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  • Giustizia, Liberalità, Magnanimità e Abbondanza spiccano il ‘volo’ nel cielo di Torino per tornare all’antico splendore.

    Inizia martedì 11 luglio l’operazione di spostamento a terra delle quattro monumentali statue in marmo di Brossasco, alte più di 4 metri e pesanti oltre 3 tonnellate ciascuna, che coronano la balaustra del corpo centrale di Palazzo Madama e raffigurano ermetiche allegorie del “Buon Governo”. Dopo un innovativo intervento di sezionamento, le statue saranno ingabbiate e calate con un eccezionale sistema di gru dall’altezza di 27 metri in piazza Castello, dove verranno restaurate “live” in uno speciale padiglione trasparente visitabile dal pubblico.

    L’intervento rappresenta un momento decisivo del grande cantiere di restauro e consolidamento strutturale della facciata juvarriana dell’edificio, nato alla sinergia tra Fondazione Torino Musei, da sempre impegnata nella tutela e valorizzazione dei beni museali, e Fondazione Crt, storico e principale sostenitore privato di Palazzo Madama che finanzia interamente quest’ultimo intervento con un impegno straordinario di 2,4 milioni.

    Le statue, formate ciascuna da quattro blocchi marmorei scolpiti e sovrapposti e del peso di circa 3.200 kg, sono opera dello scultore carrarese Giovanni Baratta chiamato a Torino da Filippo Juvarra a più riprese tra il 1721 e il 1730 per portare a compimento queste sculture e altre opere a Superga, Venaria Reale e nella chiesa torinese di S. Filippo. Furono sbozzate nel laboratorio dello scultore a Carrara, poi trasportate in pezzi separati via nave fino a Savona e, infine, condotte su carri trainati da buoi e muli a Torino, dove furono montate in opera e portate a compimento.

    Lo stato conservativo delle statue è oggi assai compromesso. Quella che evidenzia maggiore degrado, anche strutturale, è la statua della Giustizia. L’opera fu già smontata e calata a terra una prima volta tra il 1846 e il 1847, in occasione dei lavori di consolidamento delle fondamenta del palazzo.

    Il distacco e il trasferimento delle quattro Allegorie dalla base su cui appoggiano saranno resi possibili dall’allestimento in quota, a 27 metri dal suolo, di speciali macchine operatrici, che utilizzano la tecnica del taglio murario mediante lo scorrimento di un filo diamantato e lubrificato ad acqua, tecnologia tradizionalmente utilizzata nelle cave di estrazione del marmo. Contestualmente alla progressione del taglio, nelle fessure così ricavate verranno inserite due piastre in acciaio debitamente sagomate e rinforzate. Su queste piastre verrà fissata una ‘gabbia’ anch’essa in acciaio, che conterrà a sua volta una cassa lignea in parte aperta, che ingloberà e renderà stabili le statue.

    Sollevate da una gru, le statue e le loro imbracature, del peso complessivo di 6.000 kg, verranno calate a terra e poste su basamenti provvisori, in attesa di essere collocate in un padiglione ad hoc che sarà allestito dinanzi a Palazzo Madama, dove avverrà l’intero processo di restauro, visibile direttamente dal pubblico in piazza Castello, anche tramite visite guidate.

  • E’ stato presentato a Firenze il 06 luglio 2022, nell’ex monastero della Santissima Concezione, all’interno del complesso di Santa Maria Novella, il MUNDI, il Museo nazionale dell’italiano: uno spazio moderno, dinamico, tecnologico, interamente dedicato alla lingua italiana. Un nome che già nelle intenzioni evoca due aspetti fondamentali della nostra lingua: il rapporto con il latino, innanzitutto, lingua madre (mundi è infatti il genitivo di mundus, cioè «mondo»), e l’idea dell’italiano come lingua del mondo, coinvolta in una rete di relazioni che nei secoli l’hanno messa in contatto con molte altre culture.

    Il progetto nasce grazie all’impegno del Ministero della cultura insieme al Comune di Firenze e all’attività di un gruppo di lavoro coordinato dal linguista e filologo Luca Serianni, in cui sono rappresentate le massime istituzioni che si occupano dello studio e della promozione della nostra lingua (Accademia della Crusca, Accademia dei Lincei, Società Dante Alighieri, Associazione per la Storia della Lingua Italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani).

    Dedicare un museo all’italiano ha quindi una forte valenza simbolica, rappresentando il segno dell’importanza attribuita dal nostro Paese a una delle sue dimensioni culturali più significative. Il MUNDI infatti si propone di valorizzare il volto nazionale e internazionale dell’italiano, facendo rivivere i capolavori della letteratura e affascinando il visitatore con i documenti di una cultura da sempre creativa e senza frontiere.

    Il MUNDI è stato pensato come un museo di nuova generazione, che affianca agli elementi espositivi tradizionali (manoscritti, libri, quadri e oggetti legati alla storia dell’italiano) una forte componente multimediale (schermi al plasma con pulsantiere o touch-screen, videowall, teche digitali, pavimenti e pannelli sensibili), permettendo così di realizzare un incontro virtuale tra i percorsi tematici offerti nella visita e i documenti unici conservati in diverse biblioteche o archivi italiani e stranieri.

    Alcune sezioni saranno riservate ad allestimenti temporanei monografici, legati a temi particolarmente significativi (la scienza in volgare, i testi delle origini, lingua e cucina, l’italiano del doppiaggio, la lingua dell’opera lirica), realizzati con opere originali normalmente conservate in altre strutture. Alle esposizioni permanenti e temporanee si affiancherà, inoltre, un piano di attività didattiche per la promozione della lingua italiana: conferenze, corsi e seminari, presentazioni di libri, concerti.

    In attesa dell’apertura definitiva del museo nel 2023, una mostra temporanea introduttiva, allestita nella prime due sale, anticipa fin da oggi i temi fondamentali della storia linguistica italiana. 

