni in Israele nel 1949-50. Per il progetto Generazione X, Capa si recò a Oslo, a Essen, nel nord della Norvegia e a Parigi per catturare la vita e i sogni delle giovani generazioni nate prima della guerra.

    Le fotografie di Capa presentano ai lettori anche un interessante ritratto dell’alta società, dovuto al sapiente ed elegante uso della fotografia a colori. Nel 1950, ritrasse le stazioni sciistiche più alla moda delle Alpi svizzere, austriache e francesi, e le affascinanti spiagge francesi di Biarritz e Deauville per il fiorente mercato turistico presentato dalla rivista Holiday. Scattò anche diverse fotografie di moda, lungo le banchine della Senna e in Place Vendôme. Fotografò diversi attori e registi sui set cinematografici, come Ingrid Bergman nel film Viaggio in Italiadi Roberto Rossellini, Orson Welles in Black Rose e John Huston in Moulin Rouge. In questo periodo realizzò anche una serie di ritratti, come quelli di Pablo Picasso, fotografato su una spiaggia con il figlio Claude, o di Giacometti nel suo studio a Parigi. L’immaginario a colori era parte indissolubile della ricostruzione e della vitalità del dopoguerra.

    Per tutti i lavori realizzati dalla fine della guerra in avanti, Capa impiegava sempre almeno due fotocamere: una per le pellicole in bianco e nero e una per quelle a colori, usando una combinazione di 35 mm e 4×5 Kodachrome, e le pellicole Ektachrome di medio formato, sottolineando l’importanza di questo nuovo mezzo per la sua crescita professionale. Continuò a lavorare con pellicole a colori fino al termine della sua vita, anche durante il viaggio in Indocina dove morì nel maggio 1954. In particolare, gli scatti a colori dall’Indoncina sembrano anticipare le immagini che avrebbero dominato l’immaginario collettivo della guerra in Vietnam, negli anni ‘60 del Novecento.

    Capa in color è una mostra che offre la possibilità unica di esplorare il forte e decennale legame del maestro con la fotografia a colori, attraverso un affascinante percorso che illustra la società nel secondo dopoguerra. Il suo talento nella composizione del bianco e del nero fu enorme, ma la scoperta della potenzialità delle pellicole a colori, quasi a metà della sua carriera, rese necessario definire un nuovo approccio. Capa in color rivela come Robert Capa iniziò a osservare il mondo in maniera diversa e come la sua attività riuscì ad adattarsi alla nuova sensibilità postbellica. L’innovativo mezzo fotografico lo obbligò non solo a riconsiderare la composizione dei colori, ma anche a trovare il modo migliore per soddisfare la curiosità di un pubblico reduce dal conflitto, che desiderava divertirsi e conoscere luoghi lontani.

    Dichiara Enrica Pagella, Direttrice Musei Reali:

    «La verità è l’immagine migliore, la miglior propaganda. Con questa frase celebre, Robert Capa afferma l’importanza del mezzo fotografico come arma di testimonianza e di denuncia. Noto universalmente come figura emblematica del fotoreporter di guerra, Capa documentò in bianco e nero i principali conflitti del Novecento, dalla guerra civile spagnola alla Seconda Guerra Mondiale, dal conflitto arabo-israeliano alla prima guerra di Indocina. Sperimentò l’uso del colore mentre si trovava sul fronte della seconda guerra sino-giapponese, nel 1938, e si avvicinò al cinema intervenendo in una pellicola prodotta da Luis Buñuel (Spagna 36) o quale fotografo di scena sul set del film Notorious, diretto da Alfred Hitchcock, che gli consentì di introdurre al neorealismo di Rossellini l’amata Ingrid Bergman. Un’estetica calata nella realtà e un uomo sempre pronto a misurarsi con le miserie, il caos e la storia, fino alla morte avvenuta nel 1954 in Vietnam, mentre scattava una foto.

    Capa è stato tra i fondatori della storica agenzia Magnum Photos con Henri Cartier-Bresson, David Seymour, Georges Rodger e William Vandivert nel 1947, ancora oggi tra le più importanti agenzie di fotogiornalismo mondiali. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la sua poetica si concentrò soprattutto sulle pellicole a colori, ritraendo la vita decadente dell’alta società europea per le riviste, così come attori e artisti. A questa produzione meno nota, ma altrettanto affascinante e inconsueta, è dedicata la mostra Capa in color: il percorso è costituito da 150 immagini che appartengono alla collezione conservata all’International Center of Photography di New York e che sono arrivate a Torino qualche mese prima dell’emergenza sanitaria. Grazie all’accordo con la Società Ares, è ora possibile presentare per la prima volta in Italia, in un’unica mostra, un ritratto della multiforme società internazionale del dopoguerra, grazie al sapiente ed elegante uso del colore. Una mostra importante, sia per la qualità delle immagini che per l’opportunità di estendere l’offerta dei Musei Reali all’attività di un grande maestro del Novecento. Una sfida espositiva che accompagna la ripresa dopo i mesi del confinamento, un modo per “andare più vicino” al pubblico e alla vita, proprio come suggeriva uno degli insegnamenti di Capa: Se le vostre foto non sono abbastanza buone, non siete andati abbastanza vicino».

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