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  • Il 9 gennaio 1878 muore a Roma Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia. Pochi mesi dopo il figlio Umberto, succedutogli al trono, decide di depositare nell’Armeria Reale di Torino la ricca raccolta di armi appartenuta al padre. Si trattava di un nucleo di oltre cento opere, che negli anni successivi fu ulteriormente incrementato fino a raggiungere più di 350 esemplari.

    Altre armi di Vittorio Emanuele II continuarono a confluire a Torino anche dopo l’estate del 1878, soprattutto per iniziativa della casa regnante. Nel 1880 furono inviati un elmo e una corazza selezionati tra un cospicuo nucleo di oggetti conservati nel Magazzino centrale militare di Firenze, utilizzati nelle feste di matrimonio di Vittorio Emanuele II e di Umberto I. Sempre quello stesso anno furono depositati gli abiti indossati dal sovrano in occasione di un torneo svoltosi nel 1845 nel parco di Racconigi. Nel 1881 confluirono le onorificenze, già in Palazzo Reale, appartenenti a Carlo Alberto e Vittorio Emanuele, mentre nel 1889 fu inviata a Torino la spada che il re aveva impugnato nella battaglia di San Martino del 1859.

    Oltre alle armi, la raccolta comprende bandiere, uniformi, onorificenze e altri oggetti strettamente personali, in larga parte esposti nelle vetrine 1, 3, 4, 5 e 6 della Rotonda. Alcuni si collegano al ruolo pubblico del sovrano, come i doni diplomatici o le armi che ricordano le battaglie del Risorgimento, altri sono da mettere in relazione con gli interessi personali di Vittorio Emanuele II, primo fra tutti la caccia, documentata da una spettacolare collezione di fucili e coltelli. 

    Tra gli oggetti appartenuti a Vittorio Emanuele II spicca una spada realizzata intorno al 1852 da Don Eusebio Zuloaga, famoso armaiolo spagnolo che visitò l’Armeria Reale nel 1875. La lama di Toledo reca inciso lo stemma del regno di Castiglia e Léon mentre il fornimento, finemente lavorato, riporta una raffigurazione della battaglia di Goito del 1848, vinta dall’esercito piemontese capitanato da Carlo Alberto contro gli austriaci di Radetzky. Un altro oggetto di particolare pregio è una sciabola, completa di fodero, che venne dedicata al sovrano nel 1861, anno dell’unificazione italiana, dalle popolazioni di Modena, Massa e Carrara, Guastalla, Garfagnana e Frignan: sulla lama, in acciaio damasco e con decorazioni in oro di trofei d’armi, è riportato il marchio della nota famiglia Hoppe di Solingen; lo scultore e medaglista Giovanni Rinzi di Milano realizzò il fornimento con impugnatura in argento massiccio e un’effige del Re scolpita nella vela. Da mettere invece in relazione con gli interessi personali di Vittorio Emanuele II vi è un archibugio da caccia a pietra focaia a due colpi della fine del Seicento: appartenne con ogni probabilità a Ferdinando de’ Medici o a Francesco Maria de’ Medici, entrambi appassionati cacciatori; sulla canna lo scudo mediceo è scolpito in argento dorato, mentre il calcio riporta sulle due guance il monogramma “FM” coronato: venne realizzato a Londra dall’olandese Andrew Dolep uno dei maggiori armaioli attivi nella capitale inglese tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento. 

    Nei primi mesi del 2020 si è avviato il progetto di riallestimento delle vetrine della Rotonda con l’esposizione delle armi orientali e il riordino delle raccolte del Re, nuclei dei quali si è iniziata anche la catalogazione scientifica. 

    Dal catalogo “Una carrozza e le armi del Re. Le raccolte di Vittorio Emanuele II nell’Armeria Reale” a cura di Giorgio Careddu e Marco Lattanzi, Editris 

  • I doni dell’Imperatore

    L’ingresso nelle collezioni dei Savoia di due delle tre armature giapponesi complete conservate nell’Armeria è conseguente all’apertura di relazioni diplomatiche, avvenute a seguito della firma del trattato di amicizia e commercio tra il Regno d’Italia e l’Impero giapponese, siglato il 25 agosto 1866 e successivamente ratificato a Edo, l’odierna Tokyo. Le armature B. 53 e B. 54 vennero donate a Vittorio Emanuele II dall’imperatore del Giappone Meiji rispettivamente nel 1869 e nel 1871, a pochi anni di distanza dalla stipula dell’intesa tra i due Paesi. 

    Si trattava di doni prestigiosi, come testimoniano la cura nel realizzarle e la scelta dei materiali impiegati, a indicare che erano destinate a personaggi di rango elevato. Le due armature, con le collezioni extraeuropee, vennero allestite nella Rotonda, sala in cui furono sistemate pochi anni dopo anche le raccolte di Vittorio Emanuele II. A differenza della B. 53, montata già nell’Ottocento su un manichino, l’armatura B. 54 è stata riproposta nel suo insieme solamente ora, per sottolinearne l’aspetto unitario e facilitarne una più immediata lettura.

    Le armature giapponesi B. 53 e B. 54

    L’armatura B. 53, costituita da lamelle in cuoio e metallo laccato e dorato, unite da fettucce di seta azzurre e arancio, è un apparato difensivo leggero utilizzato per lo scontro a piedi (do-maru). Le sue parti, caratteristiche della tradizione militare giapponese tra il XII e il XIX secolo, rispondono alla necessità di garantire, nello stesso tempo, resistenza e libertà di movimento.  L’armatura è esposta insieme alla spada (tachi), indispensabile corredo del samurai: identificata con l’anima stessa del proprietario, era un simbolo del suo onore e del suo stato sociale.

    L’armatura B. 54, collocabile all’interno del periodo Edo (1603-1868), è invece il frutto dell’assemblaggio di elementi differenti, ma coerenti tra di loro. Tre stemmi appartenenti a casate diverse sono posti sulla maschera, sulle manopole e sul kabuto (elmo). Quest’ultimo, firmato dell’autore Yoshihisa, è l’elemento più antico e risale al XVI secolo.  Per quanto concerne la corazza, di due secoli dopo, si è di fronte a una hatomune okegawa-do ovvero a una corazza realizzata per un’armatura moderna (tosei gusoku) e composta da lamelle rivettate e attraversate da una piega centrale posta verticalmente. Oltre alla firma dell’autore, sulla corazza sono presenti ideogrammi ageminati che riportano una invocazione alla “grande divinità del monte Fuji”. Quest’armatura è assai differente dalla tipologia do-maru della B. 53 in uso prima della introduzione delle armi da fuoco occidentali in Giappone. Gli altri elementi che compongono l’armatura sono posteriori, tra cui la corazza che presenta in corrispondenza del lato di apertura la firma dell’armaiolo Munenori di Osaka, vissuto almeno due secoli dopo.

     Dal catalogo “Una carrozza e le armi del Re. Le raccolte di Vittorio Emanuele II nell’Armeria Reale” a cura di Giorgio Careddu e Marco Lattanzi, Editris.

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