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  • Sui social vi sarà capitato di vedere copiata e incollata una bellissima poesia che viene attribuita a Kitty O’Meary, nata nel 1839 e morta nel 1888.

    Nella realtà, senza nulla togliere al significato della poesia, le cose non stanno esattamente così e il fatto che sia stata scritta durante la peste del 1800 è una bufala.

    Probabilmente, la giornalista e scrittrice Irene Vella, mai e poi mai avrebbe immaginato che un suo post sui social, scatenasse questo piccolo giallo.

    L’11 marzo sul proprio profilo pubblica una sua riflessione, una poesia ai tempi del coronavirus in cui racconta la quotidianità attuale, lo stare a casa, il cambiare le proprie abitudini e il mondo parallelo della natura che continua il suo corso: il sole, i fiori, le rondini.

    Poesia di Irene Vella

    Era l’11 marzo del 2020, le strade erano vuote, i negozi chiusi, la gente non usciva più.
    Ma la primavera non sapeva nulla.
    Ed i fiori continuavano a sbocciare
    Ed il sole a splendere
    E tornavano le rondini
    E il cielo si colorava di rosa e di blu
    La mattina si impastava il pane e si informavano i ciambelloni
    Diventava buio sempre più tardi e la mattina le luci entravano presto dalle finestre socchiuse
    Era l’11 marzo 2020 i ragazzi studiavano connessi a discord
    E nel pomeriggio immancabile l’appuntamento a tressette
    Fu l’anno in cui si poteva uscire solo per fare la spesa
    Dopo poco chiusero tutto
    Anche gli uffici
    L’esercito iniziava a presidiare le uscite e i confini
    Perché non c’era più spazio per tutti negli ospedali
    E la gente si ammalava
    Ma la primavera non lo sapeva e le gemme continuavano ad uscire
    Era l’11 marzo del 2020 tutti furono messi in quarantena obbligatoria
    I nonni le famiglie e anche i giovani
    Allora la paura diventò reale
    E le giornate sembravano tutte uguali
    Ma la primavera non lo sapeva e le rose tornarono a fiorire
    Si riscoprì il piacere di mangiare tutti insieme
    Di scrivere lasciando libera l’immaginazione
    Di leggere volando con la fantasia
    Ci fu chi imparò una nuova lingua
    Chi si mise a studiare e chi riprese l’ultimo esame che mancava alla tesi
    Chi capì di amare davvero separato dalla
    vita
    Chi smise di scendere a patti con l’ignoranza
    Chi chiuse l’ufficio e aprì un’osteria con solo otto coperti
    Chi lasciò la fidanzata per urlare al mondo il suo amore per il suo migliore amico
    Ci fu chi diventò dottore per aiutare chiunque un domani ne avesse avuto bisogno
    Fu l’anno in cui si capì l’importanza della salute e degli affetti veri
    L’anno in cui il mondo sembrò fermarsi
    E l’economia andare a picco
    Ma la primavera non lo sapeva e i fiori lasciarono il posto ai frutti
    E poi arrivò il giorno della liberazione
    Eravamo alla tv e il primo ministro disse a reti unificate che l’emergenza era finita
    E che il virus aveva perso
    Che gli italiani tutto insieme avevano vinto
    E allora uscimmo per strada
    Con le lacrime agli occhi
    Senza mascherine e guanti
    Abbracciando il nostro vicino
    Come fosse nostro fratello
    E fu allora che arrivò l’estate
    Perché la primavera non lo sapeva
    Ed aveva continuato ad esserci
    Nonostante tutto
    Nonostante il virus
    Nonostante la paura
    Nonostante la morte
    Perché la primavera non lo sapeva
    Ed insegnò a tutti
    La forza della vita.

  • La mostra racconta il talento, la creatività e la sapienza artigianale della Sartoria Annamode che, dagli anni ‘50, continua con passione a realizzare abiti che hanno reso i nostri costumisti famosi a livello internazionale.

    È a questo insieme di conoscenza, attenzione, arte e manualità che la mostra vuole rendere omag­gio rivelando da vicino quel mondo, fatto di capacità, amore e passione.

    In un visionario percorso espositivo sono messe in scena le “opere” più rappresentative della sartoria dagli anni della “Dolce vita” ai nostri giorni con costumi realizzati per grandi produzioni internazionali.

    Sono parte integrante del racconto le immagini multimediali che consentiranno al pubblico di immergersi nel mondo magico del cinema, in un laboratorio virtuale – ricco di tessuti e colori e accessori – e vivere il mondo affascinante dove l’arte, l’artigianato, il cinema si fondono per trasformare gli attori in personaggi. Apre e chiude la Mostra un omaggio a Federico Fellini e a Piero Tosi, alla loro straordinaria moder­nità e inventiva. In questa sezione saranno esposti gli abiti di plastica della sfilata dell’episodio di Toby Dammit dal film Tre Passi nel Delirio (1968), la cui realizzazione è stata assolutamente inno­vativa per l’epoca e che non sono quasi mai stati esposti per la loro delicatezza e la estrema rarità.

     

    Nell’immagine allegata, abito disegnato da Piero Tosi e realizzato da ANNAMODE per il film Tre passi nel delirio  ep. Toby Dammit di Federico Fellini. Seguirà, appena disponibile, immagine guida della mostra ancora in fase di lavorazione.

  • Da sempre gli animali fanno parte dell’immaginario cinematografico. Dai cani divi storici come Rin Tin Tin e Lassie fino alla nuova ondata di protagonisti a 4 zampe che caratterizzano la  produzione contemporanea, dal Balthazar di Bresson allo squalo di Spielberg, gli animali non cessano di fornire materia per storie di tutti i tipi.

    Il Museo Nazionale del Cinema di Torino celebra gli animali sul grande schermo con una mostra in programma nell’incomparabile scenario della Mole Antonelliana, dal 14 giugno 2017 all’8 gennaio 2018.
    Articolata in dieci differenti sezioni tematiche, la mostra racconta allo spettatore un universo multiforme.

    Fotografie, manifesti, storyboard, costumi di scena, memorabilia e animatronics dialogheranno con le sequenze dei film assemblati in montaggi speciali.

    Due i temi principali della mostra.

    • cos’è una star animale? In particolare, qual è la relazione tra icona popolare e animale (spesso non un singolo, ma più di uno) in carne ed ossa che lo rappresentano sulla schermo?
    • esiste una “recitazione animale”? E come definirla oggi, quando animatronics ed effetti speciali digitali spingono verso personaggi di animali che sembrano sempre più esseri umani, mutandone la natura stessa?

    Gli oggetti in esposizione provengono dalle collezioni del Museo Nazionale del Cinema, e da importanti istituzioni internazionali, tra  cui l’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences di Los Angeles, la NBCUniversal Archives & Collections, La Cinémathèque française, il  Palm Dog Award, e da collezionisti e professionisti del mondo del cinema, come il Premio Oscar per i migliori effetti speciali John Cox.
    La mostra è a cura di Davide Ferrario e Donata Pesenti Campagnoni, con la collaborazione di Tamara Sillo e Nicoletta Pacini.

    Partner e sponsor

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  • Si chiama Fritz, l’ospite più singolare della residenza di Caccia Sabauda di Stupinigi nell’Ottocento.

    Arrivò a Torino come dono da parte del viceré d’Egitto Mohamed Alì per il Re di Sardegna Carlo Felice, che aveva inviato in omaggio cento pecore merinos: uno scambio di favori!

    La presenza dell’elefante Fritz va a completare il quadro di quello che si può considerare il primo giardino zoologico italiano che per rimediare all’impoverimento della fauna nel parco della Palazzina, causato dalle continue battute di caccia del Re e della corte, a fine Settecento alcuni locali cominciarono ad allevare cervi e fagiani.

    Appena sbarcò a Torino divenne rapidamente famoso in tutta la città.

    Cosa ci facesse un animale così esotico e così ingombrante nei giardini della famiglia reale è da ricercarsi nei rapporti internazionali della famiglia Savoia e dal ritorno dell’uso e del gusto circense di radici romane.

    Ballava a suon di musica e mangiava circa 50 pagnotte, 24 cavoli lombardi, riso cotto e due pinte di vino al giorno.

    Con l’intensificarsi dei contatti internazionali il giardino iniziò ad aprire le porte a numerosi animali esotici: mufloni, gazzelle, camosci e canguri.

    Le corti amavano esibire i loro rari esemplari davanti ai nobili e al popolino, che impazzivano di fronte alla loro singolarità.

    Il pachiderma indiano giunse in Piemonte all’età di 27 anni, nove mesi dopo la sua partenza da Alessandria d’Egitto, dove fu imbarcato insieme a due giraffe.

    Fritz non fu il primo elefante a visitare la terra piemontese. Successe già nel 1774, quando un suo simile si esibì in un baraccone dietro piazza Castello.

    Niente a che vedere con il successo e il mito che si creò con l’elefante di casa Savoia. Fritz abitò a Stupinigi per 25 anni e ad ogni esibizione la popolazione lo salutava con grande entusiasmo.

    L’animale, con l’immagine dell’elefante buono e simpatico che si mette in mostra ballando a tempo di musica, diventa rapidamente una favola esotica nell’immaginario della popolazione torinese.

    Una realtà molto lontana dallo stato d’animo della bestia, che diventa tragedia appena muore uno dei suoi custodi.

    Rattristato dall’assenza di una figura che lo aveva allevato per 25 anni, come spesso accade agli animali tenuti in cattività, l’elefante smette di collaborare e cade in depressione.

    L’ascesa al trono sabaudo di Vittorio Emanuele II non favorisce il destino dell’animale: nuovo re non considerava la vita dell’elefante una causa così rilevante per cui spendere tempo, tantomeno denaro.

    Nel 1847 Fritz tocca il massimo della sua depressione quando uccise un custode che cercava di farlo uscire dal suo recinto.

    L’animale impazzì e iniziò a distruggere tutto ciò che lo circondava nel recinto dei giardini di Stupinigi.

    E come succede ancora oggi quando un animale diventa inspiegabilmente violento e cattivo, le alternative in mano all’uomo sarebbero molte, ma spesso ricorre a quella definitiva.

    Nel 1852 l’elefante “triste” Fritz viene abbattuto con il metodo dell’asfissia attraverso il monossido di carbonio.

    La storia di Fritz continua  al Museo di Scienze Naturali di Torino, dove è possibile osservare le sue fattezze imbalsamate.

     

     

     

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