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  • Tutti pronti per #RegenerAction, a Parco Dora dal 22 al 26 settembre.

    Terra Madre Salone del Gusto torna a Torino. La manifestazione di Slow Food, Comune di Torino e Regione Piemonte anima le architetture ex industriali di Parco Dora a Torino con le sue forme, i colori e profumi, le sue voci ma anche con la gioia e l’entusiasmo di potersi incontrare di nuovo, convinti che il cibo possa essere un ponte per la pace e mostrando come, attraverso l’inclusione e lo scambio, possiamo coltivare insieme un presente migliore.

    Giunta alla 14esima edizione, la più importante manifestazione internazionale dedicata al cibo buono, pulito e giusto e a chi lo produce, riunisce a Torino oltre 3 mila contadini e allevatori, popoli indigeni e cuochi, migranti e giovani attivisti da 150 Paesi intorno al claim #RegenerAction: una rigenerazione che parte dal cibo affinché questo diventi motore della transizione ecologica necessaria al profondo rinnovamento del pensiero e della società, unica via per affrontare le crisi in atto. Rinnovare le pratiche agricole, i sistemi di produzione e distribuzione, le diete e le abitudini di consumo, nelle città come nei piccoli borghi, sono azioni tangibili e concrete che la comunità globale può e deve sostenere.

    «Se vogliamo realizzare una vera rigenerazione di città, campagne e borghi a partire dalla produzione e distribuzione del cibo, dobbiamo superare la visione che vede innovazione e tradizione come elementi contrapposti – sottolinea Carlo Petrini, fondatore di Slow Food –. Questa dicotomia è controproducente: sono convinto che esista vera innovazione quando una tradizione ha successo. Chi oggi può realizzare vera innovazione? Io sono convinto che solo le comunità possano realizzarla, perché si fondano sulla sicurezza affettiva, sulla socialità, sulle relazioni personali: tutti fattori che hanno a che vedere con la gioia e la felicità, e dai quali può scaturire un vero cambio di paradigma. Le comunità, inoltre, possono produrre innovazione perché conservano salde radici territoriali e possiedono la consapevolezza che il patrimonio esistente può generare ricadute positive in maniera diffusa. Sono convinto che sia attraverso di loro che affronteremo con successo il lungo periodo di transizione agroecologica che ci attende».

    «Il tema scelto in questa edizione di Terra Madre Salone del Gusto rappresenta perfettamente la ripartenza che finalmente stiamo vivendo e di cui tutti abbiamo bisogno – sottolinea Alberto Cirio, presidente della Regione Piemonte –. Siamo emozionati ed entusiasti nel poter nuovamente ospitare in Piemonte le comunità di Terra Madre per un evento che valica i confini e che è non è più solo un simbolo della nostra regione, ma è diventato un patrimonio per il nostro territorio, rendendolo davvero unico e conosciuto a tutte le latitudini».

    «L’evento internazionale dedicato alle politiche del cibo e all’agricoltura sarà a Parco Dora e questo mi rende particolarmente fiero – dichiara Stefano Lo Russo, sindaco della Città di Torino -. Terra Madre Salone del Gusto animerà un’area che fino a qualche anno fa ospitava impianti produttivi e acciaierie e ora è uno dei più importanti polmoni verdi di Torino. Un luogo perfetto per mostrare concretamente un esempio di rigenerazione ambientale e sociale. Torino vuole sempre più caratterizzarsi come città degli eventi internazionali, vogliamo aprirci al mondo e allargare il perimetro del dibattito, oggi sul cibo come cultura ma così come facciamo per molti altri settori che animano il dibattito pubblico».

    E sono proprio le buone pratiche di rigenerazione quelle di cui il pubblico può fare esperienza durante i cinque giorni di Terra Madre, incontrando le centinaia di espositori italiani ed europei del Mercato, le Regioni con i loro spazi istituzionali e i progetti, i produttori dei Presìdi Slow Food, partecipando alle attività e ai percorsi interattivi dedicati alla Biodiversità, all’Educazione e all’Advocacy, agli oltre 40 Laboratori del Gusto e agli Appuntamenti a Tavola, alle grandi Conferenze e agli incontri in Arena con filosofi ed economisti, attivisti, artisti e ricercatori, tra i quali citiamo Elena Granata, Rupa Marya, Michael Moss, Raj Patel, Willie Peyote, Telmo Pievani, Carolyn Steel, Selma Dealdina, Don Luigi Ciotti, Corinna Hawkes, Elisa Loncon, Nevin Cohen, Serge Latouche e Larissa Mies Bombardi.

