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  • In voluta concomitanza con la riapertura della Cappella della Sindone di Guarino Guarini, restaurata dopo il devastante incendio dell‘11 aprile 1997, Palazzo Madama dedica una mostra a La Sindone e la sua immagine, che raccoglie un centinaio di piccole e grandi opere d’arte realizzate tra il 1500 fino al 1900, raffiguranti la Sindone con intenti devozionali e celebrativi.

    Organizzata in collaborazione con il Polo Museale del Piemonte e il Centro Internazionale di Sindonologia di Torino, la mostra ha come nucleo costitutivo dipinti e incisioni provenienti dalla ricchissima collezione sindonica dell’ultimo Re d’Italia, Umberto II, oggi divisa tra il Castello di Racconigi e la Fondazione Umberto II e Maria Josè di Savoia che ha sede Ginevra.

    Molti di essi erano stati esposti proprio a Palazzo Madama nel 1931 in occasione delle nozze di Re Umberto II con la principessa Maria Josè del Belgio. Altre opere e documenti rari e significativi sono generoso prestito del Museo della Sindone di Torino.

    La Sindone di Torino è una realtà misteriosa e dibattuta, oggetto di devozione secolare, storicamente documentata per la prima volta alla metà del 1300 nell’attuale regione Grand est della Francia. Gli storici scrivono che il Lenzuolo venne a quel tempo depositato dal prode cavaliere Geoffroy de Charny nella chiesa del suo feudo di Lirey, terminata nel 1353. Nel 1453 Marguerite de Charny (1390-1460), ultima discendente della famiglia, legata alla dinastia sabauda, cede la Sindone al duca Ludovico di Savoia. Dopo vari spostamenti nel 1506 il Lenzuolo trova definitiva collocazione nella Sainte-Chapelle del castello di Chambéry.

    Dopo il trasferimento della capitale del ducato di Savoia da Chambéry a Torino, avvenuta nel 1563, Emanuele Filiberto ordina di portare la Sindone nel capoluogo piemontese, ufficialmente per abbreviare il pellegrinaggio di San Carlo Borromeo. Il Sacro Lino giunge così a Torino il 5 settembre 1578 e conosce varie collocazioni, tra cui la Cappella privata di Palazzo dedicata a San Lorenzo, il Duomo e la chiesa di San Francesco. Nel 1694 viene poi trasferita nella Cappella appositamente progettata dall’architetto modenese Guarino Guarini all’interno dell’attuale Palazzo Reale, in significativa congiunzione con l’abside del Duomo di Torino. La “Reliquia dinastica” resta di proprietà di Casa di Savoia fino 1983, anno della morte di Re Umberto II, il quale per testamento dona la Sindone alla Santa Sede. Oggi la Sindone è conservata nella cappella del transetto sinistro del Duomo di Torino, completamente distesa e in condizioni controllate per garantirne la corretta conservazione.

    Per maggiori info sulla mostra

  • Nei mesi successivi al rogo della Cappella del Guarini la Fondazione La Stampa – Specchio dei Tempi ha raccolto donazioni per il restauro da parte dei lettori de La Stampa pari a Lire 1 ̇247 ̇536 ̇824  (644 ̇299,54 euro).

    Ad oggi sono stati spesi euro 544 ̇210,21. Con il denaro già erogato, in collaborazione con l’Associazione Amici di Palazzo Reale, che ha seguito la parte storico-artistica, è stato possibile realizzare:

    – il laboratorio di restauro dell’ex capannone di prelettura (la zona utilizzata durante l’ostensione della Sindone);
    – la catalogazione dei migliaia di frammenti residui dell’incendio;
    – la realizzazione di un sistema informativo per individuare e ricollocare i frammenti;

    – il restauro dei monumenti sepolcrali di Tommaso I di Savoia, Amedeo VIII, Carlo Emanuele II ed Emanuele Filiberto;
    – la realizzazione di un sistema di monitoraggio sui restauri ai monumenti sepolcrali.

    Con euro 100 ̇089 ancora disponibili verrà realizzato il restauro dell’altare e delle statue annesse. Questo intervento, secondo quanto comunicato dalla Soprintendenza, verrà realizzato nell’arco dei prossimi mesi.

