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  • Artisti contemporanei, tatuatori e tatuati, opere e personaggi del passato si mescolano e dialogano in un percorso suggestivo, che guida il pubblico in un viaggio e una riflessione sull’uso sociale, culturale e artistico del corpo.

    Nell’antichità il tatuaggio è visto come il marchio degli sconfitti, siano essi schiavi o malfattori, o rievoca la ferocia dei barbari come i Pitti e i Germani che premono minacciosi sui confini dell’Impero.

    Quest’aura di ribrezzo, estraneità e fascinazione nei confronti del tatuaggio viene evocata e ampliata nel Settecento, quando i navigatori europei che raggiunsero il sud-est Asiatico e l’Oceano Pacifico, entrano in contatto con popoli che suscitano sorpresa, ammirazione o disprezzo, perché praticano in maniera estensiva il tatuaggio.

    La stessa parola “tattoo” ha origine polinesiana (in italiano mediata dal francese tatouage) viene introdotta in occidente dal navigatore James Cook. Proprio l’incontro/scontro con queste lontane popolazioni costituisce un momento decisivo nell’elaborazione dell’immaginario nei confronti del tatuaggio e di una tessitura simbolica in cui precipitano insieme esotismo e costruzione culturale del “selvaggio”.

    La mostra ripropone alcuni passaggi cruciali in cui l’Occidente si nutre di rappresentazioni dell’altro, focalizzando l’attenzione su popoli che praticano in maniera estensiva il tatuaggio e che influenzeranno fortemente la cultura e l’arte contemporanea.

    Verranno presentate in mostra, grazie ai prestiti del Museo delle Civiltà di Roma, strumenti collegati al tatuaggio provenienti dall’Asia e dall’Oceania, foto storiche scattate dal celebre fotografo Felice Beato nel Giappone degli anni ’60 dell’800 e fotografie, sempre storiche, dei Maori della Nuova Zelanda.

    A questo si aggiunge una selezione delle stampe del noto artista giapponese Kuniyoshi Utagawa che nel 1827 pubblica una serie di eroi popolari giapponesi noti come i 108 eroi suikoden, famosa per essere diventata un riferimento iconografico per i tatuaggi.

    A cura di

    Luca Beatrice, Alessandra Castellani e MAO Museo d’Arte Orientale

    MAO Museo d’Arte Orientale via San Domenico 11 – Torino

  • Casa Martini, per una chierese come me è “La Martini”.

    Sono cresciuta sentendo parlare della Martini prima di tutto come un’azienda nella quale lavoravano persone contente, persone che avevano trovato nella Martini una tranquillità economica per la propria famiglia con una prospettiva positiva per il futuro. Sono  diventata adulta “non bevitrice” ma nel mio immaginario oltre alla positività lavorativa si è aggiunto anche il pensiero di un’azienda che concedesse anche “piacere”: il piacere di bere.

    Fondata a Torino nella metà dell’Ottocento come distilleria, Martini & Rossi è oggi leader in Italia dal 1993 e parte del Gruppo Bacardi-Martini, a sua volta terzo nel mercato alcolico globale. L’azienda è nota nel mondo per i marchi Martini – icona dello stile italiano – e Bacardi, ma il portafoglio di brand comprende anche Grey Goose, Bombay Sapphire, Eristoff, Dewar’s e altri famosi distillati.

    Grazie ad una filosofia imprenditoriale attenta alla qualità dei prodotti, alle persone e alla ricerca costante del rinnovamento nella tradizione, Martini & Rossi ha sviluppato la propria fortuna nel tempo e rappresenta l’Italia nel mercato internazionale.

    Cosi, in una calda giornata di agosto, con un accompagnatore curioso e appassionato  – mio papà – vado a visitare CASA MARTINI.

    Casa Martini, rappresentata dalla palazzina ottocentesca di Martini & Rossi a Pessione , a settembre 2014 apre  le proprie porte al pubblico, pronta ad accogliere i suoi ospiti in quella che da oltre 150 anni è la dimora di un brand icona del Made in Italy e a guidarli con la passione di sempre attraverso la sua affascinante struttura, alla scoperta di una ricca di tradizione enologica.

    Polo culturale dell’azienda, Casa Martini si puo trovare accanto al Museo di Storia dell’Enologia e alla Galleria Mondo Martini, anche l’ormai celebre Martini Bar Academy, di recente ristrutturazione, e la Terrazza Eventi di Pessione con il suo nuovo Bar Lounge, dal fascino inconfondibile, Botanical Room  composta da due aree (Presentation e Tasting) la Botanical Room è il luogo in cui si entra in contatto con
    gli ingredienti alla base dei Vermouth e degli Spumanti. Piante aromatiche, fiori, frutti, corteccia e radici, Old Laboratory perché l’enologia è sapienza artigianale, capacità di affinare i sensi, attenzione alle sfumature e infine il Martine Store, difficile non cedere alla tentazione di acquistare accessori e capi d’abbigliamento firmati Martini e Martini Racing: centinaia di articoli, introvabili altrove e ricercatissimi dai collezionisti.

