Categoria: News

  •  ATTRAVERSO GLI OCCHI DI TUTANKHANOM

    In occasione dell’anniversario della scoperta della tomba di Tutankhamon, dal 4 novembre 2022 fino al 31 gennaio 2023, il Museo Egizio ospita una mostra di arte contemporanea di Sara Sallam (1991), artista egiziana emergente residente nei Paesi Bassi.

    Saranno esposti tre diversi progetti dell’artista: A Tourist Handbook for Egypt Outside of Egypt, una guida turistica per le vie di Parigi che commemorano i luoghi e le battaglie della spedizione napoleonica in Egitto per cercare di proporre una narrazione storica alternativa a quella dominante occidentale; Home Outside of Home, una serie di stampe in cui  oggetti antichi decontestualizzati in città europee esprimono tutta la loro nostalgia per i luoghi di origine; e I Prayed For The Resin Not To Melt, un’istallazione video in cui l’artista ci trasporta con forza nella tomba di Tutankhamon, al momento della sua scoperta, ma stravolgendo completamente la prospettiva alla quale siamo assuefatti dalla narrazione mitizzata occidentale della scoperta, focalizzando la nostra attenzione sull’udito anziché sulla vista dei tesori del faraone e restituendoci il punto di vista di Tutankhamon in uno dei momenti più drammatici della propria esistenza dopo la morte.

    La mostra è a cura di Sara Sallam e di Paolo Del Vesco, curatore del Museo Egizio.

    Sabato 5 novembre, in occasione della Notte delle Arti Contemporanee, sarà possibile visitare il museo e la mostra fino alle ore 20.00. Clicca QUI per acquistare il biglietto di ingresso al Museo.

    Orari di apertura della mostra: Lunedì dalle 9.00 alle 13.00; martedì-domenica dalle 9.00 alle 17.30

                                                 

    Conferenza
    Lunedì 7 novembre alle ore 18.00, l’artista Sara                                                                                  Sallam apporfondirà i temi afforntati in mostra in  una
    conferenza dedicata insieme a Christian Greco,
    direttore del Museo Egizio, e Paolo Del Vesco, curatore
    del Museo Egizio.
    Conferenza in lingua Inglese presso la Sala
    conferenze del Museo Egizio
                                                                       
        STELE E TREND ICONOGRAFICI A DEIR EL-MEDINA: LA TRIADE MIN QADESH RESHEP

    Nell’antico Egitto le stele erano un mezzo di comunicazione fondamentale: venivano erette in prossimità delle tombe, delle cappelle e dei templi affinché le persone potessero vederle e interagire con esse. Gli esemplari provenienti dal villaggio di Deir el-Medina costituiscono un materiale privilegiato per indagare e approfondire questi reperti nel loro contesto originale di provenienza. Nella collezione del Museo Egizio è conservata una stele dedicata dallo scriba Ramose ad una triade molto particolare, formata da Min e dalle divinità ‘straniere’ Qadesh e Reshep. L’analisi di questa iconografia, che si ripete su altre stele conservate in importanti musei europei, svela interessanti risvolti socioculturali nel villaggio operaio del periodo Ramesside. 

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    SIC PARVIS MAGNA: RECONSTRUCTING PAPYRI FROM DEIR EL-MEDINA KEPT IN THE MUSEO EGIZIO

    Nel Museo Egizio sono conservati circa 12.000 frammenti di papiri, probabilmente scoperti nel villaggio di Deir el-Medina, vicino all’antica città di Tebe, e risalenti al periodo Ramesside (ca. 1295-1069 a.C.). Questi frammenti appartengono a documenti più ampi, spesso parzialmente perduti e quindi definibili come “puzzle lacunosi”, per i quali è necessario un lungo e paziente lavoro di ricostruzione. Nell’ambito del progetto internazionale “Crossing Boundaries: Understanding Complex Scribal Practices in Ancient Egypt”, è stato possibile trovare nuove connessioni tra questi frammenti, e quindi migliorare la ricostruzione di diversi documenti già noti, o identificarne di nuovi. La conferenza presenta alcuni risultati di questo lavoro di ricostruzione attraverso diversi casi di studio.

    Conferenza in lingua Inglese, servizio di traduzione simultanea in Italiano per il solo pubblico in sala.

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    CESARE DEVE MORIRE. L’ENIGMA DELLE IDI DI MARZO

    L’assassinio di Giulio Cesare è stato studiato e analizzato per secoli: la storiografia moderna sembra concordare sul fatto che i tre cesaricidi abbiano agito per impedire il disegno del generale di instaurare la monarchia a Roma attraverso la dittatura a vita, uno strumento assolutamente inedito e che minacciava di sconvolgere l’ordine istituzionale e sociale costituito. Tuttavia, il recente ritrovamento di una tavola su cui è inciso l’elenco delle liste magistratuali del 45-44 a.C., gli anni in cui maturò e si realizzò la congiura, offre nuove notizie omesse dalle fonti di tradizione manoscritta e riapre la discussione: Cesare era infatti stato già nominato dictator perpetuus, ma accanto a lui vi era Lepido, magister equitum perpetuus, fatto rivelatore dell’erronea attribuzione del significato “a vita” all’aggettivo perpetuus. Se Cesare non voleva farsi re, allora cosa cercavano di impedire Gaio Cassio, Marco e Decimo Bruto? E quale fu il vero ruolo di Antonio? 
    Partendo da queste domande, e alla luce delle nuove scoperte in campo epigrafico, il saggio offre una rilettura approfondita e innovativa di uno dei più interessanti enigmi dell’antichità, una di quelle vicende sulle quali la Storia e la storiografia non smettono mai di interrogarsi.

