“Per me la fotografia non è veramente un’ arte visuale ma qualche cosa di più vicino alla poesia, come un haiku”.
UNA COLLEZIONE DI MIRACOLI, testo di Frank Horvat sulla sua collezione.
Sono fotografo – o faccio il fotografo? – da più di settant’anni ormai.
Negli ultimi trent’anni ho anche collezionato le immagini dei miei amici fotografi e non per passatempo ma piuttosto quale supporto del mio personale cammino.
Sono circondato, come tutti i miei contemporanei, da un flusso ininterrotto di immagini fotografiche che guardo appena – o guardo solo per dirmi che io non le avrei mai scattate.
Il motivo che mi ha spinto a collezionare le poche immagini che mi hanno profondamente colpito è che mi hanno insegnato qualcosa che non sapevo, mi hanno fatto sentire meno solo e ognuna di esse è un fatto unico, accaduto una volta sola e che non accadrà mai più.
Le ho collezionate proprio perché ognuna di esse mostra la capacità della mente umana di lasciarsi sorprendere da qualcosa di inaspettato, e, nel giro di un paio di secondi, di riconoscerne il significato e di integrarlo in un insieme.
In una parola, perché ognuna di queste fotografie è un miracolo.
Dal 28/02/2018 al 20/05/2018 – Orario 10:00 – 18:00
Torino, CAMERA Centro Italiano per la Fotografia 18 gennaio – 13 maggio 2018
Mostra a cura di Francesco Zanot “ L’occhio magico di Carlo Mollino. Fotografie 1934 – 1973, a cura di Francesco Zanot è la prima mostra del 2018 a CAMERA Centro Italiano per la Fotografia una mostra che attraversa l’intera produzione fotografica di Carlo Mollino, in un percorso di oltre 500 immagini tratte dall’archivio del Politecnico di Torino.
Questa iniziativa fa seguito alla mostra “Carlo Mollino. In viaggio”, tenutasi presso CAMERA nella primavera del 2016, a testimonianza del rafforzamento della collaborazione tra Politecnico e CAMERA, anche grazie a un accordo di collaborazione siglato nell’aprile di quest’anno.
Tra i più noti e celebrati architetti del Novecento, Carlo Mollino ha da sempre riservato alla fotografia un ruolo privilegiato, utilizzandola sia come mezzo espressivo, sia come fondamentale strumento di documentazione e archiviazione del proprio lavoro e del proprio quotidiano. Questa esposizione, la più grande e completa mai realizzata sul tema, indaga il rapporto tra Mollino e la fotografia evidenziandone l’unicità e le caratteristiche ricorrenti, a partire dalle prime immagini d’architettura realizzate negli anni Trenta fino alle Polaroid degli ultimi anni della sua vita. Sulle orme del padre Eugenio, ingegnere e appassionato fotografo, Carlo Mollino si è avvicinato a questo linguaggio espressivo fino dalla gioventù, sviluppando non soltanto un vasto corpus di immagini a metà tra il canone della tradizione, di cui aveva consapevolezza profonda, e lo slancio della sperimentazione, ma anche una peculiare coscienza critica che lo ha condotto a pubblicare nel 1949 “Il messaggio dalla camera oscura”, volume innovativo quanto fondamentale per la diffusione della cultura fotografica in Italia e la sua accettazione tra le arti maggiori.
La mostra si propone così di approfondire la straordinaria complessità e fecondità della riflessione di Carlo Mollino sulla fotografia, situandolo definitivamente nella storia di questa disciplina attraverso un percorso che alterna grandi classici a opere del tutto inedite e mai precedentemente esposte.
Tutti i materiali in mostra provengono dalle collezioni del Politecnico di Torino, Archivi Biblioteca Gabetti, Fondo Carlo Mollino.
Una selezione di scatti d’interni di Carlo Mollino, come appendice della mostra, è esposta nella hall dell’Hotel Torino Piazza Carlina.
La mostra è accompagnata da una pubblicazione edita da Silvana Editoriale e contenente tutte le riproduzioni delle opere in esposizione oltre ai saggi di Francesco Zanot, curatore della mostra, Enrica Bodrato, Fulvio Ferrari e Paul Kooiker.
L’attività di CAMERA è realizzata grazie a Intesa Sanpaolo, Eni, Reda, Lavazza, in particolare la programmazione espositiva e culturale è sostenuta dalla Compagnia di San Paolo.
INFORMAZIONI
“L’occhio magico di Carlo Mollino. Fotografie 1934 – 1973”
Dal 18 gennaio al 13 maggio 2018
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia – Via delle Rosine 18, 10123 Torino
Ingresso Ridotto € 6, fino a 26 anni, oltre 70 anni, Soci Touring Club Italiano, Amici della Fondazione per l’Architettura, iscritti all’Ordine degli Architetti, iscritti AIACE, iscritti Enjoy, soci Slow Food, soci Centro Congressi Unione Industriale Torino, possessori Card MenoUnoPiuSei. Possessori del biglietto di ingresso di: Gallerie d’Italia (Milano, Napoli, Vicenza), Museo Nazionale del Cinema, MAO, Palazzo Madama, Borgo Medievale, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna – Forte di Bar, MEF Museo Ettore Fico, FIAF.
