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  • Avviata una raccolta di firme per chiedere al primo ministro egiziano di avviare trattative per la restituzione della Stele egizia, oggi conservata nel museo inglese.

     

    Forse in cuor nostro sapevamo che questo momento sarebbe arrivato. Il momento in cui gli Stati avrebbero richiesto in massa importanti opere d’arte collocate fuori dai confini nazionali. Oggi è la volta della cosiddetta Stele di Rosetta , una stele egizia di granodiorite alta più di 114 cm e larga 72 così chiamata perché rinvenuta nel 1799 nei pressi della città antica di Rashid, ovvero Rosetta, situata sul delta del Nilo. A scoprirla per caso fu Pierre-François Bouchard, capitano dell’esercito francese di stanza in Egitto durante la campagna voluta dal generale Napoleone Bonaparte.
    La Stele, che presenta un’iscrizione in tre lingue: geroglifico, demotico (una diversa grafia della lingua egizia poi evoluta nel copto) e greco antico, è un decreto emesso da Tolomeo V nel 197 a.C. concedente favori alla classe sacerdotale egiziana. La Stele è fondamentale per avere aperto le porte alla decifrazione del geroglifico grazie allo studio dell’archeologo ed egittologo francese Jean-François Champollion del 1802. L’anniversario dei duecento anni della decifrazione si è festeggiato lo scorso 2 settembre.

    La storia

    Tornando alla storia della Stele, questa dopo essere stata fatta bottino di guerra dall’esercito di Bonaparte fu messa in viaggio per Parigi. Ma alla capitale la Stele non arrivò mai perché nel 1801, dopo la capitolazione di Alessandria d’Egitto, i francesi firmarono con gli inglesi la resa, sotto forma del Trattato di Alessandria (appunto) che prevedeva anche la traslazione a Londra di 16 opere d’arte tra cui la Stele di Rosetta. Si trattava di opere che la Commission des Sciences et des Arts francese aveva acquisito tramite l’Institut d’Égypte. Oggi la Stele è conservata nelle sale del British Museum di Londra. Nel novembre 2010, l’esperto di antichità egiziane il dottor Zahi Hawass si era già attivato per la restituzione della Stele. La richiesta del 2010 cavalcava l’onda della restituzione da parte del Metropolitan Museum di New York di 19 oggetti provenienti dalla tomba di Tutankhamon. Secondo la BBC, il dottor Hawass era disposto anche a negoziare un prestito tra Egitto e UK per il costituendo Grande Museo Egiziano (fuori dal Cairo e vicino Giza) la cui apertura era prevista per il 2013, ma che ancora, nel 2022, non ha aperto le porte a nessun visitatore.

    La raccolta firme

    L’Egitto, oggi, ci prova di nuovo e questa volta eminenti archeologi hanno raccolto più di 2.500 firme per rivendicare alcune antichità sparse per il mondo, tra cui la Stele, a farlo sapere è Monica Hanna, preside ad interim del Collegio di Archeologia di Assuan. Le firme servono ad incoraggiare l’azione del Primo Ministro egiziano Mostafa Madbouly a lavorare attraverso mezzi legali e diplomatici per recuperare le antichità. Secondo i firmatari della petizione gli oggetti sono parte integrante del patrimonio nazionale egiziano e la loro continua esposizione nelle istituzioni europee ignora deliberatamente una storia di saccheggi e sfruttamento colonialisti. Forse più che ignorare il verbo esatto è perpetuare una visione accondiscendente verso i bottini di guerra del passato. Questo era parso un momentum favorevole alle restituzioni – pochi giorni fa lo Smithsonian ha restituito 29 bronzi alla Nigeria — e l’Egitto sperava in un cambio di atteggiamento nei confronti degli errori commessi durante il passato coloniale del Regno Unito e della Francia, complice anche un cambiamento nei codici etici dei musei che ammetto deaccessioning per questioni morali o di legittimità, come rimediare ad antichi saccheggi.

    Truss frena

    Ad accrescere l’entusiasmo e le aspettative aveva contribuito, forse, l’atteggiamento dell’ultimo anno del British Museum: più conciliante, che sembrava prendere in considerazione un prestito «all’italiana». Invece guardando quello che sta accadendo con i Marmi del Partenone bisognerà ricredersi. È di pochi giorni fa la notizia che la Prima Ministra britannica Liz Truss ha negato l’ennesima richiesta di restituire alla Grecia i fregi del tempio di Atena Parthenos anch’essi conservati al British Museum. La conservatrice Truss ha chiuso la faccenda con un secco: “No, non sono favorevole”. Questa chiusura totale non fa ben sperare per la domanda di restituzione della Stele, una richiesta ancora così debole e poco o male ‘armata’.

  • Fonte AGI 07:43 –

    Esposti oltre 200 pezzi tra manoscritti, sculture, gioielli e manufatti provenienti dal palazzo imperiale a Roma e dalle strade di Pompei per capire come il racconto della vicenda dell’imperatore sia stato falsificato nel tempo e rivelare “l’uomo dietro al mito”

     

    Per la sua riapertura dopo il lockdown, il British Museum punta sull’imperatore romano Nerone, con una mostra blockbuster che ambisce a fare luce sull’uomo oltre il mito e la controversia.