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    I SEGRETI DI TUTANKHAMON

    Grazie al ritrovamento degli splendidi oggetti che erano parte del corredo funerario del giovane faraone, nel XX secolo esplose una vera e propria Tut-mania, che influenzò architettura, musica, letteratura e ogni altra forma d’arte. Tutankhamon iniziò a dettare moda più di qualsiasi altro stilista al mondo, divenne fonte di ispirazione più di qualsiasi altra musa, e affascinò l’immaginario collettivo più di qualsiasi altro personaggio.
    Ancora oggi, quando si pensa a un faraone, il rimando è quasi automatico: chi, se non Tutankhamon?   
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  • Un quadro di Mondrian è stato esposto per 42 anni nel verso sbagliato

    Si tratta di “New York City 1”, opera del 1941 composta da strisce adesive orizzontali e verticali rosse, gialle e blu, approdata al museo nel 1980

    AGI – Un importante quadro astratto di Piet Mondrian è stato esposto per 42 anni al rovescio rispetto al verso in cui fu dipinto: l’ammissione dell’errore è arrivata dalla Collezione d’arte del Nordreno-Vestfalia di Dusseldorf che ospita l’opera, in occasione della mostra per i 150 anni dalla nascita del pittore olandese fondatore del ‘neoplasticismo’, “Mondrian.Evolution”.

    Si tratta di “New York City 1”, opera del 1941 composta da strisce adesive orizzontali e verticali rosse, gialle e blu, approdata al museo nel 1980. “A differenza di un quadro a olio quasi ‘gemello’ di Mondrian esposto al Centre Pompidou di Parigi, l’immagine con i nastri adesivi è stata ruotata di 180 gradi poco dopo la morte di Mondrian nel 1944”, ha spiegato la curatrice Susanne Meyer-Buser.

    La storica dell’arte ha presentato diverse prove a sostegno della sua tesi tra cui una foto scattata nello studio dell’artista in cui l’opera si trova sul cavalletto e ha un orientamento diverso.

    In particolare, nella foto le strisce più dense si trovano sul bordo superiore e quindi scorrono esattamente come il dipinto a olio di Parigi. Anche l’andamento delle strisce adesive con i bordi ha confermato il sospetto che “New York City 1” sia stato capovolto.

    Tesi che in realtà sarebbe stata fatta da un italiano: a rivendicarla è infatti l’artista  Francesco Visalli che con una mail alla direttrice del museo Annette Kruszynski aveva segnalato l’errato verso di esposizione di “New York City 1”, allegando informazioni su una foto dello studio di Mondrian a New York pubblicata dal magazine Town & Country del giugno del 1944 in cui compare l’opera esposta in senso opposto rispetto all’attuale.

    Visalli, che da 15 anni studia e fa ricerche sul pittore olandese, assicura che la direttrice lo ringraziò assicurandogli che la nota sarebbe stata inserita nel file curatoriale.

    L’artista ha riferito di aver scambiato messaggi con Wietse Coppes, editore del Mondrian Edition Project presso RKD Netherlands Institute for Art History, “il quale ha confermato che, in base allo scambio di mail con la direttrice del Museo, la stessa istituzione avrebbe dovuto dare credito a Visalli per la scoperta”. (AGI)

    l museo, tuttavia, ha espresso l’intenzione di mantenere l’opera nell’attuale posizione con cui peraltro era stata inserita nel Catalogo ragionato della Galleria. Errori di questo genere non sono nuovi per il mondo dell’arte: nel 1961 il Moma di New York espose “Le Bateau” di Henri Matisse al rovescio e solo dopo 47 giorni fu segnalata l’incongruenza sfuggita persino al figlio dell’artista francese.

    Si trattava di un ‘gouache’ astratto realizzato con ritagli di carta e a scoprire l’abbaglio dei curatori fu un’agente di borsa di Wall Street, Genevieve Habert, che lo racconto’ al New York Times. L’opera fu girata solo dopo due mesi, quando ormai la mostra si stava concludendo.

    Uno scivolone simile è accaduto al Whitney Museum of American Art nel 2015 per un’opera di Jackson Pollock che l’artista aveva pensato orizzontale ma che fu esposta in verticale per la mostra “America is Hard to See”. In quel caso, pero’, i curatori si attennero al verso in cui l’opera veniva gia’ esposta alla New York’s Betty Parsons Gallery.