Ingresso Gratuito
Bambini fino a 12 anni
Possessori Abbonamento Musei Torino Piemonte, possessori Torino+Piemonte Card Visitatori portatori di handicap e un loro familiare o altro accompagnatore che dimostri la propria appartenenza a servizi di assistenza socio sanitaria
Servizio di biglietteria e prevendita a cura di Vivaticket
Due acquisizioni per la Galleria Sabauda e immagini di Bepi Ghiotti a cura di Cristina Mundici.
La mostra è dedicata alla recente acquisizione, da parte dello Stato italiano, di due importanti opere del Novecento: un dipinto di Carol Rama (Torino, 1918-2015) e un oggetto in carta dell’architetto Carlo Mollino (Torino, 1905-1973). Due amici dal carattere eccentrico, che hanno sviluppato la propria arte seguendo percorsi non convenzionali e realizzando creazioni inimitabili, difficilmente confrontabili con la produzione coeva.
La tela Pittura 718 di Carol Rama (1954) è accompagnata nella mostra da quattro opere degli anni Cinquanta, quando la pittrice si unisce al gruppo astrattista del MAC – Movimento Arte Concreta nella sua branca torinese.
Il Drago da passeggio di Carlo Mollino (1964) è un oggetto in più copie, ognuna personalizzata con decorazioni pittoriche per essere donata agli amici più cari. Il drago che qui si presenta, dal titolo specifico Notte in laguna, è stato regalato a Carol Rama ed è sempre stato conservato nella sua casa studio in via Napione a Torino, appeso accanto a una gigantografia che ritrae la pittrice negli anni Sessanta con Edoardo Sanguineti, altro grande intellettuale amico.
Due dipinti realizzati da Carol Rama negli anni Ottanta, frutto della sua immaginazione visionaria e popolati di animali magistralmente dipinti, dialogano con l’opera cartacea di Carlo Mollino.
Le immagini che accompagnano i quadri esposti ritraggono Carol Rama e gli ambienti della sua casa studio, che l’artista Bepi Ghiotti ha fotografato negli anni 2012-2014, prima della scomparsa della pittrice.
Cento anni fa, il 17 aprile 1918, nasce a Torino Carol Rama. Inizia a dipingere ancora adolescente senza alcuna formazione accademica, ma sostenuta nella sua passione da alcuni incontri fondamentali, primo fra tutti quello con Felice Casorati.
Molti i rapporti con amici intellettuali da cui assorbe informazioni e stimoli: dal poeta Edoardo Sanguineti al musicologo Massimo Mila, dal pittore Albino Galvano all’architetto Carlo Mollino, dal critico Paolo Fossati al collezionista Carlo Monzino, dal compositore Luciano Berio all’artista Man Ray, per citarne alcuni.
Sempre aggiornata sulle varie tendenze artistiche ma con grande autonomia di lavoro, sviluppa nel corso del ventesimo secolo un percorso tutto personale, adottando via via materiali e temi diversi. Alle prime prove figurative tra anni Trenta e Quaranta, spesso di soggetto scabroso, seguono gli olii e le prove astratte degli anni Cinquanta, per virare negli anni Sessanta verso opere in cui su macchie di colore di derivazione
informale sono applicati oggetti d’uso quali occhi di bambola, strumenti medicali, trucioli metallici.
La tecnica del collage si evolve negli anni Settanta, quando camere d’aria usate sono utilizzate in sostituzione del colore e applicate su tele monocrome o appese tridimensionalmente a un gancio in ferro. Successivamente, l’artista ritorna alla figurazione e realizza mirabili dipinti in cui sovrappone figure e animali a carte tecniche prestampate, prima traccia da cui muovere il proprio immaginario. Con ininterrotta continuità, la pittrice lavora fino ai primi anni del Duemila.
Se Lea Vergine ha curato nel 1985 la prima, grande mostra personale dell’artista a Milano, i riconoscimenti pubblici sono via via aumentati con l’esposizione a cura di Achille Bonito Oliva alla Biennale di Venezia del 1993, il conferimento del Leone d’oro alla Biennale del 2003, e varie importanti mostre monografiche culminate nella grande personale itinerante da Barcellona, a Parigi, Helsinki, Dublino, che ha avuto la sua ultima tappa alla GAM di Torino nel 2016.
Carol Rama si è sempre mossa nel mondo dell’arte in autonomia da movimenti e gruppi, a eccezione degli anni Cinquanta quando partecipa al MAC – Movimento di Arte Concreta. Il MAC, fondato a Milano a fine 1948 da Gillo Dorfles, Gianni Monnet, Bruno Munari e Atanasio Soldati, faceva riferimento alla corrente dell’Astrattismo concretista internazionale e alla tradizione multidisciplinare del Bauhaus.
Già all’inizio degli anni Cinquanta alcuni artisti torinesi, tra cui Carol Rama, si allineano alla poetica del MAC. Nel 1952 viene redatto il Manifesto del gruppo torinese a firma Annibale Biglione, Albino Galvano, Adriano Parisot, Filippo Scroppo e nel 1954, lo stesso anno del quadro qui esposto, è allestita una mostra personale di Carol Rama alla Libreria Salto di Milano, quartier generale del MAC, presentata da Gillo Dorfles.