    «La generosità dei lettori de La Stampa sostiene non solo gli oltre 70 progetti di solidarietà sociale in corso, ma è attenta ai simboli dell’identità storica e civile della nostra città» ha dichiarato Lodovico Passerin d’Entrèves, Presidente della Fondazione La Stampa – Specchio dei tempi

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    La Stampa – Specchio dei tempi è una fondazione sostenuta dalla solidarietà dei lettori del quotidiano La stampa e dei cittadini torinesi.

    Ad oggi la fondazione ha attivi oltre 70 progetti a Torino, in Italia e nel mondo: promuove iniziative di solidarietà sociale, fornisce assistenza a persone, famiglie, scuole, comunità, popolazioni colpite da calamità, nonché mette a disposizione della collettività strumenti, apparecchiature e opere per alleviare sofferenze o migliorare le condizioni di vita dei singoli.

    Per conoscere le attività di Specchio dei Tempi 

     

  • Avevo bisogno di fare passare un po’ di tempo, prima di esprimere i miei pensieri sull’inaugurazione della Cupola del Guarini.

    Ieri è stata una giornata intensa, frenetica, tante emozioni: attesa, curiosità, emozione.

    Ora rimane l’emozione,  l’emozione di un luogo importante per Torino e i torinesi per il valore e il simbolo che questo luogo significa sia dal punto di vista religioso che culturale.

    Una giornata, molto importante, come espresso anche dal  ministro per i Beni e le Attività Culturali Alberto Bonisoli: «Restituiamo un’opera di altissimo valore a Torino e a tutto il mondo», che ha aggiunto «un bene culturale ha non solo un valore economico, ma anche religioso, artistico e soprattutto simbolico. I torinesi hanno vissuto il rogo come un lutto. Ho vissuto un anno a Torino nel 1997 e mi ricordo l’angoscia. I beni culturali appartengono alle comunità che fanno un valore speciale».

    Sai tutto sulla  Cupola della Sindone? Questo video dei Musei Reali, molto ben fatto, ti sorprenderà e ti dirà cose che forse non sapevi.

     

     

  • Joseph Eid, fotoreporter libanese dell’agenzia France Press, attraverso la fotografia compie un’attenta indagine sui luoghi e sulle persone che li abitano .

    Al Museo Egizio di Torino per il progetto Art Site Fest 2018 presenta alcuni scatti realizza nel corso di un viaggio nei luoghi devastati dalle milizie dell’Isis.

    Le vedute del tempio di Baal a Palmira sono state realizzate da Eid riprendendo nell’inquadratura un’altra sua foto, scattata nel marzo del 2014 dalla stessa posizione.

    Il confronto tra le due immagini evidenzia le condizione del sito a seguito delle devastazione della guerra.

    Le foto di Eid, che sono state pubblicate sulle principale testati in tutto il mondo, testimoniano la fragilità del patrimonio culturale e le necessità di prendersene cura, mantenendone viva la memoria.

    La storia di un luogo, quella che i fondamentalismi vorrebbero cancellare è quanto rende significati per l’umanità intera. E’ questa consapevolezza che Palmira ha animato il lavoro e il sacrificio di Khled al-Assad archeologo, studioso e custode dell’antica città, torturato e ucciso nel 2015.

    A Khaled al -Asaad, Art Site Fest dedica questa mostra.

    Per Maggiori informazioni su Art Site Fest

     

  • Al Museo Egizio, Joseph Eid, fotografo libanese, che al lavoro di fotoreporter di guerra, alterna una raffinata indagine sociale e umana, propone alcuni scatti da Palmira a testimonianza della fragilità del patrimonio archeologico e della necessità della sua salvaguardia.

    Nelle immagini di Eid, rivive la storia di Mohamed Anis, appassionato di musica e di auto d’epoca, che con il suo grammofono ha resistito ai bombardamenti che hanno distrutto la sua casa.

    La storia del collezionista di Aleppo che ha commosso il mondo testimonia come l’arte possa essere portatrice di una speranza per il futuro.

    “Ho avuto un passato molto felice, ma le cose sono cambiate. Ora la vita è dura, ma non dobbiamo perdere la speranza.”

    Mohammed Mohiedin Anis, collezionista d’auto d’epoca osserva tristemente una Buick Super del 1955, una delle sue auto ferite nel corso dei combattimenti che hanno devastato la cirtta sierina settentrionale di Aleppo, ne corso del 2016.