  • Avviata una raccolta di firme per chiedere al primo ministro egiziano di avviare trattative per la restituzione della Stele egizia, oggi conservata nel museo inglese.

     

    Forse in cuor nostro sapevamo che questo momento sarebbe arrivato. Il momento in cui gli Stati avrebbero richiesto in massa importanti opere d’arte collocate fuori dai confini nazionali. Oggi è la volta della cosiddetta Stele di Rosetta , una stele egizia di granodiorite alta più di 114 cm e larga 72 così chiamata perché rinvenuta nel 1799 nei pressi della città antica di Rashid, ovvero Rosetta, situata sul delta del Nilo. A scoprirla per caso fu Pierre-François Bouchard, capitano dell’esercito francese di stanza in Egitto durante la campagna voluta dal generale Napoleone Bonaparte.
    La Stele, che presenta un’iscrizione in tre lingue: geroglifico, demotico (una diversa grafia della lingua egizia poi evoluta nel copto) e greco antico, è un decreto emesso da Tolomeo V nel 197 a.C. concedente favori alla classe sacerdotale egiziana. La Stele è fondamentale per avere aperto le porte alla decifrazione del geroglifico grazie allo studio dell’archeologo ed egittologo francese Jean-François Champollion del 1802. L’anniversario dei duecento anni della decifrazione si è festeggiato lo scorso 2 settembre.

    La storia

    Tornando alla storia della Stele, questa dopo essere stata fatta bottino di guerra dall’esercito di Bonaparte fu messa in viaggio per Parigi. Ma alla capitale la Stele non arrivò mai perché nel 1801, dopo la capitolazione di Alessandria d’Egitto, i francesi firmarono con gli inglesi la resa, sotto forma del Trattato di Alessandria (appunto) che prevedeva anche la traslazione a Londra di 16 opere d’arte tra cui la Stele di Rosetta. Si trattava di opere che la Commission des Sciences et des Arts francese aveva acquisito tramite l’Institut d’Égypte. Oggi la Stele è conservata nelle sale del British Museum di Londra. Nel novembre 2010, l’esperto di antichità egiziane il dottor Zahi Hawass si era già attivato per la restituzione della Stele. La richiesta del 2010 cavalcava l’onda della restituzione da parte del Metropolitan Museum di New York di 19 oggetti provenienti dalla tomba di Tutankhamon. Secondo la BBC, il dottor Hawass era disposto anche a negoziare un prestito tra Egitto e UK per il costituendo Grande Museo Egiziano (fuori dal Cairo e vicino Giza) la cui apertura era prevista per il 2013, ma che ancora, nel 2022, non ha aperto le porte a nessun visitatore.

    La raccolta firme

    L’Egitto, oggi, ci prova di nuovo e questa volta eminenti archeologi hanno raccolto più di 2.500 firme per rivendicare alcune antichità sparse per il mondo, tra cui la Stele, a farlo sapere è Monica Hanna, preside ad interim del Collegio di Archeologia di Assuan. Le firme servono ad incoraggiare l’azione del Primo Ministro egiziano Mostafa Madbouly a lavorare attraverso mezzi legali e diplomatici per recuperare le antichità. Secondo i firmatari della petizione gli oggetti sono parte integrante del patrimonio nazionale egiziano e la loro continua esposizione nelle istituzioni europee ignora deliberatamente una storia di saccheggi e sfruttamento colonialisti. Forse più che ignorare il verbo esatto è perpetuare una visione accondiscendente verso i bottini di guerra del passato. Questo era parso un momentum favorevole alle restituzioni – pochi giorni fa lo Smithsonian ha restituito 29 bronzi alla Nigeria — e l’Egitto sperava in un cambio di atteggiamento nei confronti degli errori commessi durante il passato coloniale del Regno Unito e della Francia, complice anche un cambiamento nei codici etici dei musei che ammetto deaccessioning per questioni morali o di legittimità, come rimediare ad antichi saccheggi.

    Truss frena

    Ad accrescere l’entusiasmo e le aspettative aveva contribuito, forse, l’atteggiamento dell’ultimo anno del British Museum: più conciliante, che sembrava prendere in considerazione un prestito «all’italiana». Invece guardando quello che sta accadendo con i Marmi del Partenone bisognerà ricredersi. È di pochi giorni fa la notizia che la Prima Ministra britannica Liz Truss ha negato l’ennesima richiesta di restituire alla Grecia i fregi del tempio di Atena Parthenos anch’essi conservati al British Museum. La conservatrice Truss ha chiuso la faccenda con un secco: “No, non sono favorevole”. Questa chiusura totale non fa ben sperare per la domanda di restituzione della Stele, una richiesta ancora così debole e poco o male ‘armata’.

  • La GAM di Torino è felice di annunciare che anche quest’anno il museo è tra i vincitori della seconda edizione del PAC – Piano per l’Arte Contemporanea della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.  Grazie ai fondi messi a disposizione dal Ministero la GAM acquisirà 12 dipinti di Michele Tocca (Subiaco, Roma, 1983) realizzati tra il 2016 e il 2022.