Nella produzione dell’artista in questo giro d’anni si assiste alla creazione di quello che Dorfles ha chiamato un “modulo grafico”, più volte ripetuto all’interno del singolo quadro ma con grande leggerezza e libertà compositiva. Per usare le parole di Albino Galvano, estimatore e amico della pittrice, che ne descrive, quasi in forma di calembour, i lavori del periodo: «la forma in Carolrama sfugge al formalismo pur nell’ascesi del lavorar “formando” anziché “figurando”».
«È noto che il problema dell’uso del “tempo libero”, emerso in uno con il progresso tecnico e particolarmente in virtù di quello dell’automazione e della cibernetica, si presenta da tempo all’attenzione dei sociologi con crescente necessità di soluzione. […] Oziare passeggiando è appunto il primo grado, o meglio il primo passo, per giungere alla pura soluzione di quell’uso del tempo libero oggetto di questo messaggio agli amici. […] Ecco quindi che emerge la ragione di vita del drago da passeggio offerto come prezioso ausilio al fine di ritmare, come si vedrà, l’operazione secondo il moto coniugato del corpo e dello spirito in cogitante contemplazione. […] Il drago da passeggio offerto agli amici, originario dell’India, è il noto drago del Panjab, di piccola taglia, di singolare intelligenza e vago aspetto. Il mantello, sempre di prestigiosa decorazione, si adatta congenialmente e all’istante con il paesaggio interiore di ciascun proprietario».
da Carlo Mollino, Del Drago da passeggio, 1964 (libretto che accompagna l’opera e che riporta la seguente dicitura: «Drago n. 70 “Notte in laguna”.
A Guttuso è dedicata la mostra Renato Guttuso. L’arte rivoluzionaria nel cinquatesimo del ‘68
Nei giorni seguenti alla morte di Togliatti Guttuso scriveva di sentire la necessità di dipingere un quadro sui funerali. Lo realizzo solo 8 anni dopo.
Ritrasse gli amici di Togliatti, i compagni di partito, il popolo delle bandire rosse, ma anche: Dimitrovv, Stalin Lenin un’opera monumentale che divenne l’opera manifesto dell’artista.
Curata da Pier Giovanni Castagnoli, con la collaborazione degli Archivi Guttuso, la mostra raccoglie e presenta circa 60 opere provenienti da importanti musei e collezioni pubbliche e private europee. Primeggiano alcune delle più significative tele di soggetto politico e civile dipinte dall’artista lungo un arco di tempo che corre dalla fine degli anni Trenta alla metà degli anni Settanta.
Nell’ottobre del 1967, cinquantesimo anniversario della rivoluzione d’ottobre, Renato Guttuso scriveva su Rinascita, rivista politico-culturale del Partito Comunista Italiano, un articolo intitolato Avanguardie e Rivoluzione, nel quale il pittore riconosceva alla rivoluzione il titolo inconfutabile e meritorio di essere stata il fondamento di una nuova cultura, con la quale profondamente sentiva di identificarsi e che lo induceva a chiudere il suo scritto con l’esplicita professione di fede: “L’arte è umanesimo e il socialismo è umanesimo”.
Guttuso era stato, a partire dagli anni della fronda antifascista e tanto più nel secondo dopoguerra, un artista che, come pochi altri in Italia, si era dedicato con perseverante dedizione e ferma convinzione a ricercare una saldatura tra impegno politico e sociale ed esperienza creativa, nella persuasione che l’arte, nel suo caso la pittura, possa e debba svolgere una funzione civile e sia costitutivamente dotata di una valenza profondamente morale.
A poco più di cinquant’anni dalla pubblicazione dell’articolo e nella ricorrenza del cinquantenario del ‘68, la GAM di Torino si propone di riconsiderare il rapporto tra politica e cultura, attraverso una mostra dedicata all’esperienza dell’artista siciliano, raccogliendo alcune delle sue opere maggiori di soggetto politico e civile.
A partire da un dipinto quale Fucilazione in campagna del 1938, ispirato alla fucilazione di Federico Garcia Lorca, che a buon diritto può essere assunto a incunabolo di una lunga e ininterrotta visitazione del tema delle lotte per la libertà, per giungere alla condanna della violenza nazista, nei disegni urlati e urticanti del Gott mit uns (1944) e successivamente, dopo i giorni tragici della guerra e della tirannia, alle intonazioni di una reinventata epica popolare risuonanti in opere nuove per stile e sentimento come: Marsigliese contadina, 1947 o Lotta di minatori francesi, 1948.
Un grande, ininterrotto racconto che approda, negli anni Sessanta a risultati di partecipe testimonianza militante, come in Vietnam (1965) o a espressioni di partecipe affettuosa vicinanza, come avviene, nel richiamo alle giornate del maggio parigino, con Giovani innamorati (1969) e più tardi, in chiusura della rassegna, a quel compianto denso di nostalgia che raffigura i Funerali di Togliatti (1972) e in cui si condensa la storia delle lotte e delle speranze di un popolo e le ragioni della militanza di un uomo e di un artista. “Nel secondo dopoguerra – afferma Carolyn Christov-Bakargiev Direttore della GAM – negli ambienti della cultura di sinistra si discuteva tra avanguardia formalista e realismo figurativo.
