Categoria: Non solo arte

  • Se pensate che la vostra mente sia controllata e controllabile da voi e da voi soltanto, questo spettacolo vi farà ricredere, e vi mostrerà come le scelte che si fanno ogni giorno, anche quelle più piccole, siano frutto di coincidenze mai casuali.

    L’impossibile che diventa possibile, l’incredibile che diventa credibile: a Le Musichall l’8 e il 9 dicembrearriva il giovane talento Christopher Castellini con il suo spettacolo La Scelta.

    Primo italiano ad aver raggiunto il podio al Campionato Europeo di Magia 2017 (terzo classificato) e al Campionato del Mondo di Magia 2018 disputato in Corea del Sud (terzo classificato), Christopher Castellini è definito l’illusionista delle mente e lo Stephen Hawking della magia: affetto da una distrofia muscolare progressiva che lo costringe sulla carrozzina, Castellini ha scelto di non arrendersi alla malattia e alla vita che vive invece come un dono immenso da condividere sul palcoscenico attraverso la sua più grande passione.

    Viaggi nel tempo, sogni d’infanzia che prendono vita, sfide contro le leggi della fisica, esperimenti che mettono alla prova i limiti dell’essere umano. Tutto nel one man showdi Castellini è fatto per stupire e per divertire: il palco de Le Musichall si veste di magia per creare un’atmosfera onirica e surreale in cui ciascuno non sa se credere ai propri occhi.

    Non si può mai essere certi che Castellini dica la verità, che ci si possa fidare delle sue storie incredibili, dei suoi esperimenti impossibili, ma soprattutto delle scelte che ci invita a fare: La Sceltaè stupore, è divertimento, è emozione pura, è un vortice di storie destinato a coinvolgere, e sconvolgere, lo spettatore e la sua mente fino nel profondo.

    Christopher Castellini(classe 1992), definito lo Stephen Hawking della magia e l’illusionista della mente, si avvicina al mondo della magia e dell’illusionismo all’età di 8 anni e da allora inizia a sognare uno spettacolo per il teatro. Anche quando scopre di essere affetto da distrofia muscolare, una malattia che lo costringe sulla carrozzina, continua il suo sogno fatto di illusionismo, teatro e magia. Combinando la spettacolarizzazione dell’illusionismo, la forza del mentalismo e una profonda ricerca sul senso della vita, Castellini apre scenari inesplorati trasformando la mente stessa degli spettatori nel luogo in cui accade la vera magia.

    Primo italiano a raggiungere il podio sia al Campionato Europeo di Magia 2017 che al Campionato del Mondo di Mentalismo 2018 disputato in Corea del Sud, è noto per le sue numerose apparizioni televisive (su tutte quella al programma di Canale 5 Tu si que vales) e per il suo spettacolo La Scelta, col quale si è esibito in Italia e all’estero.

  • Valentina, la donna di una vita.

    Per Guido Crepax ma anche per milioni di uomini (e di donne) nel mondo. Arriva ai Musei Civici di Bassano del Grappa, affascinante protagonista di una esposizione originale quanto spettacolare, totalmente nuova rispetto alle recenti mostre che a lei e al suo creatore sono state dedicate in anni anche recenti a Roma e a Milano.

    Chiara Casarin, direttore dei Musei Civici di Bassano del Grappa, e Giovanni Cunico, Assessore alla Cultura del Comune, spiegano il perché di questa mostra bassanese: “Valentina è una delle icone femminili più affascinanti della storia del fumetto italiano. Il suo creatore, Guido Crepax, sarebbe stato il più ambito ospite nella nostra commissione per la Biennale di Incisione e Grafica Contemporanea che si terrà nella primavera del 2019 che questa mostra vuole anticipare nella stessa sede (la Galleria Civica dei Musei di Bassano del Grappa) e con un omaggio, una dedica al grande autore internazionalmente ammirato.

    Il progetto espositivo è stato concepito dai tre figli di Crepax ad hoc per questa occasione e si conferma come momento di produzione culturale rivolta al pubblico più ampio e vede il suo focus nel lavoro di un artista contemporaneo volto alla valorizzazione delle tradizioni e del genius loci a partire dalle collezioni dei Remondini, con le loro stampi popolari, per arrivare alla sesta Biennale che ormai è un appuntamento consolidato della città sul Brenta”.
    Valentina e Crepax sono i co-protagonisti della mostra al Museo Civico che ripercorre le tappe della vita di entrambi.

    “In questa ricerca delle origini del lavoro di una vita, che trascende l’ambito del fumetto e colloca l’Autore e il suo personaggio tra i testimoni di quarant’anni di vita italiana, la città di Venezia è un tassello fondamentale nella sua formazione”, anticipano i curatori.

