Categoria: Musei

  • A poco più di un anno dalla sua riapertura, martedì 29 ottobre 2019 a Parigi si è celebrato lo straordinario recupero della Cappella della Sindone, gioiello architettonico di Guarino Guarini, con l’assegnazione del prestigioso Premio del patrimonio europeo / Premio Europa Nostra 2019 per la categoria Conservazione.

    La cerimonia di premiazione dell’European Heritage Awards tenutasi  al Théâtre du Châtelet alla presenza del Commissario Europeo Tibor Navracsics sotto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron.
    A ricevere il premio per i Musei Reali di Torino, di cui la Cappella è parte integrante, la Direttrice Enrica Pagella e la Direttrice dei lavori di restauro Marina Feroggio.

    Il premio è indetto dalla Commissione Europea ed Europa Nostra, principale rete per il patrimonio culturale che ogni anno celebra e promuove l’eccellenza nel campo del patrimonio artistico.

    In occasione della cerimonia di premiazione verrà svelato anche il vincitore della categoria Public Choice Award, in cui la Cappella della Sindone è stata inclusa e che nei giorni della votazione ha conosciuto un imponente sostegno da parte del pubblico italiano, manifestato in particolar modo attraverso i social e il web.

    I lavori di recupero del monumento barocco di Guarini sono stati definiti da più parti una “scommessa vinta” per la complessità e la difficoltà del restauro, che ha visto alternarsi tre diversi cantieri nell’arco di vent’anni. Oggi la Cappella della Sindone è uno dei gioielli barocchi più visitati apprezzati dai visitatori che non mancano di soffermarsi ad ammirare il capolavoro ritrovato

    A ricevere il premio per i Musei Reali di Torino, di cui la Cappella della Sindone, vincitrice nella categoria Conservazione, è parte integrante, la Direttrice Enrica Pagella e la Direttrice dei lavori di restauro Marina Feroggio.

    PHOTO credit: Daniele Bottallo

     

  • VIVIAN MAIER, papa’ austriaco e mamma francese, nasce a New York nel quartiere del Bronx il 1 febbraio del 1926.

    Il papà abbandona presto la famiglia e Vivian trascorre gran parte della sua giovinezza in Francia con la madre Marie e l’amica Jeanne Bertrand, fotografa e scultrice affermata. Torna dagli Stati Uniti nel 1951 ed intraprende la carriera di bambinaia, mestiere che farà per tutta la vita.

    Vivian ha una grande passione: la fotografia! nel 1951 acquista una Rolleiflex, una macchina fotografica eccezionale. Aveva bisogno di immortalare cose, persone, luoghi, una passione bruciante che, in cinque decadi, le fa scattare oltre 100.000 foto, molte delle quali tra Chicago e New York. Sviluppava le sue foto in un piccolo bagno della loro casa, che era divenuto per lei luogo prezioso. Quegli anni furono prolifici; andava nei parchi con i suoi bambini e scattava, passeggiava per le strade e scattava, andava a fare la spesa, a svolgere delle commissioni, a pensare, a leggere… e scattava.

     

    Una volta, sull’autobus, guardando fuori dal finestrino d’un tratto vide una donna di una bellezza sofisticata, portava una collana di perle, aveva delle sopracciglia perfette per un volto perfetto, indossava un soprabito elegante, guardava in un punto, ma sembrava fosse persa. Rubo’ il suo sguardo.

     

     

    Nel 1959  Filippine, Thailandia, Yemen, India, Egitto. Culture ignote, popoli lontani, mari e foreste e templi e storie. Tanta bellezza. Quando torna a Chicago continua a fare la governante e continua a fotografare.

    Ovunque lavorasse, portava con se il suo materiale, le foto, e i negativi. Usava la fotografia, per immortalare l’incanto di tutto quanto la circondava. Non aveva interesse per le grandi imprese o i grandi uomini, voleva ricordare per sempre la normalità. Faceva esattamente quello che facciamo noi oggi, andava per strada e puntava il suo obbiettivo alla vita.

    Vivian, uno spirito libero e curioso, una donna indipendente che decide di rimanere sola e senza particolari amicizie per tutta l’esistenza; dedita ai Gensburgs, ricca famiglia di Chicago di cui alleva i tre figli, trovandosi poi in povertà quando i ragazzi crescono.

    Non potendo più pagare l’affitto di casa, è costretta a cedere i propri bagagli di ricordi: scatole contenenti tantissime cianfrusaglie collezionate negli anni, da cappelli a vestiti, da scontrini ad assegni, fino alle fotografie. Che John Maloof, giovane americano immobiliarista, compra nel 2007 ad un’asta, per soli 380 dollari, trovando centinaia di negativi e rullini ancora da sviluppare.