    Le opere acquisite, insieme ad altri dipinti di Tocca, saranno oggetto nel 2023 di una mostra, Michele Tocca. Repoussoir, che porrà il suo lavoro in dialogo con alcuni, meditati, esempi di dipinti tratti dalla collezione di Ottocento della GAM, tra cui opere di Giovanni Battista De Gubernatis, Massimo D’Azeglio, Antonio Fontanesi.

    La mostra e la pubblicazione renderanno evidente come l’opera di Tocca sappia incarnare una fertile contraddizione: la prima volta dello sguardo che si pone di fronte al mondo per scoprirlo nuovamente nella dimensione dell’istante, e la consapevolezza del “vedersi vedere” che è la consapevolezza dell’artista di essere immerso nel mondo che va dipingendo e di tutte le strutture di pensiero, di tutti i meccanismi della visione, di tutte le tradizioni dell’arte che entrano in gioco nel suo osservare e nel suo fare.

    I 12 dipinti di Tocca rappresentano quanto di meglio la pittura contemporanea sta producendo in Italia e il tramandarsi di sensibilità, di attenzione e d’intelligenza che, attraverso le stagioni dell’arte, approdano a una visione schiettamente attuale dove le premesse concettuali del lavoro sono inscindibili dalla bellezza dell’espressione pittorica e dalla qualità della mano.

    La GAM intende dare nuovo spazio d’attenzione all’odierna pittura che si sta dimostrando arte densa di pensiero e di sensibilità insieme. Nelle opere di Tocca, nei tagli e negli affondi del suo sguardo che sembra voler solo aderire alla superficie delle cose, alla più volatile e minuta percezione, emerge non solo la lezione del primo paesaggismo en plein air di Sette e Ottocento, ma tutta la densa stratificazione del tempo. Quel tempo plurimo che appartiene tanto al mondo osservato – con le indelebili tracce della storia – quanto all’atto del vedere da cui Tocca non intende cancellare tutti gli sguardi esercitatisi sulla natura prima del suo, ma sa sorvegliarne la presenza, riconoscerne l’azione e la memoria.

    Il titolo Repoussoir è un termine tratto dalla pittura di paesaggio. Dal Seicento olandese alla pittura romantica tedesca, elementi posti in primo piano, come tronchi d’albero o massi, avevano la funzione di spingere, rilanciare lo sguardo dell’osservatore verso la profondità del dipinto e verso il centro dell’immagine.  Con funzione simile, in alcuni noti paesaggi della storia dell’arte – da Friedrich a Courbet, ad esempio – degli osservatori sono ritratti di spalle, volti verso il panorama. A volte si tratta dell’artista stesso. Michele Tocca ritraendo di spalle la propria giacca da pioggia, usata per le sue sedute en plein air, trasforma sé stesso – o meglio, l’oggetto che più lo rappresenta – in un repoussoir, isolato in una sorta di umile maestà: un oggetto carico di memoria ma anche un dispositivo della visione pittorica la cui presenza trasforma l’opera in una riflessione sui codici dell’arte.

  • JÉRÔME SESSINI

    Val di Sole (TN)

    Dal 3 agosto 2022

     

    “Uomini e montagne” è il tema al centro del progetto culturale, dedicato alla fotografia, che la Val di Sole ha scelto per l’estate 2022.

    Punto di partenza è la mostra attualmente ospitata presso Castel Caldes intitolata “Vivere in alto. Uomini e montagne dai fotografi di Magnum da Robert Capa a Steve McCurry”, percorso che racconta vari aspetti del delicato rapporto dell’uomo con la montagna tramite le fotografie dei membri dell’Agenzia Magnum Photos.

    A monte vi è la volontà di dare spazio allo sguardo dei grandi fotografi di Magnum sul tema della montagna da diverse angolature, ma anche di valorizzare il patrimonio umano di questo specifico luogo, la Val di Sole, raccontandone storie, tradizioni, impegno, scelte di vita e visioni per il futuro. Da qui nasce l’invito per una residenza in loco ad un fotografo di fama internazionale come il francese Jérôme Sessini, membro dal 2016 della Magnum Photos e Canon Ambassador. La scelta di Sessini non è casuale. “Sono nato e cresciuto nell’est della Francia, nel dipartimento di Vosges, un luogo montano – spiega- il fotografo – ho iniziato da autodidatta a vent’anni fotografando i paesaggi e le persone delle mie terre”.

    Primo risultato di questo lavoro è una selezione di fotografie che verranno collocate in un percorso outdoor. Prenderà avvio così il progetto del “Sentiero della fotografia”, un inedito e spettacolare percorso in cui le fotografie di Sessini stampate a grande formato e inserite in grandi cornici in legno del territorio, saranno collocate all’interno della Val di Sole e del Parco Nazionale dello Stelvio.