    La prima sala è arricchita da un fregio che attorno al , nella cui sonorità già Dante sintetizzò espressivamente i caratteri della lingua italiana, allinea le differenti forme dell’affermazione in numerose lingue del mondo.

    Una linea del tempo, animata da significative immagini, propone i principali momenti della storia della lingua italiana, posti in relazione anche con i fondamentali eventi storici e artistici in Italia e nel mondo.

    Quattro postazioni audiovisive sono dedicate ai temi centrali che hanno caratterizzato e caratterizzano la storia linguistica italiana. Le letture sono impreziosite dalle interpretazioni di attori illustri: Stefano AccorsiGlauco MauriElena Sofia RicciRoberto Sturno.

    Nella seconda sala, è possibile leggere, in un carosello di proiezioni, alcune frasi memorabili di grandi autori italiani e stranieri sul valore e sul potere della parola e sull’amore per l’italiano.

    Nella mostra sono inoltre presentati alcuni oggetti straordinari, legati alla storia della lingua italiana. Tra questi sono particolarmente rilevanti un codice nel quale Boccaccio, a pochi decenni dalla morte di Dante, copia di propria mano la Commedia e quindici canzoni del Poeta; il manoscritto che gli Accademici della Crusca portano a Venezia per la stampa della prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca (1612); la sceneggiatura pasoliniana di Mamma Roma con correzioni autografe.

    Ma senza dubbio il documento più importante è il cosiddetto Placito di Capua (960) nel quale compare la prima testimonianza “ufficiale” di un volgare italiano (“Sao ko kelle terre…”).

    La mostra sarà aperta fino al 6 ottobre 2022, con ingresso gratuito.

     

    Museo nazionale dell’Italiano
    Piazza della Stazione 6, Firenze

    Giorni di visita e orari:
    dal mercoledì alla domenica
    prime sale: 10 – 17 ultimo ingresso 16.30
    chiuso: lunedì e martedì

    Informazioni:
    cultura.comune.fi.it/mundi – museo.mundi@comune.fi.it

  • La Fondazione Vacchi presenta una nuova mostra personale di Adriano Bimbi formata da un importante gruppo di sculture e di disegni che dialogano con gli affascinanti spazi del giardino e delle sale espositive del Castello di Grotti in provincia di Siena.

    Bimbi (Bibbona 1952, vive a Firenze), è uno scultore di fama internazionale che lavora con rigore e raffinatezza sulla forma e sulla materia delle sue opere, evocando fastose discendenze dalla grande storia dell’arte, impreziosendo le cose povere del mondo quotidiano, trasformando i piccoli oggetti e i vestiti delle nostre giornate in gioielli di oro e lapislazzulo, in gemme sontuose dove gli stili si fondono per dare vita a qualcosa di nuovo dove si avverte tuttavia il respiro dell’antichità.

    Bimbi fonda infatti il suo mondo visivo su un raffinato talento disegnativo che si declina nella costruzione severa ed elegante delle sue figure, ma anche nella sintesi metafisica dei suoi paesaggi, nei canoni e nella misura architettonica dei corpi e degli spazi.

    La mostra, dunque, vuole dare vita a un viaggio allusivo che, come in un labirinto, ci accompagna in un percorso iniziatico composto dalle sculture dell’artista, in una sorta di anello mistico al confine tra terra e cielo.

    Accompagnati dalla misteriosa presenza di un rabdomante ci si potrà quindi avventurare negli spazi geometrici ed enigmatici di un giardino incantato, simbolo archetipo di un altrove perduto che possiamo forse ritrovare grazie ai messaggi silenziosi di giovani donne che si mostrano come sospese al di fuori del tempo.

    In questo itinerario tracciato dallo sguardo ermetico di un saggio disteso(forse in un triclinio o su un antico sarcofago)ci immergiamo così nelle lacrime di una ragazza che imperlano d’oro un cipresso magico, camminiamo verso una porta dischiusa oltre il confine del tempo, arriviamo a una scala appoggiata sul nulla per ascendere al cielo, liberandoci dal peso terreno e metaforico di pesanti scarpe di fango, sollevandoci verso l’alto come le mani di una giovane orante immersa nel silenzio della preghiera.

    La mostra resterà aperta dal 16 luglio fino al 30 novembre 2022

    Orari di apertura al pubblico: da martedì a domenica 10.30-12.30 – 17.00-19.30 – Lunedì chiuso

  • Dopo l’importante mostra I marmi Torlonia. Collezionare capolavori (14 ottobre 2020 – 27 febbraio 2022) che ne ha segnato l’apertura al pubblico, la nuova sede espositiva dei Musei Capitolini, Villa Caffarelli, torna ad ospitare una grande mostra di archeologia romana.

    L’esposizione Domiziano imperatore. Odio e amore, aperta al pubblico dal 13 luglio 2022 al 29 gennaio 2023, è coprodotta dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dal Rijks museum van Oudheden della città olandese di Leiden; essa è dunque il risultato di un accordo culturale di dimensione internazionale.

    Wim Weijland, Nathalie de Haan, Eric M. Moormann, Aurora Raimondi Cominesi e Claire Stocks hanno ideato e curato l’esposizione God on Earth. Emperor Domitian, ospitata a Leiden dal 17 dicembre 2021 al 22 maggio 2022, cui la Sovrintendenza Capitolina ha partecipato con importanti prestiti.

    In continuità con essa e riprendendo parte del progetto scientifico e dei prestiti, la Sovrintendenza Capitolina ha elaborato nella nuova mostra una diversa articolazione del racconto e del percorso espositivo anche grazie all’aggiunta di nuove opere. Densa di significato è stata la scelta della sede espositiva, in un luogo fortemente legato all’imperatore e da lui restaurato lussuosamente dopo l’incendio dell’80 d.C: il Tempio di Giove Capitolino, sulle cui fondamenta è stata costruita Villa Caffarelli.

    Curata da Claudio Parisi Presicce, Maria Paola Del Moro e Massimiliano Munzi, la mostra ai Musei capitolini è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. L’organizzazione è di Zètema Progetto Cultura.

