Categoria: News

  • Dina Goldstein  è una fotografa, che vive a Vancouver – Canada  – pop surrealista con un background nella fotografia documentaria: crea  un linguaggio visivo collocando  il banale e il quotidiano in contesti insoliti per ispirare la visione della condizione umana.

    Famosa per la serie “Fallen Princesses”, creata nel 2007, che descrive le principesse Disney umanizzate collocate in scenari realistici e moderni. La serie immagina come le vite di questi personaggi famosi si sarebbero esibiti nel mondo reale e tocca questi flagelli quotidiani come povertà, obesità, cancro e inquinamento.

    Dina Goldstein ha vinto il premio speciale Arte Laguna nel 2012. 

    Nel 2014, Dina Goldstein ha vinto il primo premio al Prix Virginia;

    Ha esposto il suo lavoro a Parigi, in Francia. 

    Ora, espone per la prima volta in un Museo Italiano con la una serie di  “Istantanee dal giardino dell’eden” al Museo ebraico di Venezia a cura di Domenico Maria Papa ispirata ai racconti biblici della tradizione ebraica.

    La mostra verrà inaugurata il 2 settembre alle ore 11,00, e resterà visitabile fino al 4 novembre negli orari di apertura del museo.

    About Dina Goldstein

     

     

  • Il 27 Settembre il Ministro Bonisoli partecipa all’inaugurazione dell’attesa restituzione del capolavoro di Guarino Guarini a vent’anni dal disastroso incendio che tenne il mondo con il fiato sospeso.

    Dopo un lungo e difficile restauro avviato all’indomani del tragico incendio dell’11 aprile 1997, viene finalmente restituita al mondo la mirabile architettura barocca di Guarino Guarini, accessibile al pubblico nel percorso di visita dei Musei Reali.

    La cerimonia di apertura è prevista  presso il Teatro Regio di Torino alla presenza del Ministro per i beni e le attività culturali Alberto Bonisoli.

    Il pubblico potrà ammirare la Cappella della Sindone da venerdì 28 a domenica 30 settembre al prezzo speciale di 3 Euro.

    Da martedì 2 ottobre l’accesso sarà compreso nel biglietto dei Musei Reali.

    Il restauro è stato finanziato dal Ministero per i beni e le attività culturali con il sostegno di Compagnia di San Paolo, Fondazione La Stampa – Specchio dei Tempi, Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, IREN e Performance in Lighting.

    La Cappella non conterrà più la Sindone, ma sarà restituita ai visitatori, ai turisti, e ai torinesi più giovani, nella sua straordinaria struttura architettonica, così come immaginata a fine Seicento dal genio di Guarino Guarini.

    Un po di storia

     

  • Siete curiosi di vedere quanto sia cambiata Torino negli ultimi 50 anni?

    La trama del film è conosciuta, se invece non la conoscete è un’occasione per vedere un vecchio e leggero film. Sia chiaro nulla a che vedere con il remake girato a Venezia nel 2003 con Charlize Theron

    I tre protagonisti del film a bordo di tre Mini Cooper corrono nei meno probabili angoli e vicoli della nostra città,  permettendoci di tornare alla Torino della fine degli anni 60.

    I portici di via Roma, la Chiesa della Gran Madre, la Stazione di Porta Nuova, la pista parabolica  del Lingotto ed  il tetto del Palazzo del Lavoro  sono solo alcuni dei luoghi  in cui è ambientato il film.

    Posti rimasti  quasi del tutto identici ad allora: la città negli ultimi 40 anni,  non è cambiata poi cosi tanto., non fosse per Piazza Castello ancora aperta al traffico, la presenza di numerosi dehors sotto i portici di via Roma o i diversi locali siti ai Murazzi.

    Il regista Peter Collinson scelse di girare proprio a Torino, perché già alla fine degli anni ’60, allora prima tra le metropoli europee,  disponeva veramente” di un centro di controllo computerizzato del traffico: un meccanismo che consentiva di disporre la cosiddetta onda verde tra i semafori.

  • Martedì 14 agosto (20–23)

    Apertura serale straordinaria dei Musei Reali

    Ingresso a tariffa speciale di € 3

     

    Mercoledì 15 agosto (21-24)

    Apertura serale straordinaria dei Musei Reali per Ferragosto

    Ingresso a tariffa speciale di € 3

     

    Le aperture serali si svolgono nell’ambito del calendario speciale Reale + Rendez-Vous, dodici occasioni speciali per festeggiare l’estate nella cornice unica dei Musei Reali.