    Dodici sono i punti che costituiscono questo percorso, oltre una sezione ospitata presso Castello di Caldes: un numero simbolico come i Comuni che compongono la Val di Sole

    Il Sentiero della fotografia rappresenta un progetto unico nel suo genere dove un fotografo interpreta, con la propria sensibilità, un territorio e le sue genti e quello che ne emerge viene offerto a tutti esponendo queste fotografie d’autore in scenari unici per la loro bellezza naturalistica, sempre fruibile fino all’arrivo dell’inverno.

    Una sezione dedicata alle “persone della vallata” sarà allestita presso la cappella del castello di Caldes, arricchendo così il percorso espositivo della mostra “Vivere in alto”.

    Il Sentiero sarà individuabile grazie a mappe realizzate per l’occasione e al sito  www.ilsentierodellafotografia.eu che offrirà anche materiali extra per approfondire il progetto.

    Le fotografie di Sessini, quasi tutte in bianco e nero, ci forniscono una nuova lettura di queste montagne. Foto non urlate e appariscenti, ma silenziose che cercano di entrare in sintonia con la sostanza del vivere in alta quota e dei tempi annessi. Coloro che s’imbatteranno, in maniera più o meno consapevole, in queste fotografie saranno accompagnati a leggere in maniera più intima le montagne che amano.

    Il curatore del progetto Marco Minuz: “L’intento di questo progetto non è solo quello di leggere un territorio sotto nuovi punti di vista, ma favorire, negli stessi contesti dove sono nate le fotografie, un’educazione al vedere, all’osservare e a riflettere sul valore del vivere in montagna e riflettere sulle sfide di questi territori. Il lavoro di Jerome, così silenzioso, s’integra perfettamente nel contesto montano e favorisce consapevolezza dei luoghi”.

    Luciano Rizzi, presidente della APT Val di Sole, promotore del progetto: “Il Sentiero della fotografia rappresenta un progetto innovativo che incarna perfettamente il nostro impegno per rendere la cultura elemento strategico per lo sviluppo del nostro turismo; prende avvio il più alto percorso espositivo open air mai realizzato dedicato alla fotografia che coinvolge le comunità del nostro territorio”.

    Ancora Sessini: “Questo lavoro in Val di Sole mi ha permesso di lavorare in un contesto che è parte integrante della mia vita e che conosco bene. La forza e il silenzio delle montagne. Ha rappresentato un vero e proprio ritorno alle origini”.

    Il sentiero della fotografia. Jérôme Sessini

    Valle di Sole

    www.ilsentierodellafotografia.eu

    a cura di Marco Minuz

    Un progetto realizzato da Suazes con Magnum Photos insieme al Castello del Buonconsiglio, monumenti e collezioni provinciali, con il supporto del Parco Nazionale dello Stelvio

    Promosso dall’Azienda per il Turismo delle Valli di Sole, Peio e Rabbi, dai comuni della Val di Sole con il patrocinio della Provincia Autonoma di Trento.

    Partner culturale del progetto Canon Italia.

  • Dal 4 al 16 agosto al festival estivo di Salisburgo diretto da Cecilia Bartoli e con la regia di Rolando Villanzon

    Una nuova, insolita trasformazione per Arturo Brachetti, leggenda del quick-change e artista a tutto tondo, che questa volta approda nel mondo dell’opera in uno speciale Barbiere di Siviglia al Festival di Salisburgo, il più importante al mondo.

    La messa in scena dell’opera è diretta da Rolando Villanzon che per Brachetti ha ideato un nuovo personaggio, muto, un deus ex machina, presente in scena per tutta la durata dello spettacolo: Arturo, come il nome del suo interprete. Insieme a lui nei panni di Rosina troviamo Cecilia Bartoli, che è anche direttrice del Festival, Nicola Alaimo (Figaro), Alessandro Corbelli (Don Bartolo), Edgardo Rocha (il Conte), Ildebrando d’Arcangelo (Don Basilio).

    È stata proprio Cecilia Bartoli a chiedere a Villanzon di dirigere l’opera cercando di ritrovare la tradizione italiana della commedia dell’arte, espressa pienamente da Brachetti che riveste un ruolo centrale in tutta l’opera.

    Il regista ha trasposto l’azione dell’opera rossiniana agli anni ’30. La produzione gioca sul confine tra realtà e finzione cinematografica, ispirandosi ad altre contaminazioni famose come l’in and out del film di Woody Allen La rosa purpurea del Cairo e la poetica naif di Cinema Paradiso.

    Brachetti impersona un magazziniere impacciato di uno studio cinematografico dove si girano film muti, un mondo che lui sogna quotidianamente. Ma la sua fantasia viene travolta da una storia ancora più surreale: il film prende vita sul palcoscenico e lui si trova catapultato in esso.

    Il regista ha ripescato per questo spettacolo decine di routine comiche, lazzi e pantomime tipiche dei Fratelli Marx, di Buster Keaton e del cinema muto.

