Duecento anni fa un giovane poco più che ventenne metteva in versi le sensazioni che provava quando, dopo essere salito su una collina vicino a casa sua, si sdraiava dietro una siepe e cercava di immaginare cosa ci fosse dall’altra parte.
Il giovane si chiamava Giacomo Leopardi, e quei suoi quindici endecasillabi sarebbero diventati una delle poesie più amate della letteratura italiana: L’Infinito.
Tornando a Leopardi, vale ancora la pena di leggerlo, rileggerlo e, impararlo a memoria?
Analizzando L’Infinito riga per riga, l’immensità che i ragazzi di oggi pensano di trovare dietro lo schermo di un telefono non somiglia un po’ a quella che per Giacomo si nascondeva dietro la siepe?