    Lungo il percorso espositivo articolato in 15 sale, la mostra racconta, dunque, la storia di Domiziano, complessa figura di principe e tiranno non compresa dai contemporanei e successivamente dai posteri, che hanno basato il loro giudizio sulle fonti storiche e letterarie a lui, sostanzialmente, avverse. Più recentemente, l’analisi delle fonti materiali, in particolare epigrafiche, ha restituito l’immagine di un imperatore attento alla buona amministrazione e al rapporto con l’esercito e con il popolo, devoto agli dei e riformatore della moralità degli uomini. Un imperatore che non pretese e non incoraggiò la formula autocratica “dominus et deus”, ritenuta da molti la motivazione profonda del clima di sospetti, terrore e condanne a morte sfociato nella congiura nella quale egli perse la vita. La violenta damnatio memoriae che, secondo la drammatica testimonianza di Svetonio e Cassio Dione, avrebbe comportato subito dopo la sua morte l’abbattimento delle statue che lo ritraevano e l’erasione del suo nome dalle iscrizioni pubbliche, fu in realtà limitata ad alcuni contesti e non trova conferma nel numero di ritratti giunti fino a noi a Roma e in tutto l’Impero.

    Il racconto della vita di Domiziano è affidato alle 58 opere provenienti dalla mostra di Leiden e alle 36 aggiunte per l’edizione romana: ritratti in marmo ed in bronzo di personaggi imperiali e di divinità, elementi di decorazione architettonica in marmi bianchi e colorati e oggetti di piccole dimensioni in oro e bronzo.

    I musei che hanno collaborato alla mostra con i loro prestiti sono il British Museum di Londra, la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, il Musée du Louvre di Parigi, la Nederlandsche Bank, il Rijks museum van Oudhedendi Leiden, il Badisches Landes museum di Karlsruhe, la Glyptothek di Monaco, i Musei Vaticani, il Museo Archeologico dei Campi Flegrei, il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Parco Archeologico di Ostia e, da Roma, il Museo Nazionale Romano e il Parco archeologico del Colosseo – Antiquarium Palatino. Tra i prestiti, tutti importanti, risaltano l’aureo a nome di Domizia Longina, moglie dell’imperatore, con la rappresentazione del figlioletto divinizzato del British Museum; il ritratto sempre di Domizia Longina del Louvre; il rilievo del Mausoleo degli Haterii dei Musei Vaticani; le teste colossali di Vespasiano e di Tito divinizzati dal Museo Nazionale Archeologico di Napoli e i frammenti del Dono Hartwig del Museo Nazionale Romano.

    L’esposizione è arricchita inoltre da opere della Sovrintendenza Capitolina normalmente non esposte al pubblico. Tra i reperti dell’Antiquarium si segnala uno dei pannelli con affreschi della domus romana ricomposti all’inizio degli anni Duemila nella “sala E. Pastorelli” del Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di via Genova, reso disponibile per la mostra grazie al rapporto di collaborazione tra le due istituzioni.

    Tra le sculture in marmo dei depositi capitolini spiccano due opere poco note provenienti dallo stadio di Domiziano: il torso della statua di Ermete che si slaccia un sandalo, visto solo nella mostra Lisippo a Palazzo delle Esposizioni nel 1995,e la testa di giovane satiro ridente coronato di pino. Tra quelle della collezione permanente dei Musei Capitolini ricordiamo il ritratto femminile della “Dama Flavia” (cd. “busto Fonseca”).

    Prima opera e icona dell’esposizione, a Leiden come a Roma, è il celebre ritratto di Domiziano conservato nei Musei Capitolini. Da esso parte il percorso espositivo, articolato in 15 sale e sviluppato lungo cinque grandi tematiche: Domiziano, imperatore e caro agli dei; l’esaltazione della gens Flavia e la propaganda dinastica; i luoghi privati di Domiziano, dalla casa natale sul Quirinale al palazzo imperiale sul Palatino e alla villa di Albano; l’intensa attività costruttiva a Roma; l’impero protetto dall’esercito e retto dalla buona amministrazione.

    La statua del Genio di Domiziano è al centro della prima sala, dedicata alla caducità della vita, rappresentata idealmente da ritratti infantili, allusivi all’imperatore e al figlioletto morto prematuramente, e dalla vetrina “del tempo della vita”: sul quadrante di un orologio, soluzione concettuale e visiva per far percepire con immediatezza lo scorrere veloce ed inesorabile del tempo, otto oggetti-simbolo simboleggiano i momenti cruciali della vita dell’imperatore, indicati dal pugnale-lancetta che ucciderà Domiziano. La galleria dei ritratti mostra l’evoluzione dell’iconografia di Domiziano nel tempo. Accompagnano l’imperatore il padre Vespasiano e il fratello Tito, nonché le Auguste Giulia figlia di Tito e Domizia Longina, le cui ricercate acconciature sono emulate dalle dame di età flavia, ma anche la sua familia allargata, composta da liberti e schiavi. Alla damnatio memoriae decretata dal Senato all’indomani del suo assassinio riportano invece due iscrizioni e una moneta, sulle quali il suo ricordo è stato cancellato.

    Il concetto di continuità dinastica dominò gran parte delle azioni di Domiziano, arrivando all’esaltazione della gens Flavia attraverso l’erezione di archi onorari al fratello divinizzato e, sul luogo in cui sorgeva la casa natale, mediante la costruzione del Templum Gentis Flaviae, monumento di ripresa ma anche di rottura con il luogo e con la tradizione del Mausoleo di Augusto. L’eccezionale testa colossale di Tito divinizzato e i frammenti del Dono Hartwig mostrano la maestosità concettuale e dimensionale del complesso templare dedicato alla famiglia Flavia.