    Così, mentre nel 2008 Vivian batte la testa scivolando su una lastra di ghiaccio nella downtown Chicago, si aggrava rapidamente e muore nell’aprile del 2009, il mondo viene a conoscenza del suo immenso lavoro e della sua arte, di quel “teatro di vita”, recitato davanti ai suoi occhi, che ha saputo catturare in momenti diventati epici.

    Racconta in oltre cento opere, selezionate dalla curatrice Anne Morin, la vita quotidiana americana vista con gli occhi di una sublime fotografa che per tutta la vita non si è mai considerata tale. 

    Alla Palazzina di Caccia di Stupinigi è presente lo stesso modello di macchina fotografica utilizzata dalla Maier e la riproduzione di una camera oscura.

    Uno staff specializzato ed un team di esperti coordineranno i laboratori didattici mirati alla comprensione più profonda del mondo di Vivian e di quello fotografico in senso più ampio.

    I biglietti sono acquistabili in prevendita presso il circuito TicketOne (on-line su www.ticketone.it ed in tutti i punti vendita affiliati).

    Il costo di prevendita è di base di 1.50 euro, ma cambia a seconda della modalità di acquisto scelta (ritiro presso il luogo dell’evento o spedizione a casa con corriere).

    Durante i giorni e gli orari di apertura della mostra sarà possibile acquistare i biglietti anche direttamene al botteghino, senza costo di prevendita, presso la Palazzina di Caccia di Stupinigi, in Piazza Principe Amedeo 7 a Nichelino (TO).

     

     

     

  • Sei Sculture dell’artista alto-atesino ridanno vita ad un’antica necropoli.

    Venuta alla luce durante i lavori per la ricostruzione della Nuvola, sede della storica Azienda torinese, accoglie l’arte contemporanea di Art Site Fest.

    L’Area Archeologica della Nuvola Lavazza di Torino apre per la prima volta all’arte contemporanea nell’ambito della quinta edizione di Art Site Fest, un percorso nei linguaggi della contemporaneità in luoghi insoliti, curato da Domenico Maria Papa.

    La mostra.

    L’area archeologica  ospita un progetto dello scultore alto-atesino Aron Demetz. Le opere selezionati per questa mostra, sono una rielaborazione della tradizionale lavorazione del legno tipica della Val Gardena, terra dell’artista. “Ho scelto dal suo studio di Ortisei le opere più rappresentative della sua ricerca”, ha spiegato il curatore Papa, “e nello stesso tempo, quelle in grado di instaurare un dialogo con il particolare spazio circostante”.  Luogo suggestivo e che non ti aspetteresti.

    Francesca Lavazza e il luogo.

    Quando abbiamo iniziato i lavori di ripristino dell’area non ci aspettavamo di trovare questo tesoro”, ha commentato Francesca Lavazza, membro del board del Gruppo. “Avere i nostri uffici che poggiano le fondamenta su questa basilica è molto importante per noi, come anche il fatto che ora si riempia di opere di arte contemporanea composte da materiali naturali e incentrate sull’uomo: due elementi che rientrano negli obiettivi del progetto Nuvola”.

    Sono stati individuati i resti di un’antica Basilica Paleocristiana collocabile tra la seconda metà del IV secolo e il V secolo d.C., sviluppatasi sopra le strutture di una precedente necropoli. La chiesa, a navata unica, ed è caratterizzata da una serie di tombe sia all’interno che all’esterno del suo perimetro.


    Aron Demetz

    … “Anche se il mio è un ritorno alla scultura classica, non è tanto importante la figura, quanto la ricerca sulla trasformazione dei materiali e il legno carbonizzato mi permette di trasmettere questa idea di metamorfosi”.

    Si è guadagnato notorietà internazionale grazie a un personale linguaggio scultoreo che coniuga la figurazione con una sensibilità assolutamente contemporanea.

    Il legno soprattutto, ma anche il bronzo e più di recente l’alluminio e l’argento, sono i materiali che restituiscono forma a corpi, colti spesso in una condizione di sospensione. Nel lavoro di Demetz è presenta una profonda riflessione sul rapporto dell’uomo con la natura, dalla quale origina la consapevolezza di una mancata unione.

    In alcuni casi Demetz ricopre la superficie delle strutture con resina naturale che l’artista stesso raccoglie dagli alberi delle foreste della Val Gardena.