    Infatti, vent’anni prima della nascita di Valentina (pubblicata per la prima volta sulla rivista Linus nel 1965), un Crepax appena dodicenne, aveva realizzato, proprio a Venezia (dove aveva abitato con la famiglia tra il ’43 e il ’45 per sfuggire alla guerra), i suoi primi albi a fumetti ispirati a film horror degli anni ’30/’40 e sognava di diventare un autore di storie a fumetti. Figlio d’arte di un musicista, primo violoncello alla Fenice di Venezia e poi alla Scala di Milano, e fratello di un’emergente manager discografico, Crepax ottenne i primi incarichi professionali in ambito musicale illustrando centinaia di cover di dischi di tutti i generi musicali. Notato come illustratore adatto per la pubblicità, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, realizzò importanti campagne pubblicitarie per Shell, Dunlop, Campari e i tessuti Terital. Contemporaneamente, lavorò anche a sigle e scenografie per alcuni programmi televisivi, scenografie di spettacoli teatrali e storyboard cinematografici. Disegnò anche centinaia di illustrazioni per riviste (Novella, Tempo Medico, ecc.) e copertine di libri.

    Dopo una parentesi dedicata al principale passatempo dell’autore (realizzare giochi da tavolo basati sulla sua passione per la ricostruzione storica e caratterizzati dal suo incredibile gusto estetico), la mostra si focalizza sul personaggio di Valentina che, unico nel mondo dei fumetti, invecchia, vive in una realtà possibile (anche se con frequenti divagazioni oniriche) ed ha una psicologia complessa, passioni e idee che possono essere comuni a molte donne reali. L’ultima tappa del percorso dedicato all’evoluzione artistica dell’autore (al piano terra), sarà dedicata alla scelta di Crepax, innovativa per il mondo tradizionale del fumetto, di fare delle donne le protagoniste delle proprie storie. Non solo per un fatto estetico o legato alla valenza erotica delle sue storie, ma per distinguersi dagli altri fumetti, uscire dal solco della tradizione, esplorare mondi psicologici e stili narrativi nuovi e, talvolta, anche per far discutere, riflettere, scandalizzare. Il primo piano sarà dedicato, invece, ai tanti contenuti video dedicati all’Autore e al personaggio di Valentina e ai possibili sviluppi futuri: la video arte e la colorazione delle pagine legate in un’installazione dove le pagine si colorano progressivamente e grandi tavole su cavalletti forniscono un saggio dell’ultimo progetto editoriale di Archivio Crepax: la nuova collana con le storie più belle a colori realizzata per la Repubblica.

    Per informazioni

  • In voluta concomitanza con la riapertura della Cappella della Sindone di Guarino Guarini, restaurata dopo il devastante incendio dell‘11 aprile 1997, Palazzo Madama dedica una mostra a La Sindone e la sua immagine, che raccoglie un centinaio di piccole e grandi opere d’arte realizzate tra il 1500 fino al 1900, raffiguranti la Sindone con intenti devozionali e celebrativi.

    Organizzata in collaborazione con il Polo Museale del Piemonte e il Centro Internazionale di Sindonologia di Torino, la mostra ha come nucleo costitutivo dipinti e incisioni provenienti dalla ricchissima collezione sindonica dell’ultimo Re d’Italia, Umberto II, oggi divisa tra il Castello di Racconigi e la Fondazione Umberto II e Maria Josè di Savoia che ha sede Ginevra.

    Molti di essi erano stati esposti proprio a Palazzo Madama nel 1931 in occasione delle nozze di Re Umberto II con la principessa Maria Josè del Belgio. Altre opere e documenti rari e significativi sono generoso prestito del Museo della Sindone di Torino.

    La Sindone di Torino è una realtà misteriosa e dibattuta, oggetto di devozione secolare, storicamente documentata per la prima volta alla metà del 1300 nell’attuale regione Grand est della Francia. Gli storici scrivono che il Lenzuolo venne a quel tempo depositato dal prode cavaliere Geoffroy de Charny nella chiesa del suo feudo di Lirey, terminata nel 1353. Nel 1453 Marguerite de Charny (1390-1460), ultima discendente della famiglia, legata alla dinastia sabauda, cede la Sindone al duca Ludovico di Savoia. Dopo vari spostamenti nel 1506 il Lenzuolo trova definitiva collocazione nella Sainte-Chapelle del castello di Chambéry.

    Dopo il trasferimento della capitale del ducato di Savoia da Chambéry a Torino, avvenuta nel 1563, Emanuele Filiberto ordina di portare la Sindone nel capoluogo piemontese, ufficialmente per abbreviare il pellegrinaggio di San Carlo Borromeo. Il Sacro Lino giunge così a Torino il 5 settembre 1578 e conosce varie collocazioni, tra cui la Cappella privata di Palazzo dedicata a San Lorenzo, il Duomo e la chiesa di San Francesco. Nel 1694 viene poi trasferita nella Cappella appositamente progettata dall’architetto modenese Guarino Guarini all’interno dell’attuale Palazzo Reale, in significativa congiunzione con l’abside del Duomo di Torino. La “Reliquia dinastica” resta di proprietà di Casa di Savoia fino 1983, anno della morte di Re Umberto II, il quale per testamento dona la Sindone alla Santa Sede. Oggi la Sindone è conservata nella cappella del transetto sinistro del Duomo di Torino, completamente distesa e in condizioni controllate per garantirne la corretta conservazione.

    Per maggiori info sulla mostra

  • “Vi amo alla follia. Non c’è momento in cui io non vi adori”.

    È un messaggio scritto in codice dalla regina Maria Antonietta (17551793), solo recentemente decifrato.

    Il destinatario è il conte Hans Axel von Fersen (1755-1810), che le risponde: “Vivo ed esisto solo per amarvi. Adorarvi è la mia sola consolazione”.