Ci si chiedeva quale fosse più rivoluzionaria e quale più reazionaria. Oggi, paradossalmente, nell’era della realtà aumentata e della virtualità, la pittura di Guttuso può sembrarci tanto reale e materica quanto il mondo che stiamo perdendo”. A fronte dell’antologia di tali dipinti e in dialogo con essi, la mostra offre anche un repertorio variegato di opere di differente soggetto: ritratti e autoritratti, paesaggi, nature morte, nudi, vedute di interno, scene di conversazione.
Quadri tutti coevi ai tempi di esecuzione dei dipinti di ispirazione politica e sociale, selezionati con il proposito di offrire indiscutibile prova dei traguardi di alta qualità formale conquistati da Guttuso nell’esercizio di una pittura che – afferma il curatore Pier Giovanni Castagnoli – “per comodità, potremmo chiamare pura, con l’intendimento di saggiare, attraverso il confronto dei diversi orizzonti immaginativi, l’intensità dei risultati raggiunti su entrambi i versanti ideativi su cui si è esercitato il suo impegno di pittore e poter consegnare infine all’esposizione, pur nel primato assegnato al cardine tematico su cui la mostra si incerniera, un profilo ampiamente rappresentativo della ricchezza dei registri espressivi presenti nel ricchissimo catalogo della sua opera e della poliedrica versatilità del suo estro creativo”.
La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Silvana Editoriale, con saggi di Pier Giovanni Castagnoli, Elena Volpato, Fabio Belloni, Carolyn Christov-Bakargiev e un’antologia di scritti di Renato Guttuso.
GAM – GALLERIA CIVICA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA –
Via Magenta, 31 –
10128 Torino
tel. +39 011 4429518 – +39 011 4436907
email: gam@fondazionetorinomusei.it
www.gamtorino.it
Orari di apertura
da martedì a domenica: 10.00 – 18.00, lunedì chiuso.
La biglietteria chiude un’ora prima.
Biglietti
Intero 12€ Ridotto 9€ Ingresso libero Abbonamento Musei e Torino Card info, prenotazioni e prevendita: www.ticketone.it
Un racconto sull’evoluzione e la pluralità dei significati del profumo dall’Antichità greca e romana al Novecento, visto attraverso più di duecento oggetti esposti, tra oreficerie, vetri, porcellane, affiches e trattati scientifici.
L’esposizione, curata da Cristina Maritano, conservatore di Palazzo Madama, e allestita in Sala Atelier, presenta oggetti appartenenti alle collezioni di Palazzo Madama e numerosi prestiti provenienti da musei e istituzioni torinesi, come il MAO Museo d’Arte Orientale, il Museo Egizio, il Museo di Antichità, la Biblioteca Nazionale, la Biblioteca Guareschi del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco. Importante anche il contributo di realtà nazionali come il Museo Nazionale del Bargello, Gallerie degli Uffizi, il Museo Bardini e la Galleria Mozzi Bardini di Firenze e il Museo di Sant’Agostino di Genova. Fondamentale è stata inoltre la collaborazione con il Musée International de la Parfumerie di Grasse (Francia) che, insieme ad una preziosa selezione di opere, ha messo a disposizione gli apparati multimediali sulle tecniche della profumeria. Infine, il contributo di molti collezionisti privati ha permesso di radunare un’ampia selezione di flaconi del Novecento.
A completamento della mostra, l’Associazione culturale torinese Per Fumum, fondata da RobertaConzato e Roberto Drago, organizza una rassegna di incontri internazionali sulla cultura dell’olfatto rivolta a tutto il mondo degli appassionati della profumeria. Dalla presentazione di profumi storici dell’Osmothèque di Versailles, all’incontro con creatori di profumi riconosciuti a livello internazionale, fino ad appuntamenti legati al mondo food & beverage.
Gli incontri si terranno il 16, 17, 18 febbraio e il 7 e 8 aprile 2018 presso Palazzo Madama e altre sedi. Per ulteriori informazioni contattare info@perfumumtorino.com
Il desiderio di trattenere i profumi, conservarli e di godere della loro fragranza accompagna la storia dell’uomo dall’antichità a oggi. Il percorso espositivo presenta un excursus storico avviato a partire dalle civiltà egizia e greco-romana che, sulla scorta di tradizioni precedenti, assegnano al profumo molteplici significati: da simbolo dell’immortalità, associato alla divinità, a strumento di igiene, cura del corpo e seduzione. Nell’Europa del primo Medioevo, sottoposta all’urto delle invasioni barbariche, sono rare le testimonianze di utilizzo di sostanze odorifere al di fuori della sfera sacra. Sopravvive tuttavia la concezione protettiva e terapeutica del profumo, come testimoniato in mostra dalla preziosa bulla con ametiste incastonate proveniente dal tesoro goto di Desana.
