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    In occasione del 160° anniversario della nascita dello Stato italiano, il percorso dei Musei Reali, nella Rotonda dell’Armeria Reale, si arricchisce con la carrozza di Vittorio Emanuele II, protagonista con Cavour e Garibaldi del Risorgimento, primo Re d’Italia dal 1861 al 1878 e di cui è stato celebrato, nel 2020, il duecentesimo anniversario della nascita.

    L’arrivo a Torino della carrozza rappresenta un importante tassello del percorso dei Musei Reali, in una delle sezioni che maggiormente colpiscono l’immaginazione dei visitatori. Il mezzo sarà infatti collocato a pochi passi dalla loggia dalla quale Carlo Alberto annunciò, il 4 marzo 1848, la promulgazione dello Statuto. Appartenente alle Collezioni Presidenziali del Quirinale, la carrozza denominata Mylord, ricordata negli inventari con la definizione antica di ‘Polonese’ o ‘Polacca’, era uno dei mezzi di trasporto preferiti da Vittorio Emanuele II per le sue uscite private a Roma. È un modello aperto e basso, privo di portiere, a quattro ruote e a due sedili con cassetta di guida per il cocchiere, realizzata dalla ditta romana dei fratelli Casalini. Oggi la carrozza fa parte del nucleo più antico e prezioso della Collezione Presidenziale. Nell’inventario del 1882 figura una nota manoscritta a fianco che recita: “Le Polonesi erano le carrozze di cui abitualmente si serviva il Gran Re Vittorio Emanuele II [….]”. Il brano prosegue sottolineando che “questa seconda fu l’ultima adoperata in Roma avanti la sua morte” a ricordare, quindi, come questo mezzo fosse particolarmente amato dal re.

    In tale occasione viene presentato anche il nuovo allestimento Le armi del Re, una selezione di 21 oggetti di notevole pregio e importanza storica, recentemente restaurati, che facevano parte delle ricche raccolte personali di Vittorio Emanuele II. Oltre alle armi, la collezione comprende bandiere, uniformi, onorificenze e altri oggetti strettamente personali: alcuni si collegano al ruolo pubblico del sovrano, come i doni diplomatici o le armi che ricordano le battaglie del Risorgimento, altri sono da mettere in relazione con gli interessi personali di Vittorio Emanuele II, primo fra tutti la caccia, documentata da una spettacolare collezione di fucili e coltelli.

    L’allestimento include anche due armature giapponesi, la B. 53 e la B. 54, entrambe donate al sovrano dall’imperatore Meiji nel 1869 e nel 1871, a pochi anni di distanza dalla firma del trattato di amicizia e commercio che apriva le relazioni diplomatiche tra il Regno d’Italia e l’Impero giapponese. Si trattava di doni prestigiosi come testimoniano la cura nel realizzarle e la scelta dei materiali impiegati che indicano la destinazione a personaggi di rango elevato. La prima armatura è un apparato difensivo leggero utilizzato per lo scontro a piedi. A differenza della B. 53, montata già nell’Ottocento su un manichino, l’armatura B. 54 è stata riproposta nel suo insieme solamente ora, per sottolinearne l’aspetto unitario e facilitarne una più immediata lettura. Le due armature, con le collezioni extraeuropee, vennero allestite nella Rotonda dell’Armeria Reale, sala in cui furono sistemate anche le raccolte di Vittorio Emanuele II.

    Oggi l’Armeria Reale conserva oltre 5.000 opere, collocate in ambienti di raro fascino e pregio, finemente decorati e affrescati.

    “La collezione dell’Armeria Reale di Torino occupa un posto di riguardo nel contesto europeo, ma la sua valorizzazione non è né facile né scontata, dato l’impianto fortemente storicizzato degli spazi e l’impronta ottocentesca che contraddistingue il suo primo ordinamento – dichiara Enrica Pagella,  Direttrice dei Musei Reali. Esprimo, quindi, un sincero ringraziamento alla Presidenza della Repubblica per questo prestito che costituirà un elemento inedito di attrazione e di leggerezza nel severo circuito delle vetrine palagiane, contribuendo anche a rafforzare il legame simbolico tra la nostra capitale attuale e il Palazzo Reale di Torino, prima sede della casata sabauda e luogo in cui prese forma la prima carta costituzionale della nazione.”

    “Il nuovo allestimento Le armi del Re si propone di valorizzare un nucleo di oggetti poco noti ma di particolare rilievo, sia dal punto di vista storico sia per il loro pregio – dichiara Giorgio Careddu, curatore delle collezioni d’arte dell’Armeria Reale -. Le sciabole e le spade, per lo più di rappresentanza, furono offerte al Re come segno di gratitudine per il ruolo avuto nel processo storico che portò all’unificazione dell’Italia.  Le armi da fuoco sono invece, nella maggioranza dei casi, doppiette da caccia realizzate da Filippo Panataro, armaiolo personale di Vittorio Emanuele II, e dai più importanti produttori europei dell’epoca.”

