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  • In voluta concomitanza con la riapertura della Cappella della Sindone di Guarino Guarini, restaurata dopo il devastante incendio dell‘11 aprile 1997, Palazzo Madama dedica una mostra a La Sindone e la sua immagine, che raccoglie un centinaio di piccole e grandi opere d’arte realizzate tra il 1500 fino al 1900, raffiguranti la Sindone con intenti devozionali e celebrativi.

    Organizzata in collaborazione con il Polo Museale del Piemonte e il Centro Internazionale di Sindonologia di Torino, la mostra ha come nucleo costitutivo dipinti e incisioni provenienti dalla ricchissima collezione sindonica dell’ultimo Re d’Italia, Umberto II, oggi divisa tra il Castello di Racconigi e la Fondazione Umberto II e Maria Josè di Savoia che ha sede Ginevra.

    Molti di essi erano stati esposti proprio a Palazzo Madama nel 1931 in occasione delle nozze di Re Umberto II con la principessa Maria Josè del Belgio. Altre opere e documenti rari e significativi sono generoso prestito del Museo della Sindone di Torino.

    La Sindone di Torino è una realtà misteriosa e dibattuta, oggetto di devozione secolare, storicamente documentata per la prima volta alla metà del 1300 nell’attuale regione Grand est della Francia. Gli storici scrivono che il Lenzuolo venne a quel tempo depositato dal prode cavaliere Geoffroy de Charny nella chiesa del suo feudo di Lirey, terminata nel 1353. Nel 1453 Marguerite de Charny (1390-1460), ultima discendente della famiglia, legata alla dinastia sabauda, cede la Sindone al duca Ludovico di Savoia. Dopo vari spostamenti nel 1506 il Lenzuolo trova definitiva collocazione nella Sainte-Chapelle del castello di Chambéry.

    Dopo il trasferimento della capitale del ducato di Savoia da Chambéry a Torino, avvenuta nel 1563, Emanuele Filiberto ordina di portare la Sindone nel capoluogo piemontese, ufficialmente per abbreviare il pellegrinaggio di San Carlo Borromeo. Il Sacro Lino giunge così a Torino il 5 settembre 1578 e conosce varie collocazioni, tra cui la Cappella privata di Palazzo dedicata a San Lorenzo, il Duomo e la chiesa di San Francesco. Nel 1694 viene poi trasferita nella Cappella appositamente progettata dall’architetto modenese Guarino Guarini all’interno dell’attuale Palazzo Reale, in significativa congiunzione con l’abside del Duomo di Torino. La “Reliquia dinastica” resta di proprietà di Casa di Savoia fino 1983, anno della morte di Re Umberto II, il quale per testamento dona la Sindone alla Santa Sede. Oggi la Sindone è conservata nella cappella del transetto sinistro del Duomo di Torino, completamente distesa e in condizioni controllate per garantirne la corretta conservazione.

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  • Joseph Eid, fotoreporter libanese dell’agenzia France Press, attraverso la fotografia compie un’attenta indagine sui luoghi e sulle persone che li abitano .

    Al Museo Egizio di Torino per il progetto Art Site Fest 2018 presenta alcuni scatti realizza nel corso di un viaggio nei luoghi devastati dalle milizie dell’Isis.

    Le vedute del tempio di Baal a Palmira sono state realizzate da Eid riprendendo nell’inquadratura un’altra sua foto, scattata nel marzo del 2014 dalla stessa posizione.

    Il confronto tra le due immagini evidenzia le condizione del sito a seguito delle devastazione della guerra.

    Le foto di Eid, che sono state pubblicate sulle principale testati in tutto il mondo, testimoniano la fragilità del patrimonio culturale e le necessità di prendersene cura, mantenendone viva la memoria.