    La resina, materiale in costante mutamento ha caratteristiche fortemente evocative e contribuisce di esprimere una nozione arcaica e metafisica. Utilizzate malte per conservare tessuti nei metodi di mummificazione, rinvia anche un’idea di durata di ricomprendere composizione.

    Utilizzata nei secoli anche come luogo di culto. Demenza colloca alcune delle sue opere in interno dell’area archeologica, tra le tombe, disegnando un percorso che assume una valenza quasi religiosa.

    Nato nel 1972 Vipiteno Bolzano da una famiglia ladina di scultori che, già da secoli, lavoravano come intagliatori in Val Gardena. Tra il 1997 1998 studiò cultura nella classe di Christian  Hofner presso l’Accademia delle belle arti di Norimberga. Ha esposto in musei e gallerie di tutto il mondo. Del 2018 è l’importante personale presso il Museo Nazionale Archeologico di Napoli.

    Dl 2010 è titolare della cattedra di Belle Arti di Carrara. Vive e lavora  a Selva di Val Gardena.

    L’ingresso alla mostra, è limitato a 15 persone per volta tramite visite guidate, esclusivamente su prenotazione.

    L’Area Archeologica sarà chiusa dal 4 novembre al 7 dicembre compresi.

    Per maggiori informazioni clicca QUI

     

  • Di fronte al Parco del Valentino, sulla collina oltre il Po, spicca nel verde una strana costruzione rossa e geometrica. Parliamo della grandiosa residenza commissionata nel 1929 dall’imprenditore, collezionista e mecenate Riccardo Gualino (Biella 1879 – Firenze 1964), dal quale prende ancora oggi il nome benché sia stata destinata da tempo ad altri scopi.

    Per commemorare questa affascinante personalità piemontese, in bilico tra il mondo degli affari e quello dell’arte, fino al 3 novembre le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino  ospitano una mostra intitolata I mondi di Riccardo Gualino, collezionista e imprenditore e dedicata alla vasta collezione artistica raccolta negli anni dalla famiglia dell’industriale.

    I MONDI DI GUALINO

    Le due curatrici Annamaria Bava e Giorgina Bertolino hanno cercato di  «riunire e raccontare i due principali nuclei della storica collezione Gualino, fino a oggi divisa fra la Galleria Sabauda di Torino e la Banca d’Italia di Roma».

     320 opere, alcune delle quali vantano autori eccellenti quali Botticelli, di cui è esposta la celeberrima Venere (1485-1490), i maestri italiani del Duecento e del Trecento, ma anche pittori più recenti come Édouard Manet, presente con La Négresse(1862-1863), e Felice Casorati, artista di fiducia dei Gualino e autore di diversi ritratti della famiglia.

    La mostra  non consiste in soli quadri: il percorso espositivo si snoda infatti in 18 sale, affollate di antiche sculture orientali, ceramiche, oreficerie, arazzi e arredi un tempo orgoglio delle molte residenze dei Gualino, ma anche fotografie e diari privati che testimoniano la vita di questo singolare imprenditore.

    UNA VITA SPACCATA A METÀ

    Quella di Gualino è stata una vita divisa perfettamente a metà divisa da una  una dolorosa censura.
    Riccardo Gualino nasce a Biella il 25 marzo 1879, fin dalla gioventù posa le prime pietre del futuro impero finanziario investendo nei settori del cemento e del legname.

    A 28 anni sposa Cesarina Gurgo Salice, con la quale cresce due figli e acquista Villa Ricci a Cereseto Monferrato, una residenza convertita in un castello
    neogotico
     ispirato al Borgo medievale di Torino. È qui che nasce la collezione d’arte dell’imprenditore.

    Durante gli anni Venti, Gualino sembra invincibile: scala una banca dopo l’altra, si impegna in grandi manovre finanziarie. 

    Gualino e sua moglie si danno al mecenatismo, commissionando a  Felice Casorati un ritratto  di famiglia (in mostra alcuni loro ritratti), promuovono l’arte e la danza e nel 1925 inaugurano un teatrino privato e l’innovativo Teatro di Torino.

    CADUTA E RINASCITA

    1929: Gualino è all’apice del successo, avvia il cantiere della sontuosa villa sulla collina torinese, ma dall’altra parte del mondo Wall Street crolla.

    Costretto a chiedere un prestito allo Stato cedendo in garanzia ciò che ha di più caro. Perderà la collezione,  smembrata fra musei, istituzioni, raccolte private e archivi.
    Gualino ha perso il suo impero, Mussolini  ordina l’arresto e il confino del magnate. È il momento più buio di Riccardo Gaulino.