    Le cantine della palazzina storica furono il nucleo originario dello stabilimento Martini & Rossi sono oggi in mostra. Si possono ammirare oltre 600 pezzi di straordinario valore, allestiti nei 15 ambienti delle cantine ottocentesche. Le prime sette sale costituiscono l’area archeologica: nelle teche anfore, vasi, filtri, coppe di splendida fattura, lungo un asse temporale che parte dall’Antico Egitto, attraverso la Grecia classica e giunge alla tarda latinità.

    La seconda parte è dedicata all’epoca moderna, dal Sei-Settecento al Novecento. Vi trovano posto torchi monumentali, carri da cerimonia, tini alambicchi accanto a preziosi oggetti in argento o cristallo, realizzati dalle manifatture di tutto il mondo.

    La galleria Mondo Martini è un’ esposizione che mette in scena immagini e documenti d’archivio, raccontando gli uomini, le passioni e i progetti che hanno contrassegnato l’affermarsi del marchio Martini nel mondo.

    Per maggiori informazioni su Casa Martini

    Altrimenti un simpatico Virtual Tour

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    Gallery Visita Casa Martini

     

  • Il capolavoro scomparso

    In seguito ad una comunicazione della Sovrintendenza della Repubblica di Torino, Belle Arti e paesaggio della Città Metropolitana di Torino, che segnalava che nella mostra “ Genio e Maestria” in mostra alla Reggia di Venaria mancava l’esposizione di uno dei maggiori pezzi dell’ebanista, in quanto reperibile, sono partite le indagine e la ricerca del bene.

    Le indagini

    I carabinieri hanno  scoperto che l’opera, risparmiata dai bombardamenti di Torino del 1943,  venduta ad un privato cittadino e trasportata in Francia senza alcuna  autorizzazione, passando per la Svizzera e come ultima destinazione negli  Stati Uniti, dove alla fine degli anni ’90 e per un lungo periodo di tempo, è stata esposta al Metropolitan Museum di New York.

    La restituzione

    Lo sviluppo delle indagini contestualmente all’accurata ricostruzione storico-artistica hanno consentito di dimostrare, inoltre, che l’opera era stata concepita non come arredo mobile autonomo, bensì come perfetta integrazione dell’apparato decorativo della sala degli appartamenti ducali di Palazzo Chiablese di Torino. Particolare che ha confermato l’imprescindibile legame del bene all’immobile demaniale e quindi l’appartenenza allo Stato italiano.

    L’ultimo possessore ha convenuto la restituzione  dell’opera all’Italia , che possedeva , se pur in buona fede, illecitamente.

  • In tutto sono esposti fino all’11 settembre 2017 più di 130 oggetti, tra armi, strumenti musicali, oggetti sacri, ornamenti, in gran parte mai esposti prima d’ora al pubblico, entrati nelle collezioni di Palazzo Madama grazie alle donazioni di diplomatici, imprenditori, artisti, commercianti e aristocratici.

    Il 6 aprile nella Sala Atelier di Palazzo Madama apre la mostra Cose d’altri mondi. Raccolte di viaggiatori tra Otto e Novecento, un viaggio attraverso quattro continenti illustrato da opere d’arte provenienti dalle ricche collezioni etnografiche del museo e da prestiti di altri musei del territorio piemontese.

    Reperti archeologici dell’America pre-colombiana.

    Tamburi, sonagli e lire congolesi.

    Pagaie cerimoniali, clave e tessuti in corteccia d’albero provenienti dalle isole dell’Oceania.

    Testi sacri e sculture buddhiste.

    E ancora manufatti africani, maschere del Mali e della Nigeria; un meraviglioso pariko (diadema) di penne multicolori usato dai Bororo del Mato Grosso nelle cerimonie; opere queste provenienti rispettivamente da due importanti musei etnografici del territorio piemontese: il Museo Etnografico e di Scienze Naturali Missioni della Consolata di Torino e il Museo Etnologico Missionario del Colle Don Bosco.
    La mostra – curata da Maria Paola Ruffino e Paola Savio, storiche dell’arte di Palazzo Madama – riconduce a un’epoca in cui con sguardo positivista si studiavano i mondi lontani dall’Occidente e quindi esotici. Una stagione in cui i maggiori musei europei si aprirono ad accogliere reperti e manufatti di popoli e continenti diversi alla ricerca di nuove chiavi di lettura per la propria storia e cultura.

    A Palazzo Madama il percorso espositivo si articola in quattro principali sezioni: Africa, Asia, America e Oceania.

    Nell’Africa troviamo una selezione di armi e strumenti musicali raccolti dal marchese Ainardo di Cavour, durante un avventuroso viaggio compiuto nel 1862 nella regione detta Sennar (tra Egitto e Sudan), e da Tiziano Veggia, che lavora nella prima metà del Novecento alla costruzione di ferrovie in Congo, nonché dai Missionari della Consolata, in contatto con numerose etnie, quali i Bambara nel Mali, gli Yoruba in Nigeria e i nomadi Beja.