    Il pesante bombardamento del distretto orientale di Shaar aveva fatto crollare massicci blocchi di cemento da un edificio vicino, schiacciando il cofano d’epoca della Buick e trasformandone il radiatori in una smorfia contorta.

    “Guarda: lei sta piangendo, è ferita e invoca il mio aiuto. Quando una delle mie macchine viene colpita, è come se fossimo colpiti io e qualcuno dei miei parenti. E’ difficile per me: le auto sono come dei figli, quindi secondo a controllarle.

    Mohammed Mohiedin Anis possedeva una trentina di auto d’epoca, ma molte sono state distrutte nel corso dei bombardamenti.

    Così come distrutta è stata la sua casa di famiglia, grande edificio degli anni ’30. Mohammed Mohiedin Anis, conosciuto nel quartiere come Abu Omar, si consola con la sua pipa e il suo grammofono. “Quando sono tornato e ho visto quello che restava della mia casa. Ero sotto shock.”

    Anis ricorda, ascoltando le canzone del cantante siriano Mohamed Dia al-Din.

    Anis ha vissuto a lungo all’estero, ha studiato medicina in Spagna a Saragozza negli anni ’70. Si è poi trasferito a Torino per tradurre in arabo un manuale italiano per le auto della Fiat.

    Al suo ritorno ad Aleppo, allora capitale della Siria, ha avviato una linea di produzione di cosmetici denominata Mila Robinson.

    Ha ereditato le auto da suo padre un ricco imprenditore

    “Ho tre Cadillac perché sono le piu lussuose delle automobili, ogni collezione dovrebbe avere una Cadillac. Una collezione che non ha una Cadillac è come un corpo senza testa.”

    Il suo più grande orgogli è una decappottabile Cadillac del 1947 color ciliegia sulla quale hanno viaggiato almeno sei presidenti nel corso degli anni – alcuni democratici eletti, altri che hanno preso il potere con un colpo di stato.

    Su quell’auto, con la capote abbassata, il presiedntee egiziano Gamal Abdel Nasser e il suo omologo siriano Shukri al-Quwatli, nel 1958 attraversarono trionfalmente Damasco, dopo la proclamazione di una breve Repubblica araba che univa i loro paesi.

    Quando Anis si è allontanato durante gli ultimi due mesi di combattimenti, i vicini rimasti sono riusciti a convincere i ribelli a non montare un cannone antiaereo Duhka sulla Chevrolet del 1958.

    Molte delle sue auto sono state distrutte o rubate durante la guerra.

    Oggi tredici macchine sono parcheggiare davanti alla sua nuova abitazione e nel giardino, ma altre setto sono state sequestrate dalla polizia perchè ingombrava la strada.

    Quelle rimaste son ferite, dice Anis che inizierà a riparare le macchina che prima di avviare i lavori a casa sua.

    Anis ha due mogli, una ad Aleppo e l’altra nel centro di Hama, in Siria, e otto figli.

    Lascerò le auto ai miei figli, le distribuirò in base alla legge musulmana ereditaria: due per ogni ragazzo e una per ogni ragazza. Adoro le macchine perchè sono come le le donne, belle e forti.

    Anis sorride. La canzone che ascolta al suo grammofono si intitola Hekaya, Storie.

    Immagini di Joseph Eid di Youssef Karwashan

    Progetto realizzato in collaborazione con Agence France Presse.

    Per maggiori informazioni su Artsitefest

  • “Vi amo alla follia. Non c’è momento in cui io non vi adori”.

    È un messaggio scritto in codice dalla regina Maria Antonietta (17551793), solo recentemente decifrato.

    Il destinatario è il conte Hans Axel von Fersen (1755-1810), che le risponde: “Vivo ed esisto solo per amarvi. Adorarvi è la mia sola consolazione”.

    Lei è la regina di Francia, stretta da ragioni dinastiche nella gabbia di un matrimonio politico, lui un nobile svedese, un’anima ardente sotto una corteccia di ghiaccio. Il loro amore clandestino attraversa la storia della Francia in uno dei suoi momenti più drammatici, quelli della rivoluzione. Tutto era iniziato nell’inverno del 1774, quando la futura regina di Francia e Fersen, appena diciottenni, si incontrarono per la prima volta.

