La Reggia di Venaria, complesso monumentale alle porte di Torino patrimonio Unesco, ospita dal 29 marzo al 15 settembre 2024 alle Sale delle Arti Capodimonte da Reggia a Museo. Cinque secoli di capolavori da Masaccio a Andy Warhol, una grande mostra con oltre sessanta capolavori provenienti dalle collezioni artistiche di Capodimonte che annoverano grandi maestri da Masac- cio a Parmigianino, da Tiziano a Caravaggio, per citarne alcuni.
Un percorso espositivo imperdibile alla scoperta di una collezione straordinaria, ma anche di una storia affascinante: quella di una Reggia divenuta un grande Museo che, nel corso dei secoli, ha pre- servato alcune tra le più raffinate raccolte d’arte di tutta Europa.
La mostra è resa possibile grazie all’intervento del Ministero della Cultura e realizzata dal Consor- zio delle Residenze Reali Sabaude, in collaborazione con il Museo e Real Bosco di Capodimonte e i Musei Reali di Torino in virtù di un rapporto eccezionale ed esclusivo tra prestigiosi enti culturali di valenza internazionale.
A ricordare gli stretti rapporti tra i Savoia e i Borbone, apre il percorso espositivo una sala dal titolo Artisti ‘napoletani’ per la corte sabauda con importanti prestiti dalle collezioni dei Musei Reali di Torino.
Opere scelte di Francesco Solimena (Canale di Serino 1657 – Barra di Napoli 1768), Sebastiano Conca (Gaeta 1680 – Napoli 1764), Corrado Giaquinto (Molfetta 1703 – Napoli 1766) e Francesco De Mura (Napoli 1696 – 1782) rappresentano qui la grande stagione settecentesca, orchestrata dall’ar- chitetto Filippo Juvarra nella capitale del regno durante gli anni di Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III. Tra gli artisti contemporanei delle diverse scuole pittoriche, i maestri napoletani furono infatti grandi protagonisti attivi per gli altari di corte e i cantieri delle Residenze Sabaude: dal Palazzo Reale di Torino al Castello di Rivoli fino alla Reggia di Venaria.
La mostra allestita alla Reggia di Venaria si propone di raccontare una storia straordinaria che inizia con un giovane sovrano, Carlo di Borbone, alla conquista del trono del Regno di Napoli, appena due anni dopo essere entrato in possesso – nel 1732 – del Ducato di Parma e Piacenza, fa- vorito dalla madre Elisabetta Farnese regina di Spagna.
La sezione dell’eredità materna che riguarda l’esposizione è la collezione d’arte dei Farnese, della quale Carlo, sin dall’inizio del 1734, anno cruciale per la campagna militare che lo avrebbe portato sul trono di Napoli, richiese un rapido inventario “di tutte le gioie, medaglie, tappezzerie, quadri, ed altri adorni e mobili i più preziosi, che siano in cotesta Real Guardaroba e nella Galleria”. La rico- gnizione patrimoniale era intrapresa in previsione del trasferimento delle opere a Napoli, capitale del nuovo Regno.
Il problema di una degna sistemazione della raccolta farnesiana nella città partenopea si pose imme- diatamente: il Palazzo Reale era privo di una Galleria, pertanto sin dal 10 settembre 1738 veniva po- sta la prima pietra del Palazzo Reale di Capodimonte, da erigersi perché il giovane sovrano avesse, con la sua corte, un palazzo con un vasto bosco per le battute di caccia. Si può supporre che sin dalla fondazione la Reggia fosse stata concepita anche per accogliere le collezioni farnesiane: infatti dal 1739 era al lavoro una commissione incaricata di studiare la possibilità di sistemare l’intera raccolta in un’ala dell’edificio in costruzione “destinato per la collezione di quadri, libri, medaglie ed altre cose che vennero di Parma” individuando le camere verso il mare, più luminose, come le più adatte. La disposizione e sistemazione delle opere si può parzialmente ricostruire attraverso le testimo- nianze dei viaggiatori del Grand Tour; con Johann Joachim Winckelmann (1758) e il canonico Sigismondo Manci (1760) si comprende che intorno al 1759 i dipinti erano stati sistemati negli am- bienti luminosi volti a mezzogiorno, nell’unico blocco dell’edificio ultimato. La disposizione era per “medaglioni”: Raffaello e i toscani, Correggio, Parmigianino, Schedoni, Tiziano, i veneti, Annibale Carracci e i Bolognesi del Seicento.
Era sorto il primo museo napoletano con il Regolamento sancito solo nel 1785, che disciplinava gli orari di accesso del pubblico, dei copisti, le responsabilità dei custodi e dei consegnatari. Dopo meno di due secoli, nel 1957, nasce il Museo Nazionale di Capodimonte.
La mostra alla Venaria Reale racconta l’evoluzione di questa storia, attraverso le dinastie regnanti e le opere dei nuclei collezionistici principali: farnesiano, borbonico e opere provenienti dalle chiese del territorio.
I FARNESE E IL COLLEZIONISMO
Le opere della collezione Farnese sono esposte ponendo l’attenzione sulla straordinaria ascesa al potere dei Farnese, in un continuo rincorrersi su e giù per la penisola, da Roma a Parma, a Pia- cenza a Bologna, a Napoli, in Francia, andata e ritorno: seguendo gli interessi di famiglia attraverso matrimoni, le campagne militari per il predominio sulla penisola; talvolta al fianco del Papa, spesso nelle fila dell’esercito imperiale.
