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    Inaugurata a Mantova la mostra clou di Palazzo Ducale per il 2017.

    Dedicata allo spettacolo e alle arti del banchetto rinascimentale nell’anno in cui Mantova – dopo i fasti di Capitale Italiana della Cultura – è stata scelta insieme con Bergamo, Brescia e Cremona quale Capitale Enogastronomica Europea.

    Con straordinari e suggestivi contributi, la mostra ricostruisce lo scenario sfarzoso della convivialità dei prìncipi nel corso di due secoli, dal Cinquecento al Settecento: i segreti del convito, la tavola imbandita, la teatralità degli arredi, le tovaglierie, i vasellami, i riti del sedersi e del conversare, le vesti e, le luci, la musica, la poesia e i colori. In un percorso di oltre cento preziose opere provenienti da mezza Europa, nell’atmosfera splendida e scenografica del banchetto emerge quanto fosse importante per i grandi del tempo affidare alla tavola, nelle sue molteplici interpretazioni, il messaggio della propria grandezza e magnificenza, della propria superiorità culturale.

    Oltre ai servizi di posate che accompagnavano l’imperatore Massimiliano I nelle battute di caccia e alle posate da viaggio di Maria Teresa d’Austria, fa ritorno a Mantova il piatto che adornava la credenza di Isabella d’Este (in bella mostra il suo motto “nec spe nec metu”), accanto ad altri magnifici piatti e saliere con lo stemma dei Gonzaga, scampati allo spettacolo fragoroso dell’opulenza di banchetti in cui “si levavano, si gettavano,  si rompevano e di certo grande era certo il numero, poiché gli sig. Scalchi, imbandirono a ventiquattro piatti”, cambiando “quattro volte la tovaglia… per quella splendida virtù, che si chiama magnificenza”.

    I resoconti dell’epoca così descrivono, ad esempio, il convivio del 22 settembre 1587, offerto in Palazzo Ducale per l’incoronazione del duca Vincenzo l.

    I trattati di alta cucina: il volume a stampa (1549) di Cristoforo Messisbugo, cuoco di Carlo V (così raffinato che l’Imperatore volle nominarlo conte palatino), quelli di Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Papa Pio V (Venezia, 1570) e del nostro di Bartolomeo Stefani (1662).

    I pezzi arrivano dall’Italia (Milano, Verona, Firenze, Parma, lo stesso Ducale e la Teresiana) oltre che da musei e abbazie di mezza Europa: Salisburgo, Vienna, Reichersberg, Bratislava, Kremsmünster, Graz oltre a un cospicuo prestito della magnifica collezione Esterhazy da Eisenstadt.

    La mostra è a cura di Johannes Ramharter e Peter Assmann. Il comitato scientifico è composto da Peter Assmann, Johannes Ramharter, Paola Venturelli, Renata Casarin, Hannes Etzlstorfer, Gianfranco Ferlisi e Francesca Ferrari. Il progetto espositivo è stato curato dagli architetti David Palterer e Norberto Medardi (P&M Architecture di Firenze) e dall’architetto Antonio Mazzeri del Museo di Palazzo Ducale. La progettazione dell’attività didattica è curata da Renata Casarin, vice direttore del complesso museale di Palazzo Ducale, con Lara Zanetti. Il catalogo della mostra, edito da Tre Lune Editori, pubblica testi di Peter Assmann, Johannes Ramharter, Nina Knieling, Paola Venturelli, Alain Tapié, Hannes Etzlstorfer, Auretta Monesi, con un’appendice di Lara Zanetti sul percorso educativo appositamente creato. La postazione video è a cura di Daniela Sogliani e Francesca Ferrari.

    Castello di San Giorgio – Mantova 

    CURATORI: Johannes Ramharter, Peter Assmann

    ENTI PROMOTORI:

    • MiBACT
    • Complesso Museale Palazzo Ducale di Mantova

    COSTO DEL BIGLIETTO: Ingresso con biglietto Castello di San Giorgio € 12

    SITO UFFICIALE

    Dal 21 Aprile 2017 al 17 Settembre 2017

  • Sia per chi conosce Torino o per chi è in vacanza, l’ascensore della Mole Antonelliana è un esperienza da fare!

    La veduta da 85 metri d’altezza dal cosiddetto «Tempietto» bella di giorno, unica di notte!

    Vista mozzafiato di Torino dall’alto, in una bella giornata di sole e cielo limpido si posso ammirare le montagna che sorvegliano su Torino.