    Non mancano i momenti dedicati alla conoscenza dei prodotti e alla degustazione grazie alle Cucine di Strada e ai Food Truck accompagnati dalle specialità brassicole dei birrifici italiani. Le reti internazionali sono protagoniste dell’Enoteca, lo spazio che riunisce i produttori della Slow Wine Coalition con approfondimenti e degustazioni, non solo di vino ma anche di vermouth e cocktail; e della Cucina di Terra Madre, palcoscenico dei cuochi dell’Alleanza Slow Food e luogo privilegiato per assaggiare tante preparazioni gastronomiche da tutto il mondo, accompagnati dai caffè dei produttori della Slow Food Coffee Coalition.

    Terra Madre Salone del Gusto 2022 ritorna con tutte le proposte delle edizioni in presenza, ma non rinuncia al meglio dell’edizione resiliente del 2020 che per sette mesi ha raccontato sul web storie e personaggi, con tantissimi contenuti online ma anche eventi diffusi, attività, esperienze organizzate dalla rete in Italia e nel mondo, per chi non potrà viaggiare. Tra le novità, anche un portale digitale per connettere i delegati della rete Slow Food in giro per il mondo condividendo storie ed esperienze.

    Al centro di Terra Madre Salone del Gusto 2022 c’è la rigenerazione. Un tema ampio e trasversale, che Slow Food affronta da diversi punti di vista. Dalla produzione al consumo di cibo, passando per la distribuzione e focalizzandosi sulle conseguenze ambientali, energetiche, sociali, economiche e politiche delle scelte individuali e collettive. Nei cinque giorni di evento si sviluppa un dialogo basato sull’approccio olistico al tema dell’alimentazione, superando le barriere e i confini disegnati sulle mappe geografiche e scommettendo sulla conoscenza e sulle buone pratiche delle Comunità di Slow Food presenti in tutto il mondo. Terra Madre Salone del Gusto 2022, a Parco Dora, Torino, dal 22 al 26 settembre, è il luogo dove mettere in condivisione questo prezioso bagaglio di cultura e stimolare il cambiamento. Un cambiamento che passa attraverso la rigenerazione dei sistemi alimentari, come sottolineano Barbara Nappini e Serena Milano, rispettivamente presidente e direttrice di Slow Food Italia.

    Terra Madre Salone del Gusto è organizzata grazie al contributo di tante aziende che credono nella manifestazione e nel cibo come motore di cambiamento. Tra le realtà con cui stiamo costruendo questa 14esima edizione citiamo i Main Partner: Iren, Lavazza, Parmigiano Reggiano, Pastificio Di Martino, Quality Beer Academy, Reale Mutua, UniCredit. Con il sostegno di Consulta delle Fondazioni di Origine Bancaria del Piemonte e della Liguria, Fondazione Compagnia di Sanpaolo, Fondazione CRT. Con il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, il Ministero per la Transizione Ecologica e Anci.

    La manifestazione è a ingresso libero, il programma degli eventi è online, e in continuo aggiornamento, su www.terramadresalonedelgusto.com

  • Pietanze prelibate e una sfarzosa “mise en place” alla tavola del Re Sole, dove sedevano anche migliaia di persone.

    Agli ordini dell’esigente maître una schiera di chef, sous chef, sommelier, rosticcieri e pasticcieri si affannava nelle grandi cucine, dove fuochi e forni erano sempre accesi e le grandi marmitte non smettevano mai di sobbollire. Dalle cantine, le cui chiavi erano gelosamente custodite, uscivano bottiglie di magnifici rossi di Borgogna o di Champagne; dagli orti di palazzo, coltivati con tecniche all’avanguardia, arrivavano canestri di verdura, frutta, erbe aromatiche e funghi; dai boschi reali, cacciagione e deliziosi tartufi. Sui taglieri veniva sezionato ogni genere di animale, dal manzo al castoro, dai crostacei alle tartarughe, passando dagli uccelli le cui giunture venivano recise con cura.