     

  • IL VICTORIA & ALBERT MUSEUM DI LONDRA, IL PROSSIMO 22 OTTOBRE, LANCERÀ UN EVENTO ONLINE FRUIBILE IN REALTÀ VIRTUALE CHE PERMETTERÀ AL PUBBLICO DELLA RETE DI IMMERGERSI NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE DI ALICE. COME ANTEPRIMA DELLA GRANDE MOSTRA CHE SI TERRÀ NEL 2021

    Still from Curious Alice, a VR experience created by the V&A and HTC Vive Arts. Featuring original artwork by Kristjana S Williams, 2020
    Still from Curious Alice, a VR experience created by the V&A and HTC Vive Arts. Featuring original artwork by Kristjana S Williams, 2020

    A chi non è mai capitato di immaginare di trovarsi al posto di Alice e di vivere una delle sue tante avventure ambientate nel Paese delle Meraviglie? Gli incontri con il Bianconiglio, il Brucaliffo, lo Stregatto; festeggiare un “buon non compleanno” tra una tazza di the e l’altra con il Cappellaio Matto; ritrovarsi al cospetto (e questa forse è la parte più inquietante) della iraconda Regina di Cuori. Il prossimo 22 ottobre tutte queste fantasie potrebbero diventare realtà, o per meglio dire “realtà virtuale” grazie a un progetto lanciato dal Victoria & Albert Museum di Londra che, al celeberrimo Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll, dedicherà l’evento Alice: Curiouser and Curiouser.

    L’evento che si terrà il 22 ottobre farà da anteprima alla mostra che inaugurerà il 27 marzo 2021 negli spazi del museo londinese e dedicata ad Alice in Wonderland: in collaborazione con HTC VIVE Arts, il V&A Museum mette a disposizione di tutti gli internauti un’anteprima di quello che accadrà nella mostra del 2021, fruibile con o senza un visore VR e attraverso la piattaforma VR ENGAGE utilizzando un PC Windows o un dispositivo Android. Si potrà inoltre partecipare a un live registrato dell’evento, che sarà trasmesso sul canale YouTube del V&A Museum. L’evento, o per meglio dire l’esperienza, avrà una durata di minuti, e si svolgerà in un ambiente ispirato allo spazio fisico del museo e ai paesaggi del Paese delle Meraviglie. Grazie alla tecnologia avanzata di ENGAGE, i partecipanti potranno partecipare all’evento come avatar, interagendo tra loro in VR e scoprendo in anteprima le 5 sezioni di cui si comporrà la mostra del 2021. Una di queste, Staging Alice, sarà di natura immersiva, e condurrà lo spettatore direttamente nella “Sala delle Porte” e sul campo di croquet.

    “Alice: Curiouser and Curiouser riflette l’impatto globale e l’eredità dei libri di Alice attraverso le discipline creative”, spiega Kate Baley, Senior Curator of Theatre and Performance presso il V&A. “Fin dalla loro creazione, i libri di Alice, con le loro idee e concetti strabilianti, sono stati una fonte di ispirazione per le nuove tecnologie dal film muto alla CGI. È stata un’avventura straordinaria lavorare con HTC VIVE Arts e PRELOADED per portare la nostra mostra nella nuova dimensione giocosa della realtà virtuale. L’impossibile viaggio di Alice attraverso un universo fantastico diventa possibile in questa nuova entusiasmante piattaforma creativa. Dalle tane dei conigli agli specchi, dai fenicotteri ai ricci, il paese delle meraviglie è il mondo perfetto per la realtà virtuale e il V&A è lieto di essere il pioniere del nostro primo evento di realtà virtuale. Non vediamo l’ora di condividere un’anteprima della mostra prima di accogliere i visitatori di Alice alla mostra del prossimo anno”.

    Fonte: Artribune

     

  • Oltre i muri Dal 1° ottobre Torino accoglie la nuova tappa di Beyond Walls – Oltre i muri,
    il progetto di Land Art dell’artista franco-svizzero Saype sostenuto dal Gruppo Lavazza in collaborazione con il Comune di Torino e i Musei Reali Torino. Torino, 1° ottobre 2020 – Due mani che si tendono l’una verso l’altra e si stringono, in una presa che trasmette fiducia e aiuto reciproco: è questa l’immagine al centro del progetto Beyond Walls – Oltre i muri firmato dall’artista franco-svizzero Saype.
    Città di Torino con questo progetto, conferma il proprio impegno sui temi della sostenibilità e della condivisione, consolidandosi come metropoli internazionale dalla spiccata vocazione culturale. Un messaggio di solidarietà e di fratellanza per un’opera dipinta sull’erba, che connette idealmente la città di Torino al resto del mondo. Dopo essersi fatta portavoce dei messaggi
    di rinascita e solidarietà con la campagna #TheNewHumanity, ora Lavazza ha deciso di supportare Saype, artista con cui condivide visione e valori che faranno da filo conduttore per il Calendario Lavazza 2021.
    In parallelo, i Musei Reali si fanno sostenitori del progetto grazie alla volontà di connettere
    il patrimonio delle arti classiche alle espressioni artistiche contemporanee, contribuendo a realizzare uno dei più importanti interventi artistici su scala globale degli ultimi anni.
    Nella cornice del Parco archeologico della Porta Palatina di Torino, uno dei luoghi storici della città, Beyond Walls diventa un ulteriore tassello della “più grande catena umana della storia”, coprendo cinque continenti per un totale di oltre venti città diverse. Settima tappa di un progetto globale inaugurato a Parigi nel 2019 e che ha già toccato luoghi come la Tour Eiffel di Parigi, il muro di Berlino e il memoriale di Ouagadougou in Burkina Faso.
    La scelta di accogliere l’opera presso una delle porte di accesso della città, soglia che delimitava i confini dello spazio cittadino dal mondo esterno, sottolinea il desiderio dell’artista di superare i muri fisici e mentali, invitandoci a intraprendere uno sforzo collettivo per sentirci parte viva di un unico ecosistema, responsabili di un fragile equilibrio che richiede la nostra cura e il nostro impegno individuale.