    La storia di un luogo, quella che i fondamentalismi vorrebbero cancellare è quanto rende significati per l’umanità intera. E’ questa consapevolezza che Palmira ha animato il lavoro e il sacrificio di Khled al-Assad archeologo, studioso e custode dell’antica città, torturato e ucciso nel 2015.

    A Khaled al -Asaad, Art Site Fest dedica questa mostra.

    Per Maggiori informazioni su Art Site Fest

     

  • Al Museo Egizio, Joseph Eid, fotografo libanese, che al lavoro di fotoreporter di guerra, alterna una raffinata indagine sociale e umana, propone alcuni scatti da Palmira a testimonianza della fragilità del patrimonio archeologico e della necessità della sua salvaguardia.

    Nelle immagini di Eid, rivive la storia di Mohamed Anis, appassionato di musica e di auto d’epoca, che con il suo grammofono ha resistito ai bombardamenti che hanno distrutto la sua casa.

    La storia del collezionista di Aleppo che ha commosso il mondo testimonia come l’arte possa essere portatrice di una speranza per il futuro.

    “Ho avuto un passato molto felice, ma le cose sono cambiate. Ora la vita è dura, ma non dobbiamo perdere la speranza.”

    Mohammed Mohiedin Anis, collezionista d’auto d’epoca osserva tristemente una Buick Super del 1955, una delle sue auto ferite nel corso dei combattimenti che hanno devastato la cirtta sierina settentrionale di Aleppo, ne corso del 2016.

    Il pesante bombardamento del distretto orientale di Shaar aveva fatto crollare massicci blocchi di cemento da un edificio vicino, schiacciando il cofano d’epoca della Buick e trasformandone il radiatori in una smorfia contorta.

    “Guarda: lei sta piangendo, è ferita e invoca il mio aiuto. Quando una delle mie macchine viene colpita, è come se fossimo colpiti io e qualcuno dei miei parenti. E’ difficile per me: le auto sono come dei figli, quindi secondo a controllarle.

    Mohammed Mohiedin Anis possedeva una trentina di auto d’epoca, ma molte sono state distrutte nel corso dei bombardamenti.

    Così come distrutta è stata la sua casa di famiglia, grande edificio degli anni ’30. Mohammed Mohiedin Anis, conosciuto nel quartiere come Abu Omar, si consola con la sua pipa e il suo grammofono. “Quando sono tornato e ho visto quello che restava della mia casa. Ero sotto shock.”

    Anis ricorda, ascoltando le canzone del cantante siriano Mohamed Dia al-Din.

    Anis ha vissuto a lungo all’estero, ha studiato medicina in Spagna a Saragozza negli anni ’70. Si è poi trasferito a Torino per tradurre in arabo un manuale italiano per le auto della Fiat.

    Al suo ritorno ad Aleppo, allora capitale della Siria, ha avviato una linea di produzione di cosmetici denominata Mila Robinson.

    Ha ereditato le auto da suo padre un ricco imprenditore

    “Ho tre Cadillac perché sono le piu lussuose delle automobili, ogni collezione dovrebbe avere una Cadillac. Una collezione che non ha una Cadillac è come un corpo senza testa.”

    Il suo più grande orgogli è una decappottabile Cadillac del 1947 color ciliegia sulla quale hanno viaggiato almeno sei presidenti nel corso degli anni – alcuni democratici eletti, altri che hanno preso il potere con un colpo di stato.

    Su quell’auto, con la capote abbassata, il presiedntee egiziano Gamal Abdel Nasser e il suo omologo siriano Shukri al-Quwatli, nel 1958 attraversarono trionfalmente Damasco, dopo la proclamazione di una breve Repubblica araba che univa i loro paesi.

    Quando Anis si è allontanato durante gli ultimi due mesi di combattimenti, i vicini rimasti sono riusciti a convincere i ribelli a non montare un cannone antiaereo Duhka sulla Chevrolet del 1958.

    Molte delle sue auto sono state distrutte o rubate durante la guerra.