    L’occasione, un gran ballo in maschera all’opéra di Parigi. Lei indossava il “domino”, un lungo mantello con cappuccio, una sottile mascherina a coprire gli occhi e la voglia di innamorarsi, come ogni ragazza della sua età. Lo svedese era arrivato in città nell’ambito del Grand Tour, viaggio d’istruzione che facevano tutti i giovani del suo lignaggio. Alto un metro e novanta, i lineamenti regolari, gli occhi azzurri orlati da scure ciglia nere: per le dame di corte divenne presto le beau Fersen, “Fersen il bello”.

    Raramente i matrimoni dinastici sono felici, ma quello celebrato a Versailles il 16 maggio 1770 tra Maria Antonia Giuseppa Giovanna d’Asburgo-lorena, e il delfino di Francia  fu decisamente infausto.  La prima notte di nozze fu un disastro, ma era solo l’inizio: l’unione rimase “bianca” per i primi sette anni. E fu in questo infruttuoso ménage che Fersen divenne il favorito di Maria Antonietta, quello che più spesso e facilmente poteva accedere al suo cospetto. Il 10 maggio 1774 Luigi XV morì di vaiolo e la delfina divenne la nuova regina di Francia, con la responsabilità e la condotta che questo implicava.  Fersen capì che era meglio cambiare aria. Con sollievo dei cortigiani, ingelositi dalla sua rapida ascesa.

    Passarono anni prima che i due si rivedessero: Fersen era diventato un uomo e faceva i primi passi in politica sotto l’ala del suo sovrano, Gustavo III. Maria Antonietta era una giovane regina finalmente incinta. Anche questa volta Fersen non si trattenne a lungo sul suolo francese. Gli americani si battevano per la loro indipendenza dall’Inghilterra e Parigi, nemica naturale di Londra, inviò oltreoceano un contingente ad appoggiare i ribelli. All’inizio del 1779, Fersen si aggregò.

    Al ritorno, re Gustavo lo portò con sé in un lungo giro diplomatico in Europa, fatto di serate danzanti, cene e incontri galanti.  Nell’estate del 1784, Gustavo e Fersen fecero tappa a Versailles: non ci volle molto perché lo svedese e la regina si lasciassero risucchiare da quel parco dei divertimenti per adulti concepito dal Re Sole oltre un secolo prima. Fersen fece di tutto per rimanere in Francia: sapeva che il legame con la regina poteva giovargli. E non si sbagliava: Maria Antonietta convinse il marito a prestargli il denaro necessario per comprare il comando nel Régiment Royal Suédois, formato quasi esclusivamente da svedesi, che gli avrebbe fruttato una generosa rendita annuae.

    I tempi però stavano per cambiare, e con una velocità che prese tutti alla sprovvista.

    La presa della Bastiglia (14 luglio 1789) segnò la fine di un’epoca. “Tutte le menti degli uomini sono in fermento”, scrive Fersen a un amico.

    Molti di questi opuscoli, di simpatie giacobine, avevano come bersaglio la regina. Non era mai stata popolare e, per i tempi superstiziosi in cui viveva, essere nata il 2 novembre, giorno dei morti, non era d’aiuto. La dipingevano come una donna frivola e spendacciona che, incurante delle miserie del popolo, intrecciava amori saffici con le dame di corte; un’austriaca che si era impadronita del trono di Francia, obbedendo alle direttive della madre Maria Teresa, per condurre la nazione alla rovina. Un fondo di verità c’era. Maria Antonietta sperperava cifre favolose a carte e per il guardaroba, e le sue feste a volte duravano giorni.

    L’odio ispirato dai pamphlet si materializzò il 5 ottobre 1789, quando migliaia di donne marciarono da Parigi a Versailles chiedendo pane per i loro figli. I loro slogan erano tutti contro la regina, identificata con i mali del Paese. Fersen intervenne in difesa di Maria Antonietta: con una galoppata precedette il corteo e fece appena in tempo a metterla al sicuro.

    La marcia un risultato lo ottenne: l’indomani il re e la regina furono costretti a trasferirsi a Parigi, alle Tuileries, un palazzo ormai in rovina sulla riva destra della Senna. Per oltre un anno e mezzo il re ingaggiò un braccio di ferro con i suoi avversari, incerto se fare concessioni o chiamare in suo soccorso gli altri monarchi d’europa.