    Ogni singola mano appartenente al progetto Beyond Walls, con i suoi dettagli che rimandano a etnie, provenienze, culture differenti rappresenta il caleidoscopio di un’umanità in continua evoluzione, che non è disposta a farsi fermare da restrizioni e muri e che si fa portavoce di tolleranza e inclusione.Inserito dalla prestigiosa rivista Forbes nell’elenco delle 30 personalità sotto i trent’anni più influenti nel mondo dell’arte e della cultura, Saype ha sviluppato la propria personale ricerca fondendo l’immediatezza e l’impegno sociale della street art alla consapevolezza della land art, dando vita a una grammatica artistica del tutto personale. Tutta l’opera dell’artista, nato
    a Belfort nel 1989 e formatosi da autodidatta, è realizzata nel totale rispetto della natura ed è costituita da dipinti di dimensioni monumentali realizzati sull’erba grazie all’utilizzo di pigmenti biodegradabili, ideati dall’artista stesso. I dipinti, di natura effimera e di grande impatto visivo, sono nati dall’esperienza maturata da Saype attraverso l’arte di strada, trasformatasi poi verso il linguaggio della land art, un movimento d’avanguardia nato alla fine degli anni ‘70, focalizzato sul dialogo tra gli artisti e la natura.
    La visione di Saype rispetto al presente e alla responsabilità dell’arte è molto chiara:
    «Ci troviamo a un punto della storia in cui il mondo si sta polarizzando, e in cui molte persone si stanno ripiegando su se stesse. Tuttavia credo profondamente che sia solo rimanendo insieme che l’umanità possa rispondere alle più grandi sfide del nostro tempo.» I suoi enormi dipinti, che hanno una durata media che varia tra i 15 e i 90 giorni, rappresentano un richiamo alla transitorietà dell’esistenza e alla relazione tra tutte le forme viventi e coniugano la trasversalità e la forza dell’arte urbana alla profondità e all’urgenza della land art, dando vita a una formula visiva del tutto originale.

    La scelta di Saype – nome d’arte di Guillaume Legros, nato dalla contrazione di “say peace” – avviene in continuità con il percorso intrapreso da Lavazza. L’artista ha già collaborato con l’azienda in qualità di protagonista di uno scatto di Amy Vitale, curatrice del Calendario Lavazza 2019, che ha ritratto il suo dipinto Take Care for Future, realizzato in sinergia con il progetto
    “Colombia Breathes” della Fondazione Lavazza.
    Con questa nuova opera, la Città di Torino e Lavazza si fanno portatrici di un messaggio di speranza, di ottimismo e di resilienza che parte dalla città di Torino e si apre a tutto il mondo. Hanno voluto che anche Torino fosse uno dei luoghi scelti da Saype per realizzare la propria opera, per sostenere e diffondere la ripartenza della città già rappresentante dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, dopo l’emergenza sanitaria.
    Il progetto è un percorso che comprende anche la prima mostra personale dell’artista franco-svizzero presso le sale centrali della Galleria Sabauda dei Musei Reali. Beyond Walls. Torino 2020 ricostruisce poetica, carriera e tecnica dei “Foot Murales” che hanno reso celebre Saype in tutto il mondo e sarà visibile fino al 17 gennaio 2021.

     

  • 26 settembre 2020 – 31 gennaio 2021

    La mostra Capa in color presenta, per la prima volta in Italia, gli scatti a colori di Robert Capa, fotografo di fama mondiale. La collezione è presentata da ICP-International Center of Photography, grazie a ICP Exhibitions Committee e ai fondi pubblici del New York City Department of Cultural Affairs in partnership con il consiglio cittadino.

    Curata dal Centro Internazionale di Fotografia di New York, è prodotta dalla Società Ares con i Musei Reali eallestita nelle Sale Chiablese dal 26 settembre 2020 al 31 gennaio 2021. Robert Capa è internazionalmente noto come maestro della fotografia in bianco e nero, ma ha lavorato regolarmente con pellicole a colori fino alla morte, nel 1954. Sebbene alcune fotografie siano state pubblicate sui giornali dell’epoca, la maggior parte degli scatti a colori non erano ancora stati presentati in un’unica mostra. L’esposizione presenta oltre 150 immagini a colori, lettere personali e appunti dalle riviste su cui furono pubblicate.