    Alla tavola del Re Sole ogni giorno si accomodavano migliaia di nobili con il loro seguito: il sovrano infatti aveva preteso che il suo entourage lasciasse Parigi per seguirlo nella dorata gabbia di Versailles. Si mangiava tutti insieme, come alla mensa di una grande azienda, solo che tutto doveva essere superlativo, perché il cibo rappresentava la generosità del re. Ma per nutrire un simile esercito, ce ne voleva un altro che lavorasse tra i fumi delle cucine.

    TABLEAU ROYAL.

    Un banchetto reale, nelle grandi occasioni, prevedeva non meno di quattro o cinque portate. Immensi vassoi viaggiavano veloci dalle cucine alle sale imbandite, carichi di pietanze ricercate, dall’aspetto magnifico, protette da campane d’argento, pronti ad atterrare sulle tavole con precisione e simultaneità. Tutto arrivava a ondate per trasmettere la sensazione di ricchezza e abbondanza: antipasti, arrosti, stufati, cacciagione, erano intervallati da entremets (portate intermedie, “leggere”, servite tra una pietanza e l’altra) come lingue di cervo, piedini di maiale cotti nel brodo, o morbide tettine di vacca. Le spezie, invece, un tempo ritenute merce pregiata, caddero in disuso quando, nel Seicento, i veneziani persero il monopolio del commercio con l’oriente, causando la caduta dei prezzi e trasformando gli aromi da cucina in prodotti ordinari.

    BUONE MANIERE.

    I cortigiani del Re Sole amavano ascoltare la musica a tavola; in mancanza di musici, apprezzavano anche cantanti, a cui spesso i commensali si univano al ritornello, incuranti del cibo che avevano in bocca.

    Per bere bastava fare un segno al cameriere personale. Una volta vuotato, il bicchiere veniva sciacquato in un bacile, e poco importava se durante il pranzo i recipienti si scambiavano. Il concetto di igiene era molto diverso dal nostro. L’uso delle posate era a discrezione dei commensali, perciò era facile vedere un compìto marchese pulirsi le dita sporche di grasso nella tovaglia dopo aver mangiato con le mani, o una bella contessa sputare nella mano un boccone sgradito e gettarlo sotto il tavolo per gli alani. Manuali di etichetta destinati all’aristocrazia cominciavano a circolare proprio in quest’epoca, ma in pochi li leggevano. Del resto anche il Re Sole preferiva usare le mani per mangiare. Per lui, che naturalmente era il primo a essere servito, venivano portate pietanze per otto. Ovviamente il sovrano non mangiava tutto, assaggiava qua e là, ma ostentava un appetito formidabile.

    Questo, infatti, era considerato segno di buona salute e quindi della capacità di proteggere i sudditi, mentre l’abbondanza e la varietà dei cibi era la prova della potenza della Francia. “Ho spesso visto il re”, annotava la cognata, la principessa Palatina, “mangiare quattro piatti di potage, un fagiano intero, una pernice, un gran piatto di insalata, due grandi fette di prosciutto, del montone all’aglio, un piatto di dolci, e ancora frutta e uova sode”.

    «In quest’epoca», racconta Francesca Sgorbati Bosi in A tavola coi re, «al sovrano spettava il compito di dare prova di straordinaria virilità, sia mentre mangiava sia mentre era a letto, dove si dimostrava altrettanto “onnivoro”: solo che in camera sfilavano favorite e cortigiane, qui piatti molto conditi e innaffiati da champagne». Il banchetto cominciava con un ricco potage, termine che oggi significa zuppa, ma che a Versailles era un piatto complesso, come per esempio un cappone alle ostriche. Per sua Maestà e i commensali svolgeva la funzione di aprire lo stomaco (possiamo immaginare quanto dilatato) mentre venivano servite le prime entrées, che tradurre “antipasti” sarebbe riduttivo: lucci fritti in salsa d’acciughe e maialini al latte guarniti con melagrane, fette di limoni e fiori edibili.

    LA GRANDEUR.

