Tag: #mostra

  • Casa Martini, per una chierese come me è “La Martini”.

    Sono cresciuta sentendo parlare della Martini prima di tutto come un’azienda nella quale lavoravano persone contente, persone che avevano trovato nella Martini una tranquillità economica per la propria famiglia con una prospettiva positiva per il futuro. Sono  diventata adulta “non bevitrice” ma nel mio immaginario oltre alla positività lavorativa si è aggiunto anche il pensiero di un’azienda che concedesse anche “piacere”: il piacere di bere.

    Fondata a Torino nella metà dell’Ottocento come distilleria, Martini & Rossi è oggi leader in Italia dal 1993 e parte del Gruppo Bacardi-Martini, a sua volta terzo nel mercato alcolico globale. L’azienda è nota nel mondo per i marchi Martini – icona dello stile italiano – e Bacardi, ma il portafoglio di brand comprende anche Grey Goose, Bombay Sapphire, Eristoff, Dewar’s e altri famosi distillati.

    Grazie ad una filosofia imprenditoriale attenta alla qualità dei prodotti, alle persone e alla ricerca costante del rinnovamento nella tradizione, Martini & Rossi ha sviluppato la propria fortuna nel tempo e rappresenta l’Italia nel mercato internazionale.

    Cosi, in una calda giornata di agosto, con un accompagnatore curioso e appassionato  – mio papà – vado a visitare CASA MARTINI.

    Casa Martini, rappresentata dalla palazzina ottocentesca di Martini & Rossi a Pessione , a settembre 2014 apre  le proprie porte al pubblico, pronta ad accogliere i suoi ospiti in quella che da oltre 150 anni è la dimora di un brand icona del Made in Italy e a guidarli con la passione di sempre attraverso la sua affascinante struttura, alla scoperta di una ricca di tradizione enologica.

    Polo culturale dell’azienda, Casa Martini si puo trovare accanto al Museo di Storia dell’Enologia e alla Galleria Mondo Martini, anche l’ormai celebre Martini Bar Academy, di recente ristrutturazione, e la Terrazza Eventi di Pessione con il suo nuovo Bar Lounge, dal fascino inconfondibile, Botanical Room  composta da due aree (Presentation e Tasting) la Botanical Room è il luogo in cui si entra in contatto con
    gli ingredienti alla base dei Vermouth e degli Spumanti. Piante aromatiche, fiori, frutti, corteccia e radici, Old Laboratory perché l’enologia è sapienza artigianale, capacità di affinare i sensi, attenzione alle sfumature e infine il Martine Store, difficile non cedere alla tentazione di acquistare accessori e capi d’abbigliamento firmati Martini e Martini Racing: centinaia di articoli, introvabili altrove e ricercatissimi dai collezionisti.

    Le cantine della palazzina storica furono il nucleo originario dello stabilimento Martini & Rossi sono oggi in mostra. Si possono ammirare oltre 600 pezzi di straordinario valore, allestiti nei 15 ambienti delle cantine ottocentesche. Le prime sette sale costituiscono l’area archeologica: nelle teche anfore, vasi, filtri, coppe di splendida fattura, lungo un asse temporale che parte dall’Antico Egitto, attraverso la Grecia classica e giunge alla tarda latinità.

    La seconda parte è dedicata all’epoca moderna, dal Sei-Settecento al Novecento. Vi trovano posto torchi monumentali, carri da cerimonia, tini alambicchi accanto a preziosi oggetti in argento o cristallo, realizzati dalle manifatture di tutto il mondo.

    La galleria Mondo Martini è un’ esposizione che mette in scena immagini e documenti d’archivio, raccontando gli uomini, le passioni e i progetti che hanno contrassegnato l’affermarsi del marchio Martini nel mondo.

    Per maggiori informazioni su Casa Martini

    Altrimenti un simpatico Virtual Tour

    Non perdetevi George Clooney e fatevi preparate un cocktail da professionisti del drink! Io ho scelto un NEGRONI!

    Gallery Visita Casa Martini

     

  • “…Non hanno paura di voi, hanno paura di quello che voi rappresentate per loro: la libertà!” 
    (Dal film Easy Rider)

    Dal 18 luglio è  presente presso la Venaria Reale negli spazi della Citroniera delle Scuderie Juvarriana, la una mostra-happening : Easy Rider, il mito della motocicletta come arte.

    Indaga sulle varie componenti produttive e stilistiche, ma soprattutto i suoi significati antropologici di fuga dal mondo, libertà e la corsa verso l’ignoto.

    La motocicletta, tra stile, velocità, prestazioni, ha alimentato diversi miti: il viaggio, la conquista della libertà, la solitudine nel paesaggio. Capire il motore, saperlo ascoltare, curare, guarire.

    L’estetica della motocicletta incontra il mondo della cultura alta, solo apparentemente distante: letteratura, cinema, arti visive, fotografia. E ancora: moda, design, costume e società.

    Attraverso l’esposizione di modelli storici, entrati nell’immaginario collettivo, la mostra racconta una serie di episodi di una storia straordinaria diventata leggenda: Stile, forma e design italiano (Guzzi, Ducati, Gilera); Sì viaggiare (Harley Davidson, Norton, BMW, Honda); Mal d’Africa (Yamaha, KTM); Il Giappone e la tecnologia (Suzuki, Honda, Kawasaki, Yamaha).

    Honda, protagonista della rinascita industriale nipponica del secondo dopoguerra e da sempre punto di riferimento per il suo avanguardismo tecnologico ed estetico, non poteva mancare.

    L’esposizione, attraverso riferimenti espliciti e suggestioni indirette, crea un connubio tra oltre cinquanta modelli di moto e opere d’arte contemporanea, come quelle, tra le altre, di artisti del calibro di Antonio Ligabue, Mario Merz e Pino Pascali. 7

    Gli spettatori della mostra Easy Rider – Il mito della motocicletta come arte –  potranno essere protagonisti di questo incontro tra arte e design scattandosi un selfie in sella alla Honda CB1000R.

    Basterà poi pubblicarlo sui propri profili social (Facebook, Instagram, Twitter) con l’hashtag #MostraEasyRider e #CB1000Rart . Ogni mese, da luglio a febbraio 2019, le 10 foto ritenute più ‘originali’ da una speciale giuria Honda, saranno pubblicate sul profilo ufficiale Facebook Honda Moto che vanta oltre un milione fan.

    La Venaria Reale con il Patrocinio della Città di Torino e Honda partecipa come ‘Art Supporter’ alla mostra Easy Rider

    Per la realizzazione della mostra si ringraziano:

    Il MAUTO – Museo Nazionale dell’Automobile di Torino per il prestito della Gilera Grand Prix (1952);

    Museo del Sidecar di Cingoli che ha concesso il prestito delle Triumph TR6 Duplex (1961), Harley-Davidson HYdra Glaide Chopper (1949), Triumph
    thunderbird duplex (1961);

    Museo Ducati di Bologna con le Ducati 916 (1994), Ducati Desmosedici MOTO GP (2009) e Harley-Davidson XLH 883;

    Museo Nazionale del Motociclo di Rimini presente in mostra con la Moto Guzzi GTW 500 (1937) di Ligabue

    Museo Piaggio di Pontedera presente in Venaria con la Vespa di Bettinelli (1992)

    Museo Moto Guzzi con la Guzzi V7 (1969).

    Per maggori informazioni 

     

  • Un dono regale, un ritorno straordinario.

    Si ricompone per la prima volta dopo lungo tempo, presso la Galleria Sabauda dei Musei Reali di Torino, la preziosa garniture da camino in porcellana bianca realizzata nel 1715 dalla Manifattura di Meissen presso Dresda.

    Come noto, la scoperta del segreto della porcellana a pasta dura, avvenuta nel 1708 da parte del chimico Johann Friedrich Böttger, e di una cava di argilla bianca (caolino) fu all’origine della nascita della celebre Manifattura tedesca, inaugurata nel 1710 con l’intento di imitare la costosissima ceramica orientale.

    La garniture costituisce, dunque, un insieme di eccezionale interesse anche per la sua antichità, trattandosi di una delle prime realizzazioni di Meissen. Le montature in argento dorato impreziosiscono ulteriormente l’insieme che, nel vaso ad anse esposto al centro della vetrina, reca ancora tracce della decorazione pittorica in oro applicata a fuoco, con motivi à la Bérain.

    Alcune piccole fenditure, visibili nel corpo dei vasi, indicano la difficoltà tecnica di questi primi saggi di esecuzione in cui, tuttavia, si impone già la ricchezza delle decorazioni, con volute, teste d’angelo, foglie, conchiglie.

    Oltre alla straordinaria qualità artistica e tecnica, i cinque vasi che compongono la garniture, oggi divisi fra il Palazzo Reale di Torino e il Museo Poldi Pezzoli di Milano, sono protagonisti di un dono regale.

    Composto in origine da sette pezzi, l’insieme viene esposto nel 1715 nel Palazzo Giapponese di Dresda, finché nel 1725 il re di Polonia Augusto II, detto il Forte (1670-1733), lo invia a Vittorio Amedeo II di Savoia re di Sardegna (1666-1732), in segno di ringraziamento per averlo ospitato durante un viaggio tra le Corti europee.

    Da allora, la garniture rimane nel Palazzo Reale di Torino, in particolare nella Camera dell’Alcova. Da documenti del 1823 due vasi risultano, però, mancanti e, col tempo, anche gli altri cinque vengono separati. I due esemplari grandi, senza manici, rimangono nel Palazzo, dove tuttora sono conservati (Appartamento di Rappresentanza, Sala del Caffè). Il vaso maggiore ad anse e i due più piccoli, di straordinaria eleganza con rami e roselline, sono trasferiti, invece, al Museo Civico di Torino (1877), poi esibiti alla IV Esposizione Nazionale di Belle Arti di Torino (1880) e, infine, per volere di Umberto di Savoia principe di Piemonte (1929), ricollocati nel Palazzo. Da qui, tuttavia, escono prima del 1966, quando sono venduti a un’asta. Al termine della loro storia collezionistica, i tre vasi entrano a far parte della collezione Zerilli-Marimò, donata nel 2017 al Museo Poldi Pezzoli di Milano.

    Dopo essere stata riunita per la prima volta a Milano in una recente esposizione, la garniture ritorna così visibile anche a Torino.

    Le opere esposte:

    –       Due vasi con coperchio – garniture da camino

    Manifattura di Meissen – Modello di Johann Jacob Irminger, disegno di Raymond Leplat

    Porcellana bianca verniciata; montatura in argento dorato – 1715

    Musei Reali di Torino – Palazzo Reale

    –       Due vasi con coperchio; un vaso ad anse con coperchio – garniture da camino

    Manifattura di Meissen – Modello di Johann Jacob Irminger, disegno di Raymond Leplat

    Porcellana bianca verniciata e dorata; montatura in argento dorato – 1715

    Museo Poldi Pezzoli di Milano, donazione Zerilli-Marimò

  • Dal 20 giugno al 30 settembre 2018 i Musei Reali presentano a Torino, nelle Sale Palatine della Galleria Sabauda, una mostra di pittura rara e preziosa, dedicata al genere della natura morta, che nasce dalla collaborazione con Bozar – Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e che si avvale della partnership con Intesa Sanpaolo.

    Con Il silenzio sulla tela. Natura morta spagnola da Sánchez Cotán a Goya il Belgio e l’Italia si uniscono per costruire un omaggio alla Spagna. Intorno alle prove di grandi artisti come Sánchez Cotán, Juan de Zurbarán, Meléndez e Goya, la mostra traccia il percorso di sviluppo di questo genere su due secoli di produzione. Dalla silente concentrazione delle tele del Seicento, con l’indagine accurata e preziosa degli oggetti della vita quotidiana e della natura, attraverso le trionfanti composizioni barocche, ricche di decorazioni floreali e intrise di significati simbolici, si arriva all’età delle accademie e alla consacrazione del genere all’interno dei canoni artistici.

    Curata da Ángel Aterido, professore dell’Università Complutense di Madrid, la mostra è articolata secondo un percorso in sette sezioni: le origini, i bodegones, i floreros, tavole e cucine, le Vanitas, il primo Settecento, il gusto accademico e Goya. Al suo interno raccoglie circa quaranta opere provenienti da prestigiosi musei pubblici quali il Museo del Prado, il Louvre, le Gallerie degli Uffizi e l’Art Museum di San Diego, così come da importanti collezioni private: per il visitatore sarà come intraprendere un viaggio tematico attraverso alcuni dei più importanti musei del mondo, ammirando straordinari esempi di bodegones dipinti da Juan Sánchez Cotán, provenienti dagli Stati Uniti e dalla Collezione Abelló di Madrid, le Mele in cestino di vimini di Juan de Zurbarán, le scene allegoriche nella Vanitas e Il Sogno del Cavaliere di Pereda, la Natura morta con quaglie, cipolle, aglio e recipienti caratterizzata dallo straordinario virtuosismo tecnico di Meléndez e l’impressionante Natura morta con tacchino di Goya.

    La rappresentazione degli oggetti quotidiani, dei frutti, delle piante o degli animali, isolati e raffigurati senza la presenza dell’uomo, si diffonde in Europa intorno al 1590-1600. Fin dalla sua nascita, la natura morta viene intesa come un esercizio mimetico di descrizione analitica della realtà naturale, caratterizzato da un forte senso decorativo. Il caso spagnolo presenta alcune peculiarità che lo contraddistinguono dalle soluzioni compositive adottate negli altri paesi europei, come ben dimostra anche l’uso di una parola specifica per indicare questo particolare genere figurativo: bodegón. Sebbene sia possibile mettere in relazione le prime nature morte spagnole con modelli fiamminghi e italiani, il loro carattere austero e le personali interpretazioni del tema fornite da importanti pittori quali Juan Sánchez Cotán, Juan de Zurbarán, Luis Meléndez o Francisco de Goya, implicano un loro specifico riconoscimento fra i vertici dell’arte occidentale.

    La mostra è arricchita dal dialogo tra le opere spagnole e nove dipinti italiani e fiamminghi appartenenti alle collezioni della Galleria Sabauda, tra le quali la Natura morta con frutta, dolci, crostacei, un bicchiere e un topo di Peter Binoit, La vanità della vita umana di Jan Brueghel, caratterizzata da una grandissima ricchezza iconografica, o ancora il Vaso con fiori e insetti di Cornelis De Heem. A queste si aggiunge una superba opera di Giuseppe Recco, Natura morta con pesci e molluschi, appartenente alle raccolte del Palazzo Zevallos di Napoli e gentilmente concessa in prestito dalle Gallerie d’Italia – Intesa Sanpaolo.

    Con la sofisticata trama dei suoi rimandi e delle sue influenze, la mostra rappresenta una straordinaria opportunità per celebrare, attraverso il lascito depositato nella pittura, la complessità del tessuto culturale che unisce tre grandi nazioni -Spagna, Belgio e Italia-, proprio nell’anno che il Consiglio d’Europa ha voluto dedicare al vasto, variegato e solidale patrimonio del nostro continente.

  • Si è conclusa la mostra-concorso “Vette d’arte” a Sestriere e l’opera “Sindone – Amore Universale e Luce Mistica” ha ricevuto il 3* premio per la tecnica varia.

    Il tema trattato attualissimo, oggi più che mai:  l’amore, la pace, senso di comunità e condivisione.

    L’artista è Bruno Cantino da Reino, torinese di nascita e di carattere: garbato, essenziale, a volte misterioso…

    Geometra per formazione scolastica, si dedica alla pittura molto presto e le sue prime esposizioni portano data 1975 in quello che lui definisce il suo periodo impressionista.

    Non smette mai di studiare:

    • nel 1978 consegue il diploma di Arredatore d’ambiente; le opere di questo periodo sono sculture piane di stagno e rame su tavola e pastelli ad olio.
    • dal 1990 al 1992 frequenta una scuola di disegno di nudo. Nello stesso periodo effettua  ricerche sui colori e materiali eseguendo opere in tecniche miste.
    • nel 2005 approfondisce le tecniche calcografiche nel laboratorio di incisione di Chieri.
    • dal 2007 intensifica la conoscenza dell’acquerello nel laboratorio di Pecetto torinese.

    Dal 2005 è socio attivissimo dell’Unione Artisti Chieresi.

    Ad oggi le sue esposizioni sono state circa 90 fra collettive e personali nei diversi livelli.
    Numerosi i premi vinti dal 1979 , eccone alcuni:

    • 1979 – 6° Premio Rassegna di Piossasco (To)
      1979 – Premio Minerva Torino
      1979 – 3° Premio vendemmia Montechiaro (At)
      1980 – 3° Premio paesaggio e folclore Genova
      1980 – 1° Trofeo L’Elite Firenze
      1982 – 6° Premio Il Macchiavello Torino
      1983 – 2° Premio Camerano Casasco (At)
      1984 – 2° Premio Montechiaro (At)
      2011 – 4° Premio al 38° Concorso Int. Eustachi Milano
      2011 – 1° Premio Conc. Naz. Unitre sul manifesto “Risorgimento”
    • 2018 – 3* premio per la tecnica varia. Vette d’arte” a Sestriere

    Bruno colpisce per il suo modo elegante, per l’umiltà con cui ringrazia e condivide con gli amici “di essere stato omaggiato del premio appena ricevuto”

    L’arte è la sua linfa, la sua filosofia di vita convalida il suo essere artista: “…l’arte è eterna, la vita è un attimo.”

     

  • Fino al 24 giugno a PALAZZO SALMATORIS di Cherasco, è possibile visitare una bellissima mostra su Napoleone Bonaparte:

    EI FU – NAPOLEONE BONAPARTE DAL PIEMONTE ALL’EUROPA – 

    L’esposizione racconta gli aspetti culturali e sociali dell’epopea di Napoleone Bonaparte, con particolare attenzione alle vicende avvenute dal suo arrivo in Piemonte nel 1796 fino alla sua abdicazione nel 1814 e il rientro dei Savoia dall’esilio in Sardegna. La sede della mostra è lo stesso palazzo che ospitò proprio Napoleone il 28 aprile 1796 in occasione della firma dell’armistizio di Cherasco, centro presente all’interno della Federazione Europea delle Città Napoleoniche. Da qui Bonaparte iniziò la sua avanzata in Italia, parallelamente alle sue conquiste in Europa.

    Napoleone: sommo stratega, abile condottiero, trionfatore, riformista ma anche ladro d’arte, prigioniero ed infine esule. Ma chi era davvero Napoleone Bonaparte?

    L’uomo che, per riprendere il famoso verso manzoniano, fu “tre volte nella polvere, tre volte sugli altar”.

    Quasi duecento anni dopo la sua morte , c’è chi cerca ancora il suo fantasma nel Palazzo Ducale a Lucca dove alcuni testimoni giurano addirittura di averlo sentito parlare.

    Per circa 15 anni Napoleone tenne in mano i destini del Vecchio Continente e sotto di lui si produsse una trasformazione epocale, dall’antico regime alla società borghese. Con oltre venti campagne d’Europa portate brillantemente a termine, riuscì ad assoggettare un’enorme fetta di Europa continentale, esportando gli ideali rivoluzionari e praticando un’opera di rinnovamento sociale notevole.

    Impossibile non citare la sua riforma del sistema giuridico, con l’elaborazione del Codice Napoleonico, ancora oggi considerato come la base del diritto civile contemporaneo.

    La sua figura nella storia è paragonabile solo a quella di Giulio Cesare. Come lui, Napoleone fu un genio militare senza pari e un leader insuperabile che seppe traghettare l’Europa intera da un’epoca storica a un’altra.

    Perché ancora oggi la sua vicenda umana è fonte d’ispirazione e materia di studio per gli storici? E quanti falsi miti e leggende sono ancora da sfatare?

    Ecco allora un po’ di cose poco note, sul più grande stratega di tutti i tempi:

    • NON ERA BASSO – A dispetto di quanto sempre ritenuto, Napoleone non era un nanerottolo. Gli storici concordano sul fatto che fosse alto circa 168 cm, ben tre centimetri in più della media dei francesi della sua epoca e tre in più dell’ex presidente francese Nicolas Sarkozy. La sua proverbiale bassezza sarebbe opera di una maldicenza degli inglesi per sminuirne la fama sui campi di battaglia.
    • LA GIOCONDA  Sebbene gli italiani lo ricordino soprattutto per i numerosi capolavori sottratti durante la Campagna d’Italia, in nome di un grande sogno, quello napoleonico del Museo Universale del Louvre, non fu lui a rubare la Gioconda. Fonti storiche situano il dipinto in Francia già dal 1517, dove era stato portato dallo stesso autore, Leonardo Da Vinci.
    • MANO NEL GILET  Lo hanno ritratto spesso con una mano infilata tra i bottoni della giacca. Ma Napoleone non aveva alcun tic né tanto meno soffriva di feroci mal di stomaco. Semplicemente era questa l’usanza dei generali quando si facevano immortalare su tela nel 18esimo secolo.
    • CIBO IN SCATOLA  E’ grazie a lui se oggi abbiamo il cibo in scatola. Durante le sue campagne Napoleone fece sperimentare le invenzioni ingegnose del pasticciere Nicolas François Appert che ideò un metodo di cottura del cibo in vasetti di vetro a chiusura ermetica.
    • STELE DI ROSETTA  Fu scoperta nel 1799 da Pierre-François Bouchard, capitano nella Campagna d’Egitto di Napoleone. La Stele di Rosetta è una tavola di granito sulla quale sono incisi geroglifici e a fronte c’è il testo tradotto in greco. Grazie alla stele i linguisti sono riusciti finalmente a tradurre i geroglifici.
    • MAIALE  Secondo una leggenda, ancora oggi in Francia è vietato dare a un maiale il nome Napoleone. Ma in realtà nessun articolo del codice napoleonico ne parla.
    • FOBIA DEI GATTI Non è vero che Napoleone avesse paura dei gatti. Secondo la storica Katharine MacDonogh, autrice del libro “Storia dei cani e gatti a corte dai tempi del Rinascimento”, Napoleone era solo superstizioso e per questo si teneva alla larga dai gatti neri.
    • LA MAPPA DI WATERLOO C’è una ragione perché Napoleone Bonaparte si sentì disorientato sul campo di battaglia di Waterloo: stava usando una mappa sbagliata. Secondo il documentarista francese Franck Ferrand, sarebbe anche questa la spiegazione alla base della sconfitta finale dell’imperatore, destinata a portarlo all’esilio sull’isola di Sant’Elena. Tesi che ridimensiona l’eroismo dei britannici sul campo di battaglia e soprattutto i meriti del loro comandante, il Duca di Wellington. Come in altri casi nella storia è stata quindi una mera casualità a incidere sugli eventi. In particolare la mappa di cui disponeva Napoleone, e sulla quale aveva elaborato i suoi piani, mostrava il punto strategico della fattoria di Mont-Saint-Jean a un chilometro di distanza dalla posizione reale. Una differenza sostanziale, dal momento che un chilometro corrispondeva proprio alla gittata dei suoi cannoni.
    • ULTIME PAROLE  Napoleone morì durante il suo esilio a Sant’Elena per un tumore allo stomaco, accertato durante l’autopsia. Le sue ultime parole furono: “Francia, esercito – capo dell’esercito – Giuseppina” (sua moglie, ndr).

     

  • La mostra diffusa Anche le statue muoiono. Conflitto e patrimonio tra antico e contemporaneo nasce dalla comune riflessione di quattro istituzioni – Museo Egizio, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Musei Reali, Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino – e propone un dialogo tra opere d’arte e manufatti di epoche e contesti geografici diversi attorno al tema trasversale della distruzione e della perdita e quindi, in parallelo, della conservazione e della protezione del patrimonio.

    Il progetto fornisce uno sguardo sul presente, in particolare sulla sistematica distruzione del patrimonio storico-artistico che ha di recente interessato le aree di conflitto nel Vicino Oriente. Introduce, però, una diversa temporalità, legata alla storia e all’idea di trasmissione da un’epoca a un’altra di manufatti, opere, idee.

    Oggetto di riflessione è anche il ruolo del Museo che, a partire dal ventesimo secolo, si è imposto come luogo di tutela e conservazione di un patrimonio che appartiene, almeno in teoria, a tutta l’umanità. I musei si trovano, tuttavia, in una posizione liminale: è ineludibile, infatti, pensarli sia come “predatori” di patrimoni altrui, sia come luoghi di conservazione e protezione di reperti che, altrimenti, sarebbero soggetti alla distruzione e all’oblio. La mostra è inserita nel calendario italiano dell’Anno Europeo del Patrimonio 2018.

    Se è vero, come questo progetto dimostra, che “anche le statue muoiono”, è lecito e doveroso domandarsi che ruolo abbia l’istituzione museale –
    luogo di conservazione per eccellenza, destinata a farsi testimone dell’arte o delle culture dei secoli passati – in questo processo. I musei concorrono
    alla morte delle opere che conservano nelle loro collezioni o sono l’ultimo baluardo perché esse possano sfuggire alla fine di un’esistenza messa
    in pericolo da una miriade di fattori quali oblio, mancanza di risorse, conflitti, disastri ambientali o più semplicemente incuria?

    Christian Greco

    La collaborazione con il Museo Egizio, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e i Musei Reali è un segnale forte della capacità di tutte queste strutture a operare in sinergia su temi comuni, per quanto relativo ad epoche diverse.

    Museo Egizio

    Musei Reali Torino 

    Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

     

  • Gallery Conferenza Stampa

    A Guttuso è dedicata la mostra Renato Guttuso. L’arte rivoluzionaria nel cinquatesimo del ‘68

    Nei giorni seguenti alla morte di  Togliatti Guttuso  scriveva di sentire la necessità di dipingere un quadro sui funerali. Lo realizzo solo 8 anni dopo.

    Ritrasse gli amici di Togliatti, i compagni di partito, il popolo delle bandire rosse, ma anche: Dimitrovv, Stalin Lenin un’opera monumentale  che divenne  l’opera manifesto dell’artista.

    Curata da Pier Giovanni Castagnoli, con la collaborazione degli Archivi Guttuso, la mostra raccoglie e presenta circa 60 opere provenienti da importanti musei e collezioni pubbliche e private europee. Primeggiano alcune delle più significative tele di soggetto politico e civile dipinte dall’artista lungo un arco di tempo che corre dalla fine degli anni Trenta alla metà degli anni Settanta.

    Nell’ottobre del 1967, cinquantesimo anniversario della rivoluzione d’ottobre, Renato Guttuso scriveva su Rinascita, rivista politico-culturale del Partito Comunista Italiano, un articolo intitolato Avanguardie e Rivoluzione, nel quale il pittore riconosceva alla rivoluzione il titolo inconfutabile e meritorio di essere stata il fondamento di una nuova cultura, con la quale profondamente sentiva di identificarsi e che lo induceva a chiudere il suo scritto con l’esplicita professione di fede: “L’arte è umanesimo e il socialismo è umanesimo”.

    Guttuso era stato, a partire dagli anni della fronda antifascista e tanto più nel secondo dopoguerra, un artista che, come pochi altri in Italia, si era dedicato con perseverante dedizione e ferma convinzione a ricercare una saldatura tra impegno politico e sociale ed esperienza creativa, nella persuasione che l’arte, nel suo caso la pittura, possa e debba svolgere una funzione civile e sia costitutivamente dotata di una valenza profondamente morale.

    A poco più di cinquant’anni dalla pubblicazione dell’articolo e nella ricorrenza del cinquantenario del ‘68, la GAM di Torino si propone di riconsiderare il rapporto tra politica e cultura, attraverso una mostra dedicata all’esperienza dell’artista siciliano, raccogliendo alcune delle sue opere maggiori di soggetto politico e civile.

    A partire da un dipinto quale Fucilazione in campagna del 1938, ispirato alla fucilazione di Federico Garcia Lorca, che a buon diritto può essere assunto a incunabolo di una lunga e ininterrotta visitazione del tema delle lotte per la libertà, per giungere alla condanna della violenza nazista, nei disegni urlati e urticanti del Gott mit uns (1944) e successivamente, dopo i giorni tragici della guerra e della tirannia, alle intonazioni di una reinventata epica popolare risuonanti in opere nuove per stile e sentimento come: Marsigliese contadina, 1947 o Lotta di minatori francesi, 1948.

    Un grande, ininterrotto racconto che approda, negli anni Sessanta a risultati di partecipe testimonianza militante, come in Vietnam (1965) o a espressioni di partecipe affettuosa vicinanza, come avviene, nel richiamo alle giornate del maggio parigino, con Giovani innamorati (1969) e più tardi, in chiusura della rassegna, a quel compianto denso di nostalgia che raffigura i Funerali di Togliatti (1972) e in cui si condensa la storia delle lotte e delle speranze di un popolo e le ragioni della militanza di un uomo e di un artista. “Nel secondo dopoguerra – afferma Carolyn Christov-Bakargiev Direttore della GAM – negli ambienti della cultura di sinistra si discuteva tra avanguardia formalista e realismo figurativo.

    Ci si chiedeva quale fosse più rivoluzionaria e quale più reazionaria. Oggi, paradossalmente, nell’era della realtà aumentata e della virtualità, la pittura di Guttuso può sembrarci tanto reale e materica quanto il mondo che stiamo perdendo”. A fronte dell’antologia di tali dipinti e in dialogo con essi, la mostra offre anche un repertorio variegato di opere di differente soggetto: ritratti e autoritratti, paesaggi, nature morte, nudi, vedute di interno, scene di conversazione.

    Quadri tutti coevi ai tempi di esecuzione dei dipinti di ispirazione politica e sociale, selezionati con il proposito di offrire indiscutibile prova dei traguardi di alta qualità formale conquistati da Guttuso nell’esercizio di una pittura che – afferma il curatore Pier Giovanni Castagnoli – “per comodità, potremmo chiamare pura, con l’intendimento di saggiare, attraverso il confronto dei diversi orizzonti immaginativi, l’intensità dei risultati raggiunti su entrambi i versanti ideativi su cui si è esercitato il suo impegno di pittore e poter consegnare infine all’esposizione, pur nel primato assegnato al cardine tematico su cui la mostra si incerniera, un profilo ampiamente rappresentativo della ricchezza dei registri espressivi presenti nel ricchissimo catalogo della sua opera e della poliedrica versatilità del suo estro creativo”.

    La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Silvana Editoriale, con saggi di Pier Giovanni Castagnoli, Elena Volpato, Fabio Belloni, Carolyn Christov-Bakargiev e un’antologia di scritti di Renato Guttuso.

    GAM – GALLERIA CIVICA D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA

    • Via Magenta, 31 –
    • 10128 Torino
    • tel. +39 011 4429518 – +39 011 4436907
    • email: gam@fondazionetorinomusei.it
    • www.gamtorino.it

    Orari di apertura

    • da martedì a domenica: 10.00 – 18.00, lunedì chiuso.
    • La biglietteria chiude un’ora prima.

    Biglietti

    Intero 12€ Ridotto 9€ Ingresso libero Abbonamento Musei e Torino Card info, prenotazioni e prevendita: www.ticketone.it

    Call center e info-line 011-0881178

     

  • Perfumum. I profumi della Storia.

    Un racconto sull’evoluzione e la pluralità dei significati del profumo dall’Antichità greca e romana al Novecento, visto attraverso più di duecento oggetti esposti, tra oreficerie, vetri, porcellane, affiches e trattati scientifici.
    L’esposizione, curata da Cristina Maritano, conservatore di Palazzo Madama, e allestita in Sala Atelier, presenta oggetti appartenenti alle collezioni di Palazzo Madama e numerosi prestiti provenienti da musei e istituzioni torinesi, come il MAO Museo d’Arte Orientale, il Museo Egizio, il Museo di Antichità, la Biblioteca Nazionale, la Biblioteca Guareschi del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco. Importante anche il contributo di realtà nazionali come il Museo Nazionale del Bargello, Gallerie degli Uffizi, il Museo Bardini e la Galleria Mozzi Bardini di Firenze e il Museo di Sant’Agostino di Genova. Fondamentale è stata inoltre la collaborazione con il Musée International de la Parfumerie di Grasse (Francia) che, insieme ad una preziosa selezione di opere, ha messo a disposizione gli apparati multimediali sulle tecniche della profumeria. Infine, il contributo di molti collezionisti privati ha permesso di radunare un’ampia selezione di flaconi del Novecento.

    A completamento della mostra, l’Associazione culturale torinese Per Fumum, fondata da Roberta Conzato e Roberto Drago, organizza una rassegna di incontri internazionali sulla cultura dell’olfatto rivolta a tutto il mondo degli appassionati della profumeria. Dalla presentazione di profumi storici dell’Osmothèque di Versailles, all’incontro con creatori di profumi riconosciuti a livello internazionale, fino ad appuntamenti legati al mondo food & beverage. 

    Gli incontri si terranno il 16, 17, 18 febbraio e il 7 e 8 aprile 2018 presso Palazzo Madama e altre sedi.
    Per ulteriori informazioni contattare info@perfumumtorino.com