    L’esposizione è nata da un progetto di Cynthia Young, curatrice della collezione di Robert Capa al Centro internazionale di fotografia di New York, per presentare un aspetto sconosciuto della carriera del maestro. Rispetto a quanto è stato mostrato in precedenza, l’esposizione intende illustrare il particolare approccio dell’autore verso i nuovi mezzi fotografici e la sua straordinaria capacità di integrare il colore nei lavori da fotoreporter, realizzati tra gli anni ‘40 e ‘50 del Novecento.

    Nato a Budapest con il nome di Endre Ernő Friedmann e naturalizzato cittadino americano nel 1946, Capa fu considerato dal Picture Post come “il più grande fotografo di guerra”, con riferimento agli scatti realizzati durante la guerra civile spagnola. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Capa ha collaborato con molte riviste come Collier’s e Life, ciò che gli permise di acquisire una particolare sensibilità nel rappresentare la guerra e le devastazioni. Le sue famose immagini ben simboleggiano la brutalità dei conflitti e hanno contribuito a cambiare la percezione del pubblico verso la fotografia di guerra.

    Il 27 luglio 1938, trovandosi in Cina per documentare la guerra sino-giapponese in un reportage durato otto mesi, Capa scrisse a un amico della sua agenzia di New York: “Spediscimi immediatamente 12 rulli di Kodachrome con tutte le istruzioni su come usarli, filtri, etc… in breve, tutto ciò che dovrei sapere, perché ho un’idea per Life”. Sebbene di quel servizio siano sopravvissute soltanto fotografie in bianco e nero, ad eccezione di quattro immagini pubblicate sulla rivista Life il 17 ottobre 1938, la lettera esprime il chiaro interesse di Capa per i lavori con pellicole a colori, ben prima che venissero largamente impiegate da molti altri fotoreporter.

    Nel 1941, Capa fotografò a colori Ernest Hemingway nella sua casa a Sun Valley, in Idaho, e utilizzò pellicole a colori anche durante la traversata dell’Atlantico su una nave merci con un convoglio alleato, scatto pubblicato dal Saturday Evening Post.

    Della produzione di Robert Capa sono molto noti i reportage della Seconda Guerra Mondiale, in particolar modo dello sbarco in Normandia, pur avendo privilegiato maggiormente pellicole in bianco e nero. Le poche immagini a colori ritraggono soprattutto le truppe americane e il corpo francese a cammello in Tunisia, nel 1943.

    Dopo il secondo conflitto mondiale, l’attività di Capa si orientò esclusivamente verso l’uso di pellicole a colori, soprattutto per fotografie destinate alle riviste dell’epoca come Holiday e Ladies’Home Journal (USA), Illustrated (UK), Epoca (Italia). Quelle immagini, presentate ai lettori per la prima volta, avevano lo scopo di raccontare al pubblico americano ed europeo la vita quotidiana di persone comuni e di paesi lontani, in maniera radicalmente diversa rispetto ai reportage di guerra che avevano guidato i primi anni della carriera di Capa. L’abilità tecnica del maestro, abbinata alla capacità di raccontare le emozioni umane dimostrata nelle prime fotografie in bianco e nero, gli permise di muoversi con particolare abilità tra i diversi tipi di pellicola, impiegando il colore a completamento dei soggetti fotografati. Tra questi primi lavori si trovano le fotografie della Piazza Rossa di Mosca, realizzate durante un viaggio in URSS nel 1947 con lo scrittore John Steinbeck e la vita dei primi coloni in Israele nel 1949-50. Per il progetto Generazione X, Capa si recò a Oslo, a Essen, nel nord della Norvegia e a Parigi per catturare la vita e i sogni delle giovani generazioni nate prima della guerra.

    Le fotografie di Capa presentano ai lettori anche un interessante ritratto dell’alta società, dovuto al sapiente ed elegante uso della fotografia a colori. Nel 1950, ritrasse le stazioni sciistiche più alla moda delle Alpi svizzere, austriache e francesi, e le affascinanti spiagge francesi di Biarritz e Deauville per il fiorente mercato turistico presentato dalla rivista Holiday. Scattò anche diverse fotografie di moda, lungo le banchine della Senna e in Place Vendôme. Fotografò diversi attori e registi sui set cinematografici, come Ingrid Bergman nel film Viaggio in Italiadi Roberto Rossellini, Orson Welles in Black Rose e John Huston in Moulin Rouge. In questo periodo realizzò anche una serie di ritratti, come quelli di Pablo Picasso, fotografato su una spiaggia con il figlio Claude, o di Giacometti nel suo studio a Parigi. L’immaginario a colori era parte indissolubile della ricostruzione e della vitalità del dopoguerra.

    Per tutti i lavori realizzati dalla fine della guerra in avanti, Capa impiegava sempre almeno due fotocamere: una per le pellicole in bianco e nero e una per quelle a colori, usando una combinazione di 35 mm e 4×5 Kodachrome, e le pellicole Ektachrome di medio formato, sottolineando l’importanza di questo nuovo mezzo per la sua crescita professionale. Continuò a lavorare con pellicole a colori fino al termine della sua vita, anche durante il viaggio in Indocina dove morì nel maggio 1954. In particolare, gli scatti a colori dall’Indoncina sembrano anticipare le immagini che avrebbero dominato l’immaginario collettivo della guerra in Vietnam, negli anni ‘60 del Novecento.