    Nel 1932 torna in libertà e, dopo un breve soggiorno a Parigi, si trasferisce a Roma dove investe nel cinema, fiutandone in anticipo le grandi potenzialità. L’amore per l’arte non l’ha abbandonato. Decide di ricominciare la collezione acquistando opere di Degas, Picasso e Casorati, senza trascurare la sua passione per le sculture antiche e orientali.

    Nel 1938, con lo stile di un signore rinascimentale, acquista sulle colline fiorentine una villa quattrocentesca detta Il Giullarino, in cui si spegnerà nel ’64 all’età di 85 anni.
    Inarrestabile viaggiatore, Gualino ha attraversato il pianeta per inseguire gli affari e la sua passione per l’arte. Eppure, i soli “mondi” che ha realmente visitato riposavano nelle sue case e nelle sue collezioni, poiché l’arte è un altrove e una lontananza da scoprire.

    MUSEI REALI TORINO

    Orari

    I Musei Reali sono aperti dal martedì alla domenica dalle 8,30 alle 19

    Biglietti Musei Reali Torino
    Intero Euro 12
    Ridotto Euro 2 (ragazzi dai 18 ai 25 anni).
    Gratuito per i minori 18 anni / insegnanti con scolaresche / guide turistiche / personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali / membri ICOM / disabili e accompagnatori / possessori dell’Abbonamento Musei, della Torino+Piemonte Card e della Royal Card. L’ingresso per i visitatori over 65 è previsto secondo le tariffe ordinarie.

     

  • Nasce dall’incontro fra il lavoro di ricostruzione storica degli archeologi e dei conservatori del Museo Egizio sulla propria collezione e gli strumenti mutuati dalle più recenti frontiere dello sviluppo tecnologico, il nuovo progetto espositivo temporaneo che caratterizza il 2019 dell’istituzione culturale torinese.

    “Archeologia Invisibile” è il titolo della mostra visitabile a Torino  fino al 6 gennaio 2020, a cui Enrico Ferraris, egittologo del Museo che ha curato e coordinato il progetto concepitoall’interno del dipartimento collezioni e ricerca, ha affidato il compito di condurre il pubblico alla scoperta della “biografia degli oggetti”, illustrando principi, strumenti, esempi e risultati della meticolosa opera di ricomposizione di informazioni, dati e nozioni resa oggi possibile dalla collaborazione delle scienze naturali con la propria disciplina nello studio dei reperti.

    Cos’è in grado di raccontare un oggetto di sé? I nostri sensi, la vista in primis, ce ne restituisconoinformazioni di base come l’aspetto, la dimensione, la forma, il colore, finanche le tracce che l’uomo, la natura o il tempo vi hanno impresso. Eppure, tutto ciò non è evidentemente sufficientea disvelarne l’intera storia e il ciclo di vita, a partire dalla sua origine, né le reali funzioni, i contestid’impiego, il valore materiale o simbolico e molto altro ancora.

    Nulla, fra ciò che ci circonda, ne è sottratto, ma quando tale principio viene traslato in ambitoarcheologico, l’approccio, nel farsi scientifico, comporta un grado di analisi superiore, che poggiaproprio sulla conoscenza approfondita del reperto, il cui percorso biografico si amplia: anchel’oblio entra a far parte della narrazione e la vita dell’oggetto si dilata – potremmo forse dire si rianima – col momento stesso del suo ritrovamento e poi, ancora, col suo successivo destino in una collezione, con la sua musealizzazione.

    Il progetto “Archeologia Invisibile” muove proprio dall’intento di esplorare l’affascinante dimensione di quell’attività d’investigazione che le moderne apparecchiature, applicate alle modalità d’indagine e ricerca dell’egittologia, consentono di compiere nello studio di un repertoarcheologico: grazie alla crescente interazione con la chimica, la fisica o la radiologia, il patrimonio materiale della collezione di Torino rivela di sé elementi e notizie altrimenti inaccessibili, che permettono di tratteggiarne volti ancora ignoti.

    L’archeometria – insieme delle tecniche adottate per studiare i materiali, i metodi di produzione e la storia conservativa dei reperti – rende così possibile “interrogare” gli oggetti, domandare a unvaso, a una mummia, a un sarcofago chi siano davvero e perché oggi si trovino al Museo Egizio.