    Quello di Luigi XIV era il primo grande esperimento di Stato nazionale, incarnato da un sovrano assoluto, che non rispondeva a nessuno, se non a se stesso. Il suo potere non derivava solo dalla forza degli eserciti, ma, come nelle grandi corti rinascimentali, anche dalla cultura e dall’arte che, sovvenzionate dalla Corona, convinsero i francesi di essere la più grande nazione al mondo, e di conseguenza anche le altre potenze lo considerarono un dato di fatto.

    Nella seconda metà del Seicento, al culmine del suo regno, tutta l’europa era influenzata dalla cultura e dalla moda francesi. Ovunque le donne aristocratiche si vestivano e si truccavano come a Parigi, e il francese era la lingua parlata da diplomatici e uomini d’affari. E se c’era una cucina invidiata, dappertutto, era senza dubbio quella di Versailles.

    Questo nuovo modo di alimentarsi cancellava di colpo abitudini e regole salutistiche che le élite avevano seguito per secoli, se non per millenni. Fino a quel momento, a dettare legge erano ancora i precetti alimentari di Galeno, padre della medicina, vissuto nell’asia Minore grecizzata del II secolo d.c. A dire di Galeno, l’uomo, come del resto il cosmo, era composto da quattro elementi principali (acqua, aria, terra e fuoco) e, se voleva stare in salute, doveva assumere cibi adatti a mantenerli in equilibrio tra loro.

    Nel Seicento cambiò tutto: le élite non mangiavano i cibi ritenuti salutari, ma esclusivamente quello che il sovrano trovava di suo gusto. Entrarono così in cucina i funghi fino a quel momento disprezzati, dato che proliferano nel letame, perché Luigi ne andava matto, come i piselli e i meloni, che diventarono di gran moda. Fare del mangiare un’esperienza estetica si trasformò in una dimostrazione di status. I cuochi iniziarono a essere considerati artisti. Anche se non erano ancora delle star, come oggi, i migliori erano ricercati e ben pagati.

    PECCATO DI GOLA.

    La rottura con il passato non infrangeva solo prescrizioni mediche millenarie, ma anche di natura religiosa. Mangiare oltre lo stretto necessario un tempo significava commettere peccato, ora invece diventò sintomo di buon gusto, lo stesso con cui si ammirava un quadro. Lo scrittore Charles de Saint-évremond scriveva a un’amica letterata: “A 88 anni mangio ostriche tutte le mattine, pranzo bene e mangio abbondantemente. Quando ero giovane ammiravo solo l’intelligenza, dando al corpo meno importanza di quanto si deve; oggi rimedio a questo errore”.

    Questo non significava che il cattolicesimo, di cui il Re Sole si proclamava massimo difensore, avesse perso il suo peso. Anzi, tra i venerdì, la settimana santa, l’avvento, la Quaresima, i giorni di processione, e i digiuni che i confessori erogavano come penitenza, nella Francia del Seicento si contavano da 100 a 150 giorni all’anno in cui si doveva mangiare di magro.ovviamente parliamo dell’aristocrazia, per il popolo ogni giorno era di magro. I sacerdoti erano indulgenti con i ricchi, a corte era considerato accettabile servire ostriche e aragoste nei giorni di magro, in fondo non erano molto diverse dai pesci che Gesù aveva moltiplicato.

    Alla lunga questa dieta sconsideratamente ipercalorica e proteica segnò la salute di tutti, il re per primo. A quarant’anni, a causa della passione per i dolciumi, Luigi non aveva quasi più denti in bocca, e dai documenti di corte si desume che, invecchiando, fosse tormentato dal diabete e dalla gotta, malattia che i dottori curavano con inutili salassi e clisteri, e che lo condusse alla morte.

    Questo fu l’inevitabile epilogo. Prima però la Francia fece in tempo a fare di cultura, buona tavola e eros i tre valori fondanti della sua identità nazionale.

    Fonte: Focus Storia

  • Biblioteca  Reale  – fino   a  sabato  8  settembre  2018  La  Cucina  di  Buon  Gusto

    Rappresenta un  viaggio  tematico  intorno  al  cibo per  mostrare  l’arte  della  buona  tavola a  corte attraverso l’esposizione  di  rari  e  preziosi  ricettari  dal  Seicento  all’Ottocento,  porcellane  e  argenti  reali,  disegni,  manoscritti  dei  più  celebri  trattati  culinari  del  Settecento.