    Oggi tredici macchine sono parcheggiare davanti alla sua nuova abitazione e nel giardino, ma altre setto sono state sequestrate dalla polizia perchè ingombrava la strada.

    Quelle rimaste son ferite, dice Anis che inizierà a riparare le macchina che prima di avviare i lavori a casa sua.

    Anis ha due mogli, una ad Aleppo e l’altra nel centro di Hama, in Siria, e otto figli.

    Lascerò le auto ai miei figli, le distribuirò in base alla legge musulmana ereditaria: due per ogni ragazzo e una per ogni ragazza. Adoro le macchine perchè sono come le le donne, belle e forti.

    Anis sorride. La canzone che ascolta al suo grammofono si intitola Hekaya, Storie.

    Immagini di Joseph Eid di Youssef Karwashan

    Progetto realizzato in collaborazione con Agence France Presse.

    Per maggiori informazioni su Artsitefest

  • Dal 13 settembre 2018 al 10 marzo 2019, le Sale delle Arti della Reggia di Venaria (Torino) ospitano la mostra Ercole e il suo mito.

    L’esposizione illustra la figura dell’eroe mitologico, attraverso un’articolata selezione di oltre 70 opere, tra ritrovamenti archeologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture e molto altro, dall’antichità classica al Novecento.
    La rassegna acquista un particolare significato alla luce dei lavori di restauro in corso della “Fontana d’Ercole”, fulcro del progetto secentesco dei Giardini della Reggia, un tempo dominata dalla Statua dell’Ercole Colosso del 1670.

    La rassegna, curata da un comitato scientifico presieduto da Friedrich-Wilhelm von Hase e composto da Gabriele Barucca, Angelo Bozzolini, Paolo Jorio, Darko Pandakovic, Laura Pasquini, Gerhard Schmidt, Rüdiger Splitter, Claudio Strinati, Paola Venturelli, è organizzata da Swiss Lab for Culture Projects e Consorzio Residenze Reali Sabaude, in collaborazione, fra gli altri, con l’Antikenmuseum und Sammlung Ludwig di Basilea (CH), il Museumslandschaft di Hessen-Kassel (D), il Museo Archeologico Nazionale e il Museo Filangieri di Napoli.
    L’esposizione illustra il mito dell’eroe e dei temi a esso legati, con un’ampia selezione di oltre 70 opere, tra ritrovamenti archeologici, gioielli, opere d’arte applicata, dipinti e sculture, manifesti, filmati e molto altro, provenienti da istituzioni pubbliche e da collezioni private, capaci di coprire un arco cronologico che, dall’antichità classica giunge fino al XX secolo.

    La mostra presenta una serie di ceramiche attiche dell’Antikenmuseum di Basilea, tra cui la prestigiosa anfora con Eracle e Atena del Pittore di Berlino, risalente all’inizio del V secolo a.C., per la prima volta esposta in Italia, grandi quadri secenteschi raffiguranti le fatiche dell’eroe che ornavano importanti residenze nobiliari, cammei e gioielli che riproducono in minimis le storie dell’Ercole, fino a giungere a una grande sala cinematografica dove rivivranno le grandi produzioni cinematografiche di Cinecittà e di Hollywood.

    A marcare l’aspetto europeo e internazionale del tema è stata la Swiss Lab for Culture Management, guidata da Paolo e Lidia Carrion, che ha prodotto con entusiasmo e competenza la mostra e che, forte della sua collocazione a Basilea in Svizzera, si è fatta ponte tra Italia e Germania, ideando e coordinando il complesso comitato scientifico internazionale dall’archeologo Friedrich-Wilhelm von Hase.
    A supportare il progetto scientifico e l’organizzazione sono stati coinvolti il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il Museo Civico Gaetano Filangieri principe di Satriano, Napoli, la Galleria Nazionale della Liguria a Palazzo Spinola, Genova, l’Antikenmuseum Basel und Sammlung Ludwig e
    il Museumslandschaft Hessen Kassel.

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    Foto di copertina: Ercole e il Minotauro – Parigi, Giardino delle Tuileries

  • L’esposizione Henri Matisse.

    Sulla scena dell’arte presenta e sviluppa una tematica centrale all’interno della vasta vita artistica di Henri Matisse: il rapporto con il teatro e la produzione di opere legate alla drammaturgia.

    Una mostra inedita che porta al Forte di Bard, in Valle d’Aosta, dal 7 luglio al 14 ottobre 2018, oltre 90 opere realizzate in un arco temporale di 35 anni, dal 1919 fino alla morte dell’artista, avvenuta nel 1954. Si tratta principalmente della cosiddetta période Niçoise: Matisse, infatti, nel 1917 scelse Nizza come luogo principale della sua creazione artistica. Il percorso espositivo, curato da Markus Müller, direttore del Kunstmuseum Pablo Picasso di Münster, è suddiviso in quattro grandi sezioni:

    Costumi di scena; Matisse e le sue modelle; Le odalische; Jazz.

    Una selezione di opere illustra il rapporto tra l’artista e le sue modelle, “attrici” della sua arte, mentre l’esposizione di oggetti, collezionati dall’artista dà conto dell’interesse di Matisse per il decorativismo di influenza orientaleggiante.

    Negli anni Quaranta, infine, Matisse sviluppa la tecnica dei “papiers découpés”, di cui le opere della serie “Jazz” sono la testimonianza più importante. I capolavori – tra tele, disegni e opere grafiche – provengono dal Kunstmuseum Pablo Picasso di Münster che possiede nella sua collezione permanente anche la più ampia raccolta di opere di Matisse in Germania.

    Oltre al museo di Münster, figurano tra i prestatori gli stessi eredi di Matisse, il Musée Matisse di Nizza, che ha concesso in prestito oggetti della collezione privata dell’artista, come fonti di ispirazione e testimonianza dei suoi viaggi, il Musée Matisse di Le Cateau-Cambrésis, città natale di Matisse, i Ballets di Monte-Carlo e la Collection Lambert di Avignone.

     

    Per maggiori info

    Comunicato Stampa

    Credit foto Copertina:

    Henri Matisse I Codomas, da Jazz Tériade Editore, Parigi 1947 – Stampa su stencil incollato su carta 425 x 328 mm –

    Kunstmuseum Pablo Picasso Münster © Succession H. Matisse / S.I.A.E 2018

     

     

  • Landscapes realizzata dal Forte di Bard in collaborazione con Magnum Photos International e Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi, presenta 105 immagini in bianco e nero, personalmente selezionate da Henri Cartier-Bresson, scattate tra gli anni Trenta e gli anni Novanta fra Europa, Asia e America.
    Ciascuna fotografia è rappresentazione di quell’istante decisivo’ che per l’artista è il “riconoscimento immediato, nella frazione di un secondo, del significato di un fatto e, contemporaneamente, della rigorosa organizzazione della forma che esprime quel fatto”.
    Sebbene in alcune foto compaiano anche delle persone, l’attenzione dell’autore è concentrata in modo particolare sull’ambiente, tanto che si può parlare di Paesaggio della Natura e Paesaggio dell’Uomo.
    Le immagini in bianco e nero di colui che è stato denominato l’occhio del secolo”, sono  raggruppate per tema: alberi, neve, nebbia, sabbia, tetti, risaie, treni, scale, ombra, pendenze e corsi d’acqua.

    A proporre una “promenade” tra paesaggi urbani e paesaggi rurali. Sono immagini che riflettono il rigore e il talento di Henri Cartier-Bresson che in esse ha saputo cogliere momenti e aspetti emblematici della natura, spesso immortalando la perfetta armonia tra le linee e le geometrie delle immagini. Armonia perfetta e serena, ad offrire una interpretazione naturale, calma e bella di un secolo, il ventesimo, per altri versi magmatico e drammaticamente complesso.
    Come ha affermato il poeta e saggista Gérard Macé nella prefazione al catalogo Paysage  (Delpire, 2001), “Cartier Bresson è riuscito a fare entrare nello spazio ristretto dell’immagine fotografica il mondo immenso del paesaggio, rispettando i tre principi fondamentali che compongono la sua personale geometria: la molteplicità dei piani, l’armonia delle proporzioni e la ricerca di equilibrio”.
    Nato nel 1908 a Chenteloup, Seine-et-Marne, Cartier-Bresson fu co-fondatore nel 1947 della celebre agenzia Magnum ed è una figura diventata mitica nella storia della fotografia del Novecento.
    Dopo gli studi di pittura, la frequentazione degli ambienti surrealisti e dopo l’esperienza in campo cinematografico al fianco di Jean Renoir, nel 1931, in seguito aun viaggio in Africa, decide di dedicarsi completamente alla fotografia.
    Da Città del Messico a New York, dall’India di Gandhi alla Cuba di Fidel Castro, dalla  Cina ormai comunista all’Unione Sovietica degli anni cinquanta: Henri Cartier-Bresson percorre la storia del secolo breve con la fedele Leica al collo, scegliendo con cura il punto di ripresa, cogliendo il ‘momento decisivo’ e dando vita a immagini ormai  entrate nell’immaginario comune e che gli sono valse l’appellativo di ‘occhio del secolo’.

    Curatore: Andréa Holzherr, Global Exhibition Director, Magnum Photos International
    Realizzata in collaborazione con: Magnum Photos International e Fondation Henri Cartier-Bresson, Parigi

    Partner istituzionali
    * Regione autonoma Valle d’Aosta
    * Compagnia San Paolo
    * Fondazione Crt
    * Finaosta spa

    MediaPartner
    * RMC Radio Montecarlo

     

    Photo di copertina/Credit:

    Place de l’Europe, Gare Saint Lasare, Paris, 1932

    Caption Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos

  • Dina Goldstein  è una fotografa, che vive a Vancouver – Canada  – pop surrealista con un background nella fotografia documentaria: crea  un linguaggio visivo collocando  il banale e il quotidiano in contesti insoliti per ispirare la visione della condizione umana.

    Famosa per la serie “Fallen Princesses”, creata nel 2007, che descrive le principesse Disney umanizzate collocate in scenari realistici e moderni. La serie immagina come le vite di questi personaggi famosi si sarebbero esibiti nel mondo reale e tocca questi flagelli quotidiani come povertà, obesità, cancro e inquinamento.

    Dina Goldstein ha vinto il premio speciale Arte Laguna nel 2012. 

    Nel 2014, Dina Goldstein ha vinto il primo premio al Prix Virginia;

    Ha esposto il suo lavoro a Parigi, in Francia. 

    Ora, espone per la prima volta in un Museo Italiano con la una serie di  “Istantanee dal giardino dell’eden” al Museo ebraico di Venezia a cura di Domenico Maria Papa ispirata ai racconti biblici della tradizione ebraica.

    La mostra verrà inaugurata il 2 settembre alle ore 11,00, e resterà visitabile fino al 4 novembre negli orari di apertura del museo.

    About Dina Goldstein

     

     

  • Dalla tavola dei Savoia ai giorni nostri.

    DE’  CARDI ovvero…  LA  BAGNA-CAÔDA

    Si  servono  anche  così  crudi,  dopo  di  esser  ben  mondati,  si  fa  bollire  dell’olio,  e  sale,  e si  stempra  dentro  delle  acciughe,  ed  in  questa  salsa  calda  si  bagna  il  Cardo.

    Il  cuoco  piemontese  perfezionato  a  Parigi,  1775,  pp.  276-7)

    Se  oggi  si  pensa  alla  cucina  piemontese,  la  bagna-caôda  è  uno  dei  primi  piatti  a  venire  in  mente.  In  realtà,  nei  ricettari  della  Biblioteca  Reale  non  compare  nessuna  preparazione  con  questo  nome,  ma  in  quattro  testi  si  scorge  la  nostra  bagna-caôda,  sebbene  con  una  sorpresa:  nelle  ricette  sette  e  ottocentesche  mancava  del  tutto  l’aglio,  oggi  ritenuto  indispensabile  e  caratterizzante.  Nell’Ottocento  agli  ingredienti  di  base  –olio,  sale  e  acciughe  –viene  aggiunto  il  tartufo  e  si  può  ipotizzare  che  la  sua  successiva  sostituzione  con  l’aglio  sia  stato  un  adattamento  del  piatto  alle  tavole  delle  classi  meno  abbienti.

     

    AGNELLOTTI  ALL’ITALIANA  ovvero…  GLI  AGNOLOTTI

    Fate  la  pasta  con  farina,  bianchi  d’uova,  sale,  ed  acqua  tepida  […]:  se in  magro,  farete  una  farsa  di  spinacci  imbianchiti  al  butiro,  con  della  crema,  mollica  di  pane,  formaggio  grattugiato,  e  uova  […],  indi  mettete  questa  farsa  sopra  la  pasta  ben  distesa,  rivoltandola  disopra,  poi  tagliatela  collo  sperone,  indi  avrete  dell’acqua  bollente,  in  essa  i  metterete  alquanto  di  sale,  e  poi  gli  agnellotti  […];  indi  cavateli  colla  schiumora,  e  accomodateli  nel  suo  piatto,  un  suolo  di  agnellotti,  ed  altro  di  formaggio  grattugiato,  butiro,  ed  alquanto  di  pepe  […].  Ne  farete  in  grassonella  stessa  maniera,  con  formaggio,  grasso  di  polpa  di  vitello,  e  cotti  nel  buon  brodo,  sempre  di  formaggio  grattugiato  nella  farsa.

    (La  cuciniera  piemontese,  1821,  pp.  8-9)

    Gli  agnolotti  sono  oggi  considerati  un  tradizionale  piatto  piemontese,  ma  i  ricettari della  Biblioteca  li  documentano  solo  sporadicamente  e  per  lo  più  serviti  in  brodo,  come nella  Cuoca  di  buon  gusto  (1800  circa),  dove  hanno“forma  quasi  di  corona”,  sono  ripieni  di  midollo  di  bue  (o  grasso  di  rognone),  carne  di  pollo,  formaggio,  pinoli,  uvetta,  sale,  spezie,  albumi  ed  eventualmente  zafferano.  Per  trovarne  di  più  simili  a  quelli  “tradizionali”  occorre  guardare  al  Dubois  (1868),  dove  sono  farciti  con  brasato  di  bue  e  cipolla  e  conditi  con  sugo  di  carne.

     

    I  GRISSINI  DI  TORINO

    Questi  biscottini  in  forma  di  bacchettuccie  […]  si  formano  con  una  pasta  consistente,  di  farina  di  avena,  acqua  distillata  e  alquanto  sale;  quando  vi  si  aggiunge  del  burro,  essi  sono  più  delicati,  ma  durano  però  meno.  La  pasta  si  fa  con  due  lieviti  onde  essere

    più  sottile  e  poter  più  facilmente  tirarla.  I  fornaj  di  Torino  hanno  in  proposito  tale  abilità,  che  tirano  i  grissini della  lunghezza  di  75 centimetri.  Essi  tagliano  la  pasta  […]  l’infornano,  vale  a  dire  passano  la  pala  coperta  di  grissini  entro  un  forno  ben  caldo,  li  tengono  d’occhio,  li  ritirano  tosto  che  abbiano  raggiunto  il  conveniente  grado  di  cottura.