In linea con il gusto del Rinascimento maturo, il collezionismo Farnese si snoda tra le residenze di Roma/Parma/Piacenza, inseguendo i maggiori artisti del momento e promuovendo l’attività di altri: da Tiziano ritrattista di corte, ai Parmigianino sequestrati agli aristocratici/ribelli par- mensi, alla preziosa eredità dell’umanista Fulvio Orsini, agli acquisti di opere “antiquarie” come i Masolino e Bellini, al raffinato gusto per la glittica e l’oreficeria, all’apoteosi romana dei Carracci, protagonisti assoluti delle imprese decorative del palazzo di famiglia in Campo de’ Fiori.
Una selezione di dipinti e oggetti che disegnano in facile acchito il rapporto con i personaggi per cui furono realizzati e le vicende che avevano condotto alla realizzazione della raccolta di famiglia che, tra Cinquecento e Settecento, fu una delle più importanti d’Europa.
LA NAPOLI DEI BORBONE
Nel 1734, con l’avvento al trono di Carlo di Borbone, Napoli, dopo oltre due secoli, ridiventa capitale di un Regno: una Napoli cosmopolita, tra le città più importanti d’Europa nel secolo dei lumi, fino alla prima metà dell’Ottocento.
Alla stregua delle grandi famiglie rinascimentali e dei Papi più illustri, anche i Borbone vanta- vano una collezione invidiabile di antichità arricchita ben presto dai ritrovamenti degli scavi dell’area Vesuviana, Pompei, Ercolano e Stabia avviati da pochi decenni. Una raccolta che tra anti- chità, dipinti e arti decorative inserisce Napoli tra le tappe obbligate del Grand tour.
L’insieme di tali vicende va considerato nel contesto più ampio della politica e degli interessi cultu- rali dei Borbone al passo con i tempi per ampiezza di orizzonti e di articolazione.
Carlo aveva voluto creare a Napoli, poco importa se per vanità regale o vera lungimiranza, fabbri- che e manifatture protette la cui produzione raggiunse ben presto livelli di qualità notevoli, dalle porcellane (1743), agli arazzi (1737), alla stamperia reale (1750), alla fabbrica di armi; il figlio Ferdinando, che salì al trono di Napoli quando Carlo andò a Madrid nel 1759 chiamato come re di Spagna, a sua volta riproporrà gusto ed ambizioni analoghe.
Proprio per la ricchezza e l’articolazione del patrimonio artistico accumulato comincia a farsi stra- da negli ultimi decenni del Settecento l’ipotesi di un museo generale in grado di raggruppare tutti i beni di proprietà reale, in linea con quanto la museografia illuminista veniva sviluppando all’epoca in Europa. Per questo scopo, il palazzo di Capodimonte ancora incompleto, non pote- va essere preso in considerazione e si elaborò un progetto di risistemazione dell’antico Palazzo degli Studi fino ad allora sede dell’università, per ospitare le collezioni reali, Farnesiane ed ercolanesi, la biblioteca le accademie con esplicita finalità della fruizione pubblica, pur restando ancora la pro- prietà dei beni di esclusiva pertinenza Reggia.
Il palazzo di Capodimonte invece continuava ad andare avanti con lentezza tra mille ostacoli di natura tecnica ed economica, arricchendosi comunque nel corso della seconda metà del Settecento di ritratti ufficiali affidati ai pennelli celebri di Mengs, Angelika Kauffmann, di dipinti celebrativi di Panini e della folta schiera di vedutisti come Volaire. Entrarono nelle collezioni le prime opere di scuola meridionale tra cui Ribera e Luca Giordano. Alla fine del Settecento la galleria a Capo- dimonte risulta composta da circa 1.800 dipinti, una dimensione particolarmente considere- vole in rapporto le istituzioni coeve, finché nel 1799 le truppe francesi fecero irruzione in città. Il saccheggio è tremendo. Ferdinando di Borbone temendo il peggio aveva messo in salvo a Palermo l’anno prima 14 capolavori tra i più importanti della galleria.
In questi anni si chiude la stagione antica di Capodimonte come istituzione museale per diventare sempre di più reggia sia durante il regno dei napoleonidi – dal 1806 al 1815 – che durante la re- staurazione borbonica ed il periodo post unitario.
Capodimonte diventerà museo statale nel 1957 accogliendo tutte le raccolte medievali e moderne dal Museo nazionale, l’ex Palazzo dei Regi Studi; le collezioni si erano arricchite no- tevolmente nel corso dell’Ottocento, con dipinti provenienti da chiese e conventi per le soppressioni degli ordini monastici, che avevano fatto confluire nel patrimonio regio opere soprattutto di scuola meridionale, come la straordinaria collezione del Quarto dei Priore della Certosa di San Martino: dipinti da camerino con soggetti sacri come la superba Sant’Agata di Francesco Guarino.
FOTO DI COPERTINA:
P. Panini
Carlo di Borbone visita papa Benedetto XIV nella Coffee-House del Quirinale, 1746
Olio su tela
Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte