Materiali innovativi e tecniche di costruzione contemporanee: è così che la straordinariatorre parla con il cielo, grazie ai suoi 56 metri di acciaio e luce. Davvero spettacolare. Frank Gehry, all’età di 90 anni, è riuscito in un’opera imponente, che va al di là di tutti i progetti che ha realizzato nella sua vita. La torre richiama alla memoria il linguaggio pittorico di Van Gogh e si inserisce perfettamente nel contesto circostante, e più precisamente rispetto alla catena montuosa Alpilles.
L’edificio è alto 56 metri, misura 15 mila metri quadri e ha 10 piani. La struttura è realizzata grazie all’assemblaggio di 10.752 blocchi di acciaio inossidabile numerati. Questi blocchi sono messi un modo tale che riescono a prendere, e a riflettere, la luce in tutte le ore le giorno. Davanti agli occhi si apre un effetto tridimensionale e l’opera sembra una nave arenata, resa ancora più stupefacente dal suo colore grigio.
La torre, a questo punto, sembra anche una parete delle Alpilles, da scalare più con la mente che con il corpo perché, all’interno, protagoniste sono tutte le arti applicate, a cominciare dalla fotografia; Arles ospita dal 1969 i famosi «Rescontres», un appuntamento unico al mondo.
Il grande tamburo circolare che sta alla base della torre ricorda l’anfiteatro di Arles, in linea d’aria distante pochi centinaia di metri; un Gehry, parzialmente inedito, attento alla storia della città romana e nello stesso tempo rispettoso degli altri interventi architettonici che nel loro insieme costituiscono una vera e propria cittadella delle arti: appunto il Parc des Ateliers, 6 ettari, che sorgerà là dove era insediata la produzione delle locomotive delle Ferrovie francesi.
Passeggiando in un cantiere ancora aperto (l’inaugurazione completa sarà in primavera), è possibile già vedere, in via di conclusione, gli interventi degli altri progettisti: quelli del paesaggista belga Bas Smets, la ristrutturazione degli ex spazi industriali realizzata dallo studio di New York Annabelle Selidorf e dal francese Marc Barani; quest’ultimo ha già ospitato mostre di Pipilotti Rist, Olafur Eliasson, Daniel Buren e Annie Leibovitz.
La torre sembra anche una parete da scalare, e per questo ricorda le montagne circostanti. Una vetta da raggiungere con la mente, più che con il corpo. Al suo interno, troveranno spazio tutte le arti applicate. Possiamo considerare l’opera di Gehry un grande laboratorio che parla al futuro ma che non dimentica mai le sue origini.
(Foto Getty Images)