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  • Il comitato scientifico del museo si dimette, no al prestito alle Scuderie

    “Fermate il ritratto di Leone X”.

    A pochi giorni dall’inaugurazione della grande mostra alle Scuderie del Quirinale , con l’incubo del coronavirus che ancora ne minaccia l’apertura, è scontro sul divino Raffaello, o meglio su una delle quasi cinquanta sue opere garantite alla esposizione romana dalle Gallerie degli Uffizi. La polemica, che ha portato alle dimissioni in blocco dei quattro professori che compongono il Comitato Scientifico del museo più importante d’Italia, si scatena sulla tavola che ritrae uno dei due papi che hanno fatto la fortuna del genio urbinate. Un ritratto che proprio in occasione dell’evento romano – organizzato per i 500 anni dalla morte dell’artista – è stato restaurato dall’Opificio delle Opere Dure di Firenze grazie al contributo di Lottomatica.

    Il presidente di Ales Scuderie del Quirinale Mario De Simoni ne aveva parlato presentando alla stampa l’esposizione e a fornire ulteriori particolari era intervenuto Marco Ciatti, direttore dell’Opificio delle Opere Dure di Firenze: “Ha ritrovato colori mai visti”, aveva sottolineato De Simoni presentando proprio il nuovo aspetto della tavola come una delle novità scientifiche arrivate grazie al progetto espositivo. Anche per questo la lettera di dimissioni dei quattro professori , anticipata dall’ANSA, è arrivata come una doccia fredda: Donata Levi, Tomaso Montanari, Fabrizio Moretti e Claudio Pizzorusso ricordano di aver dato parere negativo , lo scorso 9 dicembre, al prestito del Leone X che, sottolineano, era stato incluso (in un altro documento approvato anche dal direttore Eike Schmidt) nella lista delle 23 opere “inamovibili” del Museo, ovvero le opere che per le loro condizioni di fragilità o semplicemente per il loro carattere “fortemente identitario ” (e questo nella fattispecie sarebbe il caso del ritratto del di Leone X).

    Immediata e puntuale la replica del direttore tedesco, che anzi rivendica la sua scelta: “La mostra su Raffaello – dice – è un evento culturale epocale, sarà uno dei motivi di orgoglio dell’Italia nel mondo e non poteva fare a meno del Leone X, un capolavoro tra l’altro in ottima salute dopo il restauro fatto dagli specialisti dell’Opificio Opere Dure”.

    Dalle Scuderie si fanno sentire anche gli studiosi che compongono il Comitato Scientifico della mostra: Il ritratto di Leone X, spiegano la presidente Sylvia Ferino, Francesco Paolo Di Teodoro e Vincenzo Farinella, è cruciale per il percorso che è stato immaginato in omaggi ai 500 anni della morte del maestro urbinate. Anzi “l’intero progetto scientifico si è focalizzato fin dall’inizio attorno a questa opera cruciale: in mostra, infatti, il ritratto di Papa Leone, che aveva incaricato Raffaello di eseguire una pianta dell’antica Roma, eleggendolo anche prefetto dei marmi, è circondato da tutte le testimonianze, di quell’immane lavoro sull’antico operato dal sommo Urbinate ed è posto in correlazione con il ritratto di Baldassarre Castiglione (straordinario prestito del Louvre) il celebre letterato estensore, con Raffaello, della lettera a Leone X”, lettera che è alla base del concetto di tutela del patrimonio culturale richiamato all’articolo 9 della Costituzione.

    Tant’è, da Firenze, lo storico dell’arte Tomaso Montanari spiega che la battaglia condivisa con gli altri professori dimissionari riguarda i criteri di gestione dei musei autonomi in generale e degli Uffizi in particolare:”Il punto non riguarda la mostra , ma il tipo di garanzie che vogliamo per i nostri musei.

    Il 21 ottobre il Comitato scientifico ha approvato una lista proposta da Schmidt di 23 opere inamovibili, tra cui figura il ritratto di Leone X, con la dicitura ‘con l’obbligo di attenervisi considerando le opere in essa contenute inamovibili in assoluto per motivi identitaria” mentre oggi abbiamo appreso dalla lettura dei giornali che l’opera era già a Roma. Io sono profondamente preoccupato”. Schmidt incassa le dimissioni , ma respinge le accuse: “Quello di oggi è un attacco palesemente strumentale – sostiene- tanto più che appena tre anni fa e prima ancora del restauro, il dipinto fu inviato proprio alle Scuderie del Quirinale per una mostra. Allora nessun Comitato ebbe niente da dire”.