    Capa in color è una mostra che offre la possibilità unica di esplorare il forte e decennale legame del maestro con la fotografia a colori, attraverso un affascinante percorso che illustra la società nel secondo dopoguerra. Il suo talento nella composizione del bianco e del nero fu enorme, ma la scoperta della potenzialità delle pellicole a colori, quasi a metà della sua carriera, rese necessario definire un nuovo approccio. Capa in color rivela come Robert Capa iniziò a osservare il mondo in maniera diversa e come la sua attività riuscì ad adattarsi alla nuova sensibilità postbellica. L’innovativo mezzo fotografico lo obbligò non solo a riconsiderare la composizione dei colori, ma anche a trovare il modo migliore per soddisfare la curiosità di un pubblico reduce dal conflitto, che desiderava divertirsi e conoscere luoghi lontani.

    Dichiara Enrica Pagella, Direttrice Musei Reali:

    «La verità è l’immagine migliore, la miglior propaganda. Con questa frase celebre, Robert Capa afferma l’importanza del mezzo fotografico come arma di testimonianza e di denuncia. Noto universalmente come figura emblematica del fotoreporter di guerra, Capa documentò in bianco e nero i principali conflitti del Novecento, dalla guerra civile spagnola alla Seconda Guerra Mondiale, dal conflitto arabo-israeliano alla prima guerra di Indocina. Sperimentò l’uso del colore mentre si trovava sul fronte della seconda guerra sino-giapponese, nel 1938, e si avvicinò al cinema intervenendo in una pellicola prodotta da Luis Buñuel (Spagna 36) o quale fotografo di scena sul set del film Notorious, diretto da Alfred Hitchcock, che gli consentì di introdurre al neorealismo di Rossellini l’amata Ingrid Bergman. Un’estetica calata nella realtà e un uomo sempre pronto a misurarsi con le miserie, il caos e la storia, fino alla morte avvenuta nel 1954 in Vietnam, mentre scattava una foto.

    Capa è stato tra i fondatori della storica agenzia Magnum Photos con Henri Cartier-Bresson, David Seymour, Georges Rodger e William Vandivert nel 1947, ancora oggi tra le più importanti agenzie di fotogiornalismo mondiali. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la sua poetica si concentrò soprattutto sulle pellicole a colori, ritraendo la vita decadente dell’alta società europea per le riviste, così come attori e artisti. A questa produzione meno nota, ma altrettanto affascinante e inconsueta, è dedicata la mostra Capa in color: il percorso è costituito da 150 immagini che appartengono alla collezione conservata all’International Center of Photography di New York e che sono arrivate a Torino qualche mese prima dell’emergenza sanitaria. Grazie all’accordo con la Società Ares, è ora possibile presentare per la prima volta in Italia, in un’unica mostra, un ritratto della multiforme società internazionale del dopoguerra, grazie al sapiente ed elegante uso del colore. Una mostra importante, sia per la qualità delle immagini che per l’opportunità di estendere l’offerta dei Musei Reali all’attività di un grande maestro del Novecento. Una sfida espositiva che accompagna la ripresa dopo i mesi del confinamento, un modo per “andare più vicino” al pubblico e alla vita, proprio come suggeriva uno degli insegnamenti di Capa: Se le vostre foto non sono abbastanza buone, non siete andati abbastanza vicino».

  • 26 settembre 2020 – 31 gennaio 2021

    Per la prima volta in Italia, i Musei Reali presentano una raccolta di oltre 150 immagini a
    colori di Robert Capa. L’esposizione è nata da un progetto di Cynthia Young, curatrice
    della collezione al Centro Internazionale di Fotografia di New York, per illustrare il
    particolare approccio di Capa verso i nuovi mezzi fotografici e la sua straordinaria capacità
    di integrare l'uso del colore nei reportage realizzati tra il 1941 e il 1954, anno della morte.

     

  • FRIDA KAHLO through the lens of Nickolas Muray viene riprogrammata alla Palazzina di Caccia di Stupinigi, dal febbraio del 2021.

    La mostra evento, il viaggio emozionale nella vita dell’icona mondiale Frida Kahlo, il percorso per conoscere la donna, viverla e comprenderne l’essenza, fatta di forza, coraggio, talento e un immenso amore.

    Gli organizzatori, Next Exhibition ed Ono Arte, annunciano che ci saranno alcune importanti novità rispetto al precedente allestimento.

    I biglietti saranno in vendita da settembre con il circuito Ticket One.

    Tutte le informazioni sul sito www.fridatorino.it

    photo: © Nickolas Muray Photo Archives

  • Presenza della figurazione nella scultura italiana.

    Ritornanti, che vuole riprendere il termini in francese “revenant”, redivivo o fantasma.

    L’obiettivo è quello di  stimolare una riflessione sulla presenza della figurazione nella scultura italiana, in un rapporto di prossimità tra i maestri del Novecento e gli artisti delle ultime generazioni. L’intento è quello di documentare quanto un modus attuale che non è solo pratica di lavoro, ma anche di sensibilità e capacità di sperimentazione, persista nel tempo.

    La figurazione, infatti, sembra attraversare tempi e correnti e, sebbene a volte sia stata relegata a un ruolo marginale, riemerge periodicamente nell’avvicendarsi delle generazioni artistiche. È possibile perciò cogliere rimandi costanti tra la ricerca di artisti distanti nel tempo e nelle estetiche attraverso tutto il Novecento.

    La mostra, a cura di Domenico Maria Papa, presenta una rassegna sulla scultura italiana attraverso opere, anche di grandi dimensioni, di: Arturo Martini, Francesco Messina, Giuseppe Maraniello, Giuliano Vangi, Luciano Minguzzi, Paolo Delle Monache e Giacomo Manzù. A queste si accompagnano 6 sculture di Aron Demetz, uno dei più rappresentativi artisti di una giovane generazione che in Val Gardena reinterpreta la tradizione della scultura in legno attraverso un linguaggio figurativo contemporaneo.

    L’esposizione è completata da 12 grafiche di Mimmo Paladino dedicate a Pinocchio, metafora di una materia che attraverso lo scalpello diviene persona viva, allegoria dell’arte stessa della scultura. In mostra anche fotografie in bianco e nero della fotografa torinese Carola Allemandi, realizzate espressamente per l’occasione.

    Oltre 30 opere per un viaggio nell’arte del Novecento, dalle sperimentazioni del dopoguerra alle produzioni più recenti. Un percorso che si inserisce nell’esposizione permanente del Castello e del Parco con la quale andrà a creare un dialogo serrato. Molti degli autori scelti sono, infatti, già presenti nella ricca collezione permanente del Castello. La mostra propone una lettura della raccolta, sottolineando e commentando le affinità o le differenze tra le opere in esposizione temporanea con quelle permanenti, nonché con opere che per caratteristiche storiche e formali vi entrano in relazione. La scelta delle sculture e la loro collocazione lungo il parco e il percorso della collezione permanente del Castello Gamba, evidenzia il rapporto formale e di correzione artistica tra le opere in esposizione e quelle della collezione permanente.

    La mostra, a cura di Domenico Maria Papa con il supporto tecnico di Museumstudio s.r.l.s di Torino, è corredata da un catalogo a stampa delle opere.

     

    Castello Gamba – Museo d’arte moderna e contemporanea della Valle d’Aosta
    Località Crêt-de-Breil
    Châtillon – Valle d’Aosta

    Tel. +39 0166 563252
    info.castellogamba@regione.vda.it

    Orari:
    Dalle 9.00 alle 19.00
    Tariffe Ingresso Castello:
    Intero: € 5,00
    Ridotto: € 3,00
    Ridotto (6-18 anni): € 2,00
    Gratuito: bambini fino a 6 anni non compiuti

    Locandina

     

     

  • 200 capolavori provenienti dai più prestigiosi musei di tutto il mondo, istituzioni pubbliche e private, enti religiosi e collezioni private.

    Spettacolari dipinti e pale d’altare, sculture, arazzi, disegni, incisioni, arredi e oggetti preziosi per un’imperdibile mostra, allestita negli spazi monumentali della Citroniera Juvarriana della Reggia di Venaria alle porte di Torino: meraviglia dell’architettura barocca, proclamata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

    La mostra conduce i visitatori in uno straordinario viaggio nell’Europa delle arti tra fine Seicento e metà Settecento. Un percorso verso la modernità, incentrato sul confronto diretto tra Roma e Parigi, i due poli di riferimento culturale dell’intera Europa, con i quali Torino intesse in quegli anni un fitto dialogo di idee e di scambio di artisti e di opere.

    La cronologia individuata circoscrive un ampio periodo per così dire “compresso” tra gli ambiti storiografici tradizionalmente associati alle etichette di Barocco e di Neoclassicismo, qui invece messo in luce come epocale fucina di rinnovamento.

    La Sfida al Barocco è quella lanciata dagli artisti in nome della modernità: misurandosi con le grandi opere degli Antichi, dei Maestri del Rinascimento e della prima metà del Seicento, gli artisti esplorano le potenzialità dell’osservazione del naturale, della realtà e dei sentimenti, sperimentando innovativi linguaggi di espressione e comunicazione, rivolti a illustri mecenati e a nuove tipologie di pubblico.

    La mostra racconta quella “sfida”, presentando i capolavori creati e approdati nelle tre città tra il 1680 e il 1750. Un percorso inedito che segna un decisivo cambio di passo sulla scena figurativa: quando Roma rinnova il suo ruolo di depositaria della grandezza dei modelli; quando Parigi arriva a designare il primato della scuola moderna francese, cercando nell’Antico il naturale e scegliendo nuovi riferimenti per la rappresentazione del quotidiano nei maestri fiamminghi e olandesi; quando Torino, grazie all’intelligenza creativa dell’architetto regio Filippo Juvarra, si conferma come un laboratorio della città moderna presentando una straordinaria galleria dei pittori contemporanei delle Scuole d’Italia allestita nelle chiese e nelle residenze della corte.

    Un itinerario che si snoda nella Roma cosmopolita dei Papi, nella Parigi del re sole Luigi XIV e di Luigi XV, nella Torino capitale del nuovo regno di Vittorio Amedeo II e di Carlo Emanuele III.

    La mostra, articolata in 15 tappe con scansione cronologica e tematica, si sviluppa in percorsi paralleli che incrociano la pluralità delle scelte nel confronto tra le tre città, sui temi della storia, della memoria, dell’invenzione, della sensibilità al naturale ed esibisce opere di artisti fondamentali nella ricerca figurativa di quegli anni, messi a confronto in un ordinamento critico mai presentato finora.

    Attraverso una selezione significativa di opere, la mostra permette di ammirare la qualità e la varietà della produzione figurativa del tempo: da Maratti a Trevisani a Conca a Giaquinto a Subleyras, a Pannini e Batoni, ai pittori della modernità parigina, come Boucher e Chardin, agli scultori come Cametti, Legros, Bouchardon, Ladatte e Collino, chiamati a rinnovare le imprese monumentali, ai maestri dell’ornato e delle arti preziose, agli esponenti di maggior rilievo delle scuole romana, napoletana e veneziana voluti a Torino da Filippo Juvarra.

    La qualità magistrale, la grazia, la seducente e coinvolgente rappresentazione delle passioni in pittura e in scultura, il virtuosismo e la raffinatezza preziosa di arredi e ornamenti e lo spettacolare Bucintoro dei Savoia in chiusura della mostra, accompagnano i visitatori lungo questo appassionante e sorprendente percorso costellato da capolavori consegnati alle future elaborazioni dell’arte moderna.

     

  • SIN MIEDO, VIVA LA VIDA!

    La mostra su Frida Kahlo, così come il Museo permanente presso la Palazzina di Caccia di Stupinigi è regolarmente aperta ai visitatori.

    Al fine di adottare cautela e prudenza il servizio sarà gestito con modalità di fruizione contingentata, tale da evitare assembramenti di persone.

    Ricordiamo gli orari della mostra, aperta tutti i giorni:

    dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17.30 e sabato e domenica dalle 10 alle 18.30 (ultimo ingresso consentito un’ora prima dell’orario di chiusura).

    Per info e prenotazioni: 380/1028313 – 011/1924730

    biglietteria@fridatorino.it

    Per le medesime ragioni di sicurezza la direzione della mostra comunica che l’evento speciale programmato per l’8 marzo per la Festa delle Donne è posticipato a data da destinarsi.

    www.fridatorino.itwww.facebook.com/FridaKahloTorino

    Foto di copertina © Nickolas Muray Photo Archives

     

  • La mostra

    La mostra, allestita nella Galleria di Ponente, sarà accessibile gratuitamente a tutti i visitatori della Palazzina, dalla Cappella di Sant’Uberto.
    Sarà il primo evento organizzato per celebrare il bicentenario della nascita di Vittorio Emanuele II, avvenuta il 14 marzo 1820 a Torino. Inaugurata il 4 marzo 2020, la mostra chiuderà il 5 aprile nella stupenda residenza scelta dall’allora duca di Savoia Vittorio Emanuele per il suo matrimonio. L’inaugurazione avverrà dunque nella festa liturgica del beato Umberto III, anniversario anche della proclamazione, nel 1848, dello Statuto Albertino, la prima carta costituzionale che fu estesa al regno d’Italia e che rimase in vigore un secolo, sino al 31 dicembre 1947. Il bicentenario della nascita del primo Re d’Italia sarà un evento internazionale, che è già stato preannunciato a Solferino e San Martino il 24 giugno 2019, nel 160° anniversario della battaglia vinta dalle truppe di Vittorio Emanuele II e di Napoleone III.

    Saranno esposti documenti originali: quadri, decreti, fotografie, lettere, decorazioni etc.
    Sono previste visite guidate a cura di Maura Aimar con il Centro Studi “Principe Oddone” oltre che “Approfondimenti in mostra” ogni sabato alle ore 14.30, per tutta la durata della mostra.

    Organizzatori

    Grazie alla concessione degli spazi da parte della Fondazione Ordine Mauriziano, la mostra è stata organizzata dal Centro studi “Vittorio Emanuele II” (centro.ve.ii@gmail.com), presieduto dal Dr. Alberto Casirati, con il supporto di Reale Mutua Assicurazioni e di Mag-Jlt Broker Assicurativo ed in collaborazione con: Coordinamento Sabaudo, Associazione Internazionale Regina Elena Onlus, Centro Studi Principe Oddone, Centro Studi Principessa Mafalda, Istituto della Reale Casa di Savoia, Opera Principessa di Piemonte, Tricolore, associazione culturale.

    Perché Stupinigi?