    Lei è la regina di Francia, stretta da ragioni dinastiche nella gabbia di un matrimonio politico, lui un nobile svedese, un’anima ardente sotto una corteccia di ghiaccio. Il loro amore clandestino attraversa la storia della Francia in uno dei suoi momenti più drammatici, quelli della rivoluzione. Tutto era iniziato nell’inverno del 1774, quando la futura regina di Francia e Fersen, appena diciottenni, si incontrarono per la prima volta.

    L’occasione, un gran ballo in maschera all’opéra di Parigi. Lei indossava il “domino”, un lungo mantello con cappuccio, una sottile mascherina a coprire gli occhi e la voglia di innamorarsi, come ogni ragazza della sua età. Lo svedese era arrivato in città nell’ambito del Grand Tour, viaggio d’istruzione che facevano tutti i giovani del suo lignaggio. Alto un metro e novanta, i lineamenti regolari, gli occhi azzurri orlati da scure ciglia nere: per le dame di corte divenne presto le beau Fersen, “Fersen il bello”.

    Raramente i matrimoni dinastici sono felici, ma quello celebrato a Versailles il 16 maggio 1770 tra Maria Antonia Giuseppa Giovanna d’Asburgo-lorena, e il delfino di Francia  fu decisamente infausto.  La prima notte di nozze fu un disastro, ma era solo l’inizio: l’unione rimase “bianca” per i primi sette anni. E fu in questo infruttuoso ménage che Fersen divenne il favorito di Maria Antonietta, quello che più spesso e facilmente poteva accedere al suo cospetto. Il 10 maggio 1774 Luigi XV morì di vaiolo e la delfina divenne la nuova regina di Francia, con la responsabilità e la condotta che questo implicava.  Fersen capì che era meglio cambiare aria. Con sollievo dei cortigiani, ingelositi dalla sua rapida ascesa.

    Passarono anni prima che i due si rivedessero: Fersen era diventato un uomo e faceva i primi passi in politica sotto l’ala del suo sovrano, Gustavo III. Maria Antonietta era una giovane regina finalmente incinta. Anche questa volta Fersen non si trattenne a lungo sul suolo francese. Gli americani si battevano per la loro indipendenza dall’Inghilterra e Parigi, nemica naturale di Londra, inviò oltreoceano un contingente ad appoggiare i ribelli. All’inizio del 1779, Fersen si aggregò.

    Al ritorno, re Gustavo lo portò con sé in un lungo giro diplomatico in Europa, fatto di serate danzanti, cene e incontri galanti.  Nell’estate del 1784, Gustavo e Fersen fecero tappa a Versailles: non ci volle molto perché lo svedese e la regina si lasciassero risucchiare da quel parco dei divertimenti per adulti concepito dal Re Sole oltre un secolo prima. Fersen fece di tutto per rimanere in Francia: sapeva che il legame con la regina poteva giovargli. E non si sbagliava: Maria Antonietta convinse il marito a prestargli il denaro necessario per comprare il comando nel Régiment Royal Suédois, formato quasi esclusivamente da svedesi, che gli avrebbe fruttato una generosa rendita annuae.

    I tempi però stavano per cambiare, e con una velocità che prese tutti alla sprovvista.

    La presa della Bastiglia (14 luglio 1789) segnò la fine di un’epoca. “Tutte le menti degli uomini sono in fermento”, scrive Fersen a un amico.

    Molti di questi opuscoli, di simpatie giacobine, avevano come bersaglio la regina. Non era mai stata popolare e, per i tempi superstiziosi in cui viveva, essere nata il 2 novembre, giorno dei morti, non era d’aiuto. La dipingevano come una donna frivola e spendacciona che, incurante delle miserie del popolo, intrecciava amori saffici con le dame di corte; un’austriaca che si era impadronita del trono di Francia, obbedendo alle direttive della madre Maria Teresa, per condurre la nazione alla rovina. Un fondo di verità c’era. Maria Antonietta sperperava cifre favolose a carte e per il guardaroba, e le sue feste a volte duravano giorni.

    L’odio ispirato dai pamphlet si materializzò il 5 ottobre 1789, quando migliaia di donne marciarono da Parigi a Versailles chiedendo pane per i loro figli. I loro slogan erano tutti contro la regina, identificata con i mali del Paese. Fersen intervenne in difesa di Maria Antonietta: con una galoppata precedette il corteo e fece appena in tempo a metterla al sicuro.

    La marcia un risultato lo ottenne: l’indomani il re e la regina furono costretti a trasferirsi a Parigi, alle Tuileries, un palazzo ormai in rovina sulla riva destra della Senna. Per oltre un anno e mezzo il re ingaggiò un braccio di ferro con i suoi avversari, incerto se fare concessioni o chiamare in suo soccorso gli altri monarchi d’europa.

    Scomparsi i fasti e gli adulatori, per Maria Antonietta sarebbero rimaste disperazione e solitudine, se Fersen, non avesse continuato a esserle fedele. Non fu una scelta ovvia, neanche per un aristocratico come lui che poteva in ogni momento essere eliminato come nemico della rivoluzione.

    Solo nella primavera del 1791 Luigi si convinse a tentare la fuga. L’obiettivo era raggiungere una località a est del Paese, dove un comandante militare fedele lo avrebbe atteso con la sua guarnigione. La comitiva doveva apparire come il seguito di una ricca baronessa. Maria Antonietta finse di essere la governante ma il travestimento non funzionò: a Varennes, nelle Argonne, furono riconosciuti e costretti a tornare sotto custodia nella capitale, tra due ali di folla inferocita. Fersen riuscì per miracolo a evitare la cattura e da quel momento cominciò a girare tra le corti europee, facendosi portavoce dei lealisti che speravano di coinvolgere Paesi come l’austria, l’inghilterra o la Prussia nel soffocare l’esperimento rivoluzionario francese. Non se ne fece niente.

    Il 28 giugno Maria Antonietta scrisse all’amato, rassicurandolo: “Non essere turbato sul mio conto, non mi succederà nulla. L’assemblea Nazionale mostrerà clemenza. Addio, uomo amatissimo. Stai calmo se puoi. Abbi cura di te stesso, fallo per me. Non posso più scrivere, ma nulla al mondo potrebbe impedirmi di adorarti fino alla morte”.  Il 16 ottobre 1793, Maria Antonietta fu condotta al patibolo e ghigliottinata.

    Fersen apprese la notizia della morte dell’amata mentre era a Bruxelles, dove ancora cercava una soluzione. “Sebbene fossi preparato per questo e lo aspettassi, fui devastato”, annotò nelle sue memorie.

    Prima del tragico epilogo erano riusciti a vedersi solo un’ultima volta. Lei gli restituì un anello che molto tempo prima lui le aveva donato, gli consegnò un biglietto su cui era scritta una breve frase, in italiano: “Tutto a te mi guida”.

     

    Fonte: Focus Storia

     

  • Dalla tavola dei Savoia ai giorni nostri.

    DE’  CARDI ovvero…  LA  BAGNA-CAÔDA

    Si  servono  anche  così  crudi,  dopo  di  esser  ben  mondati,  si  fa  bollire  dell’olio,  e  sale,  e si  stempra  dentro  delle  acciughe,  ed  in  questa  salsa  calda  si  bagna  il  Cardo.

    Il  cuoco  piemontese  perfezionato  a  Parigi,  1775,  pp.  276-7)

    Se  oggi  si  pensa  alla  cucina  piemontese,  la  bagna-caôda  è  uno  dei  primi  piatti  a  venire  in  mente.  In  realtà,  nei  ricettari  della  Biblioteca  Reale  non  compare  nessuna  preparazione  con  questo  nome,  ma  in  quattro  testi  si  scorge  la  nostra  bagna-caôda,  sebbene  con  una  sorpresa:  nelle  ricette  sette  e  ottocentesche  mancava  del  tutto  l’aglio,  oggi  ritenuto  indispensabile  e  caratterizzante.  Nell’Ottocento  agli  ingredienti  di  base  –olio,  sale  e  acciughe  –viene  aggiunto  il  tartufo  e  si  può  ipotizzare  che  la  sua  successiva  sostituzione  con  l’aglio  sia  stato  un  adattamento  del  piatto  alle  tavole  delle  classi  meno  abbienti.

     

    AGNELLOTTI  ALL’ITALIANA  ovvero…  GLI  AGNOLOTTI

    Fate  la  pasta  con  farina,  bianchi  d’uova,  sale,  ed  acqua  tepida  […]:  se in  magro,  farete  una  farsa  di  spinacci  imbianchiti  al  butiro,  con  della  crema,  mollica  di  pane,  formaggio  grattugiato,  e  uova  […],  indi  mettete  questa  farsa  sopra  la  pasta  ben  distesa,  rivoltandola  disopra,  poi  tagliatela  collo  sperone,  indi  avrete  dell’acqua  bollente,  in  essa  i  metterete  alquanto  di  sale,  e  poi  gli  agnellotti  […];  indi  cavateli  colla  schiumora,  e  accomodateli  nel  suo  piatto,  un  suolo  di  agnellotti,  ed  altro  di  formaggio  grattugiato,  butiro,  ed  alquanto  di  pepe  […].  Ne  farete  in  grassonella  stessa  maniera,  con  formaggio,  grasso  di  polpa  di  vitello,  e  cotti  nel  buon  brodo,  sempre  di  formaggio  grattugiato  nella  farsa.

    (La  cuciniera  piemontese,  1821,  pp.  8-9)

    Gli  agnolotti  sono  oggi  considerati  un  tradizionale  piatto  piemontese,  ma  i  ricettari della  Biblioteca  li  documentano  solo  sporadicamente  e  per  lo  più  serviti  in  brodo,  come nella  Cuoca  di  buon  gusto  (1800  circa),  dove  hanno“forma  quasi  di  corona”,  sono  ripieni  di  midollo  di  bue  (o  grasso  di  rognone),  carne  di  pollo,  formaggio,  pinoli,  uvetta,  sale,  spezie,  albumi  ed  eventualmente  zafferano.  Per  trovarne  di  più  simili  a  quelli  “tradizionali”  occorre  guardare  al  Dubois  (1868),  dove  sono  farciti  con  brasato  di  bue  e  cipolla  e  conditi  con  sugo  di  carne.

     

    I  GRISSINI  DI  TORINO

    Questi  biscottini  in  forma  di  bacchettuccie  […]  si  formano  con  una  pasta  consistente,  di  farina  di  avena,  acqua  distillata  e  alquanto  sale;  quando  vi  si  aggiunge  del  burro,  essi  sono  più  delicati,  ma  durano  però  meno.  La  pasta  si  fa  con  due  lieviti  onde  essere

    più  sottile  e  poter  più  facilmente  tirarla.  I  fornaj  di  Torino  hanno  in  proposito  tale  abilità,  che  tirano  i  grissini della  lunghezza  di  75 centimetri.  Essi  tagliano  la  pasta  […]  l’infornano,  vale  a  dire  passano  la  pala  coperta  di  grissini  entro  un  forno  ben  caldo,  li  tengono  d’occhio,  li  ritirano  tosto  che  abbiano  raggiunto  il  conveniente  grado  di  cottura.

    (La  cuciniera  universale,  1864,  p.  270)

    Secondo  la  tradizione  i  grissini  furono  inventati  a  Torino  nel  1679  dal  fornaio  di  corte, Antonio  Brunero,  per  il futuro  re  Vittorio  Amedeo  II  che,  allora  tredicenne,  non   digeriva  la  mollica  del  pane.  La  novità  ebbe  immediato  successo  e  si  diffuse  in  tutto  il Piemonte  e  poi  nel  resto  d’Italia.

    LO  ZABAJONE

    Sbattete  sei  rossi  d’uova,  o  più  secondo  il  vostro  bisogno; unitevi  del  vino  dolce  […]  tanto  quanto  ne  potrebbero  contenere  i  gusci  di  tutte  le  uova che  avrete  adoperate,  ed  una  buona  cucchiajata  di  zucchero  per  ogni  due  uova;  esponete  al  fuoco,  seguitando  a  frullare,  e  fate  condensare  come  una  crema  senza  lasciar  bollire.  Indi  versate  in  chicchere  e  servite  caldo  con  dei  biscotti  a  parte. (Il  cuoco  pratico  ed economo,  1864,  p.  178)

    Questa  crema  è  attestata  almeno  dal  Cinquecento  e,  benché  sulla  sua  origine  non  vi siano  certezze,  una  tradizione  molto  diffusa  lo considera  un  dolce  tipicamente  piemontese  e  ne  fa derivare  il  nome  dal  francescano  spagnolo  Pasquale  Baylon,  protettore  dei  pasticceri  e  dei  cuochi,  venerato  a  Torino  presso la  chiesa  di  San  Tommaso:  la  “crema  di  San  Baylon”,  in  seguito  semplicemente  sambayon.

    da “La Cucina del Buongusto” 

  • Si preannuncia un evento irrinunciabile, il cielo mostrerà in tutto il suo splendore l’eclissi totale di Luna più lunga del secolo e una grande opposizione di Marte, il Pianeta Rosso.
    La Luna, infatti, sarà vicina all’apogeo, ovvero alla massima distanza dalla Terra (la cosiddetta “miniluna”), pertanto si immergerà fino al centro dell’ombra terrestre. Per questo motivo l’eclissi sarà la più lunga del secolo, con la fase totale che durerà circa 103 minuti.

    Il fenomeno dell’eclissi totale ha inizio con la Luna che entra nel cono di penombra della Terra. Poi, il satellite si tuffa nel cono d’ombra, con un forte oscuramento, dapprima ridotto, poi sempre più esteso, del disco lunare. Quando la Luna sarà completamente dentro il cono d’ombra, inizierà la fase totale, dopodiché l’eclissi mostrerà fasi speculari a quelle iniziali.

     

    Diretta streaming video grazie al Virtual Telescope Project

  • È il “mezzo di trasporto” più antico, eppure non passerà mai di moda. Viaggiare a piedi è si il modo più faticoso di raggiungere la propria destinazione, ma è sicuramente anche il più intenso, profondo ed emozionante.

    Camminare di per sé è una forma di esercizio fisico che giova al corpo e alla mente. Mettersi in cammino però, significa molto di più. Significa ammettere a se stessi di essere alla ricerca di qualcosa, anche se, spesso, non si ha ben chiaro cosa. Significa essere pronti a fatiche e sacrifici, fisici e mentali.

    Mettersi in cammino significa scegliere la lentezza alla frenesia del mondo contemporaneo. Con tutto ciò che lentezza, fatica e, in alcuni casi solitudine, comportano.

    Quando sei lì, solo, sulla strada, con le tue gambe ed il tuo zaino, non c’è scampo. È già iniziato un cambiamento dentro di te, che sia minimo o radicale. Farai inevitabilmente i conti con i tuoi pensieri, le tue paure, e vivrai a pieno i momenti di meraviglia e gioia che ti si presenteranno lungo la strada.

    Perché sì, una cosa è certa: sulla strada ci sarà sempre qualcosa o qualcuno pronto a sorprenderti.

    Tutti conosciamo  il cammino per eccellenza: il Cammino di Santiago, in Spagna. Il mondo è pieno di cammini spirituali, lunghissimi trekking in regioni paesaggisticamente incredibili, il “viaggio a piedi”  però non è solo una questione geografica.

    Non è necessario andare tanto lontano per vivere esperienze uniche. Anche l’Italia ha i suoi cammini, più o meno lunghi, più o meno wild, più o meno spirituali, ma che attraversano luoghi ugualmente spettacolari e, capaci di lasciare il segno. Se quest’estate volete vivere un’esperienza di viaggio diversa, ecco alcuni dei migliori cammini  d’Italia.

    Inizio con la Via Francigena, la piu conosciuta. E’ un  il cammino di oltre 3000 km che veniva percorso dai pellegrini d’Oltremanica (ma anche da mercanti e soldati) dalla città di Canterbury a Roma e oltre, fino ai porti della Puglia.

    Il cammino attraversa per un brevissimo tratto il sud dell’Inghilterra, taglia in due la Francia, e valica le Alpi passando per la Svizzera e per Aosta. Poi giù, fino a Roma attraversando secoli di storia.

    Nel 2016, l ‘Istituto  degli itinerari Culturali (l’ente europeo che ha il compito di dare attuazione e  sviluppare il programma degli itinerari culturali) ha deciso l’ ampliamento della Via Francigena sino a Brindisi. In pratica,  questa via che sino ad oggi  partiva da  Canterbury  e arrivava  Roma per  portare i pellegrini alla tomba dell’Apostolo Pietro, viene allungata da Roma a Brindisi.

    Il tratto meridionale, infatti, era percorso dai pellegrini franchi che intendevano portarsi in Terra Santa imbarcandosi dai porti pugliesi. La decisione premia queste regioni: Lazio, Campania, Molise, Basilicata e soprattutto Puglia che ha il tratto più lungo, dal Gargano sino a Brindisi. In sostanza, possiamo dire che la Puglia è la regione maggiormente interessata e, in modo particolare il Gargano ( per via del Santuario di San Michele a Monte Sant’ Angelo) e il Salento.

    Lungo la via  Francigena ai pellegrini muniti della Credenziale sarà garantita una sistemazione per la notte nelle strutture predisposte o in quelle convenzionate, che per loro riservano prezzi vantaggiosi… sistemazioni spartane per coerenza rispetto all’esperienza che state facendo, ma i servizi base sono sempre garantiti

    ogni viandante a conclusione di ogni tappa può confidare in un sorriso, un bicchiere d’acqua, e nell’aiuto a togliersi il pesante zaino. Umanità e solidarietà permeano ogni chilometro di questo antico cammino.

    Per maggiori informazioni sulla Via Francigena

    Se poi volete iniziare ascoltando il mondo dei camminatori e sentire un po’ di esperienze riguardo i cammini , potete ascoltare la radio qui 

    Altre info sui Cammini d’Italia sul sito del Ministero del Turismo 

     

  • Dal 23 giugno al 23 agosto 2018, la Rete delle Residenze Reali Europee organizza un concorso fotografico su Instagram!

    Per la prima volta, nell’ambito dell‘Anno europeo dei beni culturali e del progetto “Un posto al tavolo reale“, un concorso fotografico simultaneo su Instagram nei Royal Palaces of Europe sarà l’occasione per condividere un’esperienza unica.

    Questa estate, viaggia nelle più belle residenze reali europee, esplora le stanze dei Palazzi, perditi nei giardini, nei parchi … dettagli, prospettive, guanti, ecc.

    Condividi con noi e con 10 residenze europee, le tue più belle foto!

    Elenco dei partecipanti:

    Palazzo di Versailles (Francia) @ Chateauversailles
    Château de Chambord (Francia) @chateaudechambord
    Palazzo reale di Gödöllö (Ungheria)
    Consorzio delle Residenze Reali Sabaude (Italia) @lavenariareale
    Reggia di Caserta (Italia) @reggiadicaserta
    Musei Reali di Torino (Italia) @museirealitorino #museirealitorino
    Reggia di Monza (Italia) @reggiadimonza
    Museo del re Palazzo di Jan III a Wilanów (Polonia) @wilanowpalac
    Castello reale di Varsavia (Polonia) @zamekkrolewskiwarszawa
    Palazzo reale di Łazienki (Polonia) @lazienkimuzeum
    Historic Royal Palaces (Regno Unito) @historicroyalpalaces
    Musei del Cremlino di Mosca (Russia) @kremlinmuseums

    Per partecipare:

    1 – Pubblica le tue foto usando #europeanroyalpalaces

    2 – Identifica l’account delle residence in ogni foto.

    Alla fine di questo concorso, ogni palazzo selezionerà un vincitore e pubblicherà l’immagine sul suo account! L’immagine del vincitore sarà quindi pubblicata sui social media di tutti i palazzi. Inoltre, il vincitore potrebbe essere invitato a partecipare ad una visita eccezionale!

    Pubblica le tue foto più belle dei palazzi tra i partecipanti all’evento!