    Quesiti con cui pubblico di “Archeologia Invisibile” si cimenta lungo un percorso espositivo che,con l’ausilio di tali strumenti, invita a guardare oltre il visibile, osservando da vicino i segreti custoditi all’interno degli oggetti, scoprendone aspetti inattesi e trovando risposte talvolta sorprendenti alla propria curiosità come alle domande degli archeologi, nonché ad alcuni rilevanti quesiti della scienza.

    Le tre sezioni in cui si articola la mostra – dedicate, nell’ordine, alla fase di scavo, alle analisi diagnostiche, a restauro e conservazione – a loro volta suddivise in dieci sottosezioni tematiche, propongono dimostrazioni concrete delle differenti aree di applicazione di questo connubio fral’egittologia e le nuove tecnologie, a cui peraltro l’allestimento stesso ricorre, caratterizzandosi con installazioni multimediali e spazi d’interazione digitale per un’esperienza di visita immersiva, supportata da un’audioguida dedicata, realizzata dalla Scuola Holden.

    Va evidenziata, infine, la fitta rete di collaborazioni nazionali e internazionali che ha contribuitoalla realizzazione di “Archeologia Invisibile”, sviluppata con università, istituti di ricerca, enti e istituzioni di tutto il mondo: un sistema di relazioni che va dagli Stati Uniti – è il caso delMassachusset Institute of Technology – alla Gran Bretagna, dal Giappone alla Germania,dall’Olanda all’Egitto, passando per numerose prestigiose realtà più prossime, come il Centro Conservazione e Restauro di Venaria Reale (To), i Musei Vaticani e il CNR.

    TRAILER AUDIOGUIDA 

    Documentare gli scavi

    È lo scavo il primo fondamentale testimone da consultare in questa vera e propria attivitàd’investigazione: l’egittologo, al pari del detective di un caso
    giudiziario, pone le basi della sua indagine nella minuziosa analisi del luogo del ritrovamento. Non soltanto per conoscerne le caratteristiche – del terreno, delle sue stratificazioni, del tipo di sito, dell’insediamento ospitato ecc. – ma anche per documentarne, con la massima precisione, lo scenario e il contesto così comesi presentava prima dell’avvio del dissotterramento e, soprattutto, della rimozione di quanto rinvenuto. In tale ambito, ad esempio, i recenti sviluppi della fotogrammetria permettono il ripristino virtuale di un contesto archeologico che materialmente potrebbe non più esistere,dando vita a un modello digitale che, “agganciandovi” i dati di scavo, diviene un archivioaggiornabile in tempo reale e facilmente accessibile alla comunità scientifica.

    Le analisi diagnostiche

    Quasi come in una ulteriore fase di scavo, l’impiego sui reperti di tecniche d’indagine riconducibili alla cosiddetta archeometria porta alla luce diversi “strati invisibili” di dati. Studiare la natura fisica e materica degli oggetti significa quindi poterne osservare aspettiperlopiù invisibili all’occhio umano, spesso liberando da essi storie dimenticate. È il caso del corredo funerario della Tomba di Kha, un unicum nella collezione del Museo Egizio con 460 pezzi ritrovati integri e ottimamente conservati: benché giunti a Torino oltre un secolo fa, solo recenti esami diagnostici hanno permesso di iniziare conoscerli a fondo. Con le tomografie neutroniche, effettuate a Oxford presso lo Science & Technologies Facilities Council, si è ad esempio andati alla ricerca del contenuto di sette vasi sigillati realizzati in alabastro, accertandone la natura di recipienti riservati agli altrettanti oli sacri usati per il ritodell’imbalsamazione. Analogamente, l’indagine multispettrale ha consentito di compiereimportanti scoperte sulla chimica dei colori utilizzati nell’Antico Egitto, come quella del “blu egizio”, il primo colore sintetico prodotto nella storia dell’umanità.

    Ma anche le stesse mummie di Kha e della sua sposa Merit sono state sottoposte ad accurati accertamenti. In passato la conoscenza di quanto celato dalle bende era di fatto impossibile,se non compromettendo irrimediabilmente l’integrità della mummia, ma oggi l’azionecombinata di analisi radiografiche e TAC ha permesso di realizzare un vero e proprio sbendaggio virtuale di questa coppia di 3400 anni fa: per il loro viaggio nell’aldilà entrambifurono ornati di gioielli dalla raffinata fattura – bracciali, collane, orecchini e un “scarabeo del cuore” – che oggi possiamo rivedere grazie alla modellazione 3D.