    Il desiderio di trattenere i profumi, conservarli e di godere della loro fragranza accompagna la storia dell’uomo dall’antichità a oggi. Il percorso espositivo presenta un excursus storico avviato a partire dalle civiltà egizia e greco-romana che, sulla scorta di tradizioni precedenti, assegnano al profumo molteplici significati: da simbolo dell’immortalità, associato alla divinità, a strumento di igiene, cura del corpo e seduzione.
    Nell’Europa del primo Medioevo, sottoposta all’urto delle invasioni barbariche, sono rare le testimonianze di utilizzo di sostanze odorifere al di fuori della sfera sacra. Sopravvive tuttavia la concezione protettiva e terapeutica del profumo, come testimoniato in mostra dalla preziosa bulla con ametiste incastonate proveniente dal tesoro goto di Desana.
    L’uso di profumi a contatto con il corpo con funzione di protezione nei confronti di malattie è attestato più tardi nei pommes de musc frequentemente citati negli inventari dei castelli medievali, come il rarissimo esempio quattrocentesco in argento dorato in prestito dal Museo di Sant’Agostino di Genova, che conserva ancora la noce moscata al suo interno.
    La civiltà islamica, che eredita e preserva il sapere del mondo antico, sviluppa e innova la cultura del profumo greca e romana, persiana e bizantina, introducendo importanti conquiste tecnologiche, come il perfezionamento dell’arte della distillazione compiuto da Avicenna. In mostra alcune fiasche da profumo di arte ottomana, in ottone geminato, in legno di rosa e in maiolica e vetro.
    L’età rinascimentale vede la progressiva laicizzazione dei significati del profumo, il cui uso si fa più esteso e articolato presso le classi sociali più elevate. Gli antichi trattati circolano grazie alle edizioni a stampa, fioriscono nuovi ricettari che propongono la fabbricazione individuale dei profumi, si sviluppa la profumeria alcolica. Si diffonde in tutta Europa la moda invalsa nelle corti italiane di profumare oltre al corpo anche gli accessori di vestiario, specialmente in pelle, e di indossare contenitori per profumi di straordinaria ricercatezza, come il flacone in agata con montatura in oro, rubini, diamanti e smalto, proveniente dal Museo degli Argenti di Palazzo Pitti, forse un dono di Caterina de Medici, a cui si deve l’esportazione della moda italiana dei profumi in Francia.
    Dal Seicento, la supremazia nel campo della produzione dei profumi spetta incontestabilmente alla Francia. Nascono nuove fragranze, sempre più orientate verso le note floreali e leggere, conservate in flaconi in vetro o porcellana, oppure diffuse negli ambienti grazie a pot-pourri e bruciaprofumi.

    La mostra offre infine una panoramica sul Novecento grazie ai prestiti provenienti da collezioni private che hanno consentito di arricchire il percorso espositivo con un’ampia carrellata di flaconi, tra cui spiccano quelli creati da René Lalique per François Coty, di Baccarat per Guerlain, ma anche gli eccezionali Arpège di Jeanne Lavin, Shocking di Elsa Schiaparelli, Diorissimo di Christian Dior. Completano l’esposizione una selezione di etichette e manifesti di case produttrici di profumi tra Ottocento e Novecento.

    Catalogo edito da Silvana Editoriale.

  • FRAMMENTI DI UN BESTIARIO AMOROSO

    Galleria Sabauda, Spazio Scoperte –

    Il percorso presenta alcuni lavori di Marilaide Ghigliano, fotoreporter, si potrebbe dire, non di fatti ma di sentimenti, qui incentrati sull’importanza degli animali nella vita dell’uomo e sul legame affettivo che ne scaturisce.

    Un tema particolarmente attuale, e documentato nelle arti figurative sin dai tempi più antichi.

    Quarantasei fotografie scattate dal 1974 al 2010 in diversi paesi dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa, che hanno per protagonisti, assieme alle persone, cani, gatti, asini, oche, colombe, cavalli, mucche.

    I soggetti, dai quali la fotografa sembra ogni volta sorpresa e conquistata, sono catturati dal teleobbiettivo con discrezione, senza messa in posa.

    Come scriveva nel 1988 la storica dell’arte Adalgisa Lugli, Ghigliano «è una sorta di miracolata dello strumento che usa, dal quale è sorprendentemente libera, spontanea, slegata. Lavora viaggiando, guardando con una sorta di amore trasversale per le cose così poco classificatorio».

    La passione per gli animali affiora costantemente nel percorso della fotografa torinese ed è documentata anche dai calendari con immagini di cani e gatti, tutti rigorosamente senza pedigree. Animali e persone sono immortalate allo stesso modo, con analoga empatia; il bianco e nero comunica in modo diretto, senza distrazioni, ed esplora, attraverso i tagli di forma e di luce, l’anima di persone e animali.

    Le immagini potranno entrare in dialogo con due importanti opere del Seicento di Carlo Cignani (Bologna 1628 – Forlì 1729) della Galleria Sabauda, Adone e Venere e Cupido.

    I dipinti arricchiscono il percorso fotografico ricordando la lunga fortuna del tema nella storia dell’arte, anche qui trattato attraverso un linguaggio figurativo intimo e aggraziato, sottolineato dai gesti affettuosi. Adone accarezza il suo fidato cane, compagno di appassionate battute di caccia, mentre Cupido, a cui Venere ha sottratto l’arco, abbraccia due colombe, simbolo di amore e fede eterna.

    Le opere facevano parte della quadreria del principe Eugenio di Savoia-Soissons (Parigi 1663 – Vienna 1736), allestita nella residenza del Belvedere di Vienna, dove, oltre a un consistente gruppo di dipinti fiamminghi e olandesi del Seicento, era presente anche una selezione di quadri italiani, tra cui spiccavano quelli di gusto classicista dei grandi maestri della tradizione emiliana come Guido Reni, Francesco Albani e Carlo Cignani.

HTML Snippets Powered By : XYZScripts.com