    (La  cuciniera  universale,  1864,  p.  270)

    Secondo  la  tradizione  i  grissini  furono  inventati  a  Torino  nel  1679  dal  fornaio  di  corte, Antonio  Brunero,  per  il futuro  re  Vittorio  Amedeo  II  che,  allora  tredicenne,  non   digeriva  la  mollica  del  pane.  La  novità  ebbe  immediato  successo  e  si  diffuse  in  tutto  il Piemonte  e  poi  nel  resto  d’Italia.

    LO  ZABAJONE

    Sbattete  sei  rossi  d’uova,  o  più  secondo  il  vostro  bisogno; unitevi  del  vino  dolce  […]  tanto  quanto  ne  potrebbero  contenere  i  gusci  di  tutte  le  uova che  avrete  adoperate,  ed  una  buona  cucchiajata  di  zucchero  per  ogni  due  uova;  esponete  al  fuoco,  seguitando  a  frullare,  e  fate  condensare  come  una  crema  senza  lasciar  bollire.  Indi  versate  in  chicchere  e  servite  caldo  con  dei  biscotti  a  parte. (Il  cuoco  pratico  ed economo,  1864,  p.  178)

    Questa  crema  è  attestata  almeno  dal  Cinquecento  e,  benché  sulla  sua  origine  non  vi siano  certezze,  una  tradizione  molto  diffusa  lo considera  un  dolce  tipicamente  piemontese  e  ne  fa derivare  il  nome  dal  francescano  spagnolo  Pasquale  Baylon,  protettore  dei  pasticceri  e  dei  cuochi,  venerato  a  Torino  presso la  chiesa  di  San  Tommaso:  la  “crema  di  San  Baylon”,  in  seguito  semplicemente  sambayon.

    da “La Cucina del Buongusto” 

  • Biblioteca  Reale  – fino   a  sabato  8  settembre  2018  La  Cucina  di  Buon  Gusto

    Rappresenta un  viaggio  tematico  intorno  al  cibo per  mostrare  l’arte  della  buona  tavola a  corte attraverso l’esposizione  di  rari  e  preziosi  ricettari  dal  Seicento  all’Ottocento,  porcellane  e  argenti  reali,  disegni,  manoscritti  dei  più  celebri  trattati  culinari  del  Settecento.

    I  Musei  Reali  conservano  una  prestigiosa  collezione  di  porcellane  raccolte  nel  tempo  dai  Savoia per  impreziosire  le  sale da  pranzo della  residenza.  Nel  salone  monumentale  della Biblioteca  Reale,  nella  sezione  Tavole  Reali, si  può ammirare  una  selezione  dei  più  eleganti servizi  da  tavola,  realizzati da celebri  manifatture  europee  quali Meissen,  Vienna,  Berlino, Baccarat, Richard-Ginori, oltre  ad  alcuni  pezzi  scelti  del  servizio da  dessert  detto delle  “Donne  più  celebri  d’Europa  di  tutti  i  tempi”,  dipinto dall’Atelier  di  Boyer  e  appartenuto a  Maria  Adelaide  Asburgo Lorena,  moglie  di  Vittorio Emanuele  II.  Socio e  successore  del  più  noto pittore  decoratore  Feuillet,  Boyer  ritrae  donne  della  Bibbia,  regine  (sulla  tazzina  è  raffigurata  Isabella  regina  di  Francia, sul  piatto Caterina  imperatrice  di  Russia), attrici, eroine, scrittrici  e muse  ispiratrici  di  opere  letterarie  (sulla  zuccheriera  Beatrice,  la  donna  amata  da Dante  Alighieri).