    La tematica dei luoghi privati dell’imperatore prende avvio dal contesto del Quirinale, il colle sul quale Domiziano nacque, per arrivare alla grandiosità architettonica e decorativa delle ville fuori Roma e, soprattutto, del Palazzo imperiale sul Palatino ,opera dell’architetto Rabirio. È questo il luogo dove l’imperatore appariva come dominuse dove l’opulenza e il lusso flavio maggiormente si esprimono, grazie a nuovi linguaggi architettonici e decorativi, che ricorrono al massiccio impiego di marmi colorati.

    Il percorso attraverso i luoghi pubblici domizianei illustra l’intensa attività edilizia sviluppata sia nella ricostruzione degli edifici distrutti dall’incendio dell’80 d.C. sia nella realizzazione di nuovi monumenti funzionali alla propaganda imperiale. Tra questi il Foro Transitorio, costruito da Domiziano ma inaugurato dal successore Nerva, e la progettazione di una sistemazione urbanistica dell’area tra Quirinale e Campidoglio attraverso lo sbancamento della sella montuosa che univa i due colli. Sarà possibile avere la percezione di questo intervento attraverso un video immersivo realizzato appositamente per la mostra e destinato a diventare uno dei prodotti della comunicazione del Museo dei Fori Imperiali. Negli edifici per gli spettacoli (Stadio, Odeon, Anfiteatro Flavio) si manifestava maggiormente il consenso popolare; l’impressione e l’atmosfera che essi suscitavano nel pubblico sono evocate dal calco del sepolcro di Quinto Sulpicio Massimo, morto a 11 anni, la cui iscrizione ricorda la brillante partecipazione del bambino prodigio al terzo agone capitolino di poesia greca, e dalla moneta in bronzo con l’effigie del rinoceronte, mai visto a Roma prima dei giochi nell’Anfiteatro voluti da Domiziano.

    Nella sezione su Domiziano “fuori da Roma, fuori dai confini”, introdotta dalla pianta dell’Impero, sono affrontati il rapporto con l’esercito e l’attività edilizia e monumentale nelle città e nei territori dell’impero, conferma di una coesione non solo militare ma anche sociale.

  • 7 luglio – 18 settembre 2022
    Palazzo Martinengo Cesaresco Novarino, via dei Musei 30, Brescia

    La Fondazione Provincia di Brescia Eventi è lieta di presentare la mostra Clouds Never Say Hello, grande personale dell’artista bresciano Gabriele Picco a cura di Claudio Musso negli spazi di Palazzo Martinengo Cesaresco Novarino. L’esposizione – organizzata in collaborazione con Provincia di Brescia, Fondazione Provincia di Brescia Eventi e Fondazione Brescia Musei nell’ambito del progetto Una Generazione di Mezzo – si sviluppa su due piani dello storico edificio e presenta una selezione articolata di opere inedite che conducono gli spettatori in un viaggio immersivo nell’immaginario dell’autore.

    Picco riesce ad affrontare con leggerezza temi delicati come la morte, il sesso, la solitudine dell’uomo contemporaneo, mettendo spesso in luce le contraddizioni della nostra società, e mostrando come la vita e il mondo siano un immenso teatro visionario.

    Ecco per esempio The wall, la stanza le cui pareti sono state completamente ricoperte da 18mila biscotti savoiardi, un intervento dell’artista che modifica la percezione sensoriale dello spazio e che insieme segna l’accesso al nucleo centrale della mostra. Una sala di decompressione ricca di reminiscenze infantili, via di evasione fiabesca non priva però di elementi sinistri, implicito al muro è infatti il riferimento all’incomunicabilità e a tutti quei muri che ancora abitano il mondo.

    Le nuvole, di pasoliniana memoria, simbolo di leggerezza, di sospensione e di poesia, sono un tema ricorrente nel lavoro di Gabriele Picco. Visibili e presenti sia nella storia dell’arte che nella vita di tutti giorni, al contempo così impalpabili ed evanescenti, rappresentano metaforicamente l’ambiguità e la contraddizione che regnano nell’immaginario dell’autore bresciano.

    Due delle sale della mostra sono dedicate proprio alle nuvole. In una le ritroviamo sul portapacchi di modelli in scala di auto storiche del secondo Novecento. Sono le automobili diventate vere e proprie icone, come la Dyane o la Citroen DS, che fanno seguito alla prima opera di questa serie intitolata Cloud, che Picco realizzò nel 2005 con una vera Fiat 500 come scultura permanente nel Parco delle Madonie in Sicilia.

    Nell’altra sala lo spettatore incontrerà, sospese a mezz’aria, quelle che potrebbero essere descritte come cinque piccole poesie. Nuvole di vari colori scolpite in marmi diversi, dal nero portoro, al bianco statuario di Carrara, al blu Bahia, al rosa del Portogallo fino alla pietra dorata. Su ogni nuvola scorgerà, in un sottile rimando alla pittura tonale, un piccolo volatile imbalsamato dello stesso colore della roccia. Qui lievità e gravità si incontrano creando un ossimoro visivo e concettuale.

    In una terza sala si trova Il collezionista di amore: un omino in marmo rosa del Portogallo il cui lunghissimo fallo è ornato da anelli con diverse pietre preziose. La sessualità esplicita trattata con linguaggio iperbolico, sia verbale che visivo, è tra i temi ricorrenti nel lessico dell’artista che fonde elementi Pop con quelli della scultura classica. A seguire una lapide in granito nero che commemora una nuvola svanita. La poesia e l’ironia tagliente, che a volte sfiora un cinico sarcasmo, è una delle modalità con cui Picco affronta nelle sue opere argomenti complessi e delicati come la vita e la morte, il pubblico e il privato, la religione e i tabù, senza lesinare riferimenti all’attualità.

    Nella sala più grande i visitatori sono accolti da un’installazione parietale di nove metri per quattro: una carta da parati composta da disegni che tagliano trasversalmente tutta la sua produzione in un cortocircuito continuo tra parole e immagini.

    La scrittura, sia quella breve di natura quasi poetica che gioca con il linguaggio scarno e ficcante dello slogan pubblicitario, sia quella più verbosa, automatica, che si colloca tra il flusso di coscienza e la letteratura d’avanguardia, è un altro tratto distintivo del modus operandi di Picco che, come uno dei personaggi dei suoi romanzi, vede la vita e le esperienze che la attraversano come un grande teatro surreale.