    Questo originale allestimento si è posto sin da subito all’attenzione del pubblico e della critica internazionale in occasione dell’edizione di Pentecoste del Festival, tanto che le repliche in programma dal 4 al 16 agosto sono totalmente sold-out.

    Arturo Brachetti, leggenda del trasformismo e tra gli artisti di teatro italiani più celebri nel mondo racconta “Cecilia Bartoli voleva fare il Barbiere il Siviglia con me e ha chiesto al regista Villanzon di creare un’idea originale. Lui ha avuto questa trovata incredibile che porta l’opera di Rossini direttamente nel XX secolo con un personaggio aggiunto, quello di Arturo, una specie di Mr. Bean artefice, complice e vittima di un sogno che sta tra l’opera, il cinematografo e la Commedia dell’arteAmmetto che non è stato facile, perché l’opera è diversa dal varietà, ma la commistione finale è unica ed eccezionaleIl Barbiere di Siviglia non è un’opera semplice perché è fatta di sottintesi, travestimenti, bigliettini scambiati, coincidenze e attimi brevissimi ma fondamentali per la dinamica comica della scena. Ho dovuto portare il mio knowhow in un mondo che non conoscevo ma che mi ha trasmesso un’energia straordinaria e un bagaglio di esperienza importante”.

    Non si tratta tuttavia del “vero” debutto di Brachetti nell’opera. In realtà, ancora ragazzo, interpretò uno dei toreri al seguito di Escamillo in occasione di una Carmen in scena al Teatro Regio di Torino.

  • Lunedì 15 agosto, dalle ore 15.30

    Caccia al Tesoro nel Parco del Castello di Miradolo (TO)

     

    Il Parco del Castello di Miradolo apre le porte anche a Ferragosto, come da tradizione, per una caccia al tesoro che condurrà alla scoperta delle capacità emotive delle diverse specie botaniche. 

    È possibile fare un pic-nic nel Parco con i cesti di Antica Pasticceria Castino. I cestini, confezionati artigianalmente possono essere ritirati direttamente nella Caffetteria del Castello dalle ore 12, previa prenotazione. Menù dedicati per adulti e per bambini. Costo: 10 euro cesto bimbi, 14 euro cesto adulti. Non è consentito il pic-nic libero.

     

    INFO

    Caccia al Tesoro nel Parco: lunedì 15 agosto, dalle ore 15.30

    Biglietti per l’attività: 5€, comprensivo di ingresso al Parco, adulti e bambini.

    Visite al Parco: per Ferragosto il parco apre da sabato 13 a lunedì 15 agosto, dalle 10 alle 19. Ultimo ingresso ore 17.30.

    Prenotazione consigliata : 0121 502761 prenotazioni@fondazionecosso.it

     

  • Mostra fotografica di Carla e Giorgio Milone

    Mostra promossa e realizzata dal Comune Sauze d’Oulx e Fondazione Torino Musei

    30 luglio – 4 settembre 2022

    Ufficio del Turismo – Sauze d’Oulx

     

    Il Comune di Sauze d’Oulx insieme alla Fondazione Torino Musei presentano nelle sale dell’Ufficio del Turismo di Sauze il progetto fotografico di Carla e Giorgio Milone, coppia di appassionati viaggiatori a cui il MAO Museo d’Arte Orientale di Torino dedicò nel 2018 l’esposizione fotografica Nomadi dell’Asia. Storie di donne e uomini tra steppe e altopiani.

    L’interazione tra uomo e montagna è il soggetto di questa mostra, che fa scoprire come una parete di roccia diventi focolare domestico in un remoto villaggio dell’Iran, o un pendio delle Ande divenga una scacchiera, stupefacente e abbacinante distesa a nido d’ape delle saline di costruzione incaica.

    Più a nord, aldilà degli Urali, le montagne si abbassano distendendosi negli immensi spazi della Siberia: oceani di tundre infinite, lande inospitali e difficili, abitate per nove mesi all’anno dalla notte polare, schiantate dal vento e dal gelo.

    Tra nevi perenni, tra pietraie e mulattiere, le vite si srotolano secondo ritmi ancestrali, l’uomo asseconda la natura e la piega all’approvvigionamento di ciò che serve per la sua sopravvivenza, propiziandola con riti apotropaici o semplicemente rivolgendole silenziose preghiere.

    Di fronte alla montagna l’uomo si può porre come il “Viandante sul mare di nebbia” di Caspar David Friedrich – assorto in contemplazione romantica di un paesaggio simbolico, oppure fare della montagna materia da scolpire, lavorare, decorare con graffiti e pitture, materia crudele da addomesticare per renderla cornice della vita quotidiana.

    La mostra fa parte delle attività della Fondazione Torino Musei che dal 2018 si è posta l’obiettivo di diventare un punto di riferimento per gli enti locali, pertanto alla gestione diretta di tre musei si è affiancata un’attività di sostegno allo sviluppo delle realtà culturali presenti sul territorio regionale.

