Poco prima di morire, pare avesse esclamato: “«Ahimè», disse, «credo che sto diventando un dio» (gli imperatori venivano divinizzati dopo la morte)”:
«Durante il suo nono consolato, colpito, in Campania, da leggeri attacchi di febbre e tornato immediatamente a Roma, si recò a Cutilio e nella campagna di Rieti, dove ogni anno era solito passare l’estate. Qui, oltre all’indisposizione che lo affliggeva, si era rovinato anche l’intestino con un’eccessiva quantità d’acqua gelata; nondimeno continuava a compiere, come al solito, i suoi doveri d’imperatore, tanto da ricevere le legazioni perfino mentre stava a letto. Ma, quando un improvviso attacco di diarrea lo ridusse allo stremo, disse che «un imperatore doveva morire in piedi»; e, mentre si sforzava di alzarsi, spirò tra le braccia di quelli che lo sostenevano, il 23 giugno, all’età di sessantotto anni, sette mesi e sette giorni.»
(Svetonio, vita di Vespasiano, 24)