    Per maggiori informazioni

  • Non credo nelle favole.
    Ma amo leggerle, e mi piace scriverle.
    Non credo nel destino.
    Ma lo so affrontare.
    Il dolore, la paura, la guerra, la mafia, il terremoto, la malattia, la morte: esistono.
    Non serve a nulla guardare dall’altra parte, fingere di non vedere.
    Ma si può usare un altro punto di vista, che ha il potere di cambiare tutto.
    Io l’ho imparato, l’ho capito, l’ho vissuto.
    Si può sorridere, ad esempio. E anche ridere.
    Si può stringersi gli uni con gli altri.
    Si può parlare, scrivere.
    C’è una parola per questo, difficile e importante, che significa non arrendersi, non tirarsi mai indietro. Non lasciare la partita.
    Resistere agli urti della vita senza spezzarsi.
    Andare avanti a testa alta, sempre avanti. In ogni caso.
    Questa parola è resilienza.
    È una parola che merita attenzione.
    Che va raccontata, spiegata, diffusa.
    Che voglio portare nel mondo, in tutti i modi che conosco e che mi verranno in mente.
    E che ci verranno in mente, perché io ho bisogno di una mano, da tutti voi.
    Possiamo fare tanto di buono insieme. Solo se insieme.
    Perché io non sono Francesca Del Rosso, non sono Wondy.

    Ma Wondy sono io.

    L’Associazione Wondy sono io, in collaborazione con la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, organizza una mostra fotografica in omaggio alla scrittrice e giornalista Francesca Del Rosso, che ha raccontato con sorriso e ironia la sua battaglia contro il cancro.

    Dal 14 al 29 aprile, al Castello di Racconigi, l’esposizione racconta l’amore per i viaggi e per la cultura e la battaglia contro la malattia della protagonista.

    Le tavole testimoniano lo stato di avanzamento del tumore e le reazioni di Wondy, così come sono raccontate anche nel best-seller autobiografico ‘Wondy ovvero come si diventa supereroi per guarire il cancro’ (Rizzoli 2014).

    Fondata dal marito di Francesca, Alessandro Milan, giornalista di Radio 24, l’Associazione Wondy sono Io promuove la “cultura della resilienza” legata alla malattia e al dolore, ma anche ad altri fenomeni grandi e universali (come la lotta alle mafie e alle guerre) o più attinenti al campo personale.

    Fonte: Wondy sono io

  • L’arcipelago che domina il Lago Maggiore, legato alla dinastia Borromeo, può diventare meta di un affascinante Grand Tour.

    Quando l’ultimo traghetto salpa dal porticciolo e sulla costa di fronte del Lago Maggiore inizia a calare il sole sopra gli alberghi in stile liberty di Stresa, quando i vicoli chic e i bar affacciati sul lungolago si svuotano del turismo mordi e fuggi, quando i passi del custode risuonano nelle sale eleganti di Palazzo Borromeo e fra i viali del giardino popolato dai pavoni bianchi, è allora e solo allora che cala il silenzio.

    L’Isola Bella si rivela in pochi minuti nella sua unicità, regalando la sensazione di diventare un po’ padroni di un luogo unico e incantato, che non a caso ha conquistato poeti e scrittori.

    E da qui, avvolti in un’atmosfera esclusiva, ha inizio un viaggio raffinato e solitario fra angoli antichi ricchi di storia ma anche di contemporaneità.

    Le tre le isole borromee: luoghi dal fascino di paradiso perduto come l’Isola Bella, l’Isola Madre e l’Isolino di San Giovanni: solo le prime due, entrambe di proprietà del principe Vitaliano Borromeo (che possiede anche la Rocca di Angera), sono aperte al pubblico e possono essere visitate.

    Nel tour è inclusa anche l’Isola dei Pescatori, a metà strada fra l’Isola Bella e l’Isola Madre nella rotta delle crociere lacustri. L’Isola dei Pescatori non è privata e ospita ristorantini tipici perfetti per una  cena al tramonto.

    Per un’immersione culturale e turistica, fulcro di questo viaggio sull’acqua restano l’Isola Bella e l’Isola Madre, entrambe caratterizzate dal medesimo progetto urbanistico: il palazzo di famiglia e il giardino lussureggiante, ricco di specie botaniche.

    Stresa, perla del Lago Maggiore, esclusiva quanto ambita.

    Per sperimentare una dimensione più discreta è necessario prendere la via del lago. In pochi minuti, sia con il battello che con il motoscafo, si raggiunge la costa dell’Isola Bella, della quale già dal lago s’intravedono il profilo del palazzo secentesco e le architetture barocche dell’immenso giardino all’italiana.

    Approdati sull’isola, si viene accolti da un’atmosfera quasi caprese, con le bancarelle lungolago e i negozietti dei marchi del Made in Italy, seminascosti lungo la via dello shopping di Vicolo del Fornello.

    I prodotti marchiati Isole Borromee con il simbolo dei tre cerchi intrecciati, che rappresentano l’antico sodalizio fra le casate dei Borromeo, dei Visconti e degli Sforza, sono l’espressione più evidente di una corporate identity, ispirata all’antica aristocrazia, che contraddistingue la comunicazione delle isole.

     

    La prima tappa di questo tour è a Palazzo Borromeo, dove è possibile prenotare una visita guidata o noleggiare un’audioguida. L’edificio è in stile barocco; all’interno saloni affrescati, arredi raffinati, stucchi neoclassici e arazzi fiamminghi danno la cifra della potenza della casata nel corso dei secoli.