    Carla e Giorgio Milone

    Dai tardi anni Sessanta Carla e Giorgio Milone, compagni di una vita, viaggiano per cercare, comprendere, scoprire angoli di mondo che riservano ancora delle sorprese e delle meraviglie. Disposti a tornare sugli stessi luoghi più volte, e quasi sempre verso regioni ai margini delle mete più celebrate, gli autori viaggiano per nutrire la curiosità e la consapevolezza, per cogliere i mutamenti e approfondire di ogni luogo gli aspetti della cultura e della presenza dell’uomo – ciò che vivifica e dà un senso al tutto.

    Molti viaggi, molti ricordi, molte immagini: Carla e Giorgio hanno dato vita negli anni a pubblicazioni e reportage fotografico-narrativi che raccontano il mondo in tutte le manifestazioni più seducenti e incantatrici

    Informazioni:

    L’uomo e la montagna Dal 30 luglio al 4 settembre 2022

    UFFICIO DEL TURISMO DI SAUZE D’OULX

    Viale Genevris 7 –  Sauze d’Oulx

    Ingresso libero

    Orari: dal lunedì alla domenica 9 -12.30 / 14.30 – 18.30

    info: tel. +39 0122858009 email info.sauze@turismotorino.org

  • Nell’ambito delle “Tre Terre Canavesane”, con i Comuni di Agliè e San Giorgio Canavese, Castellamonte si prefigge di offrire un’offerta unica nel segno della biodiversità, del gusto, dell’arte e della storia legata alla natura delle sue colline ricche di argilla.

    La 61ª MOSTRA DELLA CERAMICA di CASTELLAMONTE sarà inaugurata sabato 20 agosto e verrà dedicata ai Cento Anni della Scuola d’Arte “Felice Faccio”, oggi Liceo Artistico, che dall’anno della sua fondazione nel 1922 ad oggi è sempre stato un luogo di alta formazione educativa e importante centro culturale per il territorio. Per l’occasione, presso la scuola, verrà allestita una mostra del centenario che esporrà opere storiche e recenti dell’attività didattica della sezione ceramica.

    Viene riproposto il concorso “Premio Città di Castellamonte” che offre il confronto artistico, di ricerca tecnologica e stilistica.

    La Rotonda Antonelliana accoglierà le installazioni ceramiche degli artisti locali.
    Fra le arcate del Palazzo Antonelli, sede del Comune, saranno esposte le famose stufe di Castellamonte sia quelle della tradizione che quelle contemporanee di squisita fattura e sempre più famose nel mondo.
    Al primo piano del Centro Congressi “P. Martinetti” saranno presenti le ceramiche sonore, unitamente all’importante collezione di fischietti in terracotta donata dall’artista Giani Mario Clizia, invece al piano terra sarà allestita la mostra delle opere selezionate per il concorso internazionale “Ceramics in Love 2022”, dedicato in particolare alla Ucraina.

    Ma sono tantissimi, ben 15 tra pubblici e privati, i punti espositivi ognuno con le proprie peculiarità, disseminati per la città che daranno vita ad una rete espositiva che ha pochi eguali in Italia.

    Come per le precedenti edizioni, nei giorni prefestivi e festivi, è prevista una navetta per raggiungere i punti espositivi più dislocati dal concentrico e per visitare i suggestivi “castelletti”, da dove si ricava la famosa argilla rossa di Castellamonte.

    La mostra resterà aperta fino all’11 settembre 2022
  • Fino al 30 settembre 2022

    TUTTE LE GUERRE. Fotografie 1998-2019

    FRANCO PAGETTI 

    Vent’anni di conflitti raccontati in più di 250 foto da uno dei più autorevoli fotoreporter internazionali al Palazzo Senza Tempo di Peccioli (PI)

     

    Afghanistan, Kosovo, Timor Est, Kashmir, Palestina, Sierra Leone, Sud Sudan, Siria: Franco Pagetti, uno dei più autorevoli fotoreporter internazionali per Time, The New York Time, Le Monde, The Independent, ha trascorso vent’anni a fotografare la guerra confrontandosi ogni volta con la violenza e l’arbitrarietà dei conflitti.

    La mostra “Tutte le guerre. Fotografie 1998-2019” al Palazzo Senza Tempo di Peccioli (PI), inaugurata nell’ambito della kermesse Pensavo Peccioli curata da Luca Sofri, conduce i visitatori proprio dentro l’orrore della guerra, per dimostrarne la sua orribilità ed inutilità.