    Conservazione e restauro

    Oltre ad accompagnare la ricerca scientifica sui reperti, l’indagine archeometrica assume un ruolofondamentale nella definizione dei metodi migliori di restauro e conservazione. Ne è un esempio il recente avvio di un lavoro congiunto fra il Museo Egizio, il Bundesanstalt für Materialforschung di Berlino e il Centre for the Study of Manuscript Cultures di Amburgo, in cooperazione con il progetto PAThs di Paola Buzi (Università La Sapienza di Roma). L’attività si concentra sull’analisidei manoscritti copti della collezione egittologica torinese, raro esempio di biblioteca tardoantica ben conservata e interamente trasmessa tramite codici su papiro, prima che la pergamena diventasse il principale supporto. Dall’analisi degli inchiostri e del papiro sono attese informazioni su natura e provenienza dei materiali utilizzati nel laboratorio dello scriba, permettendo di definire gli interventi di restauro.

    Ma sono anche i metodi espositivi a venir reinterpretati e implementati dal contributo tecnologico: una dimostrazione in tal senso la offre l’epilogo della mostra con un’installazione in video mapping, la proiezione su un modello 3D in scala 1:1 del sarcofago dello scriba reale Butehamon, che rappresenta il clone digitale dell’originale esposto in sala. Si tratta del supporto di una nuova narrazione della biografia del sarcofago, dalla sua costruzione alla sua musealizzazione, dalla sua prima decorazione, al suo invecchiamento e al suo restauro.

    Questa sezione conclusiva della mostra consegna al visitatore la riflessione sul patrimonio intangibile di informazioni che la scienza sta, in un certo senso, emancipando dal reperto.L’enorme accumulo di dati aumenta esponenzialmente le opportunità di collegare dati e oggetti, di studiare, conservare e valorizzare i reperti. Diventa inoltre possibile costruire modelli digitali dei reperti stessi, non certo in sostituzione ma a integrazione degli originali, in cui le informazioni preservate possono divenire visibili e riproducibili, poiché non più vincolate all’esperienza hic et nunc imposta dalla natura stessa dell’oggetto.

     

  • 1500- 2020: Dalla fisionomica agli Emoji – fino al 6 gennaio 202 – Mole Antoneliana – Torino

    Una grande esposizione che, grazie collezione del Museo Nazionale del Cinema, racconta gli ultimi 5 secoli di storia di questa pseudoscienza.

    Un percorso emozionale tra maschere e sistemi di riconoscimento facciale che conferma ancora una volta come il volto sia il più importante luogo di espressione dell’anima dell’essere umano.
    La mostra prova a tessere le fila di un discorso antico  per arrivare ai nostri giorni e cerca nei tratti del volto, ma anche nella sintesi grafica degli emoji, i riscontri dei caratteri e delle emozioni delle persone.

    180 opere in mostra, 82 riproduzioni fotografiche55 opere originali, 43 tavole tratte dalla collezione di fisiognomica del Museo, 42 montaggi, 4 app e 8 installazioni.
    Il percorso di visita si concentra sulle arti performative e si interseca con arte, scienza, tecnologia e comunicazione.

    Partendo dall’Aula del Tempio, su per la Rampa Elicoidale, il visitatore viene coinvolto in quel lungo affascinante racconto che collega i cataloghi di Giovan Battista Della Porta e Johann Caspar Lavater allo studio dei volti del primo pittore del Re Sole, Charles Le Brun, ai vetri per lanterna magica e agli emoji, ai manuali per l’attore, alla tecnica del morphing, ai più avanzati software di face tracking o alle opere di artisti contemporanei che esplorano il volto e le emozioni.
    Faccine o emoji che comunicano l’emozione del momento, software in grado di riconoscere un volto, di ricostruirne o manipolarne i tratti somatici: sono esperienze che caratterizzano la società tecnologica contemporanea ma che hanno radici profonde nel passato.
    Durante la visita è possibile ammirare la superficie interna della cupola della Mole Antonelliana, detta il “volto” della Mole, che,  si anima con l’installazione I Volti sul Volto della Mole.
    Nello spazio espositivo l’Orecchia, la stanza laterale della Mole Antonelliana che rievoca l’orecchio di un volto dove si può ascoltare l’installazione Organum pineale.

    Dopo l’estate la mostra si amplia con una sezione specifica dedicata  a Cesare Lombroso. Dal 25 settembre 2019 al 6 gennaio 2020 il Museo Nazionale del Cinema ospiterà al piano dedicato all’Archeologia del cinema “I 1000 volti di Lombroso”, una selezione di fotografie, appartenenti al fondo fotografico dell’Archivio del Museo di Antropologia criminale “Cesare Lombroso” dell’Università di Torino, che ripercorre le diverse tappe delle sue ricerche.