    A  integrazione  di  questa  sezione  della  mostra sono  esposti anche  alcuni  esemplari  degli  eleganti  argenti  realizzati  nel  XIX  secolo nelle  botteghe  piemontesi  dai membri  della  Corporazione  degli  argentieri,  paragonabili  per  stile  agli  esemplari  conservati  al  Victoria  and  Albert  Museum  di  Londra.  L’esposizione  prosegue  nei  caveaux:  nella  prima sezione Saperi  e  Sapori il  cibo viene  esaltato  nelle  sue  varie  accezioni  e  sfaccettature attraverso  trattati,  mai  esposti  prima,  sull’agricoltura  e  la  pastorizia,  la  caccia  e  la  pesca  e  sulle  eccellenze  piemontesi,  come i  vini

    Nella  sezione Invito  a  Tavola, allestita  nelle  diciannove  vetrine  della  Sala Leonardo,  vengono idealmente  ricostruiti  due  diversi  menù:  il  primo  è  ispirato  ai  due  banchetti  serviti  a  corte  nell’autunno  del  1865,mentre  il  secondo  illustra  diverse  ricette  della  tradizione  piemontese.

    Benché  i  ricettari  venissero  di  norma  conservati nelle  scansie  delle  cucine,  la  Biblioteca  Reale  ne  costudisce  ben  53 di  epoca  principalmente  ottocentesca,  ma  anche una  quindicina  di  edizioni  del  Settecento,  due  del  Seicento  e  tre del  Cinquecento,  collezionate  dal  marchese  senatore  Lodovico  Pallavicino  Mossi  ed  entrate nelle  raccolte  della  Biblioteca  nel  1966,  con  l’acquisizione  dell’omonimo  Fondo  donato  dalle  sorelle  dell’ultimo  marchese.  Tra  i  ricettari in  mostra,  si  trovano  alcuni  dei  più  celebri  trattati  di  cucina:  la  Physiologie  du  goûtdi  Jean-Anthelme  Brillat-Savarin  considerato  il  primo  vero  trattato  di  gastronomia;L’art  du  cuisinierdi  Antoine  Beauvilliers;Dell’arte  del  cucinaredi  Bartolomeo  Scappi,dove  si  trova  la  prima  testimonianza  “per  fare  torta  con  diverse  materie,  dà  napoletani  detta  pizza”;  il  più  noto  trattato  di  cucina  piemontese  Il  cuoco  piemontese  ridotto  all’ultimo  gusto  con  nuove  aggiunte,  un’opera  anonima  pubblicata  nel  1766  cheannovera  ben  ventidue  ristampe;  il  Grand  dictionnaire  de  cuisinedi  Alexandre  Dumas,  un  vero  e  proprio  monumento  letterario  alla  tradizione  gastronomica  francese.

    Orario e maggiori informazione per tutte le altre mostre in programma clicca qui

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  • Capolavori dalla collezione di Francesco Federico Cerruti

    La mostra Giorgio de Chirico. Capolavori dalla Collezione di Francesco Federico Cerruti a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria presenta per la prima volta al Castello di Rivoli un selezionato nucleo di capolavori di Giorgio de Chirico provenienti dalla collezione di Francesco Federico Cerruti, offrendo così alla fruizione pubblica opere sino a ora celate nella Villa Cerruti di Rivoli, dimora voluta dall’imprenditore torinese negli anni sessanta ad uso esclusivo della propria collezione privata

    . Per ammissione dello stesso de Chirico, Torino, luogo che vide l’esplosione della pazzia di Nietzsche, è tra le città italiane che ispirarono i primi quadri metafisici con le loro atmosfere malinconiche. Includendo opere che spaziano dal 1916 al 1927, la mostra al Castello di Rivoli presenta otto importanti dipinti del maestro della Metafisica.

    Offrendo uno spaccato sull’inesauribile capacità metamorfica del genio di de Chirico, la mostra ne indaga la ricca eredità intellettuale presentando i suoi quadri in relazione con alcune tra le maggiori opere di arte contemporanea della collezione permanente del Museo, tra cui installazioni di Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto e Maurizio Cattelan.

     

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