    Il collage di 250 foto del grande parallelepipedo centrale vuole testimoniare le sofferenze subite dalle vittime dell’assurdità della guerra, vuole raccontare l’annullamento dell’identità delle cose, degli spazi, della cultura, della storia e dell’educazione che ogni conflitto provoca, vuole infine mostrare l’umanità delle persone. In mostra, le foto della guerra in Iraq, dove Pagetti ha vissuto per sei anni, dal 2003 al 2008, raccontando la caduta del regime di Saddam Hussein, l’ascesa dei gruppi terroristici e insurrezionalisti e la guerra civile. Ma anche le storie e le immagini dall’Afghanistan che trasmettono la sua capacità empatica e l’assenza di pregiudizio. E poi, in una sala dedicata, The Veils of Aleppo, sulle tende di Aleppo, realizzato nel 2013, il reportage con cui Pagetti ha cambiato il modo di fotografare la guerra: i soggetti delle immagini non sono persone morte, ferite o armi, ma le tende colorate che vedeva per strada, rivelatrici della vita degli abitanti di una città devastata dai bombardamenti. Le tende a righe, un tempo tende da sole, sollevano una riflessione su come è cambiato il loro utilizzo: se prima erano un oggetto quotidiano per proteggere la privacy di una famiglia, o ripararsi dal sole, adesso sono cucite insieme dalle donne e messe in mezzo alle strade per proteggere gli uomini della famiglia dai cecchini. La serie di fotografie rappresenta “Una reazione umana – racconta Franco Pagetti – per proteggermi dall’orrore del mondo in cui camminavo: concentrarsi su un elemento di bellezza nel caos, o creare una distanza tra me e gli eventi. Io proteggevo la mia stabilità mentale, i siriani la loro vita”.  

    TESTO CRITICO

    L’invasione russa dell’Ucraina, le sue stragi e le sue distruzioni, le persone che sono vittime, sono di nuovo raccontate dalle immagini dei fotoreporter di guerra, anche in questi tempi di social network, influencer e cambiamenti nella comunicazione di ogni cosa. E sono immagini che da una parte sembrano sempre le stesse, per ogni guerra, e dall’altra rinnovano il loro effetto e la loro capacità di mostrare cose terribili e incredibili e che pensavamo lontane: lontane nel tempo o lontane nello spazio. Ma le guerre non hanno mai smesso di essere combattute e di essere usate per avidità, prepotenza, ignoranza, e niente come le immagini dei fotoreporter ha cercato di ricordarcelo anche negli anni passati, quando la guerra in Europa ci sembrava impensabile. Le foto di Franco Pagetti, fotoreporter che ha seguito alcune delle guerre recenti più lunghe e gravi, sono fra quelle che con più insistenza e professionalità hanno anticipato quello che saremmo tornati a vedere quest’anno. 

    Luca Sofri, curatore di Pensavo Peccioli

    BIOGRAFIA DI FRANCO PAGETTI

    Franco Pagetti, nasce a Varese nel 1950. Studia chimica a Milano. Si avvicina alla fotografia nel 1980: inizialmente come assistente della fotografa di architettura Carla De Benedetti ma in seguito inizia a produrre immagini per i mondi della moda e commerciale. Nella sua prima vita da fotografo, da metà anni Ottanta a metà anni Novanta, collabora con i giornali italiani Vogue, Elle, Marie Claire, Amica. Mentre firma campagne pubblicitarie internazionali, nel 1988 realizza il suo primo reportage sulle donne torturate dal regime cileno. Nel 1997, decide di dedicarsi esclusivamente al fotogiornalismo.

    A quasi cinquant’anni inizia la sua seconda vita, che nel 2007 lo vede diventare membro della nota agenzia VII, di cui fa tuttora parte. Copre le zone di conflitto più calde: nel 1998 è in Sudan del Sud e in Afghanistan, dove torna nel 2001, nel 2009 e nel 2010; nel 1999 è in Kosovo e a Timor Est, nel 2000 e nel 2001 è in Kashmir; nel 2000 in Sierra Leone e nel 2001 e 2002 in Palestina. Le sue fotografie di guerra ritraggono esseri umani in condizioni estreme e si fanno testimonianza di atti di incredibile eroismo. Ma anche di enormi brutalità. I suoi reportage vengono pubblicati in America su Newsweek, The New York Times, The New Yorker, Stern, Sunday TimesVogue America e in Europa su Le Figaro, Paris Match, Le Monde, The Times of London, The Independent. Per il settimanale TIME, da gennaio 2003 fino a dicembre 2008 è in Iraq dove, grazie al suo intuito, arriva già tre mesi prima dell’invasione americana di Baghdad che segna l’inizio della guerra. Le sue immagini dal fronte sono uno fra i più accurati e completi reportage dall’Iraq, catturano gli orrori della guerra, i saccheggi, le battaglie, la formazione di gruppi di ribelli e di terroristi: l’inesorabile discesa verso una sanguinosa guerra civile nonostante la flebile speranza di rinascita dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Nel 2012, al Pictures of the Year International Contest gli è stato conferito l’Award of Excellence e, sempre nel 2012 ha ricevuto una nomination agli Emmy Awards for News & Documentary, per il documentario: DRC, Starved For Attention. New York. Nel 2012 e nel 2013 viene premiato al PX3 PRIX DE LA PHOTOGRAPHIE PARIS e la regista Aeyliya Husain gira un film su di lui, Shooting War, presentato al Tribeca Film Festival. Le sue fotografie sono state esposte in numerose mostre nazionali e internazionali e fanno parte di collezioni private e istituzionali.

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