    Dall’Asia proviene la collezione di sculture sacre, stoffe, avori intagliati ed altri oggetti d’uso, esposta per la prima volta, che l’imprenditore Bernardo Scala nel 1880 porta con sé al suo rientro dallo Stato del Myanmar (allora detto Birmania). Di particolare fascino sono i testi buddhisti in lingua Pali, scritti su foglie di palma dorate e chiusi da tavolette in lacca rossa e oro che sono stati restaurati per la mostra, e gli oggetti provenienti dalla Corea donati dal conte Ernesto Filipponi di Mombello nel 1888: ventagli in carta di gelso dipinta e un libro che mostra esempi delle Cinque Relazioni Umane confuciane, in scrittura cinese e coreana a scopo divulgativo.

    Nella seconda metà dell’Ottocento s’intensificano i viaggi oltreoceano, come testimoniano le numerose raccolte rappresentate nella sezione dedicata all’America.

    Dal Messico provengono gli oggetti precolombiani donati al museo nel 1876 dall’imprenditore Zaverio Calpini. Reperti rari e preziosi quali le sculture olmeche, urne cinerarie zapoteche, ornamenti d’oro e idoli della cultura Maya, Mixteca e Azteca, e anche manufatti più comuni quali gli stampi in terracotta a rilievo per decorare il corpo o i rocchetti in ossidiana da inserire nei lobi delle orecchie, che trovano sintonie inaspettate negli usi e nella cultura contemporanea.

    Dal Perù arrivano i pettorali e pendenti in argento e oro donati da Giovanni BattistaDonalisio, console di Panama. Resta invece ignoto il nome di chi abbia offerto al museo di Palazzo Madama la collana d’artigli di giaguaro dell’America centrale; inquietante quasi quanto la Tsantsa, la testa umana miniaturizzata portata sul petto quale trofeo dai guerrieri della tribù Jívaro in Ecuador, offerta ai concittadini da Enrico della Croce di Dojola nel 1873.

    L’Oceania costituisce l’ultima sezione della mostra, con una selezione tra gli oltre 200 oggetti donati nel 1872 da Ernesto Bertea. Avvocato e pittore, Bertea non viaggia personalmente oltreoceano, ma acquista forse a Londra questo eccezionale nucleo di manufatti provenienti dalle isole polinesiane e Salomone, di pregio pari a quelli del British Museum. Tra gli oggetti esposti delle clave rompitesta, lance, fiocine, pagaie cerimoniali dipinte e intagliate a intrecci geometrici e alcuni tapa, tessuti fatti di fibra di corteccia battuta e decorata a stampo con motivi di linee e geometrie regolari.

    Il percorso nel suo articolarsi è carico di sorprese e suggestioni e consente di scoprire opere esteticamente insolite e stupefacenti a tal punto da sembrare oggetti attinenti a certa illustrazione fantasy contemporanea o persino progettati da culture extraterrestri.

  • MARYLIN MONROE, una donna per le donne –  Il 1° giugno  avrebbe compiuto 90 anni.

    A celebrare questo importante anniversario della sua nascita, si è svolta inaugura a Torino, presso Palazzo Madama dal 31 maggio al 19 settembre 2016, una mostra.

    Marilyn Monroe. La donna oltre il mito.

    Ripercorreva  l’intimo dell’icona senza tempo di bellezza e sensualità, icona  della storia del cinema e del costume.

    L’sposizione ha proposto con occhio  diverso  la carriera dell’attrice,  e il suo lato più intimo attraverso l’esposizione di 150 oggetti personali – abiti, accessori, trucchi, bigodini, documenti, lettere, appunti su quaderni, contratti cinematografici, oggetti di scena e spezzoni di film –

    In mostra fotografie della diva: da quelle inedite e originali della stampa del tempo a quelle scattate dai suoi leggendari fotografi: Milton Greene, Alfred Eisenstaedt, George Barris e Bernt Stern.

    Molto del materiale esposto proviene dalla casa di Marilyn in 5th Helena Drive a Brentwood, California, lasciato al suo maestro di recitazione e mentore Lee Strasberg.

    Marylin ha reso possibile anche un progetto molto importante per Palazzo Madama: una raccolta fondi con l’obbiettivo di rendere il “Museo a misura di Famiglia”.

    Il  maestro Sileno Cheloni, affascinato dai contenuti della mostra e ispirato dagli oggetti personali appartenuti all’attrice ha  prodotto un profumo su misura che ne cattura i tratti più intimi e nascosti.

    La Partnership con Aquaflor e il sostegno di San Carlo dal 1973 hanno reso possibile anche la realizzazione di un altro importante progetto ispirato a Marilyn, il lancio di una raccolta fondi – “IL MUSEO A MUSURA DI FAMIGLIE”.

    Un’essenza che parla dei fiori, dei colori e dei profumi che Marilyn amava e sceglieva come simboli della sua anima.

    Una piramide olfattiva che mescola un accordo floreale con note di rosa, gelsomino e frangipane, insieme ad Iris fiorentino, vaniglia del Madagascar con un fondo di Boisé con note di sandalo di Mysore e muschio bianco.

    L’obiettivo: raccogliere dall’inizio al termine della mostra 20.000 euro da destinare all’acquisto di beni e servizi di accoglienza, didattica e comunicazione fondamentali per un Family Museum.

     

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