  • Dal 20 giugno al 30 settembre 2018 i Musei Reali presentano a Torino, nelle Sale Palatine della Galleria Sabauda, una mostra di pittura rara e preziosa, dedicata al genere della natura morta, che nasce dalla collaborazione con Bozar – Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e che si avvale della partnership con Intesa Sanpaolo.

    Con Il silenzio sulla tela. Natura morta spagnola da Sánchez Cotán a Goya il Belgio e l’Italia si uniscono per costruire un omaggio alla Spagna. Intorno alle prove di grandi artisti come Sánchez Cotán, Juan de Zurbarán, Meléndez e Goya, la mostra traccia il percorso di sviluppo di questo genere su due secoli di produzione. Dalla silente concentrazione delle tele del Seicento, con l’indagine accurata e preziosa degli oggetti della vita quotidiana e della natura, attraverso le trionfanti composizioni barocche, ricche di decorazioni floreali e intrise di significati simbolici, si arriva all’età delle accademie e alla consacrazione del genere all’interno dei canoni artistici.

    Curata da Ángel Aterido, professore dell’Università Complutense di Madrid, la mostra è articolata secondo un percorso in sette sezioni: le origini, i bodegones, i floreros, tavole e cucine, le Vanitas, il primo Settecento, il gusto accademico e Goya. Al suo interno raccoglie circa quaranta opere provenienti da prestigiosi musei pubblici quali il Museo del Prado, il Louvre, le Gallerie degli Uffizi e l’Art Museum di San Diego, così come da importanti collezioni private: per il visitatore sarà come intraprendere un viaggio tematico attraverso alcuni dei più importanti musei del mondo, ammirando straordinari esempi di bodegones dipinti da Juan Sánchez Cotán, provenienti dagli Stati Uniti e dalla Collezione Abelló di Madrid, le Mele in cestino di vimini di Juan de Zurbarán, le scene allegoriche nella Vanitas e Il Sogno del Cavaliere di Pereda, la Natura morta con quaglie, cipolle, aglio e recipienti caratterizzata dallo straordinario virtuosismo tecnico di Meléndez e l’impressionante Natura morta con tacchino di Goya.

    La rappresentazione degli oggetti quotidiani, dei frutti, delle piante o degli animali, isolati e raffigurati senza la presenza dell’uomo, si diffonde in Europa intorno al 1590-1600. Fin dalla sua nascita, la natura morta viene intesa come un esercizio mimetico di descrizione analitica della realtà naturale, caratterizzato da un forte senso decorativo. Il caso spagnolo presenta alcune peculiarità che lo contraddistinguono dalle soluzioni compositive adottate negli altri paesi europei, come ben dimostra anche l’uso di una parola specifica per indicare questo particolare genere figurativo: bodegón. Sebbene sia possibile mettere in relazione le prime nature morte spagnole con modelli fiamminghi e italiani, il loro carattere austero e le personali interpretazioni del tema fornite da importanti pittori quali Juan Sánchez Cotán, Juan de Zurbarán, Luis Meléndez o Francisco de Goya, implicano un loro specifico riconoscimento fra i vertici dell’arte occidentale.

    La mostra è arricchita dal dialogo tra le opere spagnole e nove dipinti italiani e fiamminghi appartenenti alle collezioni della Galleria Sabauda, tra le quali la Natura morta con frutta, dolci, crostacei, un bicchiere e un topo di Peter Binoit, La vanità della vita umana di Jan Brueghel, caratterizzata da una grandissima ricchezza iconografica, o ancora il Vaso con fiori e insetti di Cornelis De Heem. A queste si aggiunge una superba opera di Giuseppe Recco, Natura morta con pesci e molluschi, appartenente alle raccolte del Palazzo Zevallos di Napoli e gentilmente concessa in prestito dalle Gallerie d’Italia – Intesa Sanpaolo.

    Con la sofisticata trama dei suoi rimandi e delle sue influenze, la mostra rappresenta una straordinaria opportunità per celebrare, attraverso il lascito depositato nella pittura, la complessità del tessuto culturale che unisce tre grandi nazioni -Spagna, Belgio e Italia-, proprio nell’anno che il Consiglio d’Europa ha voluto dedicare al vasto, variegato e solidale patrimonio del nostro continente.

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