    Scomparsi i fasti e gli adulatori, per Maria Antonietta sarebbero rimaste disperazione e solitudine, se Fersen, non avesse continuato a esserle fedele. Non fu una scelta ovvia, neanche per un aristocratico come lui che poteva in ogni momento essere eliminato come nemico della rivoluzione.

    Solo nella primavera del 1791 Luigi si convinse a tentare la fuga. L’obiettivo era raggiungere una località a est del Paese, dove un comandante militare fedele lo avrebbe atteso con la sua guarnigione. La comitiva doveva apparire come il seguito di una ricca baronessa. Maria Antonietta finse di essere la governante ma il travestimento non funzionò: a Varennes, nelle Argonne, furono riconosciuti e costretti a tornare sotto custodia nella capitale, tra due ali di folla inferocita. Fersen riuscì per miracolo a evitare la cattura e da quel momento cominciò a girare tra le corti europee, facendosi portavoce dei lealisti che speravano di coinvolgere Paesi come l’austria, l’inghilterra o la Prussia nel soffocare l’esperimento rivoluzionario francese. Non se ne fece niente.

    Il 28 giugno Maria Antonietta scrisse all’amato, rassicurandolo: “Non essere turbato sul mio conto, non mi succederà nulla. L’assemblea Nazionale mostrerà clemenza. Addio, uomo amatissimo. Stai calmo se puoi. Abbi cura di te stesso, fallo per me. Non posso più scrivere, ma nulla al mondo potrebbe impedirmi di adorarti fino alla morte”.  Il 16 ottobre 1793, Maria Antonietta fu condotta al patibolo e ghigliottinata.

    Fersen apprese la notizia della morte dell’amata mentre era a Bruxelles, dove ancora cercava una soluzione. “Sebbene fossi preparato per questo e lo aspettassi, fui devastato”, annotò nelle sue memorie.

    Prima del tragico epilogo erano riusciti a vedersi solo un’ultima volta. Lei gli restituì un anello che molto tempo prima lui le aveva donato, gli consegnò un biglietto su cui era scritta una breve frase, in italiano: “Tutto a te mi guida”.

     

    Fonte: Focus Storia

     

  • Dal 13 settembre 2018 al 10 marzo 2019, le Sale delle Arti della Reggia di Venaria (Torino) ospitano la mostra Ercole e il suo mito.

    L’esposizione illustra la figura dell’eroe mitologico, attraverso un’articolata selezione di oltre 70 opere, tra ritrovamenti archeologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture e molto altro, dall’antichità classica al Novecento.
    La rassegna acquista un particolare significato alla luce dei lavori di restauro in corso della “Fontana d’Ercole”, fulcro del progetto secentesco dei Giardini della Reggia, un tempo dominata dalla Statua dell’Ercole Colosso del 1670.

    La rassegna, curata da un comitato scientifico presieduto da Friedrich-Wilhelm von Hase e composto da Gabriele Barucca, Angelo Bozzolini, Paolo Jorio, Darko Pandakovic, Laura Pasquini, Gerhard Schmidt, Rüdiger Splitter, Claudio Strinati, Paola Venturelli, è organizzata da Swiss Lab for Culture Projects e Consorzio Residenze Reali Sabaude, in collaborazione, fra gli altri, con l’Antikenmuseum und Sammlung Ludwig di Basilea (CH), il Museumslandschaft di Hessen-Kassel (D), il Museo Archeologico Nazionale e il Museo Filangieri di Napoli.
    L’esposizione illustra il mito dell’eroe e dei temi a esso legati, con un’ampia selezione di oltre 70 opere, tra ritrovamenti archeologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture, manifesti, filmati e molto altro, provenienti da istituzioni pubbliche e da collezioni private, capaci di coprire un arco cronologico che, dall’antichità classica giunge fino al XX secolo.

    La mostra presenta una serie di ceramiche attiche dell’Antikenmuseum di Basilea, tra cui la prestigiosa anfora con Eracle e Atena del Pittore di Berlino, risalente all’inizio del V secolo a.C., per la prima volta esposta in Italia, grandi quadri secenteschi raffiguranti le fatiche dell’eroe che ornavano importanti residenze nobiliari, cammei e gioielli che riproducono in minimis le storie dell’Ercole, fino a giungere a una grande sala cinematografica dove rivivranno le grandi produzioni cinematografiche di Cinecittà e di Hollywood.