    Surreale è anche l’opera Eternal love: due mani in lattice che sbucano da una parete, con i palmi attraversati dai gambi di due rose rosse i cui vasi poggiano su due mensole di legno grezzo. Un chiaro riferimento a Eros e Thanatos in una nuova forma contemporanea di crocifissione.

    Nell’ultima sala la dimensione onirica trova la sua rappresentazione in una scultura composta da un letto di legno antico, dal cui materasso si innalza un albero dai rami spogli, abitati da un solitario canarino rosso. L’immagine, che richiama l’idea della nascita, della morte e del sogno, diventa anche metafora della solitudine e della capacità dell’essere umano di rinascere costantemente.

    La mostra sarà accompagnata da un corposo volume monografico edito da SKIRA in cui saranno raccolte attraverso il filtro di specifiche sezioni tematiche centinaia di opere prodotte dall’artista tra il 1998 e il 2022, un settore specifico sarà dedicato in forma di cahier al disegno e la parte testuale sarà composta da un saggio firmato dal curatore Claudio Musso, una conversazione tra l’artista e Davide Ferri, note biografiche e bibliografiche.

  • Dal 22 Giugno 2022 a 13 Novembre 2022 in VideotecaGAM

    Prosegue il ciclo di esposizioni dedicate alla storia del video d’artista italiano tra anni Sessanta e Settanta. La mostra, sesto e ultimo appuntamento della collaborazione con l’Archivio Storico della Biennale di Venezia, si compone di tre diverse manifestazioni dell’immagine di Apollo che Kounellis mise in opera, tra il 1972 e il 1973, nascondendo il proprio volto dietro una maschera di gesso recante le fattezze del dio.

    La prima, del 1972, ebbe luogo all’Attico di Roma. Ad essa, in quanto immagine di una soglia, è affidato l’inizio del percorso: in uno scatto di Claudio Abate, Kounellis appare a cavallo, all’interno di una sala. La testa dell’animale avanza verso l’osservatore, oltre la porta. È un’immagine attraversata da inquietudine e tensione per i molti tratti di ambiguità che ne emergono: un cavallo all’interno della sala di un palazzo, la classicità della maschera unita alla contemporaneità degli abiti del cavaliere, l’aprirsi della visione e il sovrapporsi della porta all’imponente presenza che inibisce il passaggio. Tuttavia, il più rimarcabile segno di contraddizione è dato dalla dimensione temporale dell’apparizione: da un lato c’è la vita animale, il respiro del cavallo, il calore e l’odore del suo corpo, la sua incapacità a restare immobile; dall’altro c’è il bianco assoluto del gesso, la fissità imperturbabile della maschera, la terribilità di uno sguardo vuoto, il silenzio solenne.

    L’animale vive nell’ora, il dio si mostra nella continuità del suo essere. L’opera abita uno spazio indecidibile tra le due temporalità. Ricongiunge il divenire all’immutabile, il presente all’eterno e sovrappone la sua contemporaneità al passato dell’arte.

    La seconda, del 1973, è una diversa fotografia scattata in occasione della performance di Kounellis presso la galleria La Salita di Roma. L’artista siede al centro dell’inquadratura con la maschera di Apollo sul volto. Davanti a lui, su un tavolo, sono disposti i frammenti di una scultura classica che appare come il corpo smembrato del dio. Sopra il torso sta appollaiato un corvo impagliato. Alla sinistra di Kounellis un suonatore di flauto esegue musiche di Mozart e alla sua destra c’è una finestra aperta. Anche in questa apparizione la tensione è creata dall’intreccio di opposti. La ieratica presenza del volto di Apollo si confronta con l’immagine di morte della scultura disgregata e del corvo il cui corpo imita la vita ma ne è privo, al contempo, però, si unisce al corpo vivo di Kounellis che perpetua la divinità assumendone le fattezze.

    Questo ciclo di morte e di rinascita trova un contrappunto, ai due lati, dalla presenza del flautista e della finestra, forse immagini di due diversi soffi vitali e di due diversi spazi che vanno mescolandosi: quello interno, abitato dall’arte e dal dio, risuonante di musica, e quello all’esterno, oltre il recinto sacro, immerso nella quotidianità.

    La terza e ultima opera è un videoNo title del 1973, proveniente dall’Archivio Storico della Biennale di Venezia, l’unica opera video che Kounellis abbia mai realizzato. La sua visione, nel piccolo percorso di mostra, avviene oltre una tenda nera, in una stanzetta ricavata all’interno dello spazio espositivo perché i visitatori entrino uno alla volta. È da soli che ci si reca a interrogare l’oracolo. Da un monitor, posto più in alto dell’usuale, la maschera di Apollo appare nella sua inscalfibile immobilità. Kounellis la regge con la mano destra, mentre nella sinistra tiene una lampada a petrolio accesa.

    Esiste il tempo misurabile del video, i 25 minuti della sua durata fisica; esiste il tempo storico in cui l’artista si offrì all’inquadratura fissa della telecamera, il tempo narrato dalla foggia della camicia che indossa; esiste infine il tempo perenne, il ciclo incorrotto della divinità antica che da sempre presiede alla manifestazione della luce e dell’arte e di cui l’opera di Kounellis non è che una delle infinite epifanie.

     

    ORARI
    NUOVO ORARIO

    Martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica dalle 10 alle 18
    Lunedì chiuso
    Le biglietterie chiudono un’ora prima

    I musei garantiscono una visita in piena sicurezza, nel rispetto delle normative anti-Covid
    La prenotazione è consigliata ma non obbligatoria al numero 011 5211788 o via mail a ftm@arteintorino.com
    Prevendita: TicketOne
    Come di consueto, GAM, MAO e Palazzo Madama, nel rispetto di tutte le linee guida ministeriali, riaprono mettendo in atto tutte le misure necessarie a garantire una visita in completa sicurezza.

