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  • La nuova serie TV su casa Savoia, che sarà lanciata nel 2022. si prepara aad esordiire sul set. La serie è una produzione italo francese, che porta le firme di Commission Torino Piemonte, Lume Torino e Les Films d’Ici casa di produzione transalpina. I produttori non nascondono che l’ispirazione sia nata dalla serie ispirata a casa Windsor. Tuttavia, la produzione italiana promette di essere altrettanto intrigante e che il budget messo a disposizione dai produttori non sarà inferiore a quello della produzione Netflix.

    La scrittura della produzione si è arrestata a maggio,rallentando le fasi preliminari della produzione durante la pandemia, ma è ripresa in queste settimane con lo scopo di ultimare le riprese nel 2021 e lanciare il prodotto l’anno seguente. Oltre le vicissitudini della casata sabauda, la serie sarà incentrata sulle gesta di Marie-Jeanne de Nemours, moglie di Carlo Emanuele II.

    Lo show spazierà tra realtà storica e fantasy, e dai dettagli rilasciati finora dovrebbe partire dagli albori del XVII secolo, esplorando la storia di Marie-Jeanne de Nemours. Da orfana, si ritroverà ad essere moglie del duca di Savoia, Carlo Emanuele, diventando Reggente del Regno e Madama Reale (nel 1675). Proprio da quest’ultimo titolo dovrebbe essere tratta la denominazione della serie, anche se al momento sono in molti ad affermare che potrebbe chiamarsi semplicemente “I Savoia”.

    La donna sarà al centro della serie, e verranno raccontate le sue vicissitudini amorose, la sua ostentazione dei giovani numerosi amanti (e la vendetta nei confronti di quelle del defunto marito) ma ampio spazio avrà anche, naturalmente, il filone politico. Verrà infatti mostrato come la Reggente abbia sfidato Luigi XIV (il Re Sole), cercando di affermare a livello internazionale il ruolo dei Savoia. Giocando secondo le sue regole, provò a trasformare Torino in una nuova Atene, dal punto di vista culturale e della conoscenza. Stravolgendo i costumi dell’epoca e i rigidi dettami di corte – provenienti per lo più dalla vicina Francia – sobillerà l’intera città.

    Per la fiction sui Savoia è stato fatto un contest dal titolo semplice ed efficace, I Savoia – La Serie. L’ispirazione viene, sembra facile capirlo, dal successo di operazioni come I Borgia, I Tudor e il più recente, e vicino, I Medici.

    Come si legge nella brochure che raccoglie i progetti finalisti, il contest è stato lanciato nell’autunno 2017 da Film Commission Torino Piemonte, FIP Film Investimenti Piemonte e Regione Piemonte e ha messo in palio 50.000 euro per lo sviluppo dell’idea vincente. Certo pochi per immaginare l’effettiva realizzazione di un prodotto miniseriale.

    Il bando, infatti, richiedeva un concept per una miniserie da 6-8 episodi da 50’ ambientato nei secoli d’oro dei Savoia, tra il XVII e il XVIII, che portano la dinastia dal ducato al titolo regio e segnano l’affermazione a livello europeo. Dal trattato di Cateau-Cambresis del 1559 agli splendenti decenni delle Madame Reali con l’affermazione della dinastia a livello europeo, dal lungo regno di Vittorio Amedeo II e del figlio Carlo Emanuele III all’epoca della Rivoluzione Francese, fino al Risorgimento, con l’Unità Italiana del 1861.

    L’obiettivo dei patrocinatori era quello di promuovere una serie TV di alto profilo, capace di valorizzare la storia del territorio piemontese e il circuito delle residenze reali. E i progetti non sono mancati. Stando a quanto pubblicato dalla FCTP, al bando europeo hanno risposto 247 autori per un totale di 150 concept presentati, di cui il 10% stranieri. Una commissione ha quindi selezionato i 10 progetti più convincenti da presentare al TFF 2018, dove sarebbe stato anche premiato il vincitore.

    “La serie tv “Madama Reale” ha convinto per la capacità di unire la grande epica storica e televisiva con temi e linguaggi di grande attualità. La vita di Maria Giovanna di Nemours viene raccontata nella cornice di una serie di lettere tra una madre e una nipote, che sviluppano apertamente il difficile rapporto tra genere, potere e sentimenti privati; un tema centrale per comprendere l’originalità delle figure storiche delle Madame Reali e che al tempo stesso risuona con sempre maggiore importanza nel mondo contemporaneo”.

  • La mostra

    La mostra, allestita nella Galleria di Ponente, sarà accessibile gratuitamente a tutti i visitatori della Palazzina, dalla Cappella di Sant’Uberto.
    Sarà il primo evento organizzato per celebrare il bicentenario della nascita di Vittorio Emanuele II, avvenuta il 14 marzo 1820 a Torino. Inaugurata il 4 marzo 2020, la mostra chiuderà il 5 aprile nella stupenda residenza scelta dall’allora duca di Savoia Vittorio Emanuele per il suo matrimonio. L’inaugurazione avverrà dunque nella festa liturgica del beato Umberto III, anniversario anche della proclamazione, nel 1848, dello Statuto Albertino, la prima carta costituzionale che fu estesa al regno d’Italia e che rimase in vigore un secolo, sino al 31 dicembre 1947. Il bicentenario della nascita del primo Re d’Italia sarà un evento internazionale, che è già stato preannunciato a Solferino e San Martino il 24 giugno 2019, nel 160° anniversario della battaglia vinta dalle truppe di Vittorio Emanuele II e di Napoleone III.