    La biglietteria chiude un’ora prima.

     

    Le altre mostre attualmente in corso sono:

    –  Il silenzio sulla tela. Natura morta spagnola da Sánchez Cotán a Goya (fino al 30 settembre)

    Confronti 4/ Carol Rama e Carlo Mollino. Due acquisizioni per la Galleria Sabauda e immagini di Bepi Ghiotti (fino al 9 settembre 2018)

    Anche le statue muoiono. Conflitto e patrimonio tra antico e contemporaneo (fino al 9 settembre 2018)

    Scoperte 3/Frammenti di un bestiario amoroso (fino al 23 settembre 2018)

    La garniture di Meissen per Vittorio Amedeo II (fino al 14 ottobre 2018)

    Carlo Alberto archeologo in Sardegna (fino al 4 novembre 2018)

     

    Per tutti i giorni di apertura saranno accessibili i Giardini Reali ideali per concedersi, tra una visita e l’altra, una pausa immersi nel verde.

     

    I Musei rimarranno chiusi giovedì 16 agosto.

    Info: www.museireali.beniculturali.it

     

    Prossime aperture straordinarie:

    Domenica 9 settembre (9-13; 15-19)

    Apertura straordinaria della mostra La Cucina di buon gusto in Biblioteca Reale e delle Cucine Reali.

     

    Venerdì 21 settembre (20-23)

    Apertura serale straordinaria dei Musei Reali in occasione del Salone del Gusto/Terra Madre.

     

  • Dalla tavola dei Savoia ai giorni nostri.

    DE’  CARDI ovvero…  LA  BAGNA-CAÔDA

    Si  servono  anche  così  crudi,  dopo  di  esser  ben  mondati,  si  fa  bollire  dell’olio,  e  sale,  e si  stempra  dentro  delle  acciughe,  ed  in  questa  salsa  calda  si  bagna  il  Cardo.

    Il  cuoco  piemontese  perfezionato  a  Parigi,  1775,  pp.  276-7)

    Se  oggi  si  pensa  alla  cucina  piemontese,  la  bagna-caôda  è  uno  dei  primi  piatti  a  venire  in  mente.  In  realtà,  nei  ricettari  della  Biblioteca  Reale  non  compare  nessuna  preparazione  con  questo  nome,  ma  in  quattro  testi  si  scorge  la  nostra  bagna-caôda,  sebbene  con  una  sorpresa:  nelle  ricette  sette  e  ottocentesche  mancava  del  tutto  l’aglio,  oggi  ritenuto  indispensabile  e  caratterizzante.  Nell’Ottocento  agli  ingredienti  di  base  –olio,  sale  e  acciughe  –viene  aggiunto  il  tartufo  e  si  può  ipotizzare  che  la  sua  successiva  sostituzione  con  l’aglio  sia  stato  un  adattamento  del  piatto  alle  tavole  delle  classi  meno  abbienti.

     

    AGNELLOTTI  ALL’ITALIANA  ovvero…  GLI  AGNOLOTTI

    Fate  la  pasta  con  farina,  bianchi  d’uova,  sale,  ed  acqua  tepida  […]:  se in  magro,  farete  una  farsa  di  spinacci  imbianchiti  al  butiro,  con  della  crema,  mollica  di  pane,  formaggio  grattugiato,  e  uova  […],  indi  mettete  questa  farsa  sopra  la  pasta  ben  distesa,  rivoltandola  disopra,  poi  tagliatela  collo  sperone,  indi  avrete  dell’acqua  bollente,  in  essa  i  metterete  alquanto  di  sale,  e  poi  gli  agnellotti  […];  indi  cavateli  colla  schiumora,  e  accomodateli  nel  suo  piatto,  un  suolo  di  agnellotti,  ed  altro  di  formaggio  grattugiato,  butiro,  ed  alquanto  di  pepe  […].  Ne  farete  in  grassonella  stessa  maniera,  con  formaggio,  grasso  di  polpa  di  vitello,  e  cotti  nel  buon  brodo,  sempre  di  formaggio  grattugiato  nella  farsa.