    BIGLIETTI
    Collezioni permanenti

    Intero: € 10
    Ridotto: € 8
    Gratuito: minori 18 anni, Abbonamento Musei Torino, Torino + Piemonte card
    E’ sospesa la gratuità del primo martedì del mese

    Le tariffe possono subire variazioni in presenza di mostre temporanee.

  • FLAVIO FAVELLI – I Maestri Serie Oro
    da 26 Maggio 2022 a 6 Novembre 2022

    La GAM di Torino è felice di presentare nelle sale della Wunderkammer I Maestri Serie Oro di Flavio Favelli, a cura di Elena Volpato.

    Il progetto è vincitore dell’avviso pubblico PAC2020 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.

    L’esposizione presenta un’unica opera composta dai 278 fascicoli monografici della nota serie I Maestri del Colore della Fratelli Fabbri Editori, uscita nelle edicole italiane tra il 1963 e il 1967. Si trattò di un fenomeno culturale di prima grandezza che rivoluzionò il mercato editoriale negli anni del boom economico. I fascicoli rappresentarono per molte famiglie italiane un oggetto simbolico, una dichiarazione di appartenenza a una fascia sociale in crescita, attraversata da un desiderio di cultura e di benessere intrecciati insieme.

    Flavio Favelli ha lavorato su ciascuna delle iconiche copertine, interagendo con la loro eleganza formale, con il loro equilibrio tra grafica e taglio fotografico dei particolari pittorici. Ha utilizzato una o più cartine dorate dei Ferrero Rocher per occultare i volti dei ritratti, le scene aneddotiche, le porzioni di quadri, affreschi e mosaici dove campeggia la figura umana, dove gli sguardi dipinti sembrano cercare la risposta e la complicità dello sguardo degli osservatori. Favelli riporta le riproduzioni delle grandi opere d’arte ad uno stato di impenetrabilità, quasi di chiusa sacralità: è un gesto che mescola la cura all’iconoclastia, quasi fosse necessaria una nuova ricarica del senso per delle immagini forse troppo note, persino troppo ammiccanti nella loro conquistata emblematicità.

    Favelli però, se da un lato cela parti di opere dietro il bagliore dell’oro, dall’altro apre a una visione panottica lo svolgimento della storia dell’arte così come l’avventura editoriale Fabbri fu capace di raccontarla. I 278 fascicoli/collages sono esposti in tre file ad abbracciare interamente lo spazio della Wunderkammer della GAM. La disposizione accoglie il visitatore come nel perimetro di una basilica dove il susseguirsi regolare delle riproduzioni e dei nomi degli artisti, tutt’attorno, restituisce una sorta di ideale ritratto di gruppo dove ciascun ‘quadro’ rappresenta il compiersi di una diversa misura, di un diverso canone, di una diversa maniera e sensibilità.

    Poter vedere tutte le copertine della serie dispiegate in un’unica sala sembra esaltare lo spirito enciclopedico cui l’impresa editoriale dei Fratelli Fabbri tese, ma la scelta di Favelli di spezzare le linee del disegno, di complicare la bidimensionalità della pittura, di nascondere il senso di completezza e perfezione che emana da molte di quelle opere, lascia intuire un rapporto più contrastato con la storia e il valore del passato. Esprime un’inquietudine estetica tutta contemporanea, per la quale la pienezza di senso e di forma non è mai data e ogni Maestro è allo stesso tempo riconosciuto e obliterato, oggetto di una celebrazione sincera ed insieme finta, come finta è la foglia d’oro di Favelli: luccicante, ma di carta, d’aspetto prezioso, ma prelevata da una scatola di praline.

    L’opera I Maestri Serie Oro, che entra a far parte delle collezioni del museo, rappresenta un nuovo sviluppo del lavoro di Favelli che negli ultimi anni ha più volte indagato il tema dell’oro sotto molteplici forme, rispecchiando il proprio animo nella lucentezza opaca e cieca di questo materiale che è andato prelevando da latte di biscotti, da fondi di specchi, da cartelli pubblicitari di gelati: una lucentezza pervasiva, da Eldorado, in cui la nostra cultura si specchia alla ricerca di un bagliore di cui ammantarsi proprio mentre si va offuscando.

    La mostra è accompagnata da una pubblicazione edita e distribuita da Viaindutriae

    Si ringrazia la Fondazione Ferrero Onlus per la collaborazione e il sostegno.

     

    ORARI
    NUOVO ORARIO

    Martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica dalle 10 alle 18
    Lunedì chiuso
    Le biglietterie chiudono un’ora prima

    I musei garantiscono una visita in piena sicurezza, nel rispetto delle normative anti-Covid
    La prenotazione è consigliata ma non obbligatoria al numero 011 5211788 o via mail a ftm@arteintorino.com
    Prevendita: TicketOne
    Come di consueto, GAM, MAO e Palazzo Madama, nel rispetto di tutte le linee guida ministeriali, riaprono mettendo in atto tutte le misure necessarie a garantire una visita in completa sicurezza.

    BIGLIETTI
    Collezioni permanenti

    Intero: € 10
    Ridotto: € 8
    Gratuito: minori 18 anni, Abbonamento Musei Torino, Torino + Piemonte card
    E’ sospesa la gratuità del primo martedì del mese

    Le tariffe possono subire variazioni in presenza di mostre temporanee.

  • Si avvicina l’appuntamento con la terza edizione di ContemporaneA. Parole e storie di donne, prevista a Biella dal 23 al 25 settembre 2022, che si preannuncia già come l’edizione più trasversale di sempre, con numerosi incontri, presentazioni, reading teatrali e il ritorno del format più amato dal pubblico, quello del Pranzo con la scrittrice, durante il quale l’ospite racconta la sua autrice più amata. I temi che verranno toccati andranno dalla letteratura alla filosofia, dalla moda all’economia, alla politica.