    Saranno esposti documenti originali: quadri, decreti, fotografie, lettere, decorazioni etc.
    Sono previste visite guidate a cura di Maura Aimar con il Centro Studi “Principe Oddone” oltre che “Approfondimenti in mostra” ogni sabato alle ore 14.30, per tutta la durata della mostra.

    Organizzatori

    Grazie alla concessione degli spazi da parte della Fondazione Ordine Mauriziano, la mostra è stata organizzata dal Centro studi “Vittorio Emanuele II” (centro.ve.ii@gmail.com), presieduto dal Dr. Alberto Casirati, con il supporto di Reale Mutua Assicurazioni e di Mag-Jlt Broker Assicurativo ed in collaborazione con: Coordinamento Sabaudo, Associazione Internazionale Regina Elena Onlus, Centro Studi Principe Oddone, Centro Studi Principessa Mafalda, Istituto della Reale Casa di Savoia, Opera Principessa di Piemonte, Tricolore, associazione culturale.

    Perché Stupinigi?

    – Il 12 aprile 1842 vi fu celebrato il matrimonio tra il futuro Re di Sardegna Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena.
    – La palazzina ospita mostre d’arte di livello internazionale.
    – La mostra sarà visitabile gratuitamente da tutti i visitatori della Palazzina, venendo ricompresa nel biglietto d’ingresso.

    – Saranno proposte su richiesta delle visite guidate dedicate alla mostra (di circa un’ora). – Durante la mostra sono previste visite di personalità internazionali.

    Perché l’inaugurazione il 4 marzo?

    Il 4 marzo è una data storica doppiamente importante.
    – A livello nazionale è la data della proclamazione dello Statuto Albertino, che avvenne nel 1848 da parte del 39° capo della Dinastia sabauda, il 21° duca di Savoia e 7° (e penultimo) Re di Sardegna Carlo Alberto (1831-49), padre di Vittorio Emanuele II, che estese al Regno d’Italia lo Statuto paterno, che fu in vigore per un secolo, dal 4 marzo 1848 al 31 dicembre 1947.
    – A livello sabaudo è la festa liturgica del Beato Umberto III, 8° conte di Savoia (1148-89), del quale è conservato un importante quadro ligneo nella sala del cervo, all’ingresso del percorso museale di Stupinigi.

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    Origini della palazzina

    Nel XVI secolo, per volontà del duca di Savoia Emanuele Filiberto, il castello e le terre adiacenti vennero lasciate all’Ordine Mauriziano.
    Nei boschi di Altessano, a metà del Seicento, venne costruita la reggia di Venaria Reale.
    La palazzina di caccia di Stupinigi fu originariamente una residenza dedicata alla pratica dell’attività venatoria, costruita per Vittorio Amedeo II, duca di Savoia e re di Sardegna, fra il 1729 ed il 1733, su progetto dell’architetto Filippo Juvarra. Fu inaugurata alla festa di sant’Uberto del 1731 ma la vera inaugurazione del complesso alla vita di corte avvenne nel 1739, in occasione della visita a Torino del granduca di Toscana Francesco di Lorena, futuro imperatore del Sacro Romano Impero e fratello della regina di Sardegna Elisabetta Teresa.

    Facente parte del circuito delle residenze sabaude in Piemonte, nel 1997 il sito è stato proclamato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
    La palazzina dista circa 10 km dal centro storico di Torino.

    Luogo di ricevimenti e di eventi internazionali

    La Palazzina ospitò importanti ricevimenti, in particolar modo la festa del 1773 per il matrimonio tra Maria Teresa di Savoia ed il conte d’Artois (il futuro re di Francia Carlo X dal 1824), l’imperatore Giuseppe II nel 1769, lo zarevic Paolo Romanov (il futuro zar Paolo I) e sua moglie nel 1782, e il re di Napoli Ferdinando I di Borbone, con la moglie Carolina, nel 1785. Il 12 aprile 1842 vi fu celebrato il matrimonio tra il re di Sardegna Vittorio Emanuele II, futuro primo re d’Italia, e Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena.

    La Palazzina ospita periodicamente mostre d’arte di livello internazionale.
    La pianta della Palazzina è definita dalla figura dei quattro bracci a croce di Sant’Andrea, intercalati dall’asse centrale che coincide col percorso che da Torino porta alla reggia tramite un bellissimo viale alberato che fiancheggia cascine e scuderie, antiche dipendenze del palazzo. Il cuore della costruzione è il grande salone ovale a doppia altezza dotato di balconate ad andamento “concavo-convesso”, sormontato dalla statua del “Cervo”. L’interno è in Rococò italiano, costituito da materiali preziosi come lacche, porcellane, stucchi dorati, specchi e radiche che, oggi, si estendono su una superficie di circa 31.000 metri quadrati, mentre 14.000 sono occupati dai fabbricati adiacenti, 150.000 dal parco e 3.800 dalle aiuole esterne; in complesso, sono presenti 137 camere e 17 gallerie.
    La costruzione si protende anteriormente racchiudendo un vasto cortile ottagonale, su cui si affacciano gli edifici di servizio.
    Tra i pregiati mobili fabbricati per la palazzina vanno ricordati quelli dell’intagliatore Giuseppe Maria Bonzanigo, di Pietro Piffetti e di Luigi Prinotto.
    L’edificio conserva decorazioni dei pittori veneziani Giuseppe e Domenico Valeriani, di Gaetano Perego e del viennese Christan Wehrlin. Vanno ricordati inoltre gli affreschi di Vittorio Amedeo Cignaroli, Gian Battista Crosato e Carlo Andrea Van Loo.

    La Palazzina di caccia e il suo parco hanno ospitato in particolare: la mostra della pittrice Jindra Husàrikovà (1987), tutte le puntate della 27a edizione dei Giochi senza frontiere (1996), le riprese di scene della fiction “Elisa di Rivombrosa”, la fase di qualificazione e di eliminazione dei campionati mondiali di tiro con l’arco 2011, riprese dei film “Guerra e pace”, “I banchieri di Dio” e “Prendimi l’anima”, il set per la versione televisiva della Cenerentola di Rossini diretta da Carlo Verdone, il set del film Ulysses – A dark odissey, lo Stupinigi Sonic Park etc.

  • Una delle statue simbolo di Torino è quella dedicata al famoso Conte Verde. Dove si trova questo monumento e chi è il Conte Verde?

    La statua del Conte Verde si trova in piazza Palazzo di Città, davanti al palazzo del Comune di Torino, in pieno centro. E’ un monumento eretto in memoria della spedizione in Oriente di Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde appunto, mentre è intento a uccidere due rivali.

    Ci molte curiosità legate alla statua del Conte Verde. Innanzitutto non fu realizzata quando Amedeo VI di Savoia era in vita o subito dopo la sua morte, ma diversi secoli dopo e inaugurata solo il 7 maggio del 1853 alla presenza di Camillo Benso Conte di Cavour.

    Perché Amedeo VI venne soprannominato Conte Verde? Si narra che da giovane si distinse in numerosi tornei nei quali era solito sfoggiare armi e vessilli di colore verde. Questi tratti distintivi divennero così famosi da farlo soprannominare Conte Verde. Il colore continuò a caratterizzarlo anche quando salì al trono: anche in quel caso continuò a vestirsi sempre di verde.

    Il Conte Verde lasciò un’impronta indelebile nello stato sabaudo. Riportò il Paese ad un ruolo di egemonia, attraverso importanti campagne militari e una saggia politica. Tuttavia, anche a causa delle imprese militari, dovette sostenere forti spese, tanto da ricorrere a prestiti da parte di banchieri, come nel caso, nel 1373, della cifra di 8.000 ducati, ottenuti da Bonaventura Consiglio e socio, che tenevano banco a Forlì, offrendo come garanzia la sua corona e altri valori. Di questa difficile situazione economica risentirà anche il successore, Amedeo VII.

    Nel 1359 riassorbì la Baronia del Vaud nei domini diretti dei Savoia, acquistandola dalla cugina Caterina di Savoia-Vaud, per una cifra di 160.000 fiorini d’oro.

    Il suo nome rimane ancora oggi legato al cosiddetto Ordine del Collare, oggi Ordine dell’Annunziata. In seguito il Collare dell’Annunziata venne attribuito a tutti coloro che avessero reso alti servigi allo stato: venivano considerati cugini del re.

    L’origine del blu Savoia, colore nazionale italiano, sembra sia legato a Amedeo VI di Savoia. Il 20 giugno 1366, prima di partire per una crociata voluta da papa Urbano V e organizzata per prestare aiuto all’imperatore bizantino Giovanni V Paleologo, cugino di parte materna del conte sabaudo, Amedeo VI volle che sulla nave ammiraglia della flotta di 17 navi e 2000 uomini, una galea veneziana, sventolasse, accanto allo stendardo rosso-crociato in argento dei Savoia, una bandiera azzurra.

    Non è sicuro che l’uso di vessilli azzurri sia iniziato con Amedeo VI o fosse invece precedente; in ogni caso le più antiche bandiere sabaude pervenuteci, che risalgono al 1589, presentano i colori rosso, bianco (e cioè i colori dello stemma della dinastia) e azzurro. L’azzurro di Casa Savoia, con il passare dei secoli, accrebbe sempre di più la sua importanza fino a diventare, in occasione dell’unità d’Italia (1861), il colore nazionale italiano, tonalità mantenuta anche dopo la nascita della Repubblica Italiana (1946). Una bordatura blu Savoia è stata infatti inserita sull’orlo dello stendardo presidenziale italiano e l’utilizzo della sciarpa azzurra per gli ufficiali delle forze armate italiane e della maglia azzurra per le Nazionali sportive italiane è stato mantenuto anche in epoca repubblicana.

     

  • Fu la prima first lady del Regno d’italia, lanciò nuove mode come una influencer  e si guadagnò un posto d’onore nell’immaginario popolare, tanto che il suo nome è ancora oggi legato al piatto italiano più famoso al mondo: la pizza margherita.

    Regina d’Italia al fianco di Umberto I dal 1878 al 1900, Margherita di Savoia divenne una delle icone più rappresentative e amate della monarchia sabauda.

    Quali sono le ragioni di tanto successo? Un’ineguagliabile “professionalità” nel gestire la propria immagine e un talento naturale nelle pubbliche relazioni.

    JOINT VENTURE DINASTICA.

    Nata a Torino nel 1851, la futura regina era figlia di Elisabetta di Sassonia e del duca di Genova Ferdinando di Savoia, fratello dell’allora sovrano di Sardegna Vittorio Emanuele II. Quando aveva 10 anni, l’illustre zio divenne il primo re d’italia, e presto si pose il problema di trovare una sposa adatta al giovane erede al trono, Umberto. «Dopo vari tentennamenti, la scelta cadde sulla principessa Matilde d’asburgo-teschen, ma a pochi mesi dalla cerimonia la promessa sposa morì in un incendio», racconta Luciano Regolo, autore del libro Margherita di Savoia, i segreti di una regina (Edizioni Ares). «Fu allora che entrò in scena Margherita, cugina di Umberto, ritenuta la moglie “giusta” perché già educata secondo le consuetudini di casa Savoia». Orfana di padre, la giovane aveva all’epoca 16 anni (7 in meno del consorte) e il physique du rôle perfetto: raffinata, intelligente e di bell’aspetto, con lunghi capelli biondi e intensi occhi azzurri. Con Umberto si sposarono a Torino nel 1868, e dopo le nozze intrapresero un tour della Penisola per “sponsorizzare” la neonata monarchia nazionale, guidata da Vittorio Emanuele II senza una regina al fianco (sua moglie Maria Adelaide d’Austria era morta nel 1855).

    Al di là delle apparenze, però, il loro non fu un matrimonio d’amore, ma una joint venture dinastica. Donnaiolo impenitente, Umberto tradì spesso la moglie e rimase per tutta la vita innamorato della contessa Eugenia Bolognini Litta Visconti, rischiando di gettare un’ombra sull’immagine della famiglia reale. Margherita imparò tuttavia a tollerare le intemperanze del consorte, costruendo con lui un’intesa quasi fraterna, e arrivò a permettere alla rivale di vegliare la salma del marito, dopo la sua morte. Ma anche lei ebbe un flirt extraconiugale tollerato da Umberto: si innamorò del barone Luigi Beck Peccoz, con cui costruì un’intensa sintonia negli ultimi anni della permanenza sul trono.

    PERFEZIONISTA.

    Sentimenti a parte, la giovane principessa si gettò subito anima e corpo nel ruolo di “prima dama d’Italia”, accattivandosi sia le simpatie degli aristocratici sia quelle dei futuri sudditi. Come? Curò con estrema attenzione la sua immagine pubblica in modo da non apparire mai fuori luogo. «Prima di ogni viaggio ufficiale, si informava sulle usanze delle donne del popolo, vestendosi come loro e iniziando così un processo che porterà in seguito tutte le italiane a identificarsi in lei», afferma l’esperto. «Alla vigilia del trasloco a Napoli, dove i neosposi si trasferirono subito dopo il matrimonio, volendo mostrarsi radicata nelle tradizioni partenopee arrivò persino a prendere lezioni di mandolino, imparando alcune canzoni napoletane». Se per piacere alla gente comune partecipava a feste e raduni o presenziava a iniziative di carità, per conquistare gli aristocratici organizzava balli, concerti e letture, sfruttando gli eventi mondani per radicare il consenso attorno alla dinastia regnante. E non fu certo un compito facile: a Napoli, parte dell’aristocrazia era ancora filo-borbonica e a Roma, solo nel 1870 annessa al Regno d’italia, la cosiddetta “nobiltà nera” rimaneva fedele al Papa. Per vincere ogni diffidenza la principessa ricorse a un mix di diplomazia e charme, mostrando innate doti da comunicatrice, e costruì una fitta rete di relazioni. Alla fine, l’“operazione popolarità” riuscì alla perfezione e dopo l’ascesa al trono di Umberto, nel 1878, la fama della nuova regina non fece che crescere. Durante una visita dei reali a Napoli, Raffaele Esposito inventò la pizza “tricolore” e la chiamò Margherita

    TUTTI PAZZI PER LEI.

    «La suggestione nei confronti di Margherita diede vita al cosiddetto “margheritismo”, un fenomeno di costume che alla fine del XIX secolo influenzò diversi ambiti della vita sociale, in primis la moda», spiega Regolo.

    «Da sempre appassionata di abiti e gioielli, per cui spendeva cifre immense, la regina divenne infatti un’icona di stile, tanto che una delle prime riviste di moda del Paese si chiamerà in suo onore Margherita, il giornale delle signore italiane». Nel frattempo le venne intitolato un po’ di tutto, da nuove pietanze a rifugi alpini. In altri casi, invece, era lei stessa a importare usanze divenute poi patrimonio collettivo, come quella dell’albero di Natale, allestito da Margherita per la prima volta nelle sale del Quirinale a imitazione di quanto avveniva nelle corti nordeuropee. A differenza del marito, per nulla interessato alla cultura e spesso impacciato nei rapporti personali, la regina dimostrò inoltre un’innata curiosità verso molte discipline, dalla musica classica alla letteratura, passando per la scienza e lo spiritismo. Le porte del suo salotto si aprirono quindi a poeti, intellettuali e musicisti, che ricambiarono le attenzioni di sua maestà con lodi piene di retorica. Persino un fervido repubblicano come Giosuè Carducci rimase affascinato da quella che definì la bionda e gemmata sovrana e le dedicò un’ode intitolata Alla regina d’Italia (1878), che gli attirò critiche feroci negli ambienti anti-monarchici. Con alcuni dei suoi ammiratori, tra cui lo stesso grande poeta toscano e soprattutto Marco Minghetti, suo insegnante di latino, la regina intrattenne anche intensi rapporti epistolari.

    MAMMA TIGRE.

    Entrata nell’immaginario collettivo come incarnazione delle virtù femminili, Margherita si cucì addosso la fama di “mamma” d’Italia e presto fioccarono aneddoti per esaltarne l’istinto materno. Eppure, nei rapporti con il figlio, il futuro re Vittorio Emanuele III (venuto alla luce nel 1869), fu una madre molto diversa da quella raffigurata nella propaganda. Anzi, scaricò su di lui il suo maniacale perfezionismo. «Margherita visse sempre un profondo senso di colpa per il fatto che Vittorio soffrisse di una forma di rachitismo che, ai suoi occhi, lo rendeva inadatto a rappresentare degnamente la dinastia», spiega Regolo. «Con l’intento di forgiare il carattere dell’erede al trono, pretese quindi che eccellesse in tutto a dispetto dei suoi limiti fisici. Nella psiche del principe ciò ebbe effetti devastanti e gli provocò insicurezze e complessi».

    VEDOVA.

    Nei 22 anni in cui affiancò Umberto sul trono, Margherita non rimase indifferente agli eventi esplosivi che scossero il Paese, segnato da agitazioni popolari e dalla nascita dei primi movimenti operai. Le tensioni culminarono il 29 luglio del 1900 con l’uccisione di Umberto I per mano dell’anarchico Gaetano Bresci. Un evento drammatico a cui la regina reagì con estrema teatralità. Raccolse per esempio gli abiti insanguinati e in seguito anche il proiettile e le fece conservare in un cofanetto in ebano, come si sarebbe fatto con le reliquie di un santo; e contribuì alla creazione del mito del “re martire”, alimentato dai giornali dell’epoca.

    CONSERVATRICE.

    Nonostante le opinioni fortemente conservatrici, Margherita rimase per molti aspetti una donna moderna», continua l’esperto. «Divenne per esempio una pioniera dell’automobilismo, guidando personalmente le vetture e creandosi un leggendario “parco auto”».

    Come regina madre, si eclissò solo in apparenza, continuando a incontrare personalità illustri, tra cui Maria Montessori, a organizzare eventi mondani e a svolgere attività di beneficenza. Il palazzo nel quale si ritirò, a Roma, oggi sede dell’ambasciata americana, sostituì la reggia del Quirinale, utilizzata pochissimo da Elena e Vittorio Emanuele III, la nuova coppia reale. E la “connessione sentimentale” con gli italiani rimase viva fino al momento della morte, giunta a Bordighera il 4 gennaio 1926, quando la regina madre aveva 74 anni. Il treno che la riportò a Roma si dovette fermare ben 92 volte per permettere alla folla di porgerle l’estremo saluto. Senza giri di parole, il Corriere della Sera scrisse che la sua salma era “ormai assurta a simbolo”.

  • Vittorio Emanuele II se ne innamorò quando lei aveva 14 anni.

    Bella? «Bella è bella, molto bella. Gran massa di capelli corvini, occhi scurissimi, carnagione perfetta. Il petto tutt’altro che acerbo»: parola di Re.

    A guardarla in foto, però, nella sequenza di ritratti più o meno ufficiali, questa donna è tutt’altro che devota ai canoni estetici: viso un po’ squadrato, lineamenti decisi, naso non certo alla francese.

    Bocca carnosa, inevitabilmente sensuale, natura corvina che non è solo un colore di capelli ma una profondità fisica di tutto il corpo, e unita da un’infinita dolcezza. Bela? Sì.

    Ma non certo secondo i canoni odierni: la Rosina Vercellana, se fosse vissuta un secolo e mezzo più tardi, non sarebbe diventata ne’ una modella, né una star e nemmeno un’attrice, troppe abbondanze e tratti campagnoli.Eppure il primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II, se ne innamorò e l’amò per buona parte della sua vita. Un amore certamente tumultuoso e passionale nel segreto delle loro stanze da letto, ma che visto da fuori e a distanza di tanto tempo fu soprattutto un amore pacato, domestico e familiare, malgrado tutto, sereno. Invidiabile! «Chi si assomiglia, si piglia » sembra fatto apposta per questa coppia dall’aria niente affatto regale: tracagnotti, ma fieri. Sguardo dritto e profondo di chi sa cosa vuole dalla vita.

    Il giovane Vittorio la vede per la prima volta affacciata a un balcone di Racconigi, alla fine dell’immancabile battuta di caccia (una passione per lui, che diventerà anche quella di lei).

    È il 1847: lui ha 27 anni, quattro figli e uno in arrivo, è l’erede al trono del Regno di Sardegna. Lei di anni ne ha solo 14. Ma questa storia, non ha nulla a che vedere con gli odierni giochi pseudo-erotici del potere. È una storia di amore nel vero senso della parola, in tutti i sensi  e con tutti i sensi.

    Rosina darà a Vittorio due figli e la vita intera. Dopo la morte del re per una polmonite, nel 1878, lei gli «sopravviverà» (parole Di Rosina) sette anni. Prima, lo segue in tutte le tappe dell’Italia che si fa, sempre discosta. Ma sempre presente.

    Vittorio resta vedovo di Maria Adelaide nel 1855. Solo le tenaci manovre (e minacce) di Cavour a impedire al Re di sposare ufficialmente Rosina. Ancora oggi resta il mistero su quelle nozze morganatiche contratte nel 1869 in articulo mortis (quando l’avevano precipitosamente dato per spacciato), e comunque quando ormai Cavour e il suo cipiglio non c’erano più.

    I figli di Rosina, Vittoria ed Emanuele Alberto, il cui cognome sarà Guerrieri, erediteranno da lei il titolo nobiliare di conti di Mirafiori e Fontanafredda, da lei acquisito nel 1859.

    Vittorio Emanuele II non la farà mai regina, la sua Rosina. Avrebbe voluto, ma molte ragioni di stato glielo impedirono: pressioni politiche, veti dei figli «ufficiali», opportunità di ordine «mediatico». Ma certamente le case dove Rosina abitò – dalla Mandria a Venaria, alla Pietraia nei pressi di Firenze, alla Villa Mirafiori fatta costruire sulla Nomentana a Roma, apposta per lei, furono le vere case anche del re. Quelle dove trovava una vera famiglia, e un’aria vera di casa, con lei che lo aspettava per dargli tutto quello che una brava moglie sa dare a un marito.

    Certo, si vestiva in modo un po’ eccentrico, a un certo punto della vita sembrava un po’ troppo incline agli sfarzi, per quanto sempre relativi…

    E lui, d’altro canto, non mise mai a freno i propri istinti, invigaghendiso dell’attrice di turno. Ma Rosina aspettava, paziente e fiduciosa. E lui tornava sempre, fino all’ultimo.

    Rosa Vercellana trascorse il resto della sua vita presso palazzo Beltrami di Pisa, che il re aveva acquistato per la figlia Vittoria,morì nel 1885. Il suo atto di morte, nei registri dell’ufficio dello stato civile di Pisa, la indicò come “nubile” e vi si possono leggere varie altre imprecisioni.

    Casa Savoia vietò che Rosa venisse seppellita al Pantheon, non essendo mai stata regina: per questo motivo, e in aperta sfida alla corte reale, i figli fecero costruire a Torino Mirafiori Sud una copia del Pantheon in scala ridotta, poi soprannominata il “Mausoleo della Bela Rosin”.

    Nel 1972 le sue spoglie furono traslate al Cimitero monumentale di Torino (Campo primitivo nord – edicola n.170 A), per evitare profanazioni e vandalismi della tomba.Un amore durato trent’anni, un’eternità, e un’infinità di momenti condivisi , a letto, certo, ma anche a tavola (ce la immaginiamo cuoca provetta, la bela Rosin), la sera davanti al camino, a cavallo nei boschi, in passeggiata a braccetto per la vigna.

    Informazioni Pratiche

    Indirizzo:
    Strada del Castello di Mirafiori, 148/7 – 10135 Torino

    Orari: 
    Apertura Estiva (aprile-ottobre): dal mercoledì alla domenica ore 10.00-12.00 e 15.30-19.30
    Apertura Invernale (novembre-marzo): venerdì, sabato e domenica ore 10.00-12.00 e 14.30-17.00

    Visite guidate:

    Durante alcuni fine settimana i volontari del Progetto Senior civico della Città di Torino sono a disposizione per visite guidate al mausoleo e per raccontare la storia del posto e dei suoi personaggi. Per informazioni: mausoleo.belarosin@comune.torino.it, oppure Tel. 011 01 12 98 36.

    Mausoleo della Bela Rosin. 

     

     

  • Riapre l’appartamento dei Principi Forestieri

    Prosegue l’impegno dei Musei Reali per ampliare l’accessibilità e il miglioramento dei percorsi di vista.

    Palazzo Reale festeggia la riapertura dell’Appartamento dei Principi Forestieri, chiuso da oltre quindici anni. Dopo un impegnativo intervento di manutenzione straordinaria e di riallestimento, riaprono al pubblico sette ambienti dell’ala nord, affacciati sul giardino, progettati da Filippo Juvarra tra il 1733 e il 1734, completati da Benedetto Alfieri, e parzialmente rimodellati da Pelagio Palagi a metà Ottocento.

    In occasione della riapertura dell’Appartamento dei Principi Forestieri, sarà presentato al pubblico anche il restauro della Tribuna Reale, che accoglieva i sovrani per assistere alla messa nel duomo. Anche per la Tribuna Reale è previsto un programma di visite guidate che prenderà avvio entro l’estate.

    Il progetto è stato possibile grazie al fondamentale contributo di Compagnia di San Paolo, che ha sostenuto il restauro degli ambienti   contribuendo a garantirne l’accessibilità partecipando al progetto di ampliamento dei percorsi di visita, che prevede l’inserimento di nuovo personale di supporto della società Ales-Arte Lavoro e Servizi nei percorsi del Palazzo Reale.

    I restauri sono stati realizzati anche grazie alla collaborazione dell’Associazione Amici di Palazzo Reale, che offrirà un servizio di visite guidate nei fine settimana.

    L’Appartamento dei Principi Forestieri

    Progettato da Filippo Juvarra tra 1733-34, completato e arredato da Benedetto Alfieri tra 1738 e 43, ebbe negli anni 1841-45 integrazioni ad opera di Pelagio Palagi, che intevenne anche rielaborando intagli settecenteschi recuperati dall’appartamento di facciata del secondo piano. Con il regno di Vittorio Emanuele II (1849-1878), l’appartamento fu trasformato in foresteria e ospitò nel 1855 don Pedro V re del Portogallo. Le sale ospitano molte opere d’eccezione e diverse curiosità. Vi si accede attraversando la Galleria delle Battaglie, con la grande volta affrescata di Claudio Beaumont che raffigura il Trionfo della pace e delle arti liberali (1747). Di grande fascino anche il soffitto affrescato di Lorenzo Pecheux (1778) con La verità inseguita dal tempo e le quattro volte di Francesco De Mura (1741-43), di cui ben conservate Le storie di Teseo e I giochi olimpici. Le stanze sono arricchite con lambriggi, porte e ante di finestre dipinte: nella Sala da Pranzo le Boscarecce di Vittorio Amedeo Cignaroli (1740); nella Camera da letto le Scene di vita popolaredi Pietro Domenico Olivero (1739-41); altre salette con rovine del Gambone e fiori della Gili. Alle pareti, i dipinti propongono una campionatura di ritratti settecenteschi e quadri di storia. Completano l’arredo il grande modello della facciata di Palazzo Reale progettata da Domenico Ferri (eseguito da Gabriele Capello detto il Moncalvo), e varie sculture in marmo, come il Putto col pellicano di Francesco Ladatte e il tavolino con Putti in girotondo (1720, già nel castello di Rivoli) di Carlo Tantardini.

    La Tribuna Reale

    Progettata dall’architetto Francesco Valeriano Dellala di Beinasco nel 1775 e ornata dai grandi telamoni in legno scolpito di Ignazio Perucca, su modello del Bernero. Le pitture spettano ai fratelli Pozzo, mentre gli intagli furono approntati da Croce, De Giovanni e Riva. L’ambiente è stato oggetto di una manutenzione straordinaria, con il restauro della straordinaria serie di ventole realizzate da Giuseppe Maria Bonzanigo nel 1790.

    Foto© Daniele Bottallo e Paolo Formica

  • Un dono regale, un ritorno straordinario.

    Si ricompone per la prima volta dopo lungo tempo, presso la Galleria Sabauda dei Musei Reali di Torino, la preziosa garniture da camino in porcellana bianca realizzata nel 1715 dalla Manifattura di Meissen presso Dresda.

    Come noto, la scoperta del segreto della porcellana a pasta dura, avvenuta nel 1708 da parte del chimico Johann Friedrich Böttger, e di una cava di argilla bianca (caolino) fu all’origine della nascita della celebre Manifattura tedesca, inaugurata nel 1710 con l’intento di imitare la costosissima ceramica orientale.

    La garniture costituisce, dunque, un insieme di eccezionale interesse anche per la sua antichità, trattandosi di una delle prime realizzazioni di Meissen. Le montature in argento dorato impreziosiscono ulteriormente l’insieme che, nel vaso ad anse esposto al centro della vetrina, reca ancora tracce della decorazione pittorica in oro applicata a fuoco, con motivi à la Bérain.

    Alcune piccole fenditure, visibili nel corpo dei vasi, indicano la difficoltà tecnica di questi primi saggi di esecuzione in cui, tuttavia, si impone già la ricchezza delle decorazioni, con volute, teste d’angelo, foglie, conchiglie.

    Oltre alla straordinaria qualità artistica e tecnica, i cinque vasi che compongono la garniture, oggi divisi fra il Palazzo Reale di Torino e il Museo Poldi Pezzoli di Milano, sono protagonisti di un dono regale.

    Composto in origine da sette pezzi, l’insieme viene esposto nel 1715 nel Palazzo Giapponese di Dresda, finché nel 1725 il re di Polonia Augusto II, detto il Forte (1670-1733), lo invia a Vittorio Amedeo II di Savoia re di Sardegna (1666-1732), in segno di ringraziamento per averlo ospitato durante un viaggio tra le Corti europee.

    Da allora, la garniture rimane nel Palazzo Reale di Torino, in particolare nella Camera dell’Alcova. Da documenti del 1823 due vasi risultano, però, mancanti e, col tempo, anche gli altri cinque vengono separati. I due esemplari grandi, senza manici, rimangono nel Palazzo, dove tuttora sono conservati (Appartamento di Rappresentanza, Sala del Caffè). Il vaso maggiore ad anse e i due più piccoli, di straordinaria eleganza con rami e roselline, sono trasferiti, invece, al Museo Civico di Torino (1877), poi esibiti alla IV Esposizione Nazionale di Belle Arti di Torino (1880) e, infine, per volere di Umberto di Savoia principe di Piemonte (1929), ricollocati nel Palazzo. Da qui, tuttavia, escono prima del 1966, quando sono venduti a un’asta. Al termine della loro storia collezionistica, i tre vasi entrano a far parte della collezione Zerilli-Marimò, donata nel 2017 al Museo Poldi Pezzoli di Milano.

    Dopo essere stata riunita per la prima volta a Milano in una recente esposizione, la garniture ritorna così visibile anche a Torino.

    Le opere esposte:

    –       Due vasi con coperchio – garniture da camino

    Manifattura di Meissen – Modello di Johann Jacob Irminger, disegno di Raymond Leplat

    Porcellana bianca verniciata; montatura in argento dorato – 1715

    Musei Reali di Torino – Palazzo Reale

    –       Due vasi con coperchio; un vaso ad anse con coperchio – garniture da camino

    Manifattura di Meissen – Modello di Johann Jacob Irminger, disegno di Raymond Leplat

    Porcellana bianca verniciata e dorata; montatura in argento dorato – 1715

    Museo Poldi Pezzoli di Milano, donazione Zerilli-Marimò

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    Vivi la storia di un cantiere secolare e scopri dall’interno le vicende del Santuario di Vicoforte, capolavoro del Barocco piemontese e della sua grandiosa cupola ellittica, la quinta al mondo per dimensioni.

    Entra nel cuore dell’opera d’arte con Magnificat: lungo un percorso appositamente messo in sicurezza, che interessa locali mai aperti al pubblico, potrai percorrere gli antichi camminamenti riservati agli addetti ai lavori  e raggiungere la sommità dell’edificio godendo di un affaccio mozzafiato dall’alto del cupolino a 75 metri di altezza.

    Una visita emozionante, un’avventura indimenticabile per conoscere, gradino dopo gradino, gli aspetti architettonici, storici, artistici e le sofisticate tecnologie che oggi consentono il costante monitoraggio di questo eccezionale monumento d’arte e di fede.

    CARLO EMANUELE I, IL DUCA CHE CREDETTE IN VICOFORTE (RIVOLI 1562 – SAVIGLIANO 1630)

    Carlo Emanuele I di Savoia, detto “Il Grande” e soprannominato dai sudditi “Testa di Fuoco” per le manifeste attitudini militari, è figlio di Emanuele Filiberto di Savoia e di Margherita di Francia.

    Ambizioso, sicuro di sé, cerca di espandere il proprio potere oltre la capitale del regno, impegnandosi maggiormente nelle terre di difficile controllo.

    Il monregalese era sicuramente una di queste, caratterizzata dallo spirito libero e intraprendente dei suoi cittadini, poco inclini a cedere a Torino il primato sul territorio.

    Dopo la distruzione della cattedrale di Mondovì (1573), sostituita dalla cittadella militare, il Duca Carlo Emanuele I prosegue l’azione di dominio sul territorio monregalese iniziata dal padre, decidendo strategicamente di realizzare a Vicoforte il Mausoleo di Casa Savoia.

    Morirà nel 1630 a Savigliano. Le sue spoglie sono conservate presso il Santuario: dopo la morte del Duca infatti, gli eredi scelsero la Basilica di Superga come sepolcro monumentale.

    #MAGNIFICATITALIA – Associa l’hashtag #magnificatitalia per le tue foto su Instagram

    7 aprile – 4 novembre 2018 | Salita e visita alla cupola del Santuario di Vicoforte – CN – Italia

  • Protagoniste le figure femminili. L’esposizione prevede due itinerari: nel primo vengono celebrate alcune personalità chiave della dinastia sabauda come icone di stile ed eleganza; nel secondo vengono messi in luce i legami e le assonanze del Castello di Racconigi con le altre Residenze Sabaude tramite le similitudini di alcuni ambienti, ad esempio la presenza delle sale cinesi sia nel Castello sia a Villa della Regina.

    Attraverso storia, architettura, arte e moda si pone l’attenzione sul ruolo delle donne di casa Savoia, sulla loro determinazione politica, il loro mecenatismo culturale e artistico, il loro essere reggenti, madri e mogli.

    La mostra percorre fisicamente alcuni ambienti significativi della Residenza di Racconigi e – grazie alle testimonianze provenienti dalla Sartoria Tirelli – associa ai ritratti della collezione del Castello, abiti, gioielli e acconciature dell’epoca.

    Un’esposizione che da un lato consente una rilettura attenta di alcune personalità chiave della dinastia sabauda in un arco temporale di mille anni, dal Medioevo al XX Secolo, e dall’altro propone un percorso fra le assonanze delle varie Residenze Sabaude, richiamate in alcuni ambienti del Castello: ad esempio nelle sale cinesi si descriverà il fascino per l’Oriente che caratterizza altre regge, come le stanze di Villa della Regina a Torino.

    “Una mostra, due percorsi – dice Riccardo Vitale, Direttore del Castello di Racconigi – Nel primo le figure femminili di casa Savoia sono la voce narrante della dinastia, celebrate come icone di stile e eleganza; nel secondo il Castello di Racconigi si lega a doppio nodo con la storia dell’architettura e dell’estetica, mettendo in luce, sala per sala, in un grande museo diffuso, i suoi legami con le altre Residenze Sabaude”.

    Insomma, due itinerari in cui la storia, l’architettura, l’arte e la moda si fondono ed hanno come filo conduttore le contesse, le duchesse e le regine di Casa Savoia, la loro determinazione politica, il loro mecenatismo in campo artistico e culturale, la loro immagine di reggenti, mogli e madri, spesso amate dal popolo più dei loro consorti anche per la spiccata sensibilità religiosa e sociale.

    “La piramide dei poteri dinastici si è sempre fondata sulle armi, sulle arti e sui matrimoni. Ma dell’importanza straordinaria del ruolo femminile si è parlato spesso con superficialità e per luoghi comuni – continua Umberto Pecchini, ideatore della mostra con Loredana De Robertis – “Sovrane Eleganze” ribalta l’approccio tra Corte, cultura, diplomazia, arte e moda pone la donna al centro di una rilettura innovativa. Donne sabaude fissate nella solennità del ritratto e nella storicità di un abito che è rappresentazione del loro tempo; ma anche reinterpretate nella rivisitazione contemporanea di quel gusto attraverso i modelli delle più note collezioni sartoriali italiane”.

    La mostra consente, dunque, di indagare su un aspetto non ancora sufficientemente valorizzato, il ruolo femminile di personalità chiave, fra le quali Adelaide di Susa, donna di governo che visse nell’XI secolo, Maria Cristina di Francia, la prima Madama Reale nel Seicento, Anna Maria d’Orléans, prima regina e mecenate di artisti e architetti nel Settecento, Margherita nell’Ottocento, Elena e Maria José nel Novecento.

    Lo si potrà fare attraverso i più bei ritratti delle collezioni del Castello di Racconigi accompagnati da abiti storici o da cerimonia, gioielli e acconciature che ripercorrono la moda dell’epoca.

     

    La mostra è organizzata in collaborazione con l’Associazione Terre dei Savoia e con il contributo del programma InterregALCOTRA.

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    da Giovedì, 23 Marzo 2017 a Giovedì, 16 Novembre 2017

    LE REGINE DELLA PALAZZINA DI CACCIA

    Un ciclo di approfondimenti sulle donne, mogli e amanti di casa Savoia.

    23 marzo 2017            Anne Marie Borbone-Orleans
    20 apile 2017              Maria Adelaide d’Asburgo Lorena
    18 maggio 2017          Maria Vittoria dal pozzo della Cisterna
    21 settembre 2017     Maria Paola Buonaparte detta Paolina Bonaparte
    19 ottobre 2017          Marie Josèphe Rose de Tascher de la Pagerie meglio nota come Giuseppina di Beauhamais
    16 novembre 2017    Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia – Genova

    A cura di MAURA AIMAR Centro Studi Principe Oddone e ALESSIA M.S. GIORDA Valorizzazione del Patrimonio Artistico e Storico della Residenza Sabauda Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea.

    Ore 18.00 presso le cucine reali  della Palazzina di Caccia
    Informazioni e prenotazioni  allo 011-6200634

    PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA FINO AD ESAURIMENTO POSTI
    L’ingresso alla sala sarà consentito dalle 17.15 alle 17.45

    Costo 8.00 € + ingresso speciale alla Palazzina 5.00 €
    Possessori abbonamento musei 8.00 € + ingresso alla Palazzina gratuito

     

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