    A marcare l’aspetto europeo e internazionale del tema è stata la Swiss Lab for Culture Management, guidata da Paolo e Lidia Carrion, che ha prodotto con entusiasmo e competenza la mostra e che, forte della sua collocazione a Basilea in Svizzera, si è fatta ponte tra Italia e Germania, ideando e coordinando il complesso comitato scientifico internazionale dall’archeologo Friedrich-Wilhelm von Hase.
    A supportare il progetto scientifico e l’organizzazione sono stati coinvolti il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Museo Civico Gaetano Filangieri principe di Satriano, Napoli, la Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola, Genova, l’Antikenmuseum Basel und Sammlung Ludwig e
    il Museumslandschaft Hessen Kassel.

    Per maggiori info

    Foto di copertina: Ercole e il Minotauro – Parigi, Giardino delle Tuileries

  • L’esposizione Henri Matisse.

    Sulla scena dell’arte presenta e sviluppa una tematica centrale all’interno della vasta vita artistica di Henri Matisse: il rapporto con il teatro e la produzione di opere legate alla drammaturgia.

    Una mostra inedita che porta al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, dal 7 luglio al 14 ottobre 2018, oltre 90 opere realizzate in un arco temporale di 35 anni, dal 1919 fino alla morte dell’artista, avvenuta nel 1954. Si tratta principalmente della cosiddetta période Niçoise: Matisse, infatti, nel 1917 scelse Nizza come luogo principale della sua creazione artistica. Il percorso espositivo, curato da Markus Müller, direttore del Kunstmuseum Pablo Picasso di Münster, è suddiviso in quattro grandi sezioni:

    Costumi di scena; Matisse e le sue modelle; Le odalische; Jazz.

    Una selezione di opere illustra il rapporto tra l’artista e le sue modelle, “attrici” della sua arte, mentre l’esposizione di oggetti, collezionati dall’artista dà conto dell’interesse di Matisse per il decorativismo di influenza orientaleggiante.

    Negli anni Quaranta, infine, Matisse sviluppa la tecnica dei “papiers découpés”, di cui le opere della serie “Jazz” sono la testimonianza più importante. I capolavori – tra tele, disegni e opere grafiche – provengono dal Kunstmuseum Pablo Picasso di Münster che possiede nella sua collezione permanente anche la più ampia raccolta di opere di Matisse in Germania.

    Oltre al museo di Münster, figurano tra i prestatori gli stessi eredi di Matisse, il Musée Matisse di Nizza, che ha concesso in prestito oggetti della collezione privata dell’artista, come fonti di ispirazione e testimonianza dei suoi viaggi, il Musée Matisse di Le Cateau-Cambrésis, città natale di Matisse, i Ballets di Monte-Carlo e la Collection Lambert di Avignone.

     

    Per maggiori info

    Comunicato Stampa

    Credit foto Copertina:

    Henri Matisse I Codomas, da Jazz Tériade Editore, Parigi 1947 – Stampa su stencil incollato su carta 425 x 328 mm –

    Kunstmuseum Pablo Picasso Münster © Succession H. Matisse / S.I.A.E 2018

     

     

  • Mi fa piacere oggi, raccontare una realtà nata e cresciuta a Chieri che ha come obbiettivo la promozione in tutte le sue varibili del territorio da Chieri e dintorni fino a Torino.

    Theatrum Sabaudia è un insieme di persone, interessi, passione per l’arte e per il nostro territorio, incontri e nuove esperienze.

    E’ diventato con il tempo anche un lavoro, ma il filo conduttore rimane il grande amore per quello che facciamo.

    Dal 1999 di strada ne è stata fatta tanta, molta la fatica e ancora di più le difficoltà, superate anche grazie al rapporto speciale di amicizia e rispetto che lega i 3 soci fondatori ed ogni nuovo socio aggiunto.

    Da allora Theatrum Sabaudiae ha subito diverse trasformazioni, è diventata una realtà lavorativa per molti professionisti e oggi è in grado di modulare i propri servizi sulla base delle esigenze del mercato, mantenendo sempre elevati standard qualitativi grazie all’apporto di qualificati collaboratori.