    Per distinguere i fatti realmente accaduti dalla leggenda, i curatori hanno messo insieme reperti del British Museum accanto a prestiti provenienti da varie parti d’Europa, di cui molti saranno esposti per la prima volta in Gran Bretagna, oltre ad aver tenuto conto degli esiti delle ultime ricerche su ritrovamenti archeologici e fonti storiografiche.

    La mostra, visitabile fino al 24 ottobre, ripercorre l’ascesa al potere di Nerone e il suo intero percorso politico, andato di pari passo con un profondo cambiamento interno dell’Impero romano.

    Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, nato ad Anzio nel 37 come Lucio Domizio Enobarbo, è stato l’ultimo discendente maschio del primo imperatore Augusto di Roma, appartenente alla dinastia giulio-claudia. E’ salito al potere a soli 16 anni, nel 54, ed è morto suicida nel 68, a 30 anni. Il suo regno turbolento – inizialmente con la madre Agrippina e l’aiuto del filosofo Seneca – è stato segnato da eventi drammatici quali l’uccisione da lui ordinata della madre, della prima moglie e forse anche della seconda, oltre al clamoroso incendio di Roma nel 64, la grande ribellione di Buddica in Britannia, progetti faraonici ed eccessi all’insegna della stravaganza.

    “Chi è davvero Nerone?”: è la domanda alla quale la mostra londinese intende rispondere, andando oltre strumentalizzazioni, speculazioni e leggende. Sono sostanzialmente due le strade percorribili: la prima ritiene che l’imperatore sia stato uno spietato megalomane matricida mentre per la seconda sarebbe stato un giovane governante senza alcuna esperienza, che ha cercato di fare del suo meglio in un società romana divisa e in fase di trasformazione.

    Sulla base dei reperti storici e delle ultime ricerche storiche ed archeologiche, l’esposizione getta nuova luce sulla narrativa tradizionale del tiranno spietato ed eccentrico per rivelare il suo lato nascosto, quello di un leader populista in un’epoca di grande cambiamento. Una delle vicende più note è l’incendio di Roma, del quale gli studiosi moderni tendono a discolparlo dopo che per secoli si è detto che lo avesse appiccato per far ricostruire la città ed edificare la propria maestosa residenza, la Domus Aurea.

    “Nerone conquistò un ampio consenso popolare grazie alle sue politiche, ai giochi, agli spettacoli e ai grandi progetti di costruzione, in netto contrasto con coloro che tramandarono la sua storia, dando origine all’immagine che abbiamo tutt’oggi di un tiranno pazzo” si legge nella presentazione della mostra sul sito del British Museum.

    “Il Nerone del nostro immaginario è una figura completamente artificiale, costruita già 2000 anni fa. È affascinante svelare come e perché ciò è stato fatto”, ha spiegato Thorsten Opper, curatore del dipartimento Antica Roma del museo londinese. “La mostra rivela una società prospera e dinamica, ma piena di tensioni interne – ha sottolineato Opper – scoppiata in una violenta guerra civile dopo la morte di Nerone. Gli oggetti raccontano queste storie, in modo netto e immediato”.

    L’immagine dell’imperatore tiranno è stata costruita dalla nuova élite al potere a Roma, circa 50 anni dopo la sua morte, dagli storici Tacito e Svetonio e successivamente riscritta da Lucio Cassio Dione, per essere tramandata fino ad oggi.

     

  • Oltre un decennio dopo aver attaccato sfacciatamente un’opera d’arte fasulla sul muro di una delle sue gallerie, Banksy ha ufficialmente aderito per la prima volta alla collezione del British Museum.

    Il museo ha, infatti, acquisito la sua prima opera dell’artista anonimo re della street art: una falsa banconota da £ 10 raffigurante Diana, principessa del Galles, che si unirà alla sua collezione di monete, medaglie e altra valuta.

    L’opera, intitolata Di-faced Tenner, era una delle migliaia di copie prodotte dall’artista nel 2004 come parte di una “prodezza” artistica.

    Contattato dal Guardian, un portavoce dell’artista ha detto che la banconota è stata donata da “qualcuno che gestisce il cambio di valuta di Banksy”. Oltre a mostrare la faccia di Diana al posto di quella della regina, la nota è stata modificata in “Banksy of England” e il motto: “I promise to pay the bearer on demand the ultimate price”.

    “C’è una lunga storia di discorsi politici e sociali attraverso questo tipo di protesta che ci ha fatto desiderare di acquisirlo”, ha detto Hockenhull. “Inoltre, è un Banksy. È un’opportunità per noi di avere un’opera di un artista di quella statura come parte di una collezione che le persone potrebbero non considerare il tipico luogo per un’opera di Banksy. Dal nostro punto di vista, si unisce a una lunga lista di artisti che hanno creato, adattato o distrutto valuta per gli scopi del proprio lavoro”.

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