L’uso di profumi a contatto con il corpo con funzione di protezione nei confronti di malattie è attestato più tardi nei pommes de musc frequentemente citati negli inventari dei castelli medievali, come il rarissimo esempio quattrocentesco in argento dorato in prestito dal Museo di Sant’Agostino di Genova, che conserva ancora la noce moscata al suo interno. La civiltà islamica, che eredita e preserva il sapere del mondo antico, sviluppa e innova la cultura del profumo greca e romana, persiana e bizantina, introducendo importanti conquiste tecnologiche, come il perfezionamento dell’arte della distillazione compiuto da Avicenna. In mostra alcune fiasche da profumo di arte ottomana, in ottone geminato, in legno di rosa e in maiolica e vetro. L’età rinascimentale vede la progressiva laicizzazione dei significati del profumo, il cui uso si fa più esteso e articolato presso le classi sociali più elevate. Gli antichi trattati circolano grazie alle edizioni a stampa, fioriscono nuovi ricettari che propongono la fabbricazione individuale dei profumi, si sviluppa la profumeria alcolica. Si diffonde in tutta Europa la moda invalsa nelle corti italiane di profumare oltre al corpo anche gli accessori di vestiario, specialmente in pelle, e di indossare contenitori per profumi di straordinaria ricercatezza, come il flacone in agata con montatura in oro, rubini, diamanti e smalto, proveniente dal Museo degli Argenti di Palazzo Pitti, forse un dono di Caterina de Medici, a cui si deve l’esportazione della moda italiana dei profumi in Francia. Dal Seicento, la supremazia nel campo della produzione dei profumi spetta incontestabilmente alla Francia. Nascono nuove fragranze, sempre più orientate verso le note floreali e leggere, conservate in flaconi in vetro o porcellana, oppure diffuse negli ambienti grazie a pot-pourri e bruciaprofumi.
La mostra offre infine una panoramica sul Novecento grazie ai prestiti provenienti da collezioni private che hanno consentito di arricchire il percorso espositivo con un’ampia carrellata di flaconi, tra cui spiccano quelli creati da René Lalique per François Coty, di Baccarat per Guerlain, ma anche gli eccezionali Arpège di Jeanne Lavin, Shocking di Elsa Schiaparelli, Diorissimo di Christian Dior. Completano l’esposizione una selezione di etichette e manifesti di case produttrici di profumi tra Ottocento e Novecento.
Consultabili online le opere rare della Ritman Library, famosa biblioteca olandese di testi storici di esoterismo, alchimia, magia e religione
Sarà possibile accedere e leggere gratuitamente su Internet centinaia di antichi manoscritti di esoterismo, alchimia, magia e religione, accedendo a una delle piu grandi collezioni al mondo di testi del settore: la Bibliotheca Philosophica Hermetica di Amsterdam, più nota come Ritman Library.
Parte di un programma più ampio di digitalizzazione della dotazione della Ritman Library, grazie al sostegno di Dan Brown, autore di molti best seller di carattere storico come “Angeli e Demoni”, “Il codice da Vinci” e di ultima pubblicazione “Origin”, che ha donato 300mila euro, oltre 1600 testi sono già a disposizione online.
Gli utenti possono liberamente consultarli sul sito della Embassy of the Free Min, un progetto sostenuto dallo scrittore statunitense – frequentatore della biblioteca dai cui libri ha tratto ispirazione – ideato per promuovere lo sviluppo del libero pensiero attraverso l’accesso alla cultura, all’arte, alla scienza e alla spiritualità. Molti manoscritti digitalizzati della Ritman Library risalgono a prima del 1900 e sono scritti in latino, olandese, tedesco, russo e francese.
La Bibliotheca Philosophica Hermetica include opere rare e di grande pregio storico e tra i testi già digitalizzati troviamo Nicholas Flamel, famoso alchimista francese citato anche nella fortunata serie fantasy di Harry Potter.
Il percorso presenta alcuni lavori di Marilaide Ghigliano, fotoreporter, si potrebbe dire, non di fatti ma di sentimenti, qui incentrati sull’importanza degli animali nella vita dell’uomo e sul legame affettivo che ne scaturisce.
Un tema particolarmente attuale, e documentato nelle arti figurative sin dai tempi più antichi.
Quarantasei fotografie scattate dal 1974 al 2010 in diversi paesi dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa, che hanno per protagonisti, assieme alle persone, cani, gatti, asini, oche, colombe, cavalli, mucche.
I soggetti, dai quali la fotografa sembra ogni volta sorpresa e conquistata, sono catturati dal teleobbiettivo con discrezione, senza messa in posa.
Come scriveva nel 1988 la storica dell’arte Adalgisa Lugli, Ghigliano «è una sorta di miracolata dello strumento che usa, dal quale è sorprendentemente libera, spontanea, slegata. Lavora viaggiando, guardando con una sorta di amore trasversale per le cose così poco classificatorio».
La passione per gli animali affiora costantemente nel percorso della fotografa torinese ed è documentata anche dai calendari con immagini di cani e gatti, tutti rigorosamente senza pedigree. Animali e persone sono immortalate allo stesso modo, con analoga empatia; il bianco e nero comunica in modo diretto, senza distrazioni, ed esplora, attraverso i tagli di forma e di luce, l’anima di persone e animali.
Le immagini potranno entrare in dialogo con due importanti opere del Seicento di Carlo Cignani (Bologna 1628 – Forlì 1729) della Galleria Sabauda, Adone e Venere e Cupido.
I dipinti arricchiscono il percorso fotografico ricordando la lunga fortuna del tema nella storia dell’arte, anche qui trattato attraverso un linguaggio figurativo intimo e aggraziato, sottolineato dai gesti affettuosi. Adone accarezza il suo fidato cane, compagno di appassionate battute di caccia, mentre Cupido, a cui Venere ha sottratto l’arco, abbraccia due colombe, simbolo di amore e fede eterna.
Le opere facevano parte della quadreria del principe Eugenio di Savoia-Soissons (Parigi 1663 – Vienna 1736), allestita nella residenza del Belvedere di Vienna, dove, oltre a un consistente gruppo di dipinti fiamminghi e olandesi del Seicento, era presente anche una selezione di quadri italiani, tra cui spiccavano quelli di gusto classicista dei grandi maestri della tradizione emiliana come Guido Reni, Francesco Albani e Carlo Cignani.
Le meraviglie di Roma, esposizione documentaria organizzata dai Musei Reali di Torino in Biblioteca Reale dal 1 febbraio al 7 aprile 2018, non vuole solo offrire al visitatore una carrellata di monumenti e opere d’arte della Città Eterna ma, attraverso le settanta opere esposte, accompagnarlo idealmente alla scoperta della centralità della sua storia e della sua arte nel contesto culturale europeo a partire dal Rinascimento. La mostra è allestita nei due caveaux della Biblioteca, la storica Sala Leonardo realizzata nel 1998 e il nuovo scrigno espositivo inaugurato nel 2014.
La Sala Leonardo ospita la sezione della mostra dedicata ai Fasti di Roma antica, dove – partendo dall’imprescindibile confronto con l’architettura vitruviana – vengono esposte opere a stampa, fotografie e disegni che testimoniano come la lezione dell’architettura romana venga nel corso dei secoli assimilata e reinventata in chiave ideale o reinterpretandola secondo il gusto romantico della “rovina”.
Una parte di questa sezione è dedicata al Foro Romano; per raccontare la sua fortuna storiografica e iconografica, si è scelto come leitmotiv il Tempio di Saturno, uno dei più antichi monumenti di Roma, che si staglia nella sua iconica semplicità ai
piedi del Campidoglio. Spazio di rilievo in questa sezione occupa la Colonna Traiana, universalmente conosciuta, studiata, copiata, e presa a modello per una la peculiarità di essere una vestigia del passato perfettamente conservata, che non ha subito
l’ingiuria del tempo e degli uomini a cui sono stati esposti i monumenti nell’area dei Fori.
Al concetto di copia è legata una delle principali sezioni allestite nel secondo caveau: ci si immerge nella Roma rinascimentale con i suoi magnifici palazzi grazie a un disegno di Federico Zuccari per poi proseguire idealmente un percorso che ci porta verso la facciata di Palazzo Milesi in via della Maschera d’Oro, affrescata da Polidoro da Caravaggio.
Altri due importanti disegni, il primo attribuito alla cerchia del Poussin – un corteo di sacerdoti con la famiglia imperiale tratto dal fronte sud dell’Ara Pacis – il secondo dagli evidenti echi rubensiani pur nella soggetto di derivazione raffaellesca – la parte superiore dell’affresco con la Disputa del Sacramento nella Stanza della Segnatura – conducono il visitatore a confrontarsi con due modi diversi di approcciare il concetto di “copia”: il Corteo tratto da un rilievo dell’Ara Pacis infatti è un disegno in cui la maniera pittorica dell’artista cerca di rimanere celata, restando quanto più possibile fedele al bassorilievo originale anche attraverso la conduzione del tratto.
Nella copia della Disputa del Sacramento dipinta da Raffaello nella Stanza della Segnatura, invece, il grande maestro urbinate assurge al ruolo di nuovo classico da copiare, ma con una sostanziale differenza: qui infatti la “maniera” propria del copista emerge in modo prepotente, al punto da renderlo qualcosa di sostanzialmente diverso dall’originale raffaellesco.
In una mostra dedicata alle meraviglie di Roma non poteva mancare poi una sezione dedicata al Vaticano, in cui spicca un piccolo manoscritto miniato del XV secolo in cui, a tutta pagina, san Pietro è ritratto in piedi al centro della basilica a lui dedicata, riprodotta come si presentava prima della ricostruzione cinquecentesca.
Un disegno e una incisione di Gaspar Van Wittel arricchiscono questa sezione. Elemento imprescindibile delle vedute di piazza San Pietro a partire dalla fine del Cinquecento è l’obelisco, trasportato nella piazza dinanzi la Basilica grazie all’ingegno
di Domenico Fontana, come testimoniato da una rara edizione a stampa esposta in mostra, in cui si documentano pedissequamente i lavori di spostamento, con resoconti dettagliati dei calcoli sul peso e sull’altezza dell’obelisco nonché sui mezzi necessari a
spostarlo, e tantissime altre notizie di carattere architettonico, meccanico e pratico, relative alle maestranze che furono impiegate e alla loro gestione. Attraverso incisioni e fotografie d’epoca vengono poi documentati altri importanti obelischi romani,
compreso quello davanti al palazzo del Quirinale, a cui viene riservata una piccola sezione.
Qui, accanto a testimonianze ottocentesche e pregevoli tavole incise risalenti al Cinquecento e al Seicento, trova posto la copia di uno dei Dioscuri collocati nella piazza del Quirinale, disegno autografo di Girolamo da Carpi che idealmente si riconnette con la tematica della copia dall’antico testimoniata dai disegni esposti nelle vetrine ad esso affrontate. La biblioteca, nascendo come scrigno della casa reale,
conserva anche una serie di rare testimonianze fotografiche ottocentesche relative alla risistemazione urbana che investì la nuova capitale del Regno a partire dal 1871: in particolare è esposta in mostra la documentazione fotografica della risistemazione delle sponde del Tevere all’altezza dell’Isola Tiberina dopo l’alluvione del 1870, che si è scelto di mettere in relazione con due disegni da Van Wittel che rappresentano con precisione i ponti Cestio e Fabricio così come apparivano all’inizio del Settecento. Una ricca sezione è poi dedicata alla diffusione editoriale delle guide di Roma. I due grandi box all’interno del secondo caveau invece ospitano due sezioni separate, la prima dedicata alla cartografia della città dal Cinquecento all’Ottocento, la seconda alla figura di Giovan Battista Piranesi, che vuole idealmente riconnettersi
alla grande mostra allestita in Galleria Sabauda fino all’11 marzo 2018.
(MLR)
Caveau 1 – Sala Leonardo
I fasti dell’antica Roma – Un’architettura ideale
I fasti dell’antica Roma – Passeggiando nei Fori
I fasti dell’antica Roma – La colonna Traiana
I fasti dell’antica Roma – La campagna romana
I fasti dell’antica Roma – Cartoline dal passato
Caveau 2
Una storia da tramandare
Copiare per imparare dall’antico
Uno sguardo verso il colle Vaticano
Gli obelischi di Roma
Il Quirinale
Le sistemazioni urbanistiche ottocentesche
Roma nelle guide di viaggio
Piranesi
La cartografia
Orari
I Musei Reali sono aperti dal martedì alla domenica dalle 8,30 alle 19,30
Ore 8,30: apertura biglietteria, Corte d’onore di Palazzo Reale, Giardini
Ore 9: apertura Palazzo Reale e Armeria, Galleria Sabauda, Museo di Antichità
La Biblioteca Reale è aperta da lunedì a venerdì dalle 8 alle 19, sabato dalle 8 alle 14.
La Sala di lettura è aperta da lunedì a mercoledì dalle 8,15 alle 18,45, da giovedì a sabato dalle 8,15 alle 13,45.
Biglietti Musei Reali Torino
Intero Euro 12
Ridotto Euro 6 (ragazzi dai 18 ai 25 anni).
Gratuito per i minori 18 anni / insegnanti con scolaresche / guide turistiche / personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali / membri ICOM / disabili e accompagnatori / possessori dell’Abbonamento Musei, della Torino+Piemonte Card e della Royal Card.
L’ingresso per i visitatori over 65 è previsto secondo le tariffe ordinarie.
Le mostre comprese nel biglietto di ingresso ai Musei Reali sono:
– Prima del bottone: accessori e ornamenti del vestiario nell’antichità (fino al 18 febbraio 2018)
– Le bianche statuine. I biscuit di Palazzo Reale (fino all’11 febbraio 2018)
Altre mostre:
– Miró! Sogno e colore (fino al 4 febbraio 2018) orari e info sul sito www.mostramirotorino.it
– Piranesi. La fabbrica dell’utopia (fino all’11 marzo 2018)
Aperta da martedì a domenica dalle 9 alle 19
Biglietto solo mostra: intero 10 €/ Ridotto 6 €
Biglietto Musei Reali + Piranesi: intero 16 €/ ridotto 10 €
Gratis per le categorie previste per legge
Ingresso e orario biglietteria
presso Palazzo Reale, Piazzetta Reale 1 dalle ore 8,30 fino alle ore 18.
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Informazioni
+39 011 5211106 – e-mail: mr-to@beniculturali.it
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Rä di Martino in collaborazione con Artissima e altri partner, cerca foto, diapositive, film in Super 8 e racconti inediti di chi ha vissuto gli anni del Piper di Torino per farne un documentario
A Roma il Piper è stato il palcoscenico di moltissimi musicisti italiani e star internazionali – dagli Who, ai Rolling Stone, dai Pink Floyd a Jimi Hendrix, fino a Patty Pravo – diventando negli Anni Sessanta un vero e proprio fenomeno di costume, a Torino è stato laboratorio di molta arte contemporanea di quegli anni.
LA CALL DI RA
Ora la memoria di quel locale che non esiste più diventerà un film, grazie all’idea di Paola Nicolin – che della discoteca torinese ha fatto un progetto artistico per Artissima 2017, PIPER. Learning at the discotheque – di invitare Rä di Martino a girarne un documentario.
L’artista-regista ha, così, deciso di lanciare una call pubblica – in collaborazione con Artissima, il Centro Conservazione e Restauro di Venaria Reale, l’Archivio Nazionale Cinema Impresa e the classroom – alla ricerca della documentazione inedita di chi ha vissuto gli anni del Piper con foto, filmati in Super 8, diapositive, racconti.
La raccolta dei materiali – aperta fino al 28 febbraio – sarà poi digitalizzata e duplicata da due realtà specializzate nel preservare le testimonianze dell’arte contemporanea: l’Archivio Nazionale Cinema Impresa e il Centro Conservazione Restauro di Venaria Reale.