    L’ascensore panoramico è una delle caratteristiche della Mole Antonelliana: in funzione per la prima volta nel 1961, in occasione delle celebrazioni del Centenario dell’Unità d’Italia, venne rinnovato nel 1999 per permettere il raggiungimento del «tempietto» da cui poter ammirare la città con una vista a 360 gradi. Dalla base al suo arrivo l’ascensore ci impiega solo 59 secondi.

    L’esperienza è completa con la visita al museo del cinema.

     

    Opera di Antonelli inizialmente progettata per  diventare una sinagoga ebraica con annessa scuola, ora museo del cinema, vale la pena di essere visitata! E’ un percorso piacevole e per nulla noioso anche per bambini non troppo grandi!

    Per informazioni e Costi 

    Per eventi e mostre in programmazione al Museo del Cinema

     

  • DA QUI NASCE LA FONTANA DEL MELOGRANO.

    Nel corso del tempo gli edifici esistenti furono ampliati ed uniti, fino alla trasformazione radicale avvenuta tra il 1490 circa e il 1510 ad opera di Giorgio di Challant, priore di Sant’Orso, che ne fece una sontuosa dimora per la cugina Margherita de La Chambre ed il figlio Filiberto. Fu allora che il castello assunse l’aspetto attuale, diventando un unico palazzo a ferro di cavallo, affacciato su un ampio cortile e un giardino all’italiana, sul cui alto muro di cinta furono dipinti personaggi importanti ed eroi; il porticato al piano terreno fu ornato da una serie di lunette affrescate con scene di vita quotidiana e rappresentazioni di botteghe, mentre al centro del cortile sorse la celebre fontana in ferro battuto detta del Melograno, simbolo di prosperità.

    Sempre in quel periodo molti ambienti interni furono decorati con affreschi, sia nelle zone di rappresentanza, quali la Sala di Giustizia o la Cappella, sia nelle stanze più private, tra cui gli oratori di Margherita de La Chambre o di Giorgio di Challant.

    Dopo i fasti del Cinquecento, la residenza si avviò verso un progressivo declino e nel 1872 fu venduta all’asta pubblica: acquistata dal pittore torinese Vittorio Avondo, divenne oggetto di un’attenta campagna di restauro che le restituì l’antico splendore.

    Donato allo Stato nel 1907, oggi il castello appartiene alla Regione Autonoma Valle d’Aosta e si presenta con alcuni elementi dell’originale mobilia ed altri arredi rifatti alla fine dell’Ottocento, che insieme a numerosi oggetti d’uso domestico ripropongono l’ambientazione tardo quattrocentesca voluta da Avondo.

    Entrando nel palazzo ci si trova nel cortile, attorniato da edifici sulle cui pareti sono ritratti gli stemmi del casato Challant e delle famiglie con esso imparentate; oltrepassata la fontana del melograno si prosegue verso l’androne decorato dalle pregevoli lunette, raffiguranti il corpo di guardia, la bottega del beccaio e del fornaio, il mercato di frutta e verdura, il sarto, lo speziale e il pizzicagnolo.

    Era abitudine e soprattutto permesso lasciare scritte e segni  sulle pareti del castello.

    Si posso leggere frasi scherzose, che ci fanno sorridere, ma se pensiamo alle mani che hanno tracciato quei segni e ascoltiamo attentamente, dentro di noi sentiremo senz’altro una parola che rimbomba: ‘ANANKE.

    La prima cosa che salta all’occhio per una Torinese, è la Fontana del Melograno posta al centro del cortile: identica a quella nel cuore del Borgo Medievale del Valentino! Trattasi di riproduzione. Realizzata, dopo gli accurati studi che ne fece Alfredo d’Andrade all’inizio del XX secolo, per il padiglione piemontese dell’Esposizione Internazionale di Roma del 1911.

    Cosi chiamata perché costituita da una vasca in pietra di forma ottagonale sormontata da un albero in ferro battuto.

    Ad Issogne è stata collocata in una posizione privilegiata all’interno del castello, non sembra essere la volontà di riprodurre in maniera fedele la natura, ma piuttosto dalla volontà di realizzare un’opera dalle forti valenze simboliche.

    Infatti, osservando da vicino l’albero,  si nota che le foglie riproducono quelle della quercia, mentre i frutti sono indubbiamente frutti del melograno.

    Simbolicamente, il melograno rimanda a temi quali la castità e l’unità della famiglia, mentre la quercia assume significati di forza e antichità.
    Tutti questi precisi richiami alle virtù della casata Challant sembrano confermare l’ipotesi che la fontana sia stata realizzata da Giorgio di Challant in occasione del matrimonio del nipote, Filiberto di Challant, con Louise d’Aarberg, nel corso del 1502.

     

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