    I  Musei  Reali  conservano  una  prestigiosa  collezione  di  porcellane  raccolte  nel  tempo  dai  Savoia per  impreziosire  le  sale da  pranzo della  residenza.  Nel  salone  monumentale  della Biblioteca  Reale,  nella  sezione  Tavole  Reali, si  può ammirare  una  selezione  dei  più  eleganti servizi  da  tavola,  realizzati da celebri  manifatture  europee  quali Meissen,  Vienna,  Berlino, Baccarat, Richard-Ginori, oltre  ad  alcuni  pezzi  scelti  del  servizio da  dessert  detto delle  “Donne  più  celebri  d’Europa  di  tutti  i  tempi”,  dipinto dall’Atelier  di  Boyer  e  appartenuto a  Maria  Adelaide  Asburgo Lorena,  moglie  di  Vittorio Emanuele  II.  Socio e  successore  del  più  noto pittore  decoratore  Feuillet,  Boyer  ritrae  donne  della  Bibbia,  regine  (sulla  tazzina  è  raffigurata  Isabella  regina  di  Francia, sul  piatto Caterina  imperatrice  di  Russia), attrici, eroine, scrittrici  e muse  ispiratrici  di  opere  letterarie  (sulla  zuccheriera  Beatrice,  la  donna  amata  da Dante  Alighieri).

    A  integrazione  di  questa  sezione  della  mostra sono  esposti anche  alcuni  esemplari  degli  eleganti  argenti  realizzati  nel  XIX  secolo nelle  botteghe  piemontesi  dai membri  della  Corporazione  degli  argentieri,  paragonabili  per  stile  agli  esemplari  conservati  al  Victoria  and  Albert  Museum  di  Londra.  L’esposizione  prosegue  nei  caveaux:  nella  prima sezione Saperi  e  Sapori il  cibo viene  esaltato  nelle  sue  varie  accezioni  e  sfaccettature attraverso  trattati,  mai  esposti  prima,  sull’agricoltura  e  la  pastorizia,  la  caccia  e  la  pesca  e  sulle  eccellenze  piemontesi,  come i  vini

    Nella  sezione Invito  a  Tavola, allestita  nelle  diciannove  vetrine  della  Sala Leonardo,  vengono idealmente  ricostruiti  due  diversi  menù:  il  primo  è  ispirato  ai  due  banchetti  serviti  a  corte  nell’autunno  del  1865,mentre  il  secondo  illustra  diverse  ricette  della  tradizione  piemontese.

    Benché  i  ricettari  venissero  di  norma  conservati nelle  scansie  delle  cucine,  la  Biblioteca  Reale  ne  costudisce  ben  53 di  epoca  principalmente  ottocentesca,  ma  anche una  quindicina  di  edizioni  del  Settecento,  due  del  Seicento  e  tre del  Cinquecento,  collezionate  dal  marchese  senatore  Lodovico  Pallavicino  Mossi  ed  entrate nelle  raccolte  della  Biblioteca  nel  1966,  con  l’acquisizione  dell’omonimo  Fondo  donato  dalle  sorelle  dell’ultimo  marchese.  Tra  i  ricettari in  mostra,  si  trovano  alcuni  dei  più  celebri  trattati  di  cucina:  la  Physiologie  du  goûtdi  Jean-Anthelme  Brillat-Savarin  considerato  il  primo  vero  trattato  di  gastronomia;L’art  du  cuisinierdi  Antoine  Beauvilliers;Dell’arte  del  cucinaredi  Bartolomeo  Scappi,dove  si  trova  la  prima  testimonianza  “per  fare  torta  con  diverse  materie,  dà  napoletani  detta  pizza”;  il  più  noto  trattato  di  cucina  piemontese  Il  cuoco  piemontese  ridotto  all’ultimo  gusto  con  nuove  aggiunte,  un’opera  anonima  pubblicata  nel  1766  cheannovera  ben  ventidue  ristampe;  il  Grand  dictionnaire  de  cuisinedi  Alexandre  Dumas,  un  vero  e  proprio  monumento  letterario  alla  tradizione  gastronomica  francese.

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