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  • Una delle più antiche divinità cinesi è Xiwangmu, la Regina Madre d’Occidente, che vive su monti Kunlun, presso un giardino immerso fra le nuvole in cui cresce il pesco dell’immortalità, un albero che dà frutti ogni 3.000 anni.

    Questa pianta prodigiosa rappresenta il punto d’unione fra cielo e terra e Xiwangmu, che la possiede, è considerata sovrana degli immortali, protettrice della vita e dispensatrice di longevità.

    Per il loro carattere beneaugurale, le rappresentazioni della Dea venivano anche appese alle pareti nelle grandi dimore dei mandarini, alla maniera degli arazzi occidentali.

    In occasione del suo 11° compleanno, il MAO ha il piacere di esporre per la prima volta al pubblico un grande drappo raffigurante la Regina Madre d’Occidente nel giardino degli immortali, completamente restaurato.

    Il drappo in seta, donato da un privato e restaurato grazie al generoso contributo dell’Associazione Amici della Fondazione Torino Musei, ha misure notevoli (445 cm d’altezza per 320 di larghezza) ed è finemente decorato con filati di sete policrome e dorati: ad una prima analisi stilistica si ritiene che possa risalire al periodo finale del regno del famoso imperatore Qianlong (1735-1796) e, considerando la sua altissima qualità, non si esclude che potesse far parte degli arredi di corte.

    L’eccezionalità del manufatto consiste nella sua rarità e nel suo stato di conservazione: al contrario della maggior parte dei drappi ricamati di grandi dimensioni, solitamente smembrati per essere venduti in parti separate, quest’opera ha infatti mantenuto la sua integrità, che consente di apprezzare la minuzia dei dettagli e l’abilità tecnica nella realizzazione.

    Il tema principale della raffigurazione è la discesa della Regina Madre d’Occidente, Xiwangmu, a cavallo di una fenice nel giardino del pesco dell’immortalità e tutta l’iconografia dell’opera – compresa quella dei riquadri laterali – è permeata di simboli del taoismo popolare legati alla lunga vita e alla prosperità.

    Il drappo sarà esposto nel Salone Mazzonis fino al 22 marzo 2020.

  • Il “Servizio del Re di Sardegna”, messo in vendita a Londra da Christie’s il 4 luglio 2019 e acquistato dalla Fondazione Torino Musei, costituisce una riscoperta straordinaria nella storia della porcellana europea. Creduto disperso, si era invece conservato presso la stessa famiglia, la Casa Reale di Savoia, per quasi trecento anni. La sua ricomparsa sul mercato è stata considerata come sensazionale e ha catalizzato l’attenzione degli esperti di tutto il mondo.

    La storia del servizio, tra i più importanti mai prodotti dalla prestigiosa manifattura di Meissen, inizia alla corte di Sassonia, dove, per la prima volta in Europa, grazie all’ingegno del chimico Johann Friedrich Böttger e dello scienziato Walter von Tschirnhaus, fu scoperto il segreto per ottenere la “vera” porcellana, utilizzando un’argilla bianca infusibile, il caolino, unita al quarzo e al feldspato.

    La scoperta, avvenuta nel 1710, condusse alla fondazione della fabbrica di Meissen, presso Dresda, per volontà del Re di Polonia ed Elettore di Sassonia, Augusto il Forte. Dopo qualche anno dalla fondazione, egli cominciò a servirsi dei prodotti della fabbrica, che avevano raggiunto livelli qualitativi altissimi, per farne doni diplomatici.

    Uno dei primi doni, consistente in ben 300 pezzi, fu quello inviato in 12 casse, nel settembre del 1725, al Re di Sardegna, Vittorio Amedeo II.

    Il servizio acquistato dalla Fondazione Torino Musei, corrisponde a quello descritto nella cassa n. 11: “Una scatola di cuoio rosso rivestita di panno verde e decorata con un merletto d’oro, contenente sei piattini e tazze da tè con le armi del Re di Sardegna e figure giapponesi: inoltre, una ciotola, una teiera, una zuccheriera e sei tazze da cioccolata con piattini”.

    Grazie alla ricca documentazione conservatasi negli archivi di Dresda, sappiamo che questo insieme fu dipinto dal principale pittore della fabbrica, Johann Gregorius Höroldt. Egli introdusse per la prima volta i colori a piccolo fuoco, innovando così la gamma cromatica delle porcellane, e fornì nuovi modelli e fonti di ispirazione, di soggetto prevalentemente orientale, iniziando quel gusto per le cineserie che costituì una delle caratteristiche della produzione di Meissen.

    Fino a oggi erano noti solo alcuni pezzi di questo servizio: una tazza da cioccolata con piattino nel Metropolitan Museum of Art di New York, un piattino già nella Arnhold Collection (ora alla Frick Collection), un altro a Palazzo Pitti a Firenze, una zuccheriera nella collezione Schneider a Monaco di Baviera e, infine, una tazza da cioccolata con piattino a Palazzo Madama. Quest’ultima fu donata nel 1877 da Ferdinando Arborio Gattinara di Breme, Duca di Sartirana, che possedeva un’ampia collezione di porcellane nella sua Villa La Tesoriera a Torino.

    L’insieme acquistato dalla Fondazione Torino Musei, scampato allo smembramento cui sovente vanno incontro i servizi stemmati, è dunque eccezionale per consistenza numerica.

    La sua importanza storico-artistica, contraddistinta dall’altissima qualità pittorica della decorazione, è accresciuta dalla sua storia, dai ruoli del committente e del destinatario, dalla precocità della sua realizzazione come dono diplomatico per un sovrano straniero e dalla completa documentazione che lo accompagna.

    Un acquisto prestigioso e di assoluto valore, che va a integrarsi con coerenza nella ricca collezione di porcellane europee di Palazzo Madama, una delle principali del museo e tra le più importanti in Italia, e insieme un’operazione di ricongiungimento che restituisce alla cittadinanza un pezzo di storia torinese.

    Il Presidente della Fondazione Torino Musei Maurizio Cibrario dichiara che “l’asta di Christie’s, vinta da Fondazione Torino Musei per conto di Palazzo Madama, rinvigorisce l’immagine dei musei di Torino in campo internazionale e il riconoscimento ufficiale di Christie’s, ad asta conclusa, dà il senso del valore e dell’importanza del nostro intervento”

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    Servizio del Re di Sardegna

    Manifattura di Meissen, 1725, dipinto da Johann Gregorius Höroldt

    Porcellana dipinta, misure varie

    Composizione: una teiera, una ciotola, cinque tazze da tè, una tazza da cioccolata, sette piattini

     

  • Sarà una delle grandi mostre della stagione museale di Torino: il 12 dicembre apre a Torino, nelle sale monumentali di Palazzo Madama, una grande esposizione che vede protagonista Andrea Mantegna (Isola di Carturo 1431 – Mantova 1506), uno dei più importanti artisti del Rinascimento italiano, in grado di coniugare nelle proprie opere la passione per l’antichità classica, ardite sperimentazioni prospettiche e uno straordinario realismo nella resa della figura umana. Intorno alle sue opere si articolano le testimonianze di una stagione artistica – il Rinascimento in pianura padana, prima a Padova e poi a Mantova – capace di rivivere l’antico e di costruire il moderno.

    La rassegna presenta il percorso artistico del grande pittore, dai prodigiosi esordi giovanili al riconosciuto ruolo di artista di corte dei Gonzaga, articolato in sei sezioni che evidenziano momenti particolari della sua carriera e significativi aspetti dei suoi interessi e della sua personalità artistica, illustrando al tempo stesso alcuni temi meno indagati come il rapporto di Mantegna con l’architettura e con i letterati.

    Viene così proposta ai visitatori un’ampia lettura della figura dell’artista, che definì il suo originalissimo linguaggio formativo sulla base della profonda e diretta conoscenza delle opere padovane di Donatello, della familiarità con i lavori di Jacopo Bellini e dei suoi figli (in particolare del geniale Giovanni), delle novità fiorentine e fiamminghe, nonché dello studio della scultura antica.

    Un’attenzione specifica è dedicata al suo ruolo di artista di corte a Mantova e alle modalità con cui egli definì la fitta rete di relazioni e amicizie con scrittori e studiosi, che lo resero un riconosciuto e importante interlocutore nel panorama culturale, capace di dare forma ai valori morali ed estetici degli umanisti.

    Il percorso della mostra è preceduto e integrato, nella Corte Medievale di Palazzo Madama, da uno spettacolare apparato di proiezioni multimediali: ai visitatori viene proposta una esperienza immersiva nella vita, nei luoghi e nelle opere di Mantegna, così da rendere accessibili anche i capolavori che, per la loro natura o per il delicato stato di conservazione, non possono essere presenti in mostra, dalla Cappella Ovetari di Padova alla celeberrima Camera degli Sposi, dalla sua casa a Mantova al grande ciclo all’antica dei Trionfi di Cesare.

    Il Piano Nobile di Palazzo Madama accoglie, quindi, l’esposizione delle opere, a partire dal grande affresco staccato proveniente dalla Cappella Ovetari, parzialmente sopravvissuto al drammatico bombardamento della seconda guerra mondiale ed esposto per la prima volta dopo un lungo e complesso restauro e dalla lunetta con Sant’Antonio e San Bernardino da Siena proveniente dal Museo Antoniano di Padova.

    Il percorso espositivo non è solo monografico, ma presenta capolavori dei maggiori protagonisti del Rinascimento nell’Italia settentrionale che furono in rapporto col Mantegna, tra cui opere di Donatello, Antonello da Messina, Pisanello, Paolo Uccello, Giovanni Bellini, Cosmè Tura, Ercole de’ Roberti, Pier Jacopo Alari Bonacolsi detto l’Antico e infine il Correggio. Accanto a dipinti, disegni e stampe del Mantegna, saranno esposte opere fondamentali dei suoi contemporanei, così come sculture antiche e moderne, dettagli architettonici, bronzetti, medaglie, lettere autografe e preziosi volumi antichi a stampa e miniati.

    Per rendere chiaro e lineare questo tema complesso, un prestigioso comitato scientifico internazionale ha selezionato un corpus di oltre un centinaio di opere, riunito grazie a prestigiosi prestiti internazionali da alcune delle più grandi collezioni del mondo, tra cui il Victoria and Albert Museum di Londra, il Musée du Louvre e il Musée Jacquemart André di Parigi, il Metropolitan Museum di New York, il Cincinnati Art Museum, il Liechtenstein Museum di Vienna,  lo Staatliche Museum di Berlino, oltre a prestiti di numerose collezioni italiane, tra cui le Gallerie degli Uffizi, la Pinacoteca Civica del Castello Sforzesco, il Museo Poldi Pezzoli di Milano, l’Accademia Carrara di Bergamo, il Museo Antoniano e i Musei civici di Padova, la Fondazione Cini e le Gallerie dell’Accademia di Venezia, il Museo di Capodimonte di Napoli, i Musei Civici di Pavia, la Galleria Sabauda e il Museo di Antichità di Torino, i Musei Civici, il Seminario Arcivescovile e la Basilica di Sant’Andrea a Mantova.

    Il comitato scientifico della mostra è composto dai curatori Sandrina Bandera e Howard Burns, con Vincenzo Farinella come consultant curator per l’antico, insieme a Laura Aldovini, Lina Bolzoni, Molly Bourne, Caroline Campbell, Marco Collareta, Andrea Di Lorenzo, Caroline Elam, David Ekserdjian, Marzia Faietti, Claudia Kryza – Gersch, Mauro Mussolin, Alessandro Nova, Neville Rowley e Filippo Trevisani.

     

    La mostra, promossa dalla Fondazione Torino Musei e da Intesa Sanpaolo, è organizzata da Civita Mostre e Musei.

    Il catalogo, comprendente numerosi saggi introduttivi e di approfondimento oltre alle schede scientifiche di tutte le opere in mostra, è pubblicato da Marsilio Editori.

    Foto di Copertina: Andrea Mantegna – Ecce homo, 1500-1502 – Tempera su tela lino 54 X 42 cm -Paris, Musée Jacquemart-André – Institut de France © Studio Sébert Photographes

     

  • Partita da Torino ieri 31 ottobre A COLLECTION, la prima tappa di un grande progetto che intreccia la ricerca contemporanea di giovani ma affermati artisti del panorama italiano alla visione creativa delle nuove tecniche di tessitura.

    Il progetto prende forma in 10+1 affascinanti grandi arazzi contemporanei realizzati con straordinari filati ottenuti dalla lavorazione della plastica riciclata. Un’operazione per affermare come sia possibile, con la ricerca tecnologica e la creatività, unire l’attenzione per l’ambiente alla produzione di opere d’arte realizzando, da un prodotto considerato “rifiuto”, un oggetto contemporaneo di alto livello, di lusso in quanto opera d’arte.

    A COLLECTION è fortemente innovativo sia nella forma artistica sia nella sua realizzazione pratica.

    Il progetto, curato da Chiara Casarin con gli arazzi realizzati dal Maestro tessitore Giovanni Bonotto, vede la partecipazione di dieci artisti invitati: Giuseppe Abate, Thomas Braida, Nebojša Despotović, Manuel Felisi, Alberto La Tassa, Elena Mazzi, Ruben Montini, Giovanni Ozzola, Fabio Roncato, Giuseppe Stampone.

    La prima tappa di A COLLECTION, ideata da Giovanni Bonotto e Chiara Casarin nel 2018 e che a Torino vede la sua prima espressione pubblica, è realizzata in collaborazione con Opera Barolo, che ospita l’esposizione nel prestigioso Palazzo barocco sede dell’Ente collocato nel cuore storico di Torino.

    Da qui partirà e verrà presentato nelle più importanti e prestigiose sedi del contemporaneo internazionale in un percorso che si svilupperà nei prossimi anni.

    Il progetto è la materializzazione di un semplice assunto: i filati ottenuti dal riciclo della plastica, grazie alle loro infinite cromie e matericità, possono comporre arazzi dettagliati e raffinatissimi. La plastica, proveniente per lo più dalle bottigliette che inquinano i mari, viene lavorata mediante un processo meccanico di fusione e filatura. La trasformazione della cosiddetta materia prima-seconda è condotta in maniera ecologia, sostenibile e produttiva e procede fino allo stadio finale in cui delicati sistemi di manipolazione consentono di ottenere filati che simulano alla perfezione quelli di origine naturale, anzi, le loro caratteristiche ne sono ulteriormente valorizzate.

    Lo spessore, la texture, il volume possono risultare differenti a seconda della lavorazione e diventano elementi perfetti per ogni tipo di utilizzo anche, soprattutto, quello creativo. Questo processo, che ha richiesto anni di studio, è ora messo al servizio della produzione artistica contemporanea e si configura come un nuovo linguaggio per la realizzazione di opere d’arte inedite.

    L’esposizione di A COLLECTION a Torino durerà fino al 15 dicembre; al suo fianco un intenso public program realizzato grazie al coinvolgimento delle istituzioni culturali del territorio metterà a fuoco i temi che ruotano intorno alla mostra: arte, sostenibilità, economia circolare e innovazione.

  • A poco più di un anno dalla sua riapertura, martedì 29 ottobre 2019 a Parigi si è celebrato lo straordinario recupero della Cappella della Sindone, gioiello architettonico di Guarino Guarini, con l’assegnazione del prestigioso Premio del patrimonio europeo / Premio Europa Nostra 2019 per la categoria Conservazione.

    La cerimonia di premiazione dell’European Heritage Awards tenutasi  al Théâtre du Châtelet alla presenza del Commissario Europeo Tibor Navracsics sotto l’alto patrocinio del Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron.
    A ricevere il premio per i Musei Reali di Torino, di cui la Cappella è parte integrante, la Direttrice Enrica Pagella e la Direttrice dei lavori di restauro Marina Feroggio.

    Il premio è indetto dalla Commissione Europea ed Europa Nostra, principale rete per il patrimonio culturale che ogni anno celebra e promuove l’eccellenza nel campo del patrimonio artistico.

    In occasione della cerimonia di premiazione verrà svelato anche il vincitore della categoria Public Choice Award, in cui la Cappella della Sindone è stata inclusa e che nei giorni della votazione ha conosciuto un imponente sostegno da parte del pubblico italiano, manifestato in particolar modo attraverso i social e il web.

    I lavori di recupero del monumento barocco di Guarini sono stati definiti da più parti una “scommessa vinta” per la complessità e la difficoltà del restauro, che ha visto alternarsi tre diversi cantieri nell’arco di vent’anni. Oggi la Cappella della Sindone è uno dei gioielli barocchi più visitati apprezzati dai visitatori che non mancano di soffermarsi ad ammirare il capolavoro ritrovato

    A ricevere il premio per i Musei Reali di Torino, di cui la Cappella della Sindone, vincitrice nella categoria Conservazione, è parte integrante, la Direttrice Enrica Pagella e la Direttrice dei lavori di restauro Marina Feroggio.

    PHOTO credit: Daniele Bottallo

     

  • Sei Sculture dell’artista alto-atesino ridanno vita ad un’antica necropoli.

    Venuta alla luce durante i lavori per la ricostruzione della Nuvola, sede della storica Azienda torinese, accoglie l’arte contemporanea di Art Site Fest.

    L’Area Archeologica della Nuvola Lavazza di Torino apre per la prima volta all’arte contemporanea nell’ambito della quinta edizione di Art Site Fest, un percorso nei linguaggi della contemporaneità in luoghi insoliti, curato da Domenico Maria Papa.

    La mostra.

    L’area archeologica  ospita un progetto dello scultore alto-atesino Aron Demetz. Le opere selezionati per questa mostra, sono una rielaborazione della tradizionale lavorazione del legno tipica della Val Gardena, terra dell’artista. “Ho scelto dal suo studio di Ortisei le opere più rappresentative della sua ricerca”, ha spiegato il curatore Papa, “e nello stesso tempo, quelle in grado di instaurare un dialogo con il particolare spazio circostante”.  Luogo suggestivo e che non ti aspetteresti.

    Francesca Lavazza e il luogo.

    Quando abbiamo iniziato i lavori di ripristino dell’area non ci aspettavamo di trovare questo tesoro”, ha commentato Francesca Lavazza, membro del board del Gruppo. “Avere i nostri uffici che poggiano le fondamenta su questa basilica è molto importante per noi, come anche il fatto che ora si riempia di opere di arte contemporanea composte da materiali naturali e incentrate sull’uomo: due elementi che rientrano negli obiettivi del progetto Nuvola”.

    Sono stati individuati i resti di un’antica Basilica Paleocristiana collocabile tra la seconda metà del IV secolo e il V secolo d.C., sviluppatasi sopra le strutture di una precedente necropoli. La chiesa, a navata unica, ed è caratterizzata da una serie di tombe sia all’interno che all’esterno del suo perimetro.


    Aron Demetz

    … “Anche se il mio è un ritorno alla scultura classica, non è tanto importante la figura, quanto la ricerca sulla trasformazione dei materiali e il legno carbonizzato mi permette di trasmettere questa idea di metamorfosi”.

    Si è guadagnato notorietà internazionale grazie a un personale linguaggio scultoreo che coniuga la figurazione con una sensibilità assolutamente contemporanea.

    Il legno soprattutto, ma anche il bronzo e più di recente l’alluminio e l’argento, sono i materiali che restituiscono forma a corpi, colti spesso in una condizione di sospensione. Nel lavoro di Demetz è presenta una profonda riflessione sul rapporto dell’uomo con la natura, dalla quale origina la consapevolezza di una mancata unione.

    In alcuni casi Demetz ricopre la superficie delle strutture con resina naturale che l’artista stesso raccoglie dagli alberi delle foreste della Val Gardena.

    La resina, materiale in costante mutamento ha caratteristiche fortemente evocative e contribuisce di esprimere una nozione arcaica e metafisica. Utilizzate malte per conservare tessuti nei metodi di mummificazione, rinvia anche un’idea di durata di ricomprendere composizione.

    Utilizzata nei secoli anche come luogo di culto. Demenza colloca alcune delle sue opere in interno dell’area archeologica, tra le tombe, disegnando un percorso che assume una valenza quasi religiosa.

    Nato nel 1972 Vipiteno Bolzano da una famiglia ladina di scultori che, già da secoli, lavoravano come intagliatori in Val Gardena. Tra il 1997 1998 studiò cultura nella classe di Christian  Hofner presso l’Accademia delle belle arti di Norimberga. Ha esposto in musei e gallerie di tutto il mondo. Del 2018 è l’importante personale presso il Museo Nazionale Archeologico di Napoli.

    Dl 2010 è titolare della cattedra di Belle Arti di Carrara. Vive e lavora  a Selva di Val Gardena.

    L’ingresso alla mostra, è limitato a 15 persone per volta tramite visite guidate, esclusivamente su prenotazione.

    L’Area Archeologica sarà chiusa dal 4 novembre al 7 dicembre compresi.

    Per maggiori informazioni clicca QUI

     

  • Venti opere fotografiche collocate lungo il percorso di visita del Museo della Arti Orientali di Torino, sono il progetto che la fotografa inglese di origini turche, Güler Ates, ha realizzato per il MAO, all’interno di una proposta didattica formulata dalle Aziende e dagli Enti Soci della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino per gli allievi dell’Accademia Albertina, con la Royal Academy of Schools di Londra, dove l’artista è Tutor.

    La mostra è parte di Art Site Fest 2019, curata da Domenico Maria Papa, giunge quest’anno alla quinta edizione e propone un percorso attraverso i linguaggi della contemporaneità – scultura, pittura, teatro, musica, letteratura – in dialogo con alcune delle più belle residenze del Piemonte.

    Le opere fotografiche di Güler Ates riprendono autentiche perfomance tra danza e teatro, contestualizzate per gli ambienti in cui hanno luogo.

    Le modelle, delle quali si intuisce appena la fisionomia, sono abbigliate con stoffe colorate, spesso preziose, rappresentano presenze metafisiche che si muovono all’interno degli ambienti storici, restituendone lo spirito.

    I progetti realizzati da Güler Ates sono ambientati in dimore e musei situati in diversi Paesi europei, Medio Oriente, India e Sud America.

    Nel corso della sua residenza torinese, Güler Ates ha prodotto alcune immagini tratte da shooting fotografici all’interno delle sale del MAO, dove ha allestito un vero e proprio set, per proporre e raccontare con il suo linguaggio una personale visione del Museo.

    Durante il suo lavoro l’artista è stata seguita da 25 selezionati studenti dell’Accademia Albertina, che hanno potuto partecipare alle diverse fasi del lavoro dell’artista e seguire un workshop sulla creatività e i contenuti del progetto che ha portato a SHORELESS.

    Le foto scattate al MAO, insieme ad altre immagini riprese in diversi Paesi e in particolare in India, costituiscono il nucleo della mostra SHORELESS, un dialogo aperto a livelli di interpretazione a confronto con le preziose collezioni del museo, un invito a riflettere sulla migrazione che da sempre caratterizza la storia dei popoli e l’incontro/scontro tra le culture. La mostra è, dunque, la condizione di un approdo sempre rimandato e mai definitivo, della costante messa in discussione delle identità culturali.

    Nella sua ricerca Ates è soprattutto interessata al dialogo tra Oriente e Occidente.

    Nell’approfondire i molti rapporti, intessuti nel corso dei secoli, rimango affascinatadice l’artistada come la cultura occidentale sia debitrice di forme e immagini verso l’Oriente, prossimo o lontano. E da come l’Oriente guardi da sempre all’arte europea come ad una fonte di ispirazione. La nostra epoca spesso dimentica questa millenaria storia di scambi, finendo paradossalmente per allungare le distanze, proprio in un momento storico che ci permette di accorciarle.”

    Secondo il curatore della mostra e direttore artistico di Art Site Fest, Domenico Maria Papa, “le opere di Güler Ates sono site responsive. Quando non sono create per gli spazi in cui sono esposte, sono sensibili ad essi. Si caricano delle qualità e dei significati dei luoghi. A differenza di una parte importante della produzione contemporanea, che spesso si astrae da un contesto per essere osservata nello spazio neutro di una galleria, la ricerca di Ates è da sempre indirizzata a cultura e storia degli ambienti ai quali si rivolge. Ogni sua opera mira, attraverso lo spiazzamento provocato dalle sue misteriose figure, a sollecitare lo spettatore, inducendolo a riconsiderare le sue abitudini percettive.”

    Il MAO – dice il direttore Marco Guglielminotti Trivelnasce come museo di arte orientale antica, ma si è aperto fin dal 2010 all’esplorazione della contemporaneità – ospitando in diverse occasioni sia le opere di artisti asiatici sia i lavori di artisti europei che si ispirano alle culture dell’Asia da varie prospettive. Il lavoro di Güler Ates coniuga queste due possibilità: artista di origine asiatica ma naturalizzata europea, guarda a un museo europeo di oggetti asiatici con uno sguardo da cittadina del Mondo. E in questo sguardo, attraverso il velo delle sue misteriose figure, si disvela la Musa ispiratrice della natura stessa di un museo come il MAO, che è stato creato e continua a vivere proprio per il superamento di dicotomie e di confini. Shoreless, per l’appunto”.

    Il Progetto Didattico promosso e sostenuto dalla Consulta di Torino è nato con l’intento di offrire una straordinaria opportunità agli allievi dell’Accademia Albertina: poter seguire un’artista nelle diverse fasi di realizzazione di un progetto espositivo, analizzarne i contenuti e osservarne la messa in opera.

    Afferma la Presidente Adriana Acutis: “Le imprese della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino sono desiderose di offrire a studenti esperienze di alto livello, contestualizzate nel patrimonio sul quale si fonda l’identità della Città Metropolitana di Torino. Tale impegno vede nell’identità ereditata un punto di partenza per comunicazione, apertura e creatività e nella contestualizzazione un punto d’unione fra formazione artistica e realizzazione creativa e imprenditoriale.

     

    MAO Museo d’Arte Orientale Via San Domenico 11, Torino

    ORARIO da martedì a venerdì 10-18; sabato e domenica 11-19

    Photo di copertina: Guler Ates © Whirled.100×51.5cm.

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    Il 30 settembre e il 1 ottobre 2019 il Museo Egizio organizzerà il convegno “Resti umani. Etica, conservazione, esposizione ”.
    
    Questo evento fa seguito alla conferenza a tema simile organizzata a Pompei e Napoli nel maggio 2019, durante la quale sono state sollevatemolte domande relative allo studio, alla conservazione e alla visualizzazione dei resti umani (http://www.humanremains.org).
    
    Come il precedente evento, la conferenza di Torino intende affrontare questi problemi, ma con particolare attenzione alle mummie, data la natura della collezione del Museo Egizio.
    
    Nella piena consapevolezza del fatto che non esiste una risposta unica alla domanda sull'accettabilità o meno dell'esposizione di resti umani e che una varietà di strategie espositive sono state adottate da diverse istituzioni sulla scena internazionale, questi giorni di studio sono intesi dare voce all'ampia gamma di approcci a una questione così delicata.
    
    L'apertura a discipline al di fuori dell'Egittologia è un prerequisito indispensabile per il dibattito sull'esposizione di resti umani. Da qui il desiderio di coinvolgere antropologi fisici e culturali, biologi, restauratori, sociologi, curatori e operatori di musei, medici legali e paleopatologi.
    
    La conferenza sarà divisa in tre sezioni:
    
    - I vivi e i morti.
    - Preservare il corpo, preservare la mummia.
    - Musei e mostre: casi studio.
    
    Questioni etiche e punti di discussione. Alla fine della conferenza, le questioni più urgenti e i principali punti di riflessione emersi negli ultimi due giorni saranno esaminati e discussi tra tutti i partecipanti.
    
    Per visualizzare il programma completo, fare clic qui.
    
    Il comitato scientifico e organizzativo è composto da:
    Massimo Osanna, Università Federico II, Napoli
    Christian Greco, Museo Egizio, Torino
    Valeria Amoretti, Parco Archeologico di Pompei, Pompei
    Caterina Ciccopiedi Museo Egizio, Torino
    Paolo Del Vesco, Museo Egizio, Torino
    Federica Facchetti. Museo Egizio, Torino
    Susanne Töpfer, Museo Egizio, Torino
  • Vittorio Emanuele II se ne innamorò quando lei aveva 14 anni.

    Bella? «Bella è bella, molto bella. Gran massa di capelli corvini, occhi scurissimi, carnagione perfetta. Il petto tutt’altro che acerbo»: parola di Re.

    A guardarla in foto, però, nella sequenza di ritratti più o meno ufficiali, questa donna è tutt’altro che devota ai canoni estetici: viso un po’ squadrato, lineamenti decisi, naso non certo alla francese.

    Bocca carnosa, inevitabilmente sensuale, natura corvina che non è solo un colore di capelli ma una profondità fisica di tutto il corpo, e unita da un’infinita dolcezza. Bela? Sì.

    Ma non certo secondo i canoni odierni: la Rosina Vercellana, se fosse vissuta un secolo e mezzo più tardi, non sarebbe diventata ne’ una modella, né una star e nemmeno un’attrice, troppe abbondanze e tratti campagnoli.Eppure il primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II, se ne innamorò e l’amò per buona parte della sua vita. Un amore certamente tumultuoso e passionale nel segreto delle loro stanze da letto, ma che visto da fuori e a distanza di tanto tempo fu soprattutto un amore pacato, domestico e familiare, malgrado tutto, sereno. Invidiabile! «Chi si assomiglia, si piglia » sembra fatto apposta per questa coppia dall’aria niente affatto regale: tracagnotti, ma fieri. Sguardo dritto e profondo di chi sa cosa vuole dalla vita.

    Il giovane Vittorio la vede per la prima volta affacciata a un balcone di Racconigi, alla fine dell’immancabile battuta di caccia (una passione per lui, che diventerà anche quella di lei).

    È il 1847: lui ha 27 anni, quattro figli e uno in arrivo, è l’erede al trono del Regno di Sardegna. Lei di anni ne ha solo 14. Ma questa storia, non ha nulla a che vedere con gli odierni giochi pseudo-erotici del potere. È una storia di amore nel vero senso della parola, in tutti i sensi  e con tutti i sensi.

    Rosina darà a Vittorio due figli e la vita intera. Dopo la morte del re per una polmonite, nel 1878, lei gli «sopravviverà» (parole Di Rosina) sette anni. Prima, lo segue in tutte le tappe dell’Italia che si fa, sempre discosta. Ma sempre presente.

    Vittorio resta vedovo di Maria Adelaide nel 1855. Solo le tenaci manovre (e minacce) di Cavour a impedire al Re di sposare ufficialmente Rosina. Ancora oggi resta il mistero su quelle nozze morganatiche contratte nel 1869 in articulo mortis (quando l’avevano precipitosamente dato per spacciato), e comunque quando ormai Cavour e il suo cipiglio non c’erano più.

    I figli di Rosina, Vittoria ed Emanuele Alberto, il cui cognome sarà Guerrieri, erediteranno da lei il titolo nobiliare di conti di Mirafiori e Fontanafredda, da lei acquisito nel 1859.

    Vittorio Emanuele II non la farà mai regina, la sua Rosina. Avrebbe voluto, ma molte ragioni di stato glielo impedirono: pressioni politiche, veti dei figli «ufficiali», opportunità di ordine «mediatico». Ma certamente le case dove Rosina abitò – dalla Mandria a Venaria, alla Pietraia nei pressi di Firenze, alla Villa Mirafiori fatta costruire sulla Nomentana a Roma, apposta per lei, furono le vere case anche del re. Quelle dove trovava una vera famiglia, e un’aria vera di casa, con lei che lo aspettava per dargli tutto quello che una brava moglie sa dare a un marito.

    Certo, si vestiva in modo un po’ eccentrico, a un certo punto della vita sembrava un po’ troppo incline agli sfarzi, per quanto sempre relativi…

    E lui, d’altro canto, non mise mai a freno i propri istinti, invigaghendiso dell’attrice di turno. Ma Rosina aspettava, paziente e fiduciosa. E lui tornava sempre, fino all’ultimo.

    Rosa Vercellana trascorse il resto della sua vita presso palazzo Beltrami di Pisa, che il re aveva acquistato per la figlia Vittoria,morì nel 1885. Il suo atto di morte, nei registri dell’ufficio dello stato civile di Pisa, la indicò come “nubile” e vi si possono leggere varie altre imprecisioni.

    Casa Savoia vietò che Rosa venisse seppellita al Pantheon, non essendo mai stata regina: per questo motivo, e in aperta sfida alla corte reale, i figli fecero costruire a Torino Mirafiori Sud una copia del Pantheon in scala ridotta, poi soprannominata il “Mausoleo della Bela Rosin”.

    Nel 1972 le sue spoglie furono traslate al Cimitero monumentale di Torino (Campo primitivo nord – edicola n.170 A), per evitare profanazioni e vandalismi della tomba.Un amore durato trent’anni, un’eternità, e un’infinità di momenti condivisi , a letto, certo, ma anche a tavola (ce la immaginiamo cuoca provetta, la bela Rosin), la sera davanti al camino, a cavallo nei boschi, in passeggiata a braccetto per la vigna.

    Informazioni Pratiche

    Indirizzo:
    Strada del Castello di Mirafiori, 148/7 – 10135 Torino

    Orari: 
    Apertura Estiva (aprile-ottobre): dal mercoledì alla domenica ore 10.00-12.00 e 15.30-19.30
    Apertura Invernale (novembre-marzo): venerdì, sabato e domenica ore 10.00-12.00 e 14.30-17.00

    Visite guidate:

    Durante alcuni fine settimana i volontari del Progetto Senior civico della Città di Torino sono a disposizione per visite guidate al mausoleo e per raccontare la storia del posto e dei suoi personaggi. Per informazioni: mausoleo.belarosin@comune.torino.it, oppure Tel. 011 01 12 98 36.

    Mausoleo della Bela Rosin. 

     

     

  • Tre calde domeniche estive, 28 luglio, 11 e 25 agosto, per approfittare di un’occasione imperdibile: l’apertura del Secondo Piano di Palazzo Reale, solitamente chiuso al pubblico, con tariffa d’ingresso compresa nell’abituale biglietto dei Musei Reali. Juvarra, Alfieri, Palagi, Beaumont, De Mura, Piffetti, Bonzanigo, sono soltanto alcuni degli eccezionali artisti e architetti che si avvicendarono nella realizzazione di queste stanze.

    La visita inizia percorrendo la juvarriana Scala delle Forbici e si snoda attraverso le raffinate sale degli Appartamenti dei Principi di Piemonte e dei Duchi di Aosta, con affaccio dal terrazzo settecentesco per godere del panorama circostante, dalla collina di Superga alla catena alpina, dal Giardino di Levante alle cupole della città.

    Un tempo utilizzato dalle dame e damigelle d’onore di Madama Reale, dall’inizio del Settecento il Secondo Pianoviene destinato ad accogliere i principi ereditari e le loro consorti, assumendo la denominazione di Appartamenti Nuziali o dei Principi di Piemonte, già utilizzati dai Duchi di Savoia Vittorio Amedeo III e Maria Antonia Ferdinanda di Spagna, raffigurati nella grande tela del Duprà. Rimodernati da Pelagio Palagi all’epoca di Carlo Alberto, tra i diversi ambienti spiccano per eleganza la Sala Blu, la Sala Rossa e la Camera da letto di Maria José, che vi soggiornò nei primi decenni del Novecento. Gli Appartamenti dei Duchi d’Aostaoccupano l’altra metà del piano e rappresentano un vero e proprio unicum per integrità stilistica. Progettati dagli architetti Piacenza e Randoni per le nozze di Vittorio Emanuele I con Maria Teresa d’Asburgo Este, celebrate nel 1789, ospitano preziosi arredi realizzati da Giuseppe Maria Bonzanigo, affreschi con soggetti mitologici e una curiosa Sala del Biliardo.

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