    La mostra sarà curata da Cristina Cilli, Nicoletta Leonardi, Silvano Montaldo e Nadia Pugliese.

     

    Orari e costi dei Biglietti

  • A fine settembre dello scorso anno sono arrivata al Museo del Toro. Avevo la sensazione che fosse una bella storia da raccontare, come quelle che piacciono a me… da raccontare attraverso le persone che l’hanno fatta, ma mi sono sbagliata!
    Non è una bella storia, ma è un fantastico viaggio nella storia di una squadra di calcio fatta prima di tutto da persone, con la loro quotidianità, desideri, amori, e tutto si incastra perfettamente all’interno di un periodo storico molto difficile, e grazie al #grandetorino l’Italia ha potuto scrollarsi di dosso il buio, con un sogno.#mostra
    In occasione del 70esimo anniversario della Tragedia di Superga,  una mostra “fuori sede” porta i cimeli più preziosi  del Museo Grande Torino nella prestigiosa cornice espositiva di Palazzo D’Oria, a Ciriè

    Quella del Grande Torino non è stata solo una vicenda sportiva. La tragica fine di quella squadra non si può descrivere come semplice fatto di cronaca. Il Grande Torino è stato un sogno comune, un fenomeno sociale, una storia da vivere e un esempio da seguire. Il Grande Torino ha incantato il mondo, lo ha conquistato e poi lo ha incredibilmente lasciato con uno schianto improvviso. Tutto il materiale sulla squadra è preziosamente custodito dal Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata .

    Oggi il Museo esce dal Museo. Per raccontare la storia del Toro in una mostra itinerante che porta i cimeli, i trofei, i giornali, le fotografie, lo spogliatoio e tanti altri oggetti fuori dalla loro sede naturale.

    Si inizia con la prestigiosa cornice di Palazzo D’Oria a Ciriè, alle porte di Torino, dove dal 14 al 29 settembre sarà allestita una mostra che racconta le origini della squadra, le gesta che l’hanno portata ad essere il Grande Torino , le trasferte internazionali e i trofei, fino a quel terribile incidente aereo a Superga avvenuto quel nebbioso pomeriggio del 4 maggio del 1949. La mostra narra i funerali, ai quali parteciparono 900.000 persone , le reazioni della gente e di una nazione che si sentì unita nel lutto, in un sentimento condiviso di smarrimento.

    Ma vuole anche affrontare la faticosa rinascita della squadra Granata, che dopo 27 anni, quasi come ad esorcizzare una volta per tutte la fine del Grande Torino , tornò a vincere, nel 1976, il tanto inseguito scudetto.

    Durante il periodo della mostra si terrà anche una serata in cui i protagonisti indiretti e i testimoni della tragedia di Superga interverrano per condividere ricordi e raccontare retroscena meno noti della vicenda.

    La mostra di Palazzo D’Oria spera di essere soltanto la prima di numerose tappe che permettano a tanti di vivere in prima persona la storia del Grande Torino , per non dimenticare coloro che furono sì, giocatori imbattibili, ma anche ragazzi che vivevano semplicemente il loro sogno più grande: quello di giocare a calcio.

  • Un’occasione unica per scoprire la Casa di Maranello negli ultimi due fine settimana di settembre.

    I Musei Ferrari offrono un’occasione unica a tifosi e appassionati per conoscere la Casa di Maranello: le porte di Universo Ferrari, la prima esposizione dedicata al mondo Ferrari, si apriranno per un programma di visita inedito ed esclusivo per i loro visitatori nei fine settimana del 21 e 22 settembre e del 28 e 29 settembre.

    All’interno della struttura che sarà creata appositamente nei pressi della pista di Fiorano, sarà possibile accedere alle aree dedicate a tutte le attività dell’azienda, dalle Classiche al mondo GT alle corse fino alla Scuderia Ferrari.

    Altra sorpresa indimenticabile per i fan del Cavallino Rampante, di solito riservata alla clientela internazionale, sarà la possibilità di ammirare in esclusiva gli ultimi modelli Ferrari.

    È possibile leggere maggiori informazioni e prenotare una visita esclusiva, fino a esaurimento posti, sui siti dei Musei Ferrari 

  • Tre calde domeniche estive, 28 luglio, 11 e 25 agosto, per approfittare di un’occasione imperdibile: l’apertura del Secondo Piano di Palazzo Reale, solitamente chiuso al pubblico, con tariffa d’ingresso compresa nell’abituale biglietto dei Musei Reali. Juvarra, Alfieri, Palagi, Beaumont, De Mura, Piffetti, Bonzanigo, sono soltanto alcuni degli eccezionali artisti e architetti che si avvicendarono nella realizzazione di queste stanze.