    Tra i primi nomi confermati per questa edizione, Stefania Auci, che con la saga I leoni di Sicilia si è rivelata una delle autrici più interessanti del panorama letterario contemporaneo. Spazio anche alla filosofia, con Maura Gancitano, fondatrice di Tlon, in dialogo con Rebecca Buxton e Lisa Whiting, che con il loro libro Le regine della filosofia hanno portato in primo piano le vite e le opere di alcune tra le più importanti pensatrici della storia, da Ipazia a Hannah Arendt, passando per Angela Davis e Iris Marion Young. L’incontro con Cosima Buccoliero, già direttrice del Carcere di Bollate e attualmente alla guida della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino,  autrice di Senza Sbarre – Storia di un carcere aperto (Einaudi, 2022), sarà l’occasione per trattare il tema della reclusione attraverso un punto di vista insolito, attraverso il dialogo con Silvia Polleri, manager del ristorante InGalera del Carcere di Bollate. Tra gli appuntamenti in calendario, anche quello con Susanna Ausoni, autrice de L’arte dello styling. Come raccontarsi attraverso i vestiti (Vallardi, 2022) e curatrice del look nell’ultima edizione di Sanremo di star come Mahmood e Blanco ma anche di Elisa, Ditonellapiaga e Noemi. All’interno del suo libro, racconta come lo styling sia l’arte di dare un valore aggiunto alla moda, di interpretarla per creare storie. Gli stylist giocano con gli abbinamenti, costruiscono un immaginario a partire dalle creazioni dei fashion designer e le remixano trasformandole, lanciando messaggi e creando trend.

    Ad anticipare i tre giorni di incontri sarà mercoledì 21 settembre la immunologa Antonella Viola, con un incontro alle 17,30 alla Biblioteca Civica di Biella (Piazza Curiel, 13), nel corso del quale verrà presentato Il sesso è (quasi) tutto. Evoluzione, diversità e medicina di genere (Feltrinelli, 2022), che affronta il tema del corpo femminile, su come questo sia stato poco studiato, poco considerato e, di conseguenza, curato male.

    In attesa del festival, non si fermano i rendez-vous online sui canali social di ContemporaneA, con le sue numerose rubriche, le interviste e i focus dedicati alle storie di donne del passato e del presente.

    L’immagine guida di questa terza edizione, a cura di Elena Miele, è ispirata al mondo del circo, luogo deputato alla sorpresa, alla creatività e alla destrezza. Per arrivare alla loro eccellenza leggiadra e sfidare il pericolo dell’altezza, le trapeziste si allenano con tenacia superando insieme le difficoltà dei volteggi, arrivando alla grazia e precisione del movimento che sempre sottende il fiato sospeso di chi guarda e partecipa della bellezza e del rischio. Con questa illustrazione, emerge lo spirito del festival ContemporaneA, volto a dare spazio alle qualità creative dell’universo femminile, alla tenacia e all’abilità, al lavoro di squadra e alla fatica, all’incanto e alla bellezza attraverso cui ricreare il nostro mondo e la nostra società, affinché sia per tutti e tutte una festa.

    ContemporaneA. Parole e storie di donne è un progetto di Irene Finiguerra e Barbara Masoni realizzato in collaborazione con la Libreria Vittorio Giovannacci di Biella. Il progetto grafico è a cura dallo Studio Anna Fileppo.

     

    COS’È CONTEMPORANEA. PAROLE E STORIE DI DONNE

    I RENDEZ-VOUS
    ContemporaneA è un progetto che fin dalla sua nascita si è presentato con una doppia anima, online e analogica, e un solo obiettivo: quello di essere uno spazio per tutte le donne (e non solo) dove confrontarsi, sognare e progettare, dove ascoltare gli interventi di scrittrici, artiste, imprenditrici. Una vocazione multidisciplinare e inclusiva che si traduce nel corso di tutto l’anno in appuntamenti online, i cosiddetti rendez-vous: interviste, recensioni, citazioni, illustrazioni, profili e storie di donne.

    IL FESTIVAL e gli altri incontri dal vivo
    Tra le ospiti delle passate edizioni, Teresa Ciabatti, Valeria Parrella, Vera Gheno, Simonetta Fiori, Roberta Scorranese, Ritanna Armeni, Florencia Di Stefano-Abichain, Mariangela Pira, Elena Varvello, Tiziana Ferrario e Marina Spadafora. ContemporaneA organizza incontri e presentazioni dal vivo nel corso di tutto l’anno, come quelli con le autrici Marina Pierri, Annarita Briganti e Silvia Avallone e recentemente il concerto di Joan Thiele.

     

    www.contemporanea-festival.com
    Facebook: @contemporaneafestival
    Instagram: @contemporaneafestival

  • Marina Abramovic nasce a Belgrado, nipote di un patriarca della chiesa ortodossa serba, successivamente proclamato santo. Entrambi i genitori erano partigiani nella seconda guerra mondiale: suo padre Vojin Abramović (conosciuto come Vojo) fu un comandante riconosciuto, dopo la guerra, eroe nazionale; sua madre, Danica Rosić, maggiore dell’esercito, alla metà degli anni sessanta fu nominata direttrice del Museo della Rivoluzione e Arte in Belgrado.

    Marina ricevette la sua prima lezione d’arte dal padre all’età di 14 anni: era il 30 novembre 1960; avendo chiesto al genitore di comprarle dei colori, lui si presentò con un amico il quale cominciò con il tagliare a caso un pezzo di tela, poi una volta steso a terra vi gettò sopra colla, sabbia, pietrisco, bitume, colori vari dal giallo al rosso, poi dopo aver cosparso il tutto con trementina collocò un fiammifero al centro della composizione che fu avvolta dalle fiamme e disse: “Questo è il tramonto”.