Sarà possibile inviare materiali e testimonianze fino al 28 febbraio 2018 ai seguenti indirizzi:
Per il materiale in formato digitale: piper@centrorestaurovenaria.it
Per il materiale cartaceo: Artissima, Corso Vittorio Emanuele II, 12 – 10123 Torino.
Per il materiale in pellicola e video: Archivio Nazionale Cinema Impresa, cinemaimpresa@fondazionecsc.it, 3316183115
Distribuito in oltre 60 paesi nel mondo (in Italia dal 16 novembre con L’Altrofilm), è una coproduzione internazionale tra l’italiana L’Altrofilm, la Red RocksEntertainment (UK) e l’americana Fantastic Films International con la collaborazione di Film Commission Torino Piemonte. ”Un film concepito sulla linea orizzontale delle Sette Arti Liberali, la cui pratica ascetica – spiega il regista -, secondo la fulgida interpretazione Dantesca, può portare alla trasmutazione dei Sette Peccati Capitali nelle corrispondenti Virtù Cardinali”.
La storia è ambientata in un futuro non lontano, ambientata tra presente e futuro (2033), ma che parte dall’antichità e con al centro un manoscritto egizio (ancora conservato nel Museo di Torino) è in pericolo.
Torino come sfondo: Museo Egizio, Castello del Valentino, l’Accademia delle Scienze, il Museo del Cinema, Torino Esposizioni, e i luoghi suggestivi della Sacra di San Michele.
Il mondo è controllato dalla Grande Z: la Zimurgh Corporation.
Sullo sfondo di questa visione del domani, il ricercatore inglese Arthur J. Adams (Andrea Cocco) viene spinto all’avventura dal padre putativo, il professor Moonlight.
La ricerca del frammento mancante di un antico papiro, protetto dalla misteriosa confraternita dei seguaci di Horus, viene ostacolata da indecifrabili omicidi legati ai sette peccati capitali.
Arthur, insieme alla sua assistente (Diana Dell’Erba) dovrà addentrarsi nei meandri di una misteriosa metropoli del futuro, specchio della sua anima, per ritrovare il pezzo mancante e salvare l’umanità intera. E questo tra quadri di Bosch, frammenti della Divina Commedia e l’alchimia di Nikolas Tesla.
Il mondo è controllato dalla Zimurgh Corporation mentre Arthur J. Adams, spinto dal dottor Moonlight, suo padre putativo, è alla ricerca del frammento mancante di un papiro. Il protagonista si muove nei meandri del Museo Egizio, in un mondo dove stampare è reato e la carta è un bene raro e prezioso.
”Questo progetto – spiega il regista – nasce tre anni fa anche per la complessità dell’impianto organizzativo. Il mio desiderio era quello di far vivere allo spettatore lo stesso viaggio del protagonista Adams”. Sulla difficoltà dei temi affrontati, spiega Nero, il cinema non è solo intrattenimento, è arte e ha la funzione di far si che il pubblico si faccia delle domande”.
L’attore principale, Andrea Cocco, ha parlato di una “evoluzione del personaggio”, perché nella sua ricerca, Arthur compie in realtà un viaggio dentro se stesso, come ha sottolineato anche Diana Dell’Erba, anche lei nel cast di “The Broken Key”.
Franco Nero, padre del regista, spiega: ”mi ha convinto a fare questo cameo di un architetto, un egittologo, come potevo dirgli di no. Più che un film di genere e un lavoro molto intellettuale”.
Del film, tuttavia, Paolo Tenna, presidente di Film Investimenti Piemonte, e Paolo Damilano, presidente di Film Commission Torino Piemonte, hanno sottolineato soprattutto la capacità di essere riuscito – e in questo molto merito è stato riconosciuto alla caparbietà del regista – a guadagnarsi una distribuzione. È questo, più che la ricerca di finanziamenti (che eppure sono fondamentali) il vero ostacolo alla realizzazione di pellicole cinematografiche, perché senza distribuzione, di fatto, il film praticamente non esiste.
“Il nostro territorio – ha aggiunto Tenna – non sa solo accogliere, ma sa anche produrre. Uno dei nostri obiettivi è quello di creare una classe produttiva e dirigenziale del cinema”.
“Nel mio film – ha raccontato Louis Nero – ci sono anche tanti luoghi inaccessibili al grande pubblico, che sarà molto interessante mostrare sullo schermo. Per quanto riguarda la distribuzione, devo molto all’appoggio di un amico, Luigi Boggio”.
Proprietario dell’Ideal Cityplex, Boggio è stato fondamentale nello sviluppo della distribuzione di questo film, che sarà diffuso in oltre 200 copie. “Questo film – ha commentato – non ha nulla da invidiare alle produzioni americane. Sono rimasto davvero colpito dai notturni”. E dell’opera è soddisfatta anche Francesca Leon, assessora alla cultura del Comune di Torino, che, intervenuta alla presentazione, ha commentato: “Il film contribuisce al lavoro che la Città sta facendo sul cinema, la produzione ha lavorato sul nostro patrimonio culturale”.
Louis Nero in ‘The Broken Key’ ha chiamato il padre, ma anche Christopher Lambert, Rutger Hauer, Michael Madsen, Geraldine Chaplin, William Baldwin, Maria De Medeiros e Kabir Bedi.
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