    La visita inizia percorrendo la juvarriana Scala delle Forbici e si snoda attraverso le raffinate sale degli Appartamenti dei Principi di Piemonte e dei Duchi di Aosta, con affaccio dal terrazzo settecentesco per godere del panorama circostante, dalla collina di Superga alla catena alpina, dal Giardino di Levante alle cupole della città.

    Un tempo utilizzato dalle dame e damigelle d’onore di Madama Reale, dall’inizio del Settecento il Secondo Pianoviene destinato ad accogliere i principi ereditari e le loro consorti, assumendo la denominazione di Appartamenti Nuziali o dei Principi di Piemonte, già utilizzati dai Duchi di Savoia Vittorio Amedeo III e Maria Antonia Ferdinanda di Spagna, raffigurati nella grande tela del Duprà. Rimodernati da Pelagio Palagi all’epoca di Carlo Alberto, tra i diversi ambienti spiccano per eleganza la Sala Blu, la Sala Rossa e la Camera da letto di Maria José, che vi soggiornò nei primi decenni del Novecento. Gli Appartamenti dei Duchi d’Aostaoccupano l’altra metà del piano e rappresentano un vero e proprio unicum per integrità stilistica. Progettati dagli architetti Piacenza e Randoni per le nozze di Vittorio Emanuele I con Maria Teresa d’Asburgo Este, celebrate nel 1789, ospitano preziosi arredi realizzati da Giuseppe Maria Bonzanigo, affreschi con soggetti mitologici e una curiosa Sala del Biliardo.

  • Giovedì 1 agosto ore 22

    INOCCASIONE DELLA MOSTRA, PER CINEMA A PALAZZO REALE, MARCO GUGLIELMINOTTI TRIVEL INTRODUCE IL FILM “LA SORGENTE DELL’AMORE”

    Fino al 1 settembre il MAO Museo d’Arte Orientale, ospita una grande mostra dedicata all’acqua e all’Islam e al loro rapporto raccontato attraverso l’arte.

    La mostra è una narrazione attraverso immagini, reperti, libri e miniature: tecnologia, vita quotidiana e arte, che per secoli si sono rispecchiate nelle tante diverse fruizioni dell’acqua. L’esposizione testimonia la varietà e la ricchezza di manufatti legati al tema e all’uso dell’acqua. Tra gli oltre 120 manufatti esposti, sono presenti bocche di fontane siriane, tappeti, una coppa in vetro iraniana, uno spargiprofumo proveniente dall’India, oltre a numerosi manoscritti. L’allestimento, un gioco tra suono e movimento dell’acqua, immerge opere e visitatori in un paesaggio di armonie sonore e visive.  La mostra si suddivide in quattro tematiche principali: il percorso prende avvio dalla fruizione religiosa, per passare poi nell’hammam, inteso come luogo di purificazione e aggregazione, seguire poi i percorsi dell’acqua sino all’interno delle case e dei palazzi nella vita quotidiana e concludersi negli spazi aperti dei giardini.

    In occasione della rassegna Cinema a Palazzo Reale,il direttore del MAO Marco Guglielminotti Trivel ha suggerito la proiezione di “La Source des femmes”,pellicola del 2011 diretta da Radu Mihăileanu“Un film al tempo stesso godibile e impegnato, che nel trattare la vita di un piccolo villaggio rimanda a temi generali che riguardano tutti noi – vita, amore, morte – e affronta in modo originale la questione della condizione femminile nel mondo arabo-persiano. L’acqua in questa pellicola ha il ruolo centrale di motore della trama, quella stessa centralità che tale elemento riveste da sempre per i paesi di religione islamica: non solo in quanto fonte di sopravvivenza, come in questo film, ma in tutti gli ambiti culturali che la mostra attualmente in corso al MAO tende ad esplorare. La scena della riunione delle donne che si svolge nel hammam, ad esempio, è rappresentativa del ruolo sociale ricoperto da questi luoghi di aggregazione legati all’acqua.”

    Presentando al MAO, in GAM e a Palazzo Madama il biglietto degli spettacoli di Cinema a Palazzo Reale sarà possibile entrare con ingresso ridotto alla mostra e con i biglietti di ingresso ai musei della Fondazione Torino Musei si potrà usufruire dell’ingresso ridotto alla rassegna di cinema.

     

     

     

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