    Dal 1965 al 1972 studia presso l’Accademia di Belle Arti di Belgrado. Dal 1973 al 1975 ha insegnato presso l’Accademia di Belle Arti di Novi Sad, mentre creava le sue prime performance. Nel 1974 viene conosciuta anche in Italia, dove presenta la sua performance, Rhythm 4, esposta a Milano, nella Galleria Diagramma di Luciano Inga Pin. Nel 1976 lascia la Jugoslavia per trasferirsi ad Amsterdam. Nello stesso anno inizia la collaborazione e la relazione (che durerà fino al 1988) con Ulay, artista tedesco. Nel 1997 vince il Leone d’oro alla Biennale di Venezia con l’esecuzione Balkan Baroque.

    Attraversare i muri: Un’autobiografia di Marina Abramovic

    Editore: ‎ Bompiani
    Data di pubblicazione: 31 gennaio 2018
    Formati: ebook e cartaceo
    Lingua: ‎ Italiano
    Copertina flessibile: ‎ 428 pagine
    ISBN: ‎ 8845295753

    Nel 2010, in occasione della retrospettiva che il MoMA dedicò a Marina Abramovic, più di 750mila persone aspettarono in fila fuori dal museo per avere la possibilità di sedersi di fronte all’artista e di comunicare con lei senza dire una parola, in una performance senza precedenti durata più di settecento ore. Una celebrazione di quasi cinquant’anni di performance art rivoluzionaria. Figlia di genitori comunisti, eroi di guerra sotto il regime di Tito nella Jugoslavia postbellica, Marina Abramovic fu cresciuta secondo una ferrea etica del lavoro.
    Agli esordi della sua carriera artistica internazionale viveva ancora con la madre e sotto il suo totale controllo, obbedendo a un rigido coprifuoco che la costringeva a rincasare entro le dieci di sera. Ma nulla poté placare la sua insaziabile curiosità, il suo desiderio di entrare in contatto con la gente e il suo senso dell’umorismo. Tutto ciò che ancora oggi la contraddistingue e da’ forma alla sua vita.
    Al cuore di Attraversare i muri c’è la storia d’amore con il collega perfomance artist Ulay: una relazione sentimentale e professionale durata dodici anni, molti dei quali passati a bordo di un furgone viaggiando attraverso l’Europa, senza un soldo. Un legame che arrivò al drammatico epilogo sulla Grande Muraglia cinese.
    La storia di Marina Abramovic, commovente, epica e ironica, parla di un’incomparabile carriera artistica che spinge il corpo oltre i limiti della paura, del dolore, dello sfinimento e del pericolo, in una ricerca assoluta della trasformazione emotiva e spirituale. Esso stesso straordinaria performance, Attraversare i muri è la rappresentazione vivida e potente della vita di un’artista eccezionale.

     

  • La festa del viaggio Lonely Planet, non è solo l’occasione per ascoltare viaggiatori, autori, artisti da tutto il mondo, ma anche un momento per mettersi alla prova e imparare o approfondire i mestieri del viaggio: scrivere, fotografare, filmare, raccontare. I workshop e i laboratori di UlisseFest si svolgono durante i giorni del festival (15, 16 e 17 luglio): alcuni prevedono un biglietto di partecipazione, moltissimi sono gratuiti ma con posti limitati. Non perdere l’occasione e scoprili tutti!

    Come si diventa autore Lonely Planet?

    Il mestiere più bello del mondo spiegato da chi lo fa.

    Viaggiare è quella cosa che riempie ognuno di noi di ricordi, attimi, sensazioni e esperienze che abbiamo subito voglia di gridare al mondo. Ma scrivere di viaggio in modo professionale è un mestiere che oltre alla passione e all’entusiasmo necessita degli strumenti corretti per poter veicolare informazioni utili ai lettori risvegliando in loro allo stesso tempo un’incontenibile voglia di partire. Con Silvia Castelli (responsabile della redazione guide Lonely Planet) e gli autori Lonely Planet potrai approfondire i trucchi, i segreti, le gioie e le difficoltà del mestiere più invidiato del mondo.

    Per tutti i partecipanti in omaggio una copia del libro “Come si diventa scrittore di viaggio“.

    Il costo di partecipazione, di euro 95, comprende la partecipazione a entrambe le giornate

    Giornalismo e viaggi

    Imparare a scrivere per i media: l’equilibrio tra obbligo di servizio e fascino della scrittura.

    Dall’età classica ai video social: come si può e si deve raccontare un viaggio da un punto di vista giornalistico? Fondamentale è distinguere l’obiettivo di racconto giornalistico, rispetto a quello di un contenuto “user generated”. Il workshop di scrittura giornalistica di viaggio con Adnkronos sarà un percorso tra segreti di scrittura, necessità e obiettivi dell’informazioni giornalistica.

    In collaborazione con AdnKronos.

    Viaggiare, mangiare, raccontare

    Il workshop sulla narrazione gastronomica condotto da Luca Iaccarino.

    “Il vero viaggio implica il cambiamento totale dell’alimentazione, è un inghiottire il paese visitato, nella fauna e flora, facendolo passare per le labbra e l’esofago. Questo è il solo modo di viaggiare che abbia un senso oggigiorno.”
    Italo Calvino, “Sotto il sole giaguaro”

    Lo diceva già Italo Calvino nel 1986: non c’è modo più immediato di conoscere un posto che mangiandone i piatti. E, si potrebbe aggiungere, non c’è modo più veloce di comunicare un viaggio che raccontandone la cucina. Dunque tre giorni, tre incontri per capire cosa vuole dire viaggiare per mangiare e mangiare per viaggiare. E poi farne racconto attraverso diversi media: i libri e i giornali, il web e i social, la tv e la radio.

    Tutte le sere del Festival chiacchiere, esperienze, istruzioni per scoprire come il cibo possa dire tanto di un territorio. E per finire, sempre un brindisi. Ché vini e spirits raccontano anche loro delle storie. E aiutano a raccontarle.

    A tenere il workshop Luca Iaccarino, food editor di EDT e giornalista del Corriere della Sera. Tra i suoi libri, la raccolta di reportage gastronomici “Appetiti” (EDT) compreso nella quota di iscrizione.

    Scopri gli altri appuntamenti su Ulissefest

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