    La Galleria Berthier con i suoi 130 dipinti vanta esempi notevoli come il Ritratto di uomo in veste di martire del veneziano Vicenzo Catena, allievo di Giovanni Bellini e opere di Paris Bordon, Camillo Procaccini e Daniele Crespi. Durante il percorso lungo le sale dell’edificio, merita una sosta la Sala del Trono: alle pareti due stipi napoletani, placcati in tartaruga, con specchiature in vetro dipinto con vedute e rovine antiche.

    L’ambiente più vasto del palazzo resta il Salone, che si eleva oltre tre piani, a pianta quadrilobata, sopra la quale si sviluppa una cupola con al centro la scritta “Humilitas”, motto della famiglia Borromeo.

    A palazzo soggiornò per due giorni, reduce dalla Campagna d’Italia, Napoleone Bonaparte con la moglie Giuseppina e un seguito di sessanta persone.

    Di quelle notti resta la Sala di Napoleone e il letto a baldacchino dove il generale (non ancora imperatore) aveva dormito cullato dal suono delle onde del lago.

    Da non perdere al piano inferiore di Palazzo Borromeo le grotte rivestite di ciottoli, sassi e schegge di tufo, antico luogo di frescura divenuto nel tempo galleria di oggetti e sculture collezionati dai principi Borromeo.

    Si dice che per trasportare i sassi all’Isola Bella, dal 1759 al 1769, furono impiegate decine di persone che le raccolsero lungo il fiume Intra e sulla riva di Pallanza.

    Dopo il palazzo, tappa obbligatoria è il giardino barocco all’italiana, capolavoro di decori architettonici, geometrie e spazi scenografici di grande impatto a cominciare dall’anfiteatro in pietra con nicchie, statue e obelischi. Il percorso si snoda lungo dieci terrazze, con affaccio diretto sul lago, che occasionalmente ospitano esposizioni e installazioni di arte contemporanea, come quella di Velasco Vitali nel 2013.

    Tra fontane con giochi d’acqua e le torri ottagonali (come la Torre dei Venti, che oggi ospita il bookshop), si possono scoprire angoli suggestivi, come il viale degli Aranci amari, la Serra Elisa e l’edificio della Rotonda con le sue decorazioni a mosaico.

    La vegetazione del giardino è ricca di specie esotiche, ninfee tropicali, conifere, azalee e piante di ogni genere, spesso riparo dei pavoni bianchi dell’isola durante il caldo estivo.

    Conclusa la visita al giardino, si scende di nuovo verso il lungolago. I turisti hanno ormai lasciato l’isola e si viene immersi in una dimensione di tranquillità e armonia, ideale per un’esperienza, tanto antica e rara, di contemplazione del paesaggio del Lago Maggiore.

    La visita riprende verso l’Isola Madre.  Si raggiunge in pochi minuti di navigazione e subito ci si arrampica lungo un rigoglioso giardino all’inglese. “Il luogo più voluttuoso che abbia mai visto” – scrisse Flaubert.

    Specie botaniche esotiche e uniche accompagnano lo sguardo del visitatore che percorre i viali ombreggiati mentre in pochi minuti sale verso il palazzo dell’isola, situato accanto al gigantesco cipresso del Kashmir.

    Meno fastoso di Palazzo Borromeo all’Isola Bella, appare come un’elegante dimora di campagna.

    Lungo lo scalone d’ingresso i volti di questa dinastia (incluso il ramo degli Arese) di cardinali, principi e conti appaiono nei ritratti appesi alle pareti.

    Proseguendo si possono ammirare trompe l’oeil alle pareti, collezioni di porcellane, arredi preziosi e l’inusuale presenza di teatrini e marionette, destinati all’intrattenimento di casa Borromeo durante i secoli passati.

    Lo straordinario materiale di apparati scenici, allestimenti e copioni, distribuito in tre sale del palazzo, rappresenta una delle più importanti collezioni di questo ambito ma anche un patrimonio notevole e una testimonianza di quei teatri di Casa Borromeo che videro impegnati nella realizzazioni importanti scenografi come Alessandro Sanquirico e Carlo Fontana, cui si devono gli effetti di grandiosa risonanza drammatica ottenuti dalla creazione di ambienti prospettici profondi e quasi smisurati.

    Dalle finestre del palazzo dell’Isola Madre, s’intravede il profilo dell’Isolino di San Giovanni, a pochi metri dalla costa e dalla cittadina di Pallanza. Qui nell’estate del 1916 la principessa romana Vittoria Colonna, come racconta Marella Caracciolo Chia nel libro Una parentesi luminosa, visse una bruciante passione per il pittore futurista Umberto Boccioni. Lui morì un mese dopo, cadendo da cavallo: la tragedia mise fine alla storia d’amore clandestina. Rimase uno scambio epistolare in cui le dichiarazioni appassionate si avvicendano sullo sfondo del Lago Maggiore. Ma se l’Isolino, di proprietà privata di un ramo della famiglia Borromeo, non è visitabile, i dipinti di Boccioni eseguiti in quell’estate fra l’Isolino e Stresa sono esposti al pubblico: il magnifico Ritratto di Ferruccio Busoni, oggi conservato alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, e non molti sanno che la sua storia è legata al Lago Maggiore.

    Info e maggiori dettagli Isole Borromee

     

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