    – Il 12 aprile 1842 vi fu celebrato il matrimonio tra il futuro Re di Sardegna Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena.
    – La palazzina ospita mostre d’arte di livello internazionale.
    – La mostra sarà visitabile gratuitamente da tutti i visitatori della Palazzina, venendo ricompresa nel biglietto d’ingresso.

    – Saranno proposte su richiesta delle visite guidate dedicate alla mostra (di circa un’ora). – Durante la mostra sono previste visite di personalità internazionali.

    Perché l’inaugurazione il 4 marzo?

    Il 4 marzo è una data storica doppiamente importante.
    – A livello nazionale è la data della proclamazione dello Statuto Albertino, che avvenne nel 1848 da parte del 39° capo della Dinastia sabauda, il 21° duca di Savoia e 7° (e penultimo) Re di Sardegna Carlo Alberto (1831-49), padre di Vittorio Emanuele II, che estese al Regno d’Italia lo Statuto paterno, che fu in vigore per un secolo, dal 4 marzo 1848 al 31 dicembre 1947.
    – A livello sabaudo è la festa liturgica del Beato Umberto III, 8° conte di Savoia (1148-89), del quale è conservato un importante quadro ligneo nella sala del cervo, all’ingresso del percorso museale di Stupinigi.

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    Origini della palazzina

    Nel XVI secolo, per volontà del duca di Savoia Emanuele Filiberto, il castello e le terre adiacenti vennero lasciate all’Ordine Mauriziano.
    Nei boschi di Altessano, a metà del Seicento, venne costruita la reggia di Venaria Reale.
    La palazzina di caccia di Stupinigi fu originariamente una residenza dedicata alla pratica dell’attività venatoria, costruita per Vittorio Amedeo II, duca di Savoia e re di Sardegna, fra il 1729 ed il 1733, su progetto dell’architetto Filippo Juvarra. Fu inaugurata alla festa di sant’Uberto del 1731 ma la vera inaugurazione del complesso alla vita di corte avvenne nel 1739, in occasione della visita a Torino del granduca di Toscana Francesco di Lorena, futuro imperatore del Sacro Romano Impero e fratello della regina di Sardegna Elisabetta Teresa.

    Facente parte del circuito delle residenze sabaude in Piemonte, nel 1997 il sito è stato proclamato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
    La palazzina dista circa 10 km dal centro storico di Torino.

    Luogo di ricevimenti e di eventi internazionali

    La Palazzina ospitò importanti ricevimenti, in particolar modo la festa del 1773 per il matrimonio tra Maria Teresa di Savoia ed il conte d’Artois (il futuro re di Francia Carlo X dal 1824), l’imperatore Giuseppe II nel 1769, lo zarevic Paolo Romanov (il futuro zar Paolo I) e sua moglie nel 1782, e il re di Napoli Ferdinando I di Borbone, con la moglie Carolina, nel 1785. Il 12 aprile 1842 vi fu celebrato il matrimonio tra il re di Sardegna Vittorio Emanuele II, futuro primo re d’Italia, e Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena.

    La Palazzina ospita periodicamente mostre d’arte di livello internazionale.
    La pianta della Palazzina è definita dalla figura dei quattro bracci a croce di Sant’Andrea, intercalati dall’asse centrale che coincide col percorso che da Torino porta alla reggia tramite un bellissimo viale alberato che fiancheggia cascine e scuderie, antiche dipendenze del palazzo. Il cuore della costruzione è il grande salone ovale a doppia altezza dotato di balconate ad andamento “concavo-convesso”, sormontato dalla statua del “Cervo”. L’interno è in Rococò italiano, costituito da materiali preziosi come lacche, porcellane, stucchi dorati, specchi e radiche che, oggi, si estendono su una superficie di circa 31.000 metri quadrati, mentre 14.000 sono occupati dai fabbricati adiacenti, 150.000 dal parco e 3.800 dalle aiuole esterne; in complesso, sono presenti 137 camere e 17 gallerie.
    La costruzione si protende anteriormente racchiudendo un vasto cortile ottagonale, su cui si affacciano gli edifici di servizio.
    Tra i pregiati mobili fabbricati per la palazzina vanno ricordati quelli dell’intagliatore Giuseppe Maria Bonzanigo, di Pietro Piffetti e di Luigi Prinotto.
    L’edificio conserva decorazioni dei pittori veneziani Giuseppe e Domenico Valeriani, di Gaetano Perego e del viennese Christan Wehrlin. Vanno ricordati inoltre gli affreschi di Vittorio Amedeo Cignaroli, Gian Battista Crosato e Carlo Andrea Van Loo.

    La Palazzina di caccia e il suo parco hanno ospitato in particolare: la mostra della pittrice Jindra Husàrikovà (1987), tutte le puntate della 27a edizione dei Giochi senza frontiere (1996), le riprese di scene della fiction “Elisa di Rivombrosa”, la fase di qualificazione e di eliminazione dei campionati mondiali di tiro con l’arco 2011, riprese dei film “Guerra e pace”, “I banchieri di Dio” e “Prendimi l’anima”, il set per la versione televisiva della Cenerentola di Rossini diretta da Carlo Verdone, il set del film Ulysses – A dark odissey, lo Stupinigi Sonic Park etc.

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