    Ma perché Theatrum Sabaudiae? Da dove nasce questo nome?  Il Theatrum statuum regiae celsitudinis Sabaudiae ducis, Pedemontii principis, Cypri regis., per comodità abbreviato in Theatrum Sabaudiae, è una pubblicazione in due volumi, edita nel 1682 dallo stabilimento Bleau di Amsterdam e raccoglie 145 tavole di altrettante città e luoghi del Ducato Sabaudo.

    I volumi furono donati a regnanti e personaggi di rilievo dell’epoca, in un contesto di affermazione di potenza da parte di Carlo Emanuele II e, alla sua morte, dalla consorte Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours.

    Oggi se ne conservano alcune copie del centinaio stampato in origine, quattro delle quali in Italia, di cui due di proprietà della Regione Piemonte. Alla fondazione della cooperativa fu chiaro sin da subito che un nome così “importante” sarebbe stato un forte richiamo alla nostra tradizione storico – culturale.

    Per maggiori info

  • Landscapes realizzata dal Forte di Bard in collaborazione con Magnum Photos International e Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi, presenta 105 immagini in bianco e nero, personalmente selezionate da Henri Cartier-Bresson, scattate tra gli anni Trenta e gli anni Novanta fra Europa, Asia e America.
    Ciascuna fotografia è rappresentazione di quell’istante decisivo’ che per l’artista è il “riconoscimento immediato, nella frazione di un secondo, del significato di un fatto e, contemporaneamente, della rigorosa organizzazione della forma che esprime quel fatto”.
    Sebbene in alcune foto compaiano anche delle persone, l’attenzione dell’autore è concentrata in modo particolare sull’ambiente, tanto che si può parlare di Paesaggio della Natura e Paesaggio dell’Uomo.
    Le immagini in bianco e nero di colui che è stato denominato l’occhio del secolo”, sono  raggruppate per tema: alberi, neve, nebbia, sabbia, tetti, risaie, treni, scale, ombra, pendenze e corsi d’acqua.

    A proporre una “promenade” tra paesaggi urbani e paesaggi rurali. Sono immagini che riflettono il rigore e il talento di Henri Cartier-Bresson che in esse ha saputo cogliere momenti e aspetti emblematici della natura, spesso immortalando la perfetta armonia tra le linee e le geometrie delle immagini. Armonia perfetta e serena, ad offrire una interpretazione naturale, calma e bella di un secolo, il ventesimo, per altri versi magmatico e drammaticamente complesso.
    Come ha affermato il poeta e saggista Gérard Macé nella prefazione al catalogo Paysage  (Delpire, 2001), “Cartier Bresson è riuscito a fare entrare nello spazio ristretto dell’immagine fotografica il mondo immenso del paesaggio, rispettando i tre principi fondamentali che compongono la sua personale geometria: la molteplicità dei piani, l’armonia delle proporzioni e la ricerca di equilibrio”.
    Nato nel 1908 a Chenteloup, Seine-et-Marne, Cartier-Bresson fu co-fondatore nel 1947 della celebre agenzia Magnum ed è una figura diventata mitica nella storia della fotografia del Novecento.
    Dopo gli studi di pittura, la frequentazione degli ambienti surrealisti e dopo l’esperienza in campo cinematografico al fianco di Jean Renoir, nel 1931, in seguito aun viaggio in Africa, decide di dedicarsi completamente alla fotografia.
    Da Città del Messico a New York, dall’India di Gandhi alla Cuba di Fidel Castro, dalla  Cina ormai comunista all’Unione Sovietica degli anni cinquanta: Henri Cartier-Bresson percorre la storia del secolo breve con la fedele Leica al collo, scegliendo con cura il punto di ripresa, cogliendo il ‘momento decisivo’ e dando vita a immagini ormai  entrate nell’immaginario comune e che gli sono valse l’appellativo di ‘occhio del secolo’.

    Curatore: Andréa Holzherr, Global Exhibition Director, Magnum Photos International
    Realizzata in collaborazione con: Magnum Photos International e Fondation Henri Cartier-Bresson, Parigi

    Partner istituzionali
    * Regione autonoma Valle d’Aosta
    * Compagnia San Paolo
    * Fondazione Crt
    * Finaosta spa

    MediaPartner
    * RMC Radio Montecarlo

     

    Photo di copertina/Credit:

    Place de l’Europe, Gare Saint Lasare, Paris, 1932

    Caption Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos

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