    (La  cuciniera  piemontese,  1821,  pp.  8-9)

    Gli  agnolotti  sono  oggi  considerati  un  tradizionale  piatto  piemontese,  ma  i  ricettari della  Biblioteca  li  documentano  solo  sporadicamente  e  per  lo  più  serviti  in  brodo,  come nella  Cuoca  di  buon  gusto  (1800  circa),  dove  hanno“forma  quasi  di  corona”,  sono  ripieni  di  midollo  di  bue  (o  grasso  di  rognone),  carne  di  pollo,  formaggio,  pinoli,  uvetta,  sale,  spezie,  albumi  ed  eventualmente  zafferano.  Per  trovarne  di  più  simili  a  quelli  “tradizionali”  occorre  guardare  al  Dubois  (1868),  dove  sono  farciti  con  brasato  di  bue  e  cipolla  e  conditi  con  sugo  di  carne.

     

    I  GRISSINI  DI  TORINO

    Questi  biscottini  in  forma  di  bacchettuccie  […]  si  formano  con  una  pasta  consistente,  di  farina  di  avena,  acqua  distillata  e  alquanto  sale;  quando  vi  si  aggiunge  del  burro,  essi  sono  più  delicati,  ma  durano  però  meno.  La  pasta  si  fa  con  due  lieviti  onde  essere

    più  sottile  e  poter  più  facilmente  tirarla.  I  fornaj  di  Torino  hanno  in  proposito  tale  abilità,  che  tirano  i  grissini della  lunghezza  di  75 centimetri.  Essi  tagliano  la  pasta  […]  l’infornano,  vale  a  dire  passano  la  pala  coperta  di  grissini  entro  un  forno  ben  caldo,  li  tengono  d’occhio,  li  ritirano  tosto  che  abbiano  raggiunto  il  conveniente  grado  di  cottura.

    (La  cuciniera  universale,  1864,  p.  270)

    Secondo  la  tradizione  i  grissini  furono  inventati  a  Torino  nel  1679  dal  fornaio  di  corte, Antonio  Brunero,  per  il futuro  re  Vittorio  Amedeo  II  che,  allora  tredicenne,  non   digeriva  la  mollica  del  pane.  La  novità  ebbe  immediato  successo  e  si  diffuse  in  tutto  il Piemonte  e  poi  nel  resto  d’Italia.

    LO  ZABAJONE

    Sbattete  sei  rossi  d’uova,  o  più  secondo  il  vostro  bisogno; unitevi  del  vino  dolce  […]  tanto  quanto  ne  potrebbero  contenere  i  gusci  di  tutte  le  uova che  avrete  adoperate,  ed  una  buona  cucchiajata  di  zucchero  per  ogni  due  uova;  esponete  al  fuoco,  seguitando  a  frullare,  e  fate  condensare  come  una  crema  senza  lasciar  bollire.  Indi  versate  in  chicchere  e  servite  caldo  con  dei  biscotti  a  parte. (Il  cuoco  pratico  ed economo,  1864,  p.  178)

    Questa  crema  è  attestata  almeno  dal  Cinquecento  e,  benché  sulla  sua  origine  non  vi siano  certezze,  una  tradizione  molto  diffusa  lo considera  un  dolce  tipicamente  piemontese  e  ne  fa derivare  il  nome  dal  francescano  spagnolo  Pasquale  Baylon,  protettore  dei  pasticceri  e  dei  cuochi,  venerato  a  Torino  presso la  chiesa  di  San  Tommaso:  la  “crema  di  San  Baylon”,  in  seguito  semplicemente  sambayon.

    da “La Cucina del Buongusto” 

  • Pietanze prelibate e una sfarzosa “mise en place” alla tavola del Re Sole, dove sedevano anche migliaia di persone.

    Agli ordini dell’esigente maître una schiera di chef, sous chef, sommelier, rosticcieri e pasticcieri si affannava nelle grandi cucine, dove fuochi e forni erano sempre accesi e le grandi marmitte non smettevano mai di sobbollire. Dalle cantine, le cui chiavi erano gelosamente custodite, uscivano bottiglie di magnifici rossi di Borgogna o di Champagne; dagli orti di palazzo, coltivati con tecniche all’avanguardia, arrivavano canestri di verdura, frutta, erbe aromatiche e funghi; dai boschi reali, cacciagione e deliziosi tartufi. Sui taglieri veniva sezionato ogni genere di animale, dal manzo al castoro, dai crostacei alle tartarughe, passando dagli uccelli le cui giunture venivano recise con cura.

    Alla tavola del Re Sole ogni giorno si accomodavano migliaia di nobili con il loro seguito: il sovrano infatti aveva preteso che il suo entourage lasciasse Parigi per seguirlo nella dorata gabbia di Versailles. Si mangiava tutti insieme, come alla mensa di una grande azienda, solo che tutto doveva essere superlativo, perché il cibo rappresentava la generosità del re. Ma per nutrire un simile esercito, ce ne voleva un altro che lavorasse tra i fumi delle cucine.

    TABLEAU ROYAL.

    Un banchetto reale, nelle grandi occasioni, prevedeva non meno di quattro o cinque portate. Immensi vassoi viaggiavano veloci dalle cucine alle sale imbandite, carichi di pietanze ricercate, dall’aspetto magnifico, protette da campane d’argento, pronti ad atterrare sulle tavole con precisione e simultaneità. Tutto arrivava a ondate per trasmettere la sensazione di ricchezza e abbondanza: antipasti, arrosti, stufati, cacciagione, erano intervallati da entremets (portate intermedie, “leggere”, servite tra una pietanza e l’altra) come lingue di cervo, piedini di maiale cotti nel brodo, o morbide tettine di vacca. Le spezie, invece, un tempo ritenute merce pregiata, caddero in disuso quando, nel Seicento, i veneziani persero il monopolio del commercio con l’oriente, causando la caduta dei prezzi e trasformando gli aromi da cucina in prodotti ordinari.

    BUONE MANIERE.

    I cortigiani del Re Sole amavano ascoltare la musica a tavola; in mancanza di musici, apprezzavano anche cantanti, a cui spesso i commensali si univano al ritornello, incuranti del cibo che avevano in bocca.

    Per bere bastava fare un segno al cameriere personale. Una volta vuotato, il bicchiere veniva sciacquato in un bacile, e poco importava se durante il pranzo i recipienti si scambiavano. Il concetto di igiene era molto diverso dal nostro. L’uso delle posate era a discrezione dei commensali, perciò era facile vedere un compìto marchese pulirsi le dita sporche di grasso nella tovaglia dopo aver mangiato con le mani, o una bella contessa sputare nella mano un boccone sgradito e gettarlo sotto il tavolo per gli alani. Manuali di etichetta destinati all’aristocrazia cominciavano a circolare proprio in quest’epoca, ma in pochi li leggevano. Del resto anche il Re Sole preferiva usare le mani per mangiare. Per lui, che naturalmente era il primo a essere servito, venivano portate pietanze per otto. Ovviamente il sovrano non mangiava tutto, assaggiava qua e là, ma ostentava un appetito formidabile.

    Questo, infatti, era considerato segno di buona salute e quindi della capacità di proteggere i sudditi, mentre l’abbondanza e la varietà dei cibi era la prova della potenza della Francia. “Ho spesso visto il re”, annotava la cognata, la principessa Palatina, “mangiare quattro piatti di potage, un fagiano intero, una pernice, un gran piatto di insalata, due grandi fette di prosciutto, del montone all’aglio, un piatto di dolci, e ancora frutta e uova sode”.

    «In quest’epoca», racconta Francesca Sgorbati Bosi in A tavola coi re, «al sovrano spettava il compito di dare prova di straordinaria virilità, sia mentre mangiava sia mentre era a letto, dove si dimostrava altrettanto “onnivoro”: solo che in camera sfilavano favorite e cortigiane, qui piatti molto conditi e innaffiati da champagne». Il banchetto cominciava con un ricco potage, termine che oggi significa zuppa, ma che a Versailles era un piatto complesso, come per esempio un cappone alle ostriche. Per sua Maestà e i commensali svolgeva la funzione di aprire lo stomaco (possiamo immaginare quanto dilatato) mentre venivano servite le prime entrées, che tradurre “antipasti” sarebbe riduttivo: lucci fritti in salsa d’acciughe e maialini al latte guarniti con melagrane, fette di limoni e fiori edibili.

    LA GRANDEUR.

    Quello di Luigi XIV era il primo grande esperimento di Stato nazionale, incarnato da un sovrano assoluto, che non rispondeva a nessuno, se non a se stesso. Il suo potere non derivava solo dalla forza degli eserciti, ma, come nelle grandi corti rinascimentali, anche dalla cultura e dall’arte che, sovvenzionate dalla Corona, convinsero i francesi di essere la più grande nazione al mondo, e di conseguenza anche le altre potenze lo considerarono un dato di fatto.

    Nella seconda metà del Seicento, al culmine del suo regno, tutta l’europa era influenzata dalla cultura e dalla moda francesi. Ovunque le donne aristocratiche si vestivano e si truccavano come a Parigi, e il francese era la lingua parlata da diplomatici e uomini d’affari. E se c’era una cucina invidiata, dappertutto, era senza dubbio quella di Versailles.

    Questo nuovo modo di alimentarsi cancellava di colpo abitudini e regole salutistiche che le élite avevano seguito per secoli, se non per millenni. Fino a quel momento, a dettare legge erano ancora i precetti alimentari di Galeno, padre della medicina, vissuto nell’asia Minore grecizzata del II secolo d.c. A dire di Galeno, l’uomo, come del resto il cosmo, era composto da quattro elementi principali (acqua, aria, terra e fuoco) e, se voleva stare in salute, doveva assumere cibi adatti a mantenerli in equilibrio tra loro.

    Nel Seicento cambiò tutto: le élite non mangiavano i cibi ritenuti salutari, ma esclusivamente quello che il sovrano trovava di suo gusto. Entrarono così in cucina i funghi fino a quel momento disprezzati, dato che proliferano nel letame, perché Luigi ne andava matto, come i piselli e i meloni, che diventarono di gran moda. Fare del mangiare un’esperienza estetica si trasformò in una dimostrazione di status. I cuochi iniziarono a essere considerati artisti. Anche se non erano ancora delle star, come oggi, i migliori erano ricercati e ben pagati.

    PECCATO DI GOLA.

    La rottura con il passato non infrangeva solo prescrizioni mediche millenarie, ma anche di natura religiosa. Mangiare oltre lo stretto necessario un tempo significava commettere peccato, ora invece diventò sintomo di buon gusto, lo stesso con cui si ammirava un quadro. Lo scrittore Charles de Saint-évremond scriveva a un’amica letterata: “A 88 anni mangio ostriche tutte le mattine, pranzo bene e mangio abbondantemente. Quando ero giovane ammiravo solo l’intelligenza, dando al corpo meno importanza di quanto si deve; oggi rimedio a questo errore”.

    Questo non significava che il cattolicesimo, di cui il Re Sole si proclamava massimo difensore, avesse perso il suo peso. Anzi, tra i venerdì, la settimana santa, l’avvento, la Quaresima, i giorni di processione, e i digiuni che i confessori erogavano come penitenza, nella Francia del Seicento si contavano da 100 a 150 giorni all’anno in cui si doveva mangiare di magro.ovviamente parliamo dell’aristocrazia, per il popolo ogni giorno era di magro. I sacerdoti erano indulgenti con i ricchi, a corte era considerato accettabile servire ostriche e aragoste nei giorni di magro, in fondo non erano molto diverse dai pesci che Gesù aveva moltiplicato.

    Alla lunga questa dieta sconsideratamente ipercalorica e proteica segnò la salute di tutti, il re per primo. A quarant’anni, a causa della passione per i dolciumi, Luigi non aveva quasi più denti in bocca, e dai documenti di corte si desume che, invecchiando, fosse tormentato dal diabete e dalla gotta, malattia che i dottori curavano con inutili salassi e clisteri, e che lo condusse alla morte.

    Questo fu l’inevitabile epilogo. Prima però la Francia fece in tempo a fare di cultura, buona tavola e eros i tre valori fondanti della sua identità nazionale.

    Fonte: Focus Storia

  • Una piccola  selezione delle mostre in arrivo il prossimo Autunno in Italia.

     

    Tintoretto 500 – Palazzo Ducale e Gallerie dell’Accademia (Venezia), dal 7 settembre 2018 al 6 gennaio 2019

    La Fondazione Musei Civici di Venezia e la National Gallery of Art di Washington hanno avviato dal 2015 un progetto di ricerca per festeggiare i 500 anni dalla nascita di Jacopo Tintoretto, tra i giganti della pittura europea del XVI secolo e, indubbiamente, quello che più ha “segnato” Venezia con il marchio inconfondibile del suo genio, dal 7 settembre 2018 al 6 gennaio 2019. Palazzo Ducale e Gallerie dell’Accademia spalancano le proprie porte al “genio terribile” del pittore veneziano.

    Jacopo Tintoretto, Autoritratto, 1588 ca., olio su tela, 63 x 52 cm, Parigi, Musée du Louvre- Départment des Peintures
    © RMN / RÈunion des MusÈes Nationaux

     

    Ercole e il suo mito – Reggia di Venaria (Torino), dal 13 settembre 2018 al 10 marzo 2019

    L’esposizione illustra il mito dell’eroe greco e dei temi a esso legati, con un’ampia selezione di oltre 70 opere, tra ritrovamenti archeologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture, manifesti, filmati e molto altro, provenienti da istituzioni pubbliche e da collezioni private, capaci di coprire un arco cronologico che, dall’antichità classica giunge fino al XX secolo. L’iniziativa acquista un particolare significato alla luce dei lavori di restauro in corso della “Fontana d’Ercole”, fulcro del progetto secentesco dei Giardini della Reggia, un tempo dominata dalla Statua dell’Ercole Colosso, e da cui inizia idealmente la visita.

     

    Da Tiziano a Van Dyck, Il volto del 500 – Casa dei Carraresi (Treviso),

    dal 26 settembre 2018 al 3 febbraio 2019

    Siete mai stati invitati ad una cena in casa di amici per, una volta varcato l’uscio, vedere una delle ultime opere dipinte da Tiziano Vecellio? O di entrare in un’abitazione e di trovarvi di fronte ad un olio su tela di Jacopo Tintoretto? O di restare sopraffatti dalla bellezza di un autoritratto di Giulio Carpioni, appeso ad una parete del salotto? O di entrare in cucina ad aiutare gli ospiti con le portate e scorgere un ritratto di Van Dyck che vi guarda incurante

    dei suoi 4 secoli d’età? Ecco, questa mostra parlerà di questo.

     

    Antoon van Dyck, Testa di carattere 1613-21 olio su tela, 64,7×50,5 cm

     

    Paul Klee e il Primitivismo – MUDEC (Milano),  dal 31 ottobre 2018 al 27 gennaio 2019

    La mostra affronta una prospettiva inedita dell’opera di Paul Klee, con l’obiettivo di posizionare l’attività dell’artista all’interno del fermento primitivista che scorre per l’Europa agli inizi del XX secolo. Affianco a una selezione specifica di oli, tempere, acquarelli e disegni di Klee verranno posti in un rimando puntuale oggetti dell’antichità classica, manufatti etnografici della collezione del MUDEC, riviste e documenti d’epoca legati alla formazione di Klee.

    Paul Klee – Saluti, 1922 © Allen Phillips Wadsworth Atheneum

     

    CHAGALL. Colore e magia – Palazzo Mazzetti (Asti), dal 27 settembre 2018 al 3 febbraio 2019 

    Marc Chagall: dopo la tappa di Seul arriva per la prima volta ad Asti una selezione di oltre 150 opere di Chagall. Un percorso che indaga aspetti inediti della vita e della poetica di Chagall, suddiviso per epoche della vita del maestro russo: dai suoi primi lavori degli anni ’20 alla fuga traumatica dall’Europa durante la seconda guerra mondiale fino agli ultimi anni trascorsi dall’artista negli Stati Uniti.

     

     

    ASTI Marc Chagall – Le Coq Violet, 1966-72 – oil, gouache and ink on canvas – 89,3×78,3 cm

     

     

    Elliott Erwitt Personae  – Reggia di Venaria (To)  – dal 27 settembre al 24 febbraio 2019
    Grande mostra di uno dei fotografi più importanti e celebrati del Novecento. E’ la prima retrospettiva delle sue fotografie sia in bianco e nero che a colori. I suoi scatti in bianco e nero sono ormai diventati delle icone della fotografia, esposti con grande successo a livello internazionale, mentre la sua produzione a colori è quasi del tutto inedita.

     

     

     

    Andy Warhol – Vittoriano (Roma), dal 3 ottobre 2018

    Un’esposizione che con oltre 170 opere traccia la vita straordinaria di uno dei più acclamati artisti della storia. Il 3 ottobre apre i battenti -negli spazi del Complesso del Vittoriano- una mostra interamente dedicata al mito di Warhol, realizzata in occasione del novantesimo anniversario della sua nascita. Una rassegna che parte dalle origini artistiche della Pop Art: nel 1962 il genio di Pittsburgh inizia a usando la serigrafia crea la serie Campbell’s Soup, minestre in scatola che Warhol prende dagli scaffali dei supermercati per consegnarli all’Olimpo dell’arte.

    Andy Warhol Marilyn, 1967 – Serigrafia su carta, 91,4×91,4 cm
    © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc. by SIAE 2018 per A. Warhol

     

    Ottocento in collezione. Dai Macchiaioli a Segantini – Castello di Novara, dal 20 ottobre 2018 al 24 febbraio 2019

    La rassegna presenta 80 capolavori di pittura e scultura tutti provenienti da prestigiose raccolte private, di autori quali Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Giovanni Fattori, Carlo Fornara, Domenico e Gerolamo Induno, Silvestro Lega, Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Giovanni Segantini, Federico Zandomeneghi, che testimonia l’importanza storica del fenomeno del collezionismo nello sviluppo delle arti in Italia, dall’Unità nazionale ai primi anni del Novecento. La storia delle arti figurative in Italia nel secondo Ottocento s’intreccia, infatti, con le vicende dei raccoglitori di opere d’arte e, più in generale, del mecenatismo culturale. Dopo il 1860, s’intensifica il fenomeno del collezionismo di dipinti e sculture da parte di una sempre più ampia fascia di pubblico, composta in prevalenza da esponenti della borghesia delle imprese e dei commerci e delle professioni civili.

     

    I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità – GAM (Torino), da 26 ottobre 2018 al 24 marzo 2019

    Gli antefatti, la nascita e la stagione iniziale e più felice della pittura macchiaiola, ossia il periodo che va dalla sperimentazione degli anni Cinquanta dell’Ottocento ai capolavori degli anni Sessanta, saranno i protagonisti della mostra che per la prima volta alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino valorizzerà il dialogo artistico tra Toscana, Piemonte e Liguria nella ricerca sul vero.

     

     

    Antonello da Messina – Palazzo Abatellis (Palermo), dal 26 ottobre 2018 al 24 febbraio 2019

    La pittura del Sud abbraccia quella del Nord. In un’epoca contrassegnata da scissioni culturali, la vicenda creativa di Antonello da Messina mostra la forza propulsiva dell’incontro fra tradizioni differenti. In autunno, presso Palazzo Abatellis di Palermo, le opere del maestro siculo si scoprono anello di congiunzione fra arte mediterranea e mondo nordico, fiammingo in particolare, nonché spunti d’ispirazione per l’uso del colore nell’Italia settentrionale, dalla cromia veneta al naturalismo lombardo.

     

     

     

    Antonello da Messina. – Annunziata, Palermo, Palazzo Abatellis

     

     

    Van Dyck. Pittore di Corte – Galleria Sabauda (Torino), dal 16 novembre 2018 al 3 marzo 2019

    A novembre 2018 inaugura a Torino una mostra dedicata ad Antoon van Dyck, il miglior allievo di Rubens, che rivoluzionò l’arte del ritratto del XVII secolo. Personaggio di fama internazionale e amabile conversatore dallo stile ricercato, Van Dyck fu pittore ufficiale delle più grandi corti d’Europa ritraendo principi, regine, sire nobildonne delle più prestigiose famiglie dell’epoca.

     

    TORINO
    Antoon van Dyck – Marchesa Elena Grimaldi Cattaneo, 1623
    Olio su tela, 242,9×138,5 cm
    National Gallery of Art, Washington, Widener
    Collection

  • Capolavori dalla collezione di Francesco Federico Cerruti

    La mostra Giorgio de Chirico. Capolavori dalla Collezione di Francesco Federico Cerruti a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria presenta per la prima volta al Castello di Rivoli un selezionato nucleo di capolavori di Giorgio de Chirico provenienti dalla collezione di Francesco Federico Cerruti, offrendo così alla fruizione pubblica opere sino a ora celate nella Villa Cerruti di Rivoli, dimora voluta dall’imprenditore torinese negli anni sessanta ad uso esclusivo della propria collezione privata

    . Per ammissione dello stesso de Chirico, Torino, luogo che vide l’esplosione della pazzia di Nietzsche, è tra le città italiane che ispirarono i primi quadri metafisici con le loro atmosfere malinconiche. Includendo opere che spaziano dal 1916 al 1927, la mostra al Castello di Rivoli presenta otto importanti dipinti del maestro della Metafisica.

    Offrendo uno spaccato sull’inesauribile capacità metamorfica del genio di de Chirico, la mostra ne indaga la ricca eredità intellettuale presentando i suoi quadri in relazione con alcune tra le maggiori opere di arte contemporanea della collezione permanente del Museo, tra cui installazioni di Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto e Maurizio Cattelan.

     

  • L’arte del grande artista incontra la collezione di prodotti dell’azienda statunitense

     “La nostra missione è di rendere la vita e il lavoro di Vincent van Gogh accessibili a quante più persone possibile per arricchirli e ispirarli” dice Adriaan Dönszelmann, Amministratore delegato del Van Gogh Museum.

    Dal 3 agosto è disponibile la capsule collection Vans dedicata ai capolavori di Vincent Van Gogh, ma a dire il vero è già sold out! 

    L’azienda statunitense, tra i marchi più amati dai giovani, ha stipulato un accordo con il Van Gogh Museum di Amsterdam: le opere più celebri del grande artista sono state riprodotte su cappelli, zaini, scarpe e t-shirt.

    Parte dei proventi della vendita dei prodotti sarà destinata alla tutela del patrimonio e della collezione d’arte di Vincent Van Gogh, al fine di garantirne l’accessibilità anche alle generazioni future.

    L’idea è anche quella di avvicinare le giovani generazioni all’arte del grande pittore, uno dei più amati di sempre, attraverso oggetti altrettanto amati dai ragazzi.

    Come spiega infatti Adriaan Dönszelmann, Amministratore delegato del Van Gogh Museum: “Unendo le opere iconiche di Van Gogh con gli iconici modelli Vans, la nostra collaborazione porta l’arte di Vincent” Off The Wall “e nel mondo ad un nuovo pubblico fuori dal museo“.

    Ogni pezzo, in vendita nei negozi  Vans.com/vangogh, e su vangoghmuseumshop.com, riporta un cartellino che descrive e racconta fatti inerenti all’opera riprodotta.

  • Passy, 1868. Sono più di trent’anni che Gioachino Rossini si è chiuso in un lungo e doloroso silenzio lavorativo, abbandonando l’opera e scrivendo unicamente musica sacra e strumentale, fra cui i Péchés de vieillesse. Nelle serate musicali organizzate nella casa di Parigi e nella villa di Passy, gli fanno compagnia vecchi e nuovi amici: musicisti, compositori e letterati del tempo come Wagner e Boito, Ricordi, Verdi e Gounod. Ma nessuno di loro, neppure l’amatissima seconda moglie Olympe, conosce le vere ragioni della fuga dalle scene di uno dei più noti compositori del mondo. In procinto di essere operato per la seconda volta a un gravissimo tumore, Rossini ripensa al proprio passato. Da rivoluzionario a conservatore, ma sempre pronto allo sberleffo verso l’ordine costituito; da frequentatore delle più raffinate alcove europee quanto dei più infimi bordelli, alla castità assoluta.

    Rossini era stato subissato di fischi e portato in trionfo in tutta Europa, la sua fama era giunta fino alle Americhe. E ora, mentre il sipario sta per calare, Rossini non fa che pensare a quell’ultimo spartito: l’opera mai scritta ma che forse avrebbe potuto scrivere, che fosse apprezzata e riconosciuta nel mondo da pubblico e critica…

    L’opera che potrebbe consacrare una vita intera.

    In occasione dei 150 anni dalla morte di Gioacchino Rossini Piemme pubblicherà a maggio 2018 il romanzo che ne celebra l’indimenticabile vita.

    L’ultimo spartito di Rossini, di Simona Baldelli

    Simona Baldelli È nata a Pesaro e vive a Roma. Ha iniziato la sua carriera in campo teatrale sia come attrice che come regista. Ha lavorato come speaker e autrice di programmi radiofonici e curato numerosi eventi di cultura e spettacolo. Il suo primo romanzo, Evelina e le fate è stato finalista del Premio Italo Calvino e vincitore del Premio Letterario John Fante.

    L’ultimo spartito di Rossini